Analisi apologia di socrate PDF

Title Analisi apologia di socrate
Course Sociologia generale e dell'educazione
Institution Università degli Studi di Trieste
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Analisi dell’apologia di Socrate Le due opere di Platone sono il Fedone e l’apologia di Socrate. Il modo in cui viene presentato Socrate nell’una e nell’altra opera è molto diverso. Nel Fedone, Socrate viene presentato soprattutto come dramis persona, come maschera emblematica del filosofo per eccellenza. Nell’apologia di Socrate Platone presenta quindi un Socrate reale e non una maschera drammaturgica. Platone nelle sue opere cita sé stesso solo tre volte: una nel Fedone e due nell’apologia. Nel Fedone dice di non essere stato presente alla morte di Socrate; nell’apologia ribadisce la propria presenza in maniera marcata. Nel Fedone Platone indica con un preciso gioco drammaturgico che quanto dirà non è una narrazione storica; nell’apologia si colloca nella dimensione oggettiva. Nell’apologia viene presentato non come maschera, ma come personaggio reale, e perciò il suo nome compare nel titolo. Processo intentato contro Socrate e i capi d’accusa L’evento cui si riferisce l’apologia di Socrate è il processo stesso intentato contro Socrate nel 399 a.C., mentre l’azione rappresentata nel corso dello scritto è appunto la grande difesa del filosofo al processo. Per quale motivo fu intentato a scorate un processo con addirittura la pena di morte e quale fu l’atto d’accusa che gli venne volto? Platone disse ‘Socrate è colpevole di corrompere i giovani, di non credere in quegli dei in cui crede la Città e di introdurre nuove divinità’ (anche Senofonte conferma ciò). Questo atto d’accusa non era di carattere privato, ma era considerato un processo di stato, in quanto tutte le questioni riguardanti gli dei e i culti religiosi erano di competenza della città, che in materia aveva sovranità assoluta. Offendere gli dei della città era considerato un atto di offesa contro la Città stessa. Gli dei in cui Socrate non credeva erano gli dei della tradizione mitologica. Egli respingeva tali dei per due motivi: 1-egli giudicava assurdi e incompatibili con il concetto del divino i comportamenti che venivano loro attribuiti. La natura di dio secondo Socrate va pensata in modo totalmente diverso, in strutturale e incontrovertibile relazione con il giusto e con il bene. 2-socrate respingeva la teologia tradizionale anche per le conseguenze etiche che essa comportava, non risultava possibile fondare un modo di vivere moralmente ordinato e santo. La natura di dio va pensata in modo totalmente differente rispetto a quanto la tradizione teologica mitica insegnava, il dio deve coincidere con la natura stessa del bene. Ma a Socrate nell’atto d’accusa veniva imputato anche di introdurre nuove divinità. Questa imputazione non si riferiva al concetto filosofico, ma a un certo segno divino o voce divina (o daimonion) che egli soleva affermare di sentire dentro di sé fin da fanciullo. In che cosa consiste il daimonion? 1-È un segno interiore, è una voce intima, 2-tale voce non incita Socrate a fare, bensì lo trattiene dal fare determinate cose, dunque non lo esorta ma gli si oppone. 3-si tratta di una voce che Socrate sente nel suo intimo, che egli ritiene non provenire solamente dalla sua coscienza, ma appunto dal dio, donde l’espressione daimonion. Il daimonion è quindi una voce interiore di coscienza che entra in rapporto con il divino. Non si trattava quindi di una divinità come l’atto d’accusa diceva ma di uno speciale rapporto di Socrate con il divino, nella misura in cui egli sentiva quella voce provenire da qualcosa che trascendeva la sua stessa coscienza. Effettive ragioni per cui Socrate venne trascinato in tribunale, i suoi accusatori e le caratteristiche del processo. Non fu il motivo di carattere religioso che spinse gli accusatori di Socrate a presentare l’accusa. I veri motivi furono il carattere politico, e la questione religiosa fu il mascheramento dei veri motivi e quindi di una vera e propria congiura contro il filosofo. Questo tipo di processo veniva intentato e celebrato ad Atene, in seguito alla formale presentazione di un preciso atto d’accusa da parte di un responsabile. Nel caso di Socrate il responsabile d’accusa fu Meleto. Meleto era un rappresentante dei poeti, ma si trattava di un poeta che non aveva avuto nessun successo, quindi con questa operazione egli cercava di farsi pubblicità e di avere quel successo e quella notorietà che invano cercava come poeta. Colui, però, che tirò le fila del

