Appunti Vannicelli PDF

Title Appunti Vannicelli
Course Storia greca
Institution Sapienza - Università di Roma
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Sono appunti belli evviva...


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Corso di Storia Greca di Pietro Vannicelli 7-03-2019 Fa soltanto un’ora di carattere generale: dice che siamo una buona annata quindi ha scelto un programma un po’ impegnativo, il che non guasta mai. Orario un po’ sfortunato, perché a Marzo lui manca quasi sempre, ma spera di riuscire a recuperare. Spero proprio che tra vacanze di Pasqua e cose alla fine io mi salvi. Come è strutturato il corso di quest’anno? Ci saranno una serie di lezioni frontali, come al solito, e lui ci manderà i testi che leggeremo a lezione; e poi ci saranno una serie di interventi di colleghi di università questa o altra. In triennale abbiamo studiato Musti, ma ora che siamo cresciuti ci proporrà anche letture diverse, proprio da parte di questi sette colleghi. Soprattutto a Maggio dice: Maurizio del Freo sulla figura del wa-na-ka, il ra-wa-ke-ta, e i qa-si-re-e; Nicolai su tiranni e basileis nella tragedia; Aldo Corcella sul proemio della Ciropedia; Manuela Mari sulla regalità nel mondo macedone; Stefania De X da Venezia ci parla di Agatocle; John Thornton verrà a parlarci della riflessione sulle costituzioni in Polibio; Camia verrà a parlarci del culto imperiale nelle città greche di età imperiale. Ci sarà una stretta relazione con il corso di Maiuro: leggiamo Cassio Dione da una parte e il logos tripolitikos dall’altro. Poi ci sarà una parte seminariale in cui discuteremo il IV sec. Testi fondamentali: opuscoli di Senofonte e alcune orazioni di Isocrate ( Evagora etc. etc.). Vorrebbe che facessimo una lettura analitica e una presentazione critica di questi testi. Questo è un corso in cui Vannicelli vorrebbe che lavorassimo insieme, lavorassimo tutti in cucina, sperando di non avvelenarci. Ancora avremo Nicolai a parlarci delle orazioni di Isocrate. Per almeno due settimane vorrà impostare gli argomenti, con lezioni frontali, mentre successivamente discuteremo dei temi da portare al seminario. Bibliografia: alcune cose sicuramente le leggeremo, ma per la bibliografia in realtà dipende molto da come procederà il corso. Non è ancora sicuro di quali siano le direttive più feconde. Partiamo dal testo di Nino Luraghi, che ora insegna ad Oxford (magari lo chiama qui? Gli fa anche da testimone di nozze): ha scritto due articoli, One man government e poi xxx.

Le posizioni di Luraghi sono molto rigorose e portate alle estreme conseguenze: Vannicelli in realtà non è d’accordo con questo saggio, però è un lavoro di grande intelligenza e ci conviene appunto leggerlo tutti. Parleremo non di Monarchia ma di Regalità, che è un concetto molto più complesso. Ciò che emerge ripercorrendo la storia, è che snodi essenziali della storia greca hanno portato snodi essenziali nell’evoluzione della regalità, e nelle forme di potere personale, com’è ovvio. Difficile comprendere la terminologia: secondo Luraghi si parla precisamente di One man government, e discute bene il problema della distinzione tra tirannide e basileus, che in questo senso sono uguali. Luraghi esclude dalla discussione tutte le forme che non sono monarchiche: esistono molte forme di basileia, regalità diarchica spartana, aristocrazie etc. etc. Ma è veramente così? Possiamo davvero considerare la diarchia spartana come qualcosa di totalmente altro rispetto alla basileia monarchica del resto della Grecia? E se è così come si forma la regalità a Sparta? Da dove viene l’originalità etc. etc.? Tutto questo ci dice che la formulazione dell’articolo di Luraghi va problematizzata molto bene. Altro caso essenziale: passaggio dal periodo miceneo alla fase storica, e della trasformazione delle forme del potere politico attraverso la testimonianza di Omero, il famoso eis koiranos estō ma anche Odisseo e la regalità itacese. La soluzione drastica di Luraghi è: considerare re soltanto coloro che stanno da soli al potere, ma non è necessario. Luraghi dice che il termine più naturale per parlare di sovrani è monarchos, ma non è sempre vero (Oracolo a Cipselo e mounarchoi al plurale): e qui ci colleghiamo al secondo punto, ossia la dialettica tra basileia e tirannide. Ci sono alcuni punti che abbiamo toccato in triennale: quando Tucidide parla della nascita della tirannide (dunatoteras gignomenes tes hellados etc. etc.) la collega allo sviluppo commerciale etc. mentre collega le patrikai basileiai ad un fattore culturale/antropologico, fondate sui rheta gerata. Netta distinzione che va presa sul serio oppure no? Per quanto riguarda il V sec. inizia una discussione più sistematica sulle forme di potere: due realtà molto importanti con cui i Greci si confrontano. La Persia, un tipo di basileia tradizionale (=/= tirannide) e la democrazia ateniese. Qui si colloca il famoso dibattito costituzionale Erodoteo del terzo libro. Durante il corso

