Appunti, lezione 10 - Sindbad il Marinaio, la città di Rame, storia del facchino e delle ragazze, e la storia cornice - a.a. 2014/2015 PDF

Title Appunti, lezione 10 - Sindbad il Marinaio, la città di Rame, storia del facchino e delle ragazze, e la storia cornice - a.a. 2014/2015
Author Yasmina Sharaf El Din
Course Letteratura e cultura araba ii
Institution Università degli Studi di Genova
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Riassunti delle novelle di Sindbad il Marinaio, la città di Rame, storia del facchino e delle ragazze, e la storia cornice...


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Le Mille e una notte (novelle fatte in classe) Storia dei re SHAHRIYAR e SHAHZMAN (storia cornice) Si narrava che un re dei Sassanidi avesse due figli, Shahriyar e Shahzaman, entrambi prodi cavalieri. Essi regnarono per vent’anni con giustizia e felicità nei propri paesi, quando il maggiore dei due (Shahriyar) ebbe desiderio di vedere il fratello minore e ordinò al suo visir di recarsi da lui e condurlo presso di sé. Così fece il visir e Shahzaman, accettato l’invito, si preparò al viaggio e partì. Si ricordò però di aver dimenticato il gioiello che voleva dare in dono al fratello e tornò indietro. Trovò dunque la sua sposa abbracciata a uno schiavo nero e accecato dalla rabbia uccise entrambi, per poi rimettersi in cammino e arrivare fino alla reggia del fratello Shahriyar. Shahriyar lo accolse con mille feste ma Shahzaman fu preso da grande tristezza anche nei giorni a venire, finché il fratello, accortosi che il pallore e la tristezza di Shahzaman non davano cenno di finire, chiese spiegazioni e anzi lo esortò ad andare a caccia con lui nella speranza che potesse dargli un po’ di conforto. Shahzaman rifiutò con una scusa e quando il fratello maggiore partì per la caccia, scoprì per caso, guardando da una delle finestre che davano sul giardino, che la moglie di suo fratello ogni volta che egli partiva, aveva l’abitudine, insieme ad altre ancelle, di accoppiarsi impunemente con i suoi schiavi fino al tramonto; la vista di ciò lo portò a pensare che la sua sciagura fosse certo più lieve rispetto a quella del fratello e quando Shahriyar tornò dal suo viaggio e vide che al fratello era tornato il colorito e anzi mangiava ora con più appetito,volle ovviamente sapere quale fosse la causa. Inizialmente Shahzaman disse al fratello quale fosse la causa che inizialmente lo avesse fatto stare così male, ma poi scongiurato dal fratello gli disse anche poiché aveva ripreso colorito e gli rivelò che la moglie, ogni volta che egli partiva, era solita accoppiarsi nel giardino con i suoi schiavi. Shahriyar, incredulo, volle vedere coi propri occhi la questione e i due escogitarono un piano: fecero credere che Shahriyar partisse per un viaggio nuovamente, tanto che egli dapprima uscì insieme al suo cordoglio fuori dalla città; dopodiché tornò indietro e si sedette alla finestra che dava sul giardino. Come era d’abitudine la moglie uscì nel giardino con ancelle e schiavi e fece esattamente quello che il fratello minore aveva visto prima di lui e gli aveva raccontato. Preso da grande ira propose al fratello di partire per vedere se effettivamente loro due erano gli unici due ad avere subito quella tremenda sciagura; il fratello acconsentì e partirono. Viaggiarono per giorno e notte finché non si sedettero sotto un albero e lì avvenne una cosa molto strana: un genio apparve nella stessa pianura in cui erano e aprì una cassa, da cui estrasse una scatola, da cui ne uscì una bellissima fanciulla. Dopo averla fatta uscire, il genio si addormentò sulle gambe di lei e lei notò i due re che nel frattempo si erano nascosti sopra un albero e li intimò di scendere. Dopo ciò minacciò entrambi di svegliare il genio se non si fossero uniti carnalmente con lei. Dalla paura, i