Antonio Tabucchi, Piccoli equivoci senza importanza PDF

Title Antonio Tabucchi, Piccoli equivoci senza importanza
Author Rukie Hoxha
Course Letteratura italiana moderna e contemporanea
Institution Università degli Studi di Firenze
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Summary

Breve biografia di Tabucchi, analisi dell'opera "Piccoli equivoci senza importanza" e riassunto dei racconti ...


Description

ANTONIO TABUCCHI Nato a Pisa il 24 settembre 1943, Antonio Tabucchi è stato considerato per tutta la sua lunga carriera come uno dei più profondi conoscitori della lingua e della cultura del Portogallo. La sua passione per questi argomenti fu chiara fin dalla sua giovinezza: non è un caso che si laureò in Lettere con una tesi sul surrealismo portoghese. Iniziò l'attività di scrittore nel 1975 con il romanzo "Piazza d'Italia", cui fecero seguito varie raccolte di racconti (da citare, per il grande valore artistico, "Il gioco del rovescio" del 1981 e "Piccoli equivoci senza importanza" del 1985); ma è con i romanzi brevi che Tabucchi ottiene successo e fama a livello internazionale. Ha collaborato con le redazioni culturali del «Corriere della Sera» e del «País» ed è stato professore ordinario presso l'Università di Siena. Malato da lungo tempo, Antonio Tabucchi è morto a Lisbona all'età di 68 anni il 25 marzo 2012. Quella di Tabucchi è una scrittura apparentemente semplice che però nasconde grande conoscenza letteraria. Tabucchi offre una sapiente mistura di suspense, racconti accattivanti che tengono alta la tensione narrativa, nascondono dei misteri che non sempre si risolvono. Sono presenti citazioni, riferimenti alti e di rimandi filosofici sempre però in questa dimensione tra realtà e immaginazione, in questa sorta di leggero delirio della percezione. PICCOLI EQUIVOCI SENZA IMPORTANZA Raccolta di undici racconti pubblicata nel 1985. Nello stesso anno il libro ha vinto il Premio Selezione Campiello e il Premio Comisso, sezione Narrativa. In tutta la raccolta emerge un'interpretazione di fondo della vita: un appuntamento del quale non sono definiti i termini (Rebus, Any where…, I treni che vanno a Madras); un qualcosa di indefinito; un viaggio senza meta (Rebus); una realtà senza contorni precisi (Incanti). Il filo conduttore di tutta quest'opera sono le varie visioni che Tabucchi propone della vita: non ce n'è una sola, ma ognuno la vede a modo suo. Molti racconti ruotano sull’idea dell’equivoco, a partire dal primo il quale rievoca quasi un gioco da degli amici a partire da un sintagma divenuto poi ricorrente che traversa i racconti successivi dove ci sono degli insolubili rebus e dei possibili equivoci sia tra personaggi che a volte da parte del lettore. Come in Incanti in cui il ragazzino non sa più se si trova davvero dentro uno scambio di malefici oppure no. O in Any where... trova un annuncio che si aspettavano altri che lui mettesse un girono nel giornale e si domanda se sia un caso o un equivoco del destino. Anche nei Treni che vanno a Madras c’è questa supposizione “chissà se è vero?”. Anche nell’ultimo racconto in cui l’uomo pensa davvero di essere dentro una storia d’amore di guerra anche se poi sa che è tutto un film. Piccoli equivoci senza importanza Narra la storia di Tonino e dei suoi amici, Federico, Leo e Maddalena, che un tempo erano studenti universitari e ora si ritrovano dopo alcuni anni in un'aula di tribunale dove Federico, diventato giudice, deve giudicare Leo, accusato probabilmente di terrorismo; di Maddalena si sa solo che ha subito una mastectomia. Tonino, assistendo al processo, ricorda gli anni in cui tutti loro erano uniti, riportando alla memoria le loro canzoni preferite, i loro atteggiamenti e i loro sbagli, pensando alla fine che tutte queste cose sono state solo piccoli equivoci senza importanza o, meglio, piccoli equivoci senza rimedio. Il racconto, continuamente oscillante fra passato e presente, esprime la concezione che l'autore ha della vita: noi pensiamo di essere artefici del nostro destino, mentre siamo in balia del caso, né riusciamo a individuare nella realtà un disegno intelligente. Tabucchi parla dell'ironia della