processo fu il politico Anito, il quale ideò l’operazione e convinse Meleto a presentare l’accusa. Un ruolo significativo lo ebbe anche Lione, il quale svolse il compito di organizzare e dirigere le procedure. Un processo come quello intentato contro Socrate, per cui era richiesta la pena di morte, secondo le leggi ateniesi doveva necessariamente svolgersi e risolversi nel corso di una sola giornata. I giudici, erano ben 500 e oltre ai giudici potevano esser presenti molte altre persone in qualità di cittadini. Nel corso della giornata avveniva ciò: dopo il discorso che illustrava l’accusa, veniva data parola all’accusato per la propria difesa. Subito dopo, aveva luogo una prima votazione, nella quale i giudici si esprimevano a favore della condanna oppure dell’assoluzione. Nel caso votassero in maggioranza per la condanna, essendo richiesta la pena di morte, la legge ateniese offriva al condannato la possibilità di proporre una pena alternativa a quella inflittagli. L’accusato faceva quindi un secondo discorso per convincere i giudici a moderare la pena e a ridurla nel senso richiesto. Di conseguenza, i giudici dovevano fare una seconda votazione al fine di approvare oppure respingere la pena alternativa proposta dall’imputato. L’esito di questa seconda votazione si imponeva quindi come definitivo e non più discutibile. I risultati della prima votazione al processo di Socrate furono280 votarono contro di lui e 220 votarono a suo favore. I risultati della seconda votazione furono invece disastrosi, in quanto Socrate invece di proporre una pena alternativa sostenne di meritare addirittura un premio. Di conseguenza, 360 giudici votarono contro di lui e solamente 140 a suo favore. Primo discorso tenuto da Socrate Il suo discorso di impernia su quattro punti chiave 1-dopo una breve introduzione intesa a distrarre i metodi che seguirà nella sua difesa, Socrate chiama in causa i suoi primi accusatori, non quelli che hanno intentato il processo ma quelli che, in qualche modo, hanno preparato quei presupposti dal quale esso è nato. Questi primi lo hanno in vario modo diffamato, creandogli una immagine negativa che si è in vario modo diffusa. 2vengono chiamati in causa i veri accusatori che lo hanno portato in tribunale, in particolare Meleto, e vengono confutate le sue accuse. 3-Socrate presenta il nucleo centrale del suo pensiero filosofico e spiega il senso della sua missione, a questo momento se ne connette un 4-ha lo scopo di mostrare le conseguenze sociali ed educative del suo pensiero, della sua missione. A conclusione di questo suo grande discorso, Socrate chiede ai giudici non pietà, ma giustizia. Primi accusatori di Socrate I primi accusatori di Socrate sono stati quelli che hanno identificato il suo pensiero con quello dei naturalisti e dei sofisti. Si è creduto che egli indagasse sulle cose che stanno nei cieli e sotto terra, si è creduto che egli insegnasse a presentare, con l’abilità del discorso, come più forti le cose che sono di per sé più deboli, e viceversa. In realtà Socrate è ben lungi dal considerarsi un sapiente, almeno nel senso in cui si consideravano tali i filosofi della natura o i Sofisti. Quella che egli ammette si possedere è una sapienza umana, vale a dire una sapienza ben cosciente della propria fragilità. Come mai Socrate si è creato una grande fame si sapienza? Tale fama derivò a Socrate da un responso dell’Oracolo di Delfi. L’amico Cherofonte, un giorno chiese alla sacerdotessa Pizia di Delfi chi fosse in Grecia il più sapiente. E la Pizia diede quel responso che per i greci divenne emblematico “Socrate è il più sapiente di tutti gli uomini”. Per interpretare il responso del dio di Delfi, allora Socrate sottopose a un attento esame tutti coloro che comunemente si ritenevano depositari del sapere (politici, poeti, tecnici) I secondi accusatori di Socrate Il secondo gruppo di accusatori di Socrate fu quello dei promotori dell’atto d’accusa: Anito, Licone e in particolare Meleto. La confutazione che fa Socrate dei due punti d’accusa è netta e categorica. 1-per poter accusa uno di corrompere i giovani e quindi di mettere a repentaglio la loro educazione, bisognerebbe