due fecero come gli era stato intimato e si unirono con lei ambedue. Dopodiché lei estrasse dal seno una borsa contenente 570 anelli a cui unì poi i due dei re. Partiti immediatamente da quel luogo e tornati alla reggia di Shahriyar, egli tagliò la testa alla moglie, alle ancelle e agli schiavi e da allora ogni notte prendeva con sé un fanciulla vergine, si univa a lei e la notte stessa la uccideva; ciò per la durata di tre anni, finché non rimasero più fanciulle vergini in quella città e per quanto il fedele visir ne cercasse non ne trovò nessuna. La figlia maggiore di lui, Shahrazàd, vedendo il padre preso da enormi pensieri, propose di essere portata lei stessa dal re per poter in qualche modo placare l’ira dell’uomo verso il genere femminile e non servirono a nulla le parole del padre per dissuaderla (attraverso la storia del bue e dell’asino col contadino). Ma Shahrazàd aveva un piano: raccomandò alla sorella minore Dunyazad di recarsi dal re quando egli sarà giaciuto con lei e di pregarla di raccontare una storia. Così fece e ogni sera raccontò al re una storia, rimandando il finale al giorno dopo. Andò avanti così per mille e una notte (che è un modo di dire per indicare un periodo di tempo molto lungo); e alla fine il re, innamoratosi e avendo avuto da lei tre figli maschi, le rese salva la vita. Storia del facchino e delle ragazze C’era una volta a Bagdad un facchino che mentre stava al mercato appoggiato sulla sua cesta,gli si fermò accanto una donna bellissima che lo esortò a seguirlo. La donna si fermò a comprare ogni genere di ben di Dio: frutta, carne, dolci, spezie e profumi; dopodiché si fece accompagnare ad una casa alta ed imponente, dove vennero accolti da un’altra fanciulla bella e avvenente, tanto che il facchino non riusciva quasi a credere a quello che gli stava succedendo. Entrando una terza donna bellissima gli si avvicinò e tutte e tre le fanciulle lo aiutarono ad alleggerirsi del carico per poi ricompensarlo del lavoro; ma quando esse erano sul punto di mandarlo via, egli si rifiutò e chiese loro inizialmente di passare la serata insieme. Dopo vari discussioni, le donne accettarono. Prepararono dunque il banchetto per la cena, nel giardino della dimora, a fianco ad un laghetto e cominciarono a bere, ridere e scherzare tutti insieme, inebriati dal vino, dai profumi e dal buon cibo. Quando

però le tre fanciulle, fattosi tardi, insistettero affinché lui andasse via, egli si oppose nuovamente chiedendo di rimanere almeno tutta la notte con loro a ridere e scherzare; ed esse accettarono a patto che egli non rivelasse a nessuno il loro segreto, se non voleva essere colpito da spiacevoli conseguenze. All’improvviso bussarono alla porta e quando una delle ragazze andò ad aprire si ritrovò davanti tre mercanti cristiani, tutti e tre col mento rasato e l’occhio sinistro cieco che chiesero aiuto per la notte, fecero promettere loro di mantenere il loro segreto e di non parlare di cose che non conoscessero e li fecero poi entrare per festeggiare tutti insieme con canti e balli. Nuovamente bussarono alla porta a anche questa volta la ragazza si ritrovò davanti dei mercanti che chiedevano aiuto per la notte, essa ospitò anch’essi, sempre a patto che anche loro mantenessero la promessa. In realtà uno di quei tre ultimi mercati, era il califfo Harùn ar-Rashìd, il quale era solito travestirsi da mercante e andare in giro per il paese per sentire le novità eventuali; egli era accompagnato dal suo visir Giafar e dal carnefice. Dopo aver mangiato e bevuto a sazietà, le tre donne si alzarono e sparecchiarono, chiedendo ai commensali di mettersi da parte e di assistere al loro rito senza conferir parola. Una delle tre donne arrivò poi con due cagne nere, legate a due catene; si fece aiutare dal facchino nel tenerne una e cominciò a frustare una delle due