vita, che sembra giocarci degli scherzi che ci fanno arrabbiare, pentire delle nostre decisioni e rammaricare per quelle degli altri, scelte che Tonino e i suoi amici chiamano “piccoli equivoci senza importanza”. Ma Tonino può solo osservare le conseguenze delle scelte, giuste o sbagliate, dei suoi più cari amici, che il destino ha riunito in un'aula di tribunale secondo il ruolo che ciascuno ha scelto (oppure che gli è capitato): anche questo è un piccolo equivoco senza importanza; ma anche senza rimedio, come ricorda il narratore pensando al primo anno di università, quando, a causa di “un piccolo equivoco senza rimedio”, Federico si è trovato a studiare legge, per diventare poi procuratore. Un piccolo equivoco senza importanza è anche quello che impediva al protagonista di dichiararsi a Maddalena, convinto com'era che a piacerle fosse Federico o Leo. Un piccolo equivoco senza importanza sono anche i loro discorsi politici, in cui lo spirito riformista di Federico, pur essendo più preparato degli altri avendo egli tenuto seminari sulla storia del pensiero politico, veniva sormontato da quello di Leo, che si comportava da leader ed ora è seduto in una gabbia a rispondere delle sue colpe. Una serie di piccoli equivoci che portano ad un futuro dove le proprie scelte sono diventate parti essenziali di un destino che però non possiamo scegliere né prevedere e che è senza rimedio. Uscito dall'aula di Tribunale dopo aver tentato di contattare il Memo, ormai divenuto parlamentare, per cercare di salvare la situazione del Leo, Tonino ha una visione dirigendosi verso la darsena. Su una chiatta arrugginita vede Federico e Leo che lo guardano come attendendo da lui una risposta, insieme a Maddalena, seduta in fondo. Tonino gli fa un cenno di saluto e li osserva andarsene via, per poi continuare la sua passeggiata sul molo, cercando di fare attenzione a non calpestare gli interstizi del lastricato.

Aspettando l’inverno Il racconto segue i moti dell’animo della donna la quale è lontana dall’atmosfera che crea la solennità della situazione. Ci descrive i giorni immediatamente successivi alla morte di un famoso scrittore. Il punto di vista è quello della vedova che, affranta per il lutto, deve ricevere numerose visite di circostanza, tra cui quella di un ministro e di un giornalista dal quale viene intervistata. C'è anche un incontro con un editore tedesco che vorrebbe pubblicare il diario del defunto, ma la vedova lo congeda, chiedendo un po' di tempo per decidere. Dopo il funerale però, rimasta sola in casa, la donna si siede davanti al camino e brucia le memorie del marito. Il racconto risulta particolarmente criptico in tre punti: la donna sogna il marito che corre nudo sulla spiaggia con una corona d'alloro sulla testa (è un equivalente dell'espressione “Il re è nudo”?); nel finale gioca con l'orologio, portando avanti e indietro le lancette, come se volesse tornare indietro (dove? E perché?), oppure riappropriarsi del tempo perduto; infine non è chiaro perché la donna distrugga il diario: forse è piena di rancore, perché il suo amore non è stato ricambiato ed è stato tradito; oppure si tratta di una gelosia più profonda, nei confronti di quell'arte che è stato l'unico, esclusivo interesse dell'uomo. Rebus Il narratore è questo meccanico che racconta ad un imprecisato Monsieur la sua storia incredibile e incomprensibile. All’inizio parte con un sogno in cui c’era Miriam in una spiaggia a Biarritz. Questo sogno probabilmente gli ha rivelato la conclusione della storia. Una storia raccontata in prima persona, che però è dentro una cornice: il narratore parla con qualcuno, anonimo che non rispenderà mai. Rebus è un racconto tipicamente postmoderno, dalla trama estremamente complessa, con una serie di rimandi non sempre comprensibili a personaggi ed opere letterarie. Basti pensare che la protagonista è la contessa du Terrail e il narratore si presenta come Carabas. Senza scendere nei particolari, forse il motivo conduttore più importante è costituito da numerose definizioni della vita: essa è un appuntamento, un viaggio, un motore ecc. Così inizia la storia di un misterioso ingaggio. Miriam, la