Analisi La Carriola - Pirandello PDF

Title Analisi La Carriola - Pirandello
Course Critica letteraria e letterature comparate
Institution Sapienza - Università di Roma
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Summary

Tesina creata col tentativo di interpretare allegoricamente la novella "La Carriola di Luigi Pirandello....


Description

QUESTIONI DI CRITICA E DI COMPARATISTICA LETTERARIA Prof. Francesco Muzzioli

Analisi de La Carriola di Luigi Pirandello

Dall’inizio della sua carriera fino a pochi anni prima della sua morte, Luigi Pirandello scrisse ben duecentoquarantuno novelle, raccolte a partire dal 1922 sotto il titolo Novelle per un anno (avrebbero dovuto essere trecentosessantacinque, una per giorno). In molte di queste l’autore mostra interesse per fatti e figure bizzarri, paradossali, nei quali l’assurdità della vita appare evidente. È il caso della novella La Carriola, pubblicata per la prima volta nel volume E domani, lunedì del 1916. Con questa novella ci troviamo di fronte alla vicenda interiore di un avvocato, un professore di diritto, un marito e un padre; una vicenda che si fa tragedia a causa della rivoluzione psicologica che si compie nell’animo del personaggio narratore. La voce e lo sguardo del protagonista coincidono infatti con la voce e lo sguardo del narratore, sicché il lettore è indotto ad osservare ogni evento attraverso le lenti del protagonista stesso e a fare esperienza del carattere contradditorio e paradossale dell’esperienza umana. Il racconto si apre con il viaggio in treno del protagonista, che torna a casa da Perugia, dove era stato chiamato per affari. Egli è un avvocato e un professore di diritto, uomo tutto d’un pezzo, che non rinuncia mai ai suoi gravosi impegni lavorativi, tanto da non concedersi mai alcun tipo di distrazione, se non quella di volgersi ad un’altra faccenda. Lungo il viaggio però, mentre è alle prese con alcune carte, guarda automaticamente fuori dal finestrino, facendosi coinvolgere dalla contemplazione del paesaggio e abbandonandosi ai propri pensieri. L’avvocato sospende così per un momento il costante controllo razionale sulle proprie emozioni e sul proprio pensiero, arrivando a vedere una dimensione di sé fino ad allora ignorata: una vita autenticamente sua, totalmente svincolata dagli obblighi e da ogni responsabilità di marito, di padre, di docente universitario e di avvocato. Poi però questo momento di sospensione termina, l’uomo ritorna in se stesso, ma è cambiato: ora non potrà più guardare alla sua esistenza con lo sguardo di prima, perché ormai le responsabilità legate al suo ruolo sociale gli appaiono prive di senso, tanto che inizia pian piano a sentire «un senso d’atroce afa della vita»1. Finalmente giunto a casa, è davanti la porta che il personaggio viene preso da un grande turbamento: leggendo il proprio nome e i propri titoli professionali sulla targa d’ottone, l’uomo non si riconosce più e vede dall’esterno quella vita non sua. L’avvocato prova un forte senso di estraneità dal suo corpo, dalla rispettabilità conquistata con 1 Luigi Pirandello, Cento novelle, Rusconi libri, Santarcangelo di Romagna (RN), 2008, p. 400.

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l’adempimento ai suoi doveri e addirittura da sua moglie e dai suoi quattro figli, per i quali sembra non provare più affetto. Dopo un lungo momento di riflessione interna, il personaggio, forse spinto dagli obblighi a cui si sente tenuto nei confronti dei suoi familiari, dei suoi studenti e dei suoi clienti, si decide ad entrare in casa. Questa decisione farà sì che l’uomo torni ai suoi doveri e alla vita che ora vede con occhi diversi, la cui «forma» è stata data da altri, una vita «in una forma che […] deve sussistere per gli altri, per tutti quelli che l’hanno messa su e non altrimenti»2 e da cui non può liberarsi. A questo punto allora l’unica cosa che gli resta da fare è concedersi almeno una trasgressione: ogni giorno quando l’avvocato si trova nel proprio studio ed è sicuro di non essere disturbato, si concede il gesto di prendere la sua cagnetta per le zampe posteriori, facendole fare la «carriola»: «le faccio muovere cioè otto o dieci passi, non più, con le sole zampette davanti, reggendola per quelle di dietro»3. La cagnetta allora, ci dice il narratore, guarda continuamente atterrita il padrone; o meglio, è il padrone a cogliere nel suo sguardo un incredibile sgomento. Il protagonista teme che di questi occhi dell’animale, «appannati, sbarrati dal terrore»4, si possa accorgere qualcuno ed essere indotto a cercarne la ragione.