cagne fino a perdere la forza per poi asciugarle le lacrime e baciarla; fece poi lo stesso con la seconda. Dopo ciò a turno ogni donna recitò una poesia accompagnata al suono dello liuto, per poi strapparsi le vesti e cadere svenuta. Dopo tutto ciò, i commensali presi da grande angoscia ma anche grande curiosità chiesero alle tre donne di rivelare i loro segreti andando contro le promesse fatte in precedenza. Le donne allora li fecero legare dai loro schiavi negri e chiesero a ciascun commensale di rivelare la propria identità e di raccontare la propria storia; così fecero ognuno a turno e a mano a mano vennero liberati e lasciati andar via. L’indomani, il califfo mandò a chiamare a palazzo le fanciulle,le due cagne e i tre mercanti, rivelando a loro la sua posizione e chiese alle donne di rivelare il loro segreto, essere avrebbero dovuto per forza raccontare il vero in presenza del sovrano. Una di loro allora iniziò a raccontare la prima fanciulla, rivelando a tutti che, in realtà, le due cagne erano le sue due sorelle maggiori, trasformate da una demone a cui lei aveva salvato la vita, in cagne poiché esse avevano cercato di uccidere lei e il suo innamorato gettandoli in mare dalla loro nave. La demone ordinò alla ragazza che ogni giorno le sorelle avrebbero dovuto ricevere 300 scudisciate; se non avesse obbedito, avrebbe fatto anche lei la stessa fine. Iniziò poi a raccontare la seconda che a causa di un equivoco, venne presa a scudisciate dal nuovo marito, il quale pensava di essere stato tradito. Il califfo allora mandò a chiamare la demone e fece in modo che le due cagne tornassero umane; dopo ciò maritò le tre sorelle con i tre mercanti ciechi dando loro molte ricchezze. Scoprirono poi che il marito che prese a scudisciate una delle fanciulle era proprio suo figlio al-Amin e allora restituì al figlio, la fanciulla per il brutto equivoco. Infine sposo egli stesso la terza fanciulla portinaia e diede lei ricchezze, schiavi e un castello. I viaggi di Sindibad Al tempo del califfo Harùn ar-Rashìd, vi era nella città di Bagdad un uomo di nome Sindibad il Facchino, di povera condizione che trasportava carichi pesanti. Un giorno egli si trovò a passare davanti alla casa di un mercante e decise di riposarsi su una delle panche nel giardino della casa. All’improvviso venne invitato ad entrare al cospetto del padrone di casa poiché egli aveva apprezzato molto i versi che egli stava recitando seduto in giardino. Dopo averli uditi, il padrone di casa rivelò di chiamarsi Sindibad il Marinaio e che egli aveva raggiunto quel grado di agiatezza dopo grandi fatiche, e cominciò a narrare dei suoi sette viaggi. Egli era figlio di mercante, il quale morì quando Sindibad era ancora un ragazzo. Quando crebbe, Sindibad dissipò tutta l’eredità e per risolvere la situazione, vendette tutti i suoi averi e partì in giro per il mondo, comprando e vendendo merce. 1. Lui e la nave con cui era partito approdò su quella che consideravano un’isola quando in realtà era un grosso pesce. Esso, sentito che avevano acceso fuochi sul suo dorso, era pronto per inabissarsi in mare portando tutti e tutto con sé. Alcuni si salvarono ma molti, tra cui lui, naufragarono. Egli si salvò e riuscì ad arrivare su un’isola e rimettersi in forze. In quel luogo trovò un uomo, il quale dopo avergli raccontata la storia del suo naufragio, lo invitò ad entrare in una caverna, casa sua, e si fece raccontare tutto l’accaduto. A sua volta l’uomo raccontò di essere un servo del re Mihragian che si occupava di far accoppiare delle puledre con un raro stallone marino, in modo da avere puledri che valessero una fortuna e gli promise di portarlo con sé dal re. Il re lo fece diventare primo ministro nel porto e un giorno, per caso, incontrò nel porto di una delle isole del regno, la sua vecchia ciurma e tornò a Bagdad.