contessa du Terrail, deve arrivare a Biarritz e ha bisogno di qualcuno che la accompagni. Si rivolge a questo meccanico che non può resisterle, anche se non capisce bene: lei dice che c’è qualcuno che la deve uccidere. È una storia piena di interrogativi. Il meccanico accetta e dovrà guidare una Bugatti a cui manca l’elefantino che di solito sta sul cofano della macchina. Ad un certo punto il marito della contessa parla con il meccanico dicendogli che deve rinunciare ad accompagnare sua moglie, il meccanico replica che non ha mai parlato con sua moglie. Inizia così questo viaggio per partecipare dalla Francia a Biarritz, ad un rally. Non si capisce perché, lui chiede sempre a questa donna qualche spiegazione ulteriore ma non ne ricava nulla. Si crea una storia d’amore tra i due che permette alla donna di rimandare le risposte. Effettivamente c’è qualcuno che cerca di ucciderli, loro si salvano miracolosamente. Loro tornano in camera all’hotel, deve raggiungerli poi nel luogo della corsa il marito che poi ha saputo che l’ingaggio è andato a buon fine. La donna ha una pistola. Così la prende il meccanico e va ad aspettare il marito alla stazione, ma lui non è lì e quando torna all’hotel la donna non c’è più. Tutto è un mistero. Il racconto si conclude con la voce narrante che di nuovo si rivolge a questo fantomatico Monsieur. Annuncio sul giornale: modo di comunicare a distanza curioso e a particolare. Sembra che questo Monsieur lo abbia stimolato, qualcuno che va in cerca di storie. Gli incanti Racconto particolare, più lungo di questa raccolta in cui vi è un’atmosfera fantastica. Il piccolo narratore è in vacanza al mare, in casa della zia Ester e della cugina Clelia come tutte le estati. Questa volta, però, il soggiorno è caratterizzato dalle ossessive fantasie della bambina, soprannominata Melusina (figura medievale che assume sembianze di fata), che trama per organizzare una serie di incanti ai danni del patrigno Tullio, colpevole, a suo avviso, di aver denunciato il suo vero padre ai tedeschi per sposare la madre. Il bambino è impaurito dall'atmosfera che si respira in casa, un momento allegra, un momento tesa, e teme il gioco di Clelia, soprattutto dopo gli incidenti occorsi alla cameriera Flora e al gattino che lei aveva ricevuto in dono da Tullio. Per questo è sempre tentato di scrivere al padre lontano (ma in verità morto), che lo venga a prendere. Proprio quando la situazione sembra essersi pacificata, il suicidio della zia Ester, inspiegabilmente in contemporanea con l'incanto decisivo, sconvolge l'equilibrio. Il lettore è trascinato dall'atmosfera sospesa e misteriosa e dalle allusioni di Clelia ad abbracciare la prospettiva della bambina, che diffida di tutto. L'unico personaggio non coinvolto in quest'aura negativa e morbosa, lo zio, viene così considerato un nemico esterno, che turba il magico isolamento, in cui Clelia avrebbe voluto che la madre restasse dopo la morte del padre. Il narratore è frastornato, poiché si trova a metà tra l'attrazione perversa per le pratiche voodoo della cuginetta e il desiderio di una vita piena di sole, rallegrata dai sorrisi del padre, che non arriverà mai. Questo rovesciamento della realtà rende difficili da comprendere i motivi degli incidenti a

Flora e al gattino Cecè, che viene spontaneo ricondurre all'atmosfera magica e non a banali incidenti. Infine la concomitanza tra l'ultimo incanto e il suicidio della zia Ester sembra quasi la realizzazione del rito di Clelia, ma sulla persona sbagliata. Stanze Può ricordare per atmosfere e dinamiche il racconto “Aspettando l’inverno” perché anche qui vi è un rapporto tra due persone, una all’ombra dell’altra. Amelia e Guido sono due fratelli legati da un complesso rapporto di amore-odio, che hanno sempre vissuto insieme, a stretto contatto tra loro: ne è espressione visiva il fatto che le loro stanze sono contigue e i letti divisi solo da una parete (il nostro pensiero corre inevitabilmente all'analoga sistemazione di Pascoli e sua sorella). Il racconto si muove su due piani temporali diversi: da un lato c'è il ricordo di una vita felice, piena di soddisfazioni, che Amelia ricorda di