Analisi Seconda Giornata DEL Dialogo DI Galilei PDF

Title Analisi Seconda Giornata DEL Dialogo DI Galilei
Author Lavinia Galasso
Course Letteratura greca
Institution Università Cattolica del Sacro Cuore
Pages 2
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Description

ANALISI SECONDA GIORNATA DEL DIALOGO DI GALILEI Questo passo, tratto dalla seconda giornata del “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo”, affronta il tema della contrapposizione tra i testi e le autorità precostituite, il cosiddetto “mondo di carta”, e le dimostrazioni della nuova scienza sperimentale, che rappresentano il “mondo sensibile”. La discussione si apre con Simplicio che, rivolgendosi agli altri due personaggi, dice di aver riflettuto tutta la notte su ciò di cui si era discusso il giorno prima, e che si sentiva vincolato alle autorità di molti scrittori, in particolare di Aristotele; mentre riferisce ciò interviene Sagredo dicendo di trattenere le sue risa perché gli è venuto in mente una situazione da lui vissuta, riguardante proprio alcuni individui, anche loro sostenitori di Aristotele. Salviati, interessato, gli chiede allora di raccontare la vicenda. Sagredo comincia raccontando che si trovava, un giorno, a casa di un medico molto stimato a Venezia, dove molti studiosi e molti interessati di anatomia si recavano per osservare sezioni di cadaveri, essendo lui un pratico anatomista. Accadde quel giorno che il dottore si stava occupando dell'origine dei nervi nel corpo umano. Il dottore sezionando il cadavere mostra ad un gentiluomo aristotelico, come i nervi provenissero dal cervello, via discorrendosi per la spina dorsale, fino ad arrivare al cuore. L'aristotelico, dopo aver riflettuto intensamente rispose al dottore che se non fosse stato per Aristotele che sosteneva che i nervi nascessero dal cuore, lui avrebbe creduto che tutto ciò che gli era stato mostrato potesse essere vero. Al termine della storia Simplicio, sostenendo che l'origine dei nervi non è ancora del tutto definita, al pari del filosofo peripatetico dell’episodio narrato da Sagredo, è portato a negare in nome dei testi aristotelici l’evidenza dell’esperimento sensibile. A questo punto inizia una lunga discussione tra Sagredo e Salviati da una parte e Simplicio dall’altra: l’aristotelico infatti si ostina a sostenere che occorre conoscere l’intero sistema filosofico di Aristotele per poter ricavare dai suoi libri le dimostrazioni di ogni cosa sia possibile conoscere. Sagredo inizia dunque una polemica contro l’accozzare, cioè contro il metodo di combinare assieme passi tratti dai testi per spiegare tutti i fenomeni, infatti “questo è l’alfabeto”, sostiene, dove, combinando assieme le lettere, certo si può dire ogni cosa a piacere senza bisogno di accostare fra loro passi tratti dai testi aristotelici. Davanti dunque agli attacchi sferzanti e ironici di Salviati e Sagredo, non rivolti contro Aristotele ma contro i suoi seguaci pusillanimi, incapaci per viltà di correre il rischio della ricerca, della discussione e del dubbio, procedendo sempre al riparo delle affermazioni del loro maestro, Simplicio, sbigottito, muta la propria sicurezza in costernazione, al punto da chiedere avvilito: “quando si lasci Aristotele, chi ne ha da essere scorta nella filosofia?” Tale quesito dimostra quanto il peripatetico sia incapace di abbandonare il principio di autorità e di rivolgersi all’esperienza concreta. La risposta che Salviati gli fornisce è rafforzata dal tono solenne della figura degli “occhi nella fronte e nella mente”, che esemplifica il metodo galileiano: gli uni rappresentano la capacità di raccogliere dati con l’esperienza dei sensi, gli altri la facoltà di tradurli con il ragionamento in modelli logico-matematici. Simplicio invece, bisognoso di una guida, viene viceversa sdegnosamente paragonato a un cieco. Chi infatti è incapace di abbandonare la rigidità dei testi, secondo Salviati, dovrebbe abbandonare il titolo di filosofo e farsi chiamare storico o dottore di memoria, alludendo alla pigra attitudine degli aristotelici a riportare a memoria i brani del maestro. Il testo si conclude con la contrapposizione finale tra il “mondo di carta” e quello sensibile che, come quella precedente fra “cielo della natura e cielo d’Aristotile”, esemplifica splendidamente il conflitto fra i due massimi sistemi del mondo che dà il titolo al dialogo: il copernicano invita infatti Simplicio alle ragioni e alle dimostrazioni scientifiche per indagare la natura, e a rigettare lo sterile principio di autorità che al mondo materiale antepone testi di carta. I discorsi di Sagredo e di Salviati servono infatti a porre in ridicolo la sicurezza con cui Simplicio si affida ciecamente all’autorità libresca di Aristotele. Ridicolizzando la posizione dogmatica di Simplicio, Galileo porta

avanti in nome del metodo scientifico una battaglia contro ogni tipo di sapere precostituito e di pregiudizio. Così in questo brano l’autore rifiuta il sapere basato sull’autorità, in particolare si dedica alla confutazione del credo libresco degli aristotelici che obbediscono all’autorità del “ipse dixit”, ossia “l’ha detto lui stesso”, riferendosi ad Aristotele, e cercano, combinando e accozzando passi diversi del maestro, di trovare una risposta per ogni nuovo problema posto dall’esperienza pratica. In questo dunque, come in molti altri suoi scritti, le affermazioni di Galileo sono sostenute da una profonda fiducia nella ragione umana che per di più appartiene indistintamente a tutti gli uomini, a prescindere dalle gerarchie sociali. La ragione, liberata dal senso di colpa e di peccato che la delineava nell’età medievale, nel 600 viene elevata invece a strumento di conoscenza del mondo. La portata ideologica che scaturisce da questo brano si lega profondamente al contesto storico della controriforma. La lotta contro il principio di autorità riguarda anche il pilastro ideologico costruito dalla Chiesa a partire dal concilio di Trento. Opporsi all’ipse Dixit significa infatti mettere in discussione non solo l’autorità di Aristotele ma anche quella della Chiesa, per riuscire a guardare alla materialità delle cose e stare alle risultanze dell’esperienza, senza affidarsi più all’autorità dei libri antichi e dei loro interpreti. L’autore inoltre inaugura un nuovo modello di testo scientifico, basato sulla logica, sull’aderenza ai dati reali e sulla chiarezza espositiva. La scelta del genere del dialogo permette infatti a Galileo di adottare una forma argomentativa ricca di ironia e di teatralità, grazie alla contrapposizione dei personaggi, perfettamente delineati anche nelle loro psicologie: Simplicio mostra il bisogno di sicurezza e di dipendenza quasi infantile che lo induce a una fede cieca e astratta nell’autorità dei testi aristotelici; Salviati ha la sicurezza dell’adulto abituato a ragionare con la propria testa e infatti giudica l’atteggiamento degli aristotelici simile a quello di “pecore stolide”, e gli contrappone l’elogio dell’audacia sperimentale e della ragione; Sagredo infine rappresenta il sano buon senso dell’uomo intelligente, che, pur cercando di capire e di mediare, non può che stare dalla parte di Salviati. Attraverso questo incrocio dialogico Galileo dà vita ad un nuovo stile di scrittura saggistica e scientifica, che si rivolge ad un ampio pubblico non specialistico....


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