possedere una precisa conoscenza della natura stessa dell’educazione degli uomini. Bisognerebbe sapere veramente ciò che li educhi e ciò che li corrompi. Ma Meleto chiamato in causa, si confonde e contraddice, mostra di essere ben lontano dall’avere conoscenza di queste cose. Meleto accusa Socrate di corrompere i giovani, senza avere adeguate conoscenza delle cose stesse su cui la sua accusa si fonda. Nella difesa contro l’accusa di empietà, Socrate segue una via particolare. L’accusa infatti imputava Socrate di non credere in quegli dei in cui crede la città, e di introdurre nuove divinità. Socrate porta la sua difesa su un piano dialettico-confutativo molto più efficace. Chiede a Meleto se, con il rivolgergli l’accusa di empietà, intenda rivolgergli anche l’accusa di essere ateo, ossia di non credere affatto negli dei. E alla risposta positiva e secca di meleto, Socrate mostra come l’accusa sia contradittoria. Essa imputa a Socrate di non credere negli dei della città, ma imputa a Socrate anche di introdurre nuove divinità. Di conseguenza imputa a Socrate sia di non credere sia di credere negli dei. È del tutto assurdo pensare che uno possa essere un ateo e a un tempo un introduttore di nuovi dei nella città. Dunque, le accuse mosse a Socrate sono inconsistenti e incoerenti in tutti i sensi. Messaggio filosofico di Socrate e i suoi concetti base (l’uomo è la sua anima e il fine supremo della vita dell’uomo è la cura dell’anima) L’idea di fondo che Socrate ha portato in atto consiste nella scoperta dell’essenza dell’uomo e della connessa fondazione della filosofia morale. Lo scopo del filosofare di Socrate, degli esami e delle molteplici prove cui sottoponeva i suoi interlocutori era questo: dimostrate che l’essenza dell’uomo sta nella sua anima, ossia nella sia intelligenza, vale a dire nella sua capacità di intendere e volere, e quindi in ciò per cui egli diventa buono. In realtà secondo Socrate, l’uomo si occupa troppo di ciò che ha e poco di ciò che è. Per essere veramente sé medesimo l’uomo non deve in prevalenza occuparsi del suo corpo, dei suoi possessi e del suo potere, ma della sua anima, al fine di renderla migliore il più possibile, perché da essa dipende tutto ciò che nella vita vale. Il concetto di anima e quella della cura dell’anima costituiscono il cardine del socratismo. Nell’apologia viene riportato un messaggio di Socrate, da questo messaggio si comprendono molto bene gli effetti e le conseguenze che Socrate cerca di far intendere ai giudici. L’attività da lui svolta doveva essere intesa come l’attuazione di un compito affidatogli da dio, come una vera e propria missione. Il suo messaggio, doveva essere come uno stimolo educativo per la città addormentata e pertanto esso aveva una funzione sociale altamente morale. Conclusione del primo discorso Era consuetudine che l’imputato facesse venire in tribunale la propria famiglia, per implorare il più possibile compassione e pietà. Socrate si oppone a questa usanza. Lui non credeva giusto supplicare il giudice per schivare la condanna con suppliche, ma a lui sembrava giusto fornirgli spiegazioni e persuaderlo. Infatti, lui dice che il giudice non ha la funzione di fare il regalo della giustizia ma di giudicare secondo giustizia. Ha giurato non di fare grazia a chi sembri a lui opportuno, ma di fare giustizia secondo leggi. Nella sua conclusione disse che lui crede negli dei come nessuno dei suoi accusatori e che affida ai cittadini di Atene e a dio il compito di giudicarlo nel modo che sarà migliore per lui ma anche per loro. Secondo discorso di Socrate e il ribaltamento dei piani Il secondo discorso dopo la prima che lo condannava a morte, avrebbe dovuto proporre una pena alternativa alla morte, è molto breve ma assai ardito e tagliente. Quando uno chiede una pena alternativa vuol dire che si ritiene colpevole, di conseguenza con la richiesta di questa pena alternativa deve cercare di delimitare la portata della sua colpevolezza e quindi cercare di ottenere una pena più moderata. Socrate però non si ritiene colpevole in nessun modo. Anzi, giudica l’opera da lui svolta come un’amissione affidategli da dio, e perciò come un bene per la città. Di conseguenza, la sua prima risposta alternativa, la capovolge ribaltando completamente la posizione di accusato in cui si trovava, in quella di cittadino che, per il suo operato, meriterebbe un premio dalla città. La maggior parte di coloro che avevano votato contro Socrate speravano che di fronte alla pena di morte, Socrate avrebbe accettato l’alternativa del carcere o