volta in volta, visionando delle fotografie che ritraggono momenti lieti (ad es. la laurea del fratello); dall'altro viene presentata la realtà del momento e la sofferenza dovuta alla malattia di Guido: i ricordi di un'esistenza magnifica lasciano spazio al dolore, ad un lamento che diventa straziante, un gemito, a volte un unico immenso grido. Emblematico anche il finale in cui Amelia prepara la siringa per l'iniezione a Guido: il tunnel gelido che sente nel cuore si contrappone alle sue mani ferme e senza brivido. I due personaggi sembrano appartenere a due mondi diversi e praticamente inconciliabili. L'unico punto di incontro sono appunto le stanze, in cui in passato si muovevano i loro genitori: esse sottolineano la distanza e al tempo stesso la vicinanza fisica fra Guido ed Amelia e insieme diventano simbolo dello scorrere del tempo, implacabile ed inesorabile. I successi del fratello hanno alimentato nella donna una specie di odio. Tutto è volutamente lasciato in una profonda indeterminatezza, fino al finale: cosa contiene la siringa? Un calmante per il dolore (e allora Amelia proverebbe la soddisfazione di dominare in qualche modo il fratello)? Oppure una dose letale, un veleno, che provocherà la morte? E in questo caso la protagonista si affrancherebbe da una presenza schiacciante e soffocante. Any where out of the world Titolo mutuato da un titolo di Baudelaire: scrive che la vita è come un ospedale in cui ogni malato desidera cambiare letto, pensando che qualunque posizione possa essere migliore di quella attuale. Vi è un’alternanza tra prima e seconda persona, come se volesse parlare a se stesso. Il ritmo sembra fatto apposta per creare ansia, mistero e suspense. Un uomo si trova a Lisbona, in Portogallo: non è il suo paese natale, è lì per sfuggire a qualcosa, alla sua colpa. Distrattamente sfoglia un giornale e tra gli annunci personali trova la frase: “Any where out of the world”. Per mezzo di un flashback, scopriamo che un tempo aveva un'amante sposata che voleva scappare con lui, ma egli decise di fuggire da solo, lasciando detto che sul giornale, un giorno, avrebbe scritto quella frase e allora si sarebbero ritrovati. Ma è lui che trova la citazione e se ne stupisce. Allora chiama un numero di telefono: sa bene che non esiste più, che nessuno potrà rispondere, ma questa volta la cornetta si solleva: dall'altra parte nessuno, solo una presenza che ascolta il suo silenzio. Separazione tra il narratore e questa donna, Isabelle, che gli rimanda una colpa a cui lui dopo la separazione avrebbe dovuto mandare un messaggio attraverso l’annuncio di giornale recante il titolo “Any where out of the world”. Il testo si conclude affermando che non importa il luogo in cui si sta, purché sia fuori di questo mondo. Questa frase potrebbe confermare l'interpretazione secondo cui, nel racconto di Tabucchi, la donna è morta e la presenza dall'altra parte della cornetta è in realtà il suo fantasma. In questo caso l'espressione "Any where out of the world" assumerebbe il significato di “fuori della vita”. Ma il titolo potrebbe semplicemente indicare che, come il malato ha solo l'illusione di avere sollievo cambiando posizione, così il protagonista ha la sensazione di stare meglio andando a Lisbona, mentre il ricordo della sua donna ed il senso di colpa continuano a perseguitarlo. Any where out of the world può quindi essere interpretato come narrazione di morte e di mistero, oppure essere un racconto di formazione alla rovescia (esprimere cioè non una maturazione del protagonista, ma una sua fuga dalla realtà). Come se il caso, la coincidenza guidasse, lanciasse un messaggio, riportasse a galla una memoria e un senso di cola di questo personaggio che si interroga se qualcuno stia facendo qualcosa per farlo riaffiorare o se si tratti semplicemente del caso. Ci convince che tutto possa essere un caso. Va a mangiare al ristorante indiano che è solito frequentare e il ristoratore gli dice che hanno portato per lui il giornale di quella mattina ed è lì che riparte tutta la rievocazione, il ricordo di questo patto che lui non ha rispettato e che doveva rispettare con un messaggio cifrato.