studieremo come si evolve la discussione con Platone ed Aristotele e poi speriamo che venga Thornton a parlare di Polibio. C’è una concettualizzazione con distinzione molto chiara tra basileia/tirannide, democrazia ed oligarchia, e si affronta il problema della regalità. Ancora un altro tema: il ruolo che in tutto ciò ha l’Atene del V sec. perché se c’è un luogo popolato di tiranni dopo Omero è quello della scena tragica, piena di tiranni e basileis. Terzo grande tema: le stesse forme dell’imperialismo ateniese portano a confrontare la polis di Atene con un tyrannos e con la persia (ultimo discorso di Pericle). Ruolo che il rapporto con la Persia avrà nella fissazione del concetto di regalità nel mondo greco. La sconfitta di Atene nella guerra del Peloponneso, il ruolo crescente della Persia nei rapporti tra le città greche avvia una nuova riflessione sulle forme del potere personale nel IV sec. ossia quella di Senofonte e Isocrate (Antistene doveva essere importante ma non ci resta quasi nulla). Qui il rapporto con la Persia si fa cruciale, perché il vero momento in cui la regalità riconquista la scena greca è il momento in cui Alessandro Magno diventa egli stesso re di Persia, e poi darà l’impulso a tutte le monarchie ellenistiche. Non sappiamo ancora quanto soffermarci sui singoli temi ma poi si vedrà. Le informazioni di carattere generale verranno date, e ora fa una piccola pausa. Con gli altri riprende a dire qualcosa che però non penalizzerà molto gli assenti. Dal pdv. dell’organizzazione politico-statuale, in senso globale, al di fuori del mondo greco, la regalità è solitamente irrevocabile, personale ed ereditaria. Ci sono naturalmente delle eccezioni, però nel complesso di solito è così. Il carattere ereditario è uno dei tratti fondamentali dell’istituto stesso. La monarchia ellenistica (dal Monoftalmo e il Poliorcete in poi) si fonda sul diritto di conquista (sono re della terra che conquisto) e poi sull’ereditarietà: non è il caso che si fondi proprio a partire da padre e figlio. Importante problema della definizione dei criteri di successione. Nella storia dell’umanità la monarchia è il regime più diffuso, e anche in Europa è il modello imperante fino al ‘900 e tuttora sopravvive in molti luoghi. Nelle fasi antiche e medievali però il monarca tendeva a radunare in sé potere politico e anche religioso: nel medioevo il capo militare diventava re insieme alla conquista del territorio conquistato, e questa è una nozione fondamentale nella definizione della monarchia germanica. Con Carlo Magno vediamo l’assorbimento del

modello germanico in quello romano-imperiale che ha in sé una connotazione fortemente sacrale. Elemento che resta, anche se come un fossile, anche in alcune Chiese moderne, come quella inglese (la regina di Inghilterra è anche il capo della Chiesa anglicana). Problema della giustificazione divina della regalità: in grecia nel mondo dorico abbiamo discendenti degli Eraclidi che non sono altro che discendenti di Zeus stesso; a Roma abbiamo la discendenza da Enea e Venere. In Persia il re non era proprio considerato un dio, però i Greci lo leggevano così, un po’ forzando la cosa. Da un lato la definizione realistica delle forme del potere, e dall’altra l’inquadramento istituzionale: per esempio basileus e tyrannos tecnicamente non sono particolarmente distinte tra loro, fanno le stesse cose. Però dal pdv istituzionale c’è una bella differenza, anche nella ricezione da parte della cittadinanza e l’autorappresentazione. Mettiamo giù alcuni temi di Luraghi: si parte dall’osservazione che se i Greci hanno molti modi per definire il capo di una comunità, ce n’è una in un certo senso universale, che è quella di monarchos. Questa è una parola descrittiva, e Luraghi sostiene che il concetto di una figura suprema al vertice della società sia una nozione estranea al mondo greco, sia un concetto straniero, e per questo i Greci ‘inventano’ un composto per indicarlo. Della terminologia parleremo più avanti, però non sono d’accordo. È certo che la monarchia è una forma che affascina moltissimo i Greci, sulla quale hanno riflettuto e con la quale hanno popolato ampiamente la loro produzione letteraria e filosofica. Luraghi arriva a negare quasi completamente forme di regalità all’interno del mondo greco prima del periodo ellenistico. Monarchi di vario tipo sarebbero presenti nella produzione letteraria e filosofica soltanto in epoca mitologica, ma secondo lui a parte il mondo miceneo (che però Luraghi vede in netta cesura, scarsamente significativo per il mondo greco successivamente). Le vere esperienze di forme di monarchia ‘ king’ sono soltanto il rapporto col mondo persiano e poi con i sovrani ellenistici. Altro tema fondamentale che toccheremo soltanto marginalmente: c’è almeno un’altra forma di potere personale che caratterizza la Grecia, ed è quella della tirannide, che Luraghi tratta molto bene dice Vanni. Possiamo trattarle alla stessa stregua oppure vanno distinte? Evidentemente siamo tutti d’accordo a trattarle

separatamente. Nel