2. Sindibad decise di partire nuovamente per mare e preparò dunque una nave e salpò. Attraccarono su un isola e lì si rifocillarono e si riposarono, ma al risveglio, Sindibad non trovò più nessuno, né ciurma né nave. Cadde perciò nella disperazione più totale poiché era senza cibo né acqua e pensava che sicuramente quella volta sarebbe morto. Ma quando riuscì a riprendersi, cominciò ad esplorare l’isola e trovò una cupola senza nessun tipo di porta da cui poter entrare; arrivò all’improvviso un uccello gigantesco, il Rukh, e S indibad si rese conto che quella che lui credeva una cupola, fosse in realtà un uovo di Rukh. Sindibad decise allora di legare il suo turbante alle zampe dell’uccello mentre stava covando, in modo da poter andar via dall’isola e quando l’indomani il volatile partì, atterrarono poi in un luogo deserto, peggio del precedente in cui ogni sera apparivano serpenti e vipere giganteschi. Dopo aver passato la notte in quel posto e mentre girovagava per esso, gli cadde di fronte la carcassa di un animale e gli venne allora in mente che si raccontava che i mercanti di diamanti lanciassero dall’alto le carcasse di animali per fare in modo che i diamanti si appiccicassero alla carne, poi quando un’aquila prendeva i pezzi di carne per mangiarli, essi si recavano al suo nido, la scacciavano e prendevano le pietre preziose. Così Sindibad decise di legarsi addosso una delle carcasse in modo da essere trasportato dall’aquila e salvato dai mercanti. 3. Sindibad decise nuovamente di partire e così comprò merce e partì con una nuova ciurma. Il vento però fece loro perdere la rotta e si ritrovarono sull’isola delle scimmie e la nave venne attaccata; le scimmie fecero scendere tutti e partirono con l’intera nave e tutte le ricchezze. Girovagando per l’isola si imbatterono in un castello che sembrava disabitato e riposarono in quel luogo per tutto il giorno,quando all’improvviso apparse dal cielo un uomo mostruoso e altissimo che ad uno ad uno cominciò a tastare gli uomini finché non trovò quello più grasso e lo fece allo spiedo. Per fuggire trovarono allora uno stratagemma: conficcarono negli occhi del gigante due spiedi ardenti e scapparono sulle zattere. La maggior parte morì per mare e solo Sindibad e altri due compagni riuscirono a salvarsi e ad approdare su un’altra isola, dove anche i due compagni morirono mangiati da un grosso serpente. Egli riuscì a salvarsi dal serpente, e dopo che una nave di mercanti lo vide e lo prese a bordo, egli scoprì che erano i suoi vecchi compagni 4. Nuovamente Sindibad decise di partire per mare e commerciare merci, ma anche quella nave naufragò e lui e alcuni suoi compagni si ritrovarono su un’isola e girando per essa trovarono una costruzione. Dalla costruzione uscirono schiere di uomini nudi che li imprigionarono e li portarono dal loro re, il quale diede loro del cibo che Sindibad non aveva mai visto: chi mangiava quel cibo, cominciava a mangiare e mangiare senza mai fermarsi e quando diventava grasso abbastanza, il re lo faceva uccidere e lo mangiava. Sindibad, che non avendo mangiato niente rimase pelle e ossa, venne abbandonato e passò una settimana a mangiare e bere piante. Un giorno incontrò della gente che raccoglieva grani di pepe che lo salvarono e lo portarono alla loro isola; dopodiché venne presentato al loro re, insegnò a lui e alla sua gente a fabbricare selle per cavalli con le quali si arricchì e divenne così ricco che il re gli chiese di sposare una bella donna ma solo dopo Sindibad scoprì che una delle loro usanze prevedeva di seppellire insieme al coniuge morto, il coniuge ancora in vita. Purtroppo la moglie di Sindibad si ammalò e morì e lo calarono quindi nella tomba con la moglie. Ma egli riuscì a sopravvivere poiché ogni volta che seppellivano qualcuno, egli uccideva la persona viva e mangiava il suo pane e beveva la sua acqua. Dopodiché egli riuscì a trovare una via d’uscita e a farsi salvare da una nave, e tornò a Bagdad. 5. Sindibad partì di nuovo con ricchezze e una nave, approdarono su un’isola in cui i suoi compagni cominciarono a rompere uova di Rukh per mangiarne il piccolo. Vennero allora attaccati ed essi cercarono di scappare, ma i Rukh li fecero naufragare. Sindibad si salvò e approdò su un’isola, in cui incontrò un vecchio che gli chiese di portarlo sulle spalle fino ad un punto; credendo di fargli un favore egli lo prese sulle spalle ma il vecchio si avviluppò a lui tanto forte da non scendere più e ogni volta che Sindibad cercava di liberarsene egli lo batteva. Così lo fece ubriacare e una volta ubriacato lo uccise. Sindibad venne salvato da dei mercanti che lo portarono in una città; qui trovò come guadagnarsi del denaro per tornare a Bagdad, andando con degli uomini a tirar pietre alle scimmie in modo che esse lanciassero loro le noci di cocco che c’erano sui loro alberi. Così utilizzò parte dei ricavi per tornare a casa. 6. Sindibad partì nuovamente, spinto dal desiderio di mettersi in viaggio e commerciare. Ma essi perdettero la rotta e naufragarono. Approdati sull’isola cominciarono a vagare per essa, ma Sindibad fu l’unico a rimanere in vita, costruì una zattera e cercò di seguire il fiume per arrivare magari in un punto in cui vi erano degli abitanti. Riuscì ad incontrare gli abitanti ed essi lo portarono dal loro re, il