Il rancore e le nuvole Racconto meno misterioso, ricostruzione di un carattere, ritratto psicologico del un personaggio mosso spesso dal rancore. “Gli altri ti fanno del bene e tu li ripaghi col rancore, perché?” A partire da questo dubbio il protagonista inizia a ripensare al suo primo vestito elegante; alla moglie, una trentenne già vecchia dentro, che per avere un figlio scende a patti con lui; alla figlia, uguale in tutto alla madre. Poi l'università, il prof. Nostalgico, la tesi e l'assistentato, l'abbandono della famiglia e l'affitto di una stanza vicino al policlinico. E ancora: i viaggi su commissione del professore, il ritratto autografato di Machado (poeta spagnolo), il lavoro in Portogallo. È forte e evidente il suo rancore verso la vita. Ma poi la vita prende un'altra piega, iniziano le vittorie: vittorie sui colleghi: opere, riviste e congressi; le vittorie domestiche: l'appartamento in centro, la ricca biblioteca, il suo studio, il ritratto di Machado appeso finalmente in un luogo decoroso, vicino a libri degni di lui. Infine le traduzioni del poeta spagnolo, con la conclusione che, dopo tutto, il vero poeta era lui, lo sentiva. Il protagonista è un essere spregevole, un carrierista dominato da ambizione e rancore, un maschilista senza pudore, un uomo che si sente di sinistra, perché viene dal basso e si è fatto da sé. Questo era il suo modo di essere di sinistra: concerneva l'offesa, il risentimento e la rivincita, non aveva niente a che vedere con l'ideologia teorica e astratta, geometrica dei suoi giovani compagni. Legge Machado, scrittore d'opposizione al regime franchista, e arriva a un delirio d'onnipotenza, convinto che come traduttore e critico ha superato l'autore. Tema dominante del racconto è il rancore, un modo come un altro per non essere divorato in questo mondo di lupi. È il motore delle ambizioni del protagonista. È astio contro la vita, contro tutti. È il modus vivendi di un uomo che non conosce quasi altri sentimenti. Solo nelle ultime righe troviamo le nuvole: forse simboleggiano le persone che passano nella vita di quest'uomo, ma, come le nuvole, scivolano via. Oppure sono le ambizioni, i sogni di gloria, troppo in alto per essere raggiunti, che fluttuano in un cielo limpido, in attesa di essere catturate da qualcuno. Isole Il protagonista è una guardia carceraria al suo ultimo giorno di servizio che, sul battello, durante la traversata che lo porterà sulla terraferma per consegnare un detenuto, medita di scrivere una lettera a Maria Assunta, "cresciuta nella stessa famiglia" (una cugina?) ma "istruita" come suo marito, per spiegare che sarebbe a disagio a vivere con loro, in una grande città, e che progetta di restare nella casa dove per tanti anni ha abitato con la madre, trovando a un'occupazione che lo faccia sentire meno solo (allevare due merli da richiamo, coltivare piante). Il detenuto lo chiama e lo prega di togliergli le manette: deve scrivere una lettera, da solo, la presenza un estraneo lo disturberebbe. Egli torna a fantasticare appoggiato al parapetto sull'occupazione che lo farà sentire meno solo: questa volta allevare cincillà in uno scantinato. Il detenuto lo fa chiamare di nuovo per chiedergli di spedire la lettera, che è per una persona cara e dunque non vuole che passi attraverso la censura. Benché vietato dal regolamento, l'uomo lo farà e in quel gesto di imbucare la lettera, destinata ad una donna, Lisa, abbiamo l'impressione che la solitudine della guardia - che ha scritto una lettera solo mentale, e mentalmente l'ha accartocciata - sia superiore a quella del condannato. In quel progetto di allevare cincillà nel buio dello scantinato ("sono bestioline simpatiche, basta non avvicinare troppo le mani") ci sembra di scorgere la prosecuzione del lavoro di guardia carceraria in chiave ancora più squallida. "Io mi chiamo Nicola, disse a voce alta. Non c'era nessuno vicino a lui". I treni che vanno a Madras Racconto molto famoso e citato perché è molto riuscito, ci sono effetti di suspense e investigazione, poi perché c’è di mezzo una questione storia del Novecento. Nel viaggio in treno per Madras, il narratore conosce l'altro passeggero dello scompartimento, che viaggia sotto il falso nome di Peter Schlemihl, pe...


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