Le allegorie del conflitto tra forma e vita, della coscienza, della società e della follia La vicenda esistenziale del protagonista della novella e più in particolare la rivelazione che egli ha avuto sulla sua vita potrebbe essere interpretata come allegoria del conflitto tra «forma» e «vita», che secondo Pirandello è una delle contraddizioni che più caratterizzano l’assurdità della realtà. Si tratta in fondo di una problematica universale. Tutti gli esseri umani, che se ne rendano conto o meno, sono attanagliati dalla contraddizione tra la «vita» e la «forma», ma la sorte più infelice spetta a coloro che, come il protagonista della nostra vicenda, hanno la sfortuna di esserne consapevoli: «vedo che non sono mai stato vivo, vedo la forma che gli altri, non io, mi hanno data, e sento che in questa forma la mia vita, una mia vera vita, non c’è stata mai»5. La tragedia è resa ancor più insopportabile dall’impossibilità di liberarsi dalla «forma»: infatti l’avvocato è prigioniero degli atti compiuti fino a quel momento, degli obblighi che lo legano inesorabilmente alla moglie, ai figli, ai suoi studenti e ai clienti che gli hanno affidato la loro reputazione e i loro affari. Ci troviamo insomma di fronte a un dramma umano che scaturisce dall’istinto vitale che l’uomo ha dentro di sé e le «forme» (o le maschere) in cui è costretto a bloccarlo e a fissarlo. Il personaggio dell’avvocato, scoperta l’impossibilità di essere autenticamente se stesso, rientra nella quotidianità, ma è costretto 2 Ivi, p. 403. 3 Ivi, p. 404. 4 Ibidem, p. 404. 5 Ivi, p. 402.

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a vivere in uno stato di dolorosa estraneità nei confronti delle cose e delle persone che lo circondano. Anche lo sguardo della cagnetta potrebbe suscitare un certo interesse da parte del lettore, perché rivelatore di almeno due significati. In primo luogo potrebbe rappresentare quella parte di coscienza del personaggio, cristallizzata nel ruolo di censore e giudice delle proprie azioni, che continua a provocare nel protagonista un sentimento di vergogna e di colpa. Questi sentimenti sembrerebbero nascere dall’idea che il gesto della «carriola», che visto dall’esterno potrebbe risultare inoffensivo, sia un gesto terribile, un gesto di vendetta che nasce dalla rabbia; una rabbia che non può essere sfogata sui principali artefici della sua «prigionia», ma solo su un essere inerme e malconcio. In secondo luogo, lo sguardo dell’animale potrebbe rappresentare anche lo sguardo della società che fruga negli angoli più riposti della vita privata («ma sento che mi guarda lei, mi guarda, mi guarda senza staccarmi un momento gli occhi di dosso»6) e reagisce con indignazione e rifiuto all’idea che l’uomo possa e voglia uscire dal ruolo che il mondo gli ha assegnato. Il gesto della «carriola», infine, si potrebbe configurare come l’allegoria della follia, intesa come alienazione mentale, come condizione nella quale i fatti commessi sono caratterizzati dalla anormalità, dall’uscire dalle norme che regolano i comportamenti della massa. Solo la follia, incomprensibile per la società, permette al personaggio il contatto vero con se stesso e la possibilità di scoprire che rifiutando il mondo si può scoprire se stessi. Ma questi contatti sono solo momenti passeggeri, spesso irripetibili, perché troppo forte è il legame con le norme della società. Infatti l’avvocato ormai è un uomo che non può più togliersi la maschera che la società gli ha imposto ed è costretto a reprimere ogni suo tentativo di evadere dal mondo. Di fatto, fin da subito, il protagonista de La Carriola, pur avendo percepito la falsità della sua esistenza, rinuncia in partenza ad ogni tentativo di evasione e si lascia ricatturare dalla maschera che la società ha confezionato per lui, concedendosi come unica valvola di sfogo, quel momento di segreta follia. Una follia che non appaga mai totalmente l’avvocato, perché la sua condizione finale è quella di un uomo che prova un profondo disagio e senso di estraneità, accentuati dal timore che il suo segreto possa essere svelato dalla cagnetta che «seguita maledettamente a guardarmi atterrita»7.

Chiara Cappelli 1745327

6 Ivi, p. 398. 7 Ivi, p. 404.

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Bibliografia Luigi Pirandello, Cento novelle, Rusconi libri, Santarcangelo di Romagna (RN), 2008.

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