quale lo trattò con moltissimo riguardo. Il re chiese a Sindibad di raccontargli del califfo Harùn arRashìd e poi gli chiese di portare al califfo un suo dono. Sindibad accettò e tornò a casa sano e salvo. 7. Sindibad partì nuovamente per mare ma si ritrovarono in un punto chiamato Paese dei Re, in cui ogni nave viene inghiottita da un pesce gigante. Apparve il pesce ma la nave si schiantò contro una scogliera e affondò e solo Sindibad riuscì a rimanere vivo aggrappato ad alcuni resti della nave. In quel momento fece una solenne promessa, ossia quella di smettere per sempre di andare per mare. Arrivò poi in un’isola, costruì una zattera e viaggiò per il fiume finché non arrivò in una città. Un uomo gli diede da mangiare, da vestire e un luogo in cui dormire. L’uomo chiese a Sindibad di sposare sua figlia, egli dovette accettare e in cambio ottenne tutte le ricchezze che l’uomo possedeva dopo la sua morte. Egli notò che in quel villaggio ogni inizio mese agli uomini spuntavano le ali e spiccavano in vola, in alto nel cielo; decise così di chiedere se potesse anche lui aggrapparsi ad uno di loro e vedere anche lui ciò che accadesse ma egli non sapeva che fossero figli del diavolo e che non avrebbe mai dovuto nominare Dio di fronte a loro; per questo vendette tutti i suoi avere e tornò dopo 27 anni a Bagdad con la moglie, giurandosi di non partire mai più per viaggio. Così finirono le giornate in cui Sindibad il Marinaio raccontava a Sindibad il Facchino, in cui alla fine di ogni giornata il primo regalava 100 dinari all’altro. Storia dei ginn e dei diavoli imprigionati nei boccali del tempo di Salomone e la città di Rame C’era una volta a Damasco un califfo di nome ibn Marwan, il quale un giorno stando seduto a conversare con la sua corte, cominciò a parlare con essi di Salomone figlio di Davide. A tal proposito Talib raccontò che Dio oltre ad aver dato lui ogni potere su questa terra, Salomone era in grado di chiudere i ginn che disobbedivano in boccali di rame che poi gettava in mare. A queste parole il califfo fu preso da grande curiosità e stupore e chiese di poter vedere uno di questi boccali, così mandò Talib alla ricerca di questi boccali, dicendogli di farsi aiutare sia dal fratello del califfo che governava il Mahgrib che dal suo luogotenente nel Mahgrib, Musa. Arrivato a destinazione, Talib fu accolto a braccia aperte e insieme all’aiuto di Musa e di un vecchio sceicco di nome as-Samad cominciarono il lungo cammino; giunsero a un castello i cui tetti e muri erano ricoperti di oro, argento e pietre preziose. Il castello era però disabitato, cominciarono a perquisirlo e ovunque vi erano tombe e scritte sulla verità della morte e della vita, tanto che tutti si commuovevano e piangevano fino a disperarsi. Erano tutti moniti da parte del re di quel castello,ibn Shaddad, il quale lui e i tutto il suo castello erano stati colpiti dalla morte a causa dei loro peccati, per volere di Dio. Uscirono poi dal castello e si rimisero in viaggio per altri giorni. Arrivati ad una collina, giunsero di fronte a un cavaliere di rame che indicò loro la strada verso la città di rame e durante la marcia incontrarono un demone intrappolato in una colonna, il quale raccontò di essere stato imprigionato da un luogotenente di Salomone durante la guerra tra Salomone e il suo re, perché Salomone voleva sposare la belle figlia del re e questi si rifiutò. Dopodiché essi gli chiesero di indicar loro la strada verso la città di Rame. Arrivati di fronte alle mura Musa, Talib e lo sceicco, non riuscirono a trovare una porta per entrare e cominciarono ad escogitare vari tentativi per entrarvi, girando intorno alle mura o salendo su un monte per vederne al di la: e in quel momento videro che la città era di enormi dimensioni, con palazzi e giardini bellissimi ma completamente vuota. Decisero poi di costruire una lunga scala ma ogni volta che uno dei soldati arrivava in cima, preso da follia, si buttava; così decise di salire lo sceicco stesso che pregando e richiamando il nome di Dio, riuscì a oltrepassare la cinta muraria e ad aprire le porte della città. Esplorarono la città, la quale era piena di oro, gioielli e ogni tipo di ricchezza, arrivarono poi in una sala in cui sembrava esserci una bellissima donna viva, ves...


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