dell’esilio o un tipo di pena che gli impedisse di parlare in pubblico. Se avesse fatto così i politici avrebbero raggiunto il loro scopo, che era appunto quello di farlo tacere. Socrate respinse ciò per due motivi: 1-se tacesse verrebbe meno al compito affidatogli da dio; 2-verrebbe meno alla sua stessa convinzione di fondo sul significato del filosofare. Ma gli amici con alla testa Platone premevano che Socrate proponesse una pena di una multa di 30 mine che avrebbero provveduto a pagare loro stessi pur di salvarlo. Questo Socrate propone per rispetto agli amici anche se a malincuore e senza effettiva convinzione. Terzo discorso e ulteriore ribaltamento di piani (Socrate si eleva al di sopra del giudicato e assume il ruolo di giudice dei suoi giudici) Dopo la seconda votazione e la definitiva condanna a morte, Socrate fa un breve discorso di commiato, diviso in due momenti: 1-rivolto a quelli che lo hanno condannato; 2-rivolto a coloro che hanno votato a suo favore. A coloro che lo hanno condannato rivolge due importanti messaggi: 1-mette a confronto morte e malvagità, difficile non è già sfuggire alla morte, bensì alla malvagità, perché la malvagità corre molto più veloce che non la morte; e i suoi accusatori sono stati raggiunti proprio dalla malvagità, che è la più veloce, mentre Socrate che è debole e lento è stato raggiunto dalla morte, che è la più lenta. 2-fa una predizione, ai giudici che lo hanno condannato, nella speranza di liberarsi per sempre di chi li costringeva a rendere conto della propria vita, accadrà il contrario: molti saranno coloro che in futuro faranno quello che lui ha fatto in passato. Ai giudici che lo hanno assolto Socrate rivolge alcune considerazioni generali sulla morte e sul suo significato. Dal punto di vista razionale la morte potrebbe essere: o una sorta di notte eterna, come un andare nel nulla assoluto; oppure è un passaggio a un’altra vita, un andare in un altro luogo, dove ci sono veri giudici e dove trovano tutti gli altri uomini che sono morti, e dove si vive una vita felice. In tutti e due questi casi la morte risulta essere un guadagno, nel primo caso scomparendo ogni cosa, scompare anche ogni sofferenza; nel secondo caso, si passa a una vita beata. In un’ultima frase che Socrate pronuncia dice che il bene è la vera dimensione dell’assoluto. La morte di Socrate L’esecuzione della condanna a morte di Socrate non avvenne immediatamente dopo il processo, ma dopo più di un mese. Era usanza in Atene che dal giorno in cui era incoronata la nave che veniva mandata in volo ad Apollo all’isola di Delo fino al suo ritorno, nessuna pena capitale potesse essere eseguita. In questo periodo di tempo, più volte gli amici scongiurarono Socrate di fuggire dal carcere (con l’aiuto degli amici era facile fuggire dal carcere di Atene a quel tempo). Ma secondo Socrate il rispetto della legge, anche se male applicata, doveva essere assoluto. La sua scelta fu quella di rimanere in carcere e attendere l’esecuzione della pena. Il Fedone rappresenta le ultime ore di Socrate fino al momento in cui bevve la cicuta e morì. Le parole che Platone mette in bocca a Socrate stesso, quando ormai era quasi morto e gran parte del suo corpo era paralizzato dal veleno furono “Critone, dobbiamo un gallo ad Asclepio: dateglielo, non dimenticatevene”. Asclepio era il dio della medicina. Gli antichi gli sacrificavano un gallo come dono di gratitudine, quando venivano risanati da qualche malattia. E la morte può essere vista come una liberazione dal corpo e dai suoi mali, quindi come una sorte di guarigione. E nel mettere in bocca a Socrate queste parole, proprio quando sembrava morto, Platone lo fa riemergere alla vita come dall’aldilà, quasi per fargli dire che il suo messaggio era sicuro, perché egli stava ormai toccando l’altra sponda, e costatava che veramente l’aldilà c’era. Le reazioni degli Ateniesi dopo la morte di Socrate La reazione degli ateniesi dopo la morte fu assai forte: si pentirono amaramente, dichiararono in lutto la città, condannarono gli accusatori onorarono il filosofo. Diogene Laerzio riferisce che gli ateniesi subito se ne pentirono e chiusero le palestre e i ginnasi; onorarono Socrate con una statua di bronzo che posero nel Pompeo e l’autore fu Lisippo (La statua fu costruita qualche decennio dopo la morte di Socrate). In questo modo gli ateniesi hanno consacrato la figura di Socrate nella giusta statura.

Conclusioni Camus diceva “perché un pensiero cambi il mondo, bisogna che cambi prima la vita di colui che lo esprime. Che cambi in esempio: un esempio-modello per eccellenza, proprio come lo vede e rappresenta Platone nell’apologia. L’enorme successo che ha avuto nel tempo e che ha ancora oggi l’apologia di Socrate, può considerarsi come il corrispettivo della statua che gli ateniesi fecero erigere dal grande Lisippo. In questo caso, però, si tratta di una grandiosa erma bifronte: un monumento al Socrate rappresentato, per il suo pensiero e per la sua vita, e un monumento anche a Platone per il modo in cui l’ha compreso e l’ha rappresentato, e quindi lo ha consacrato per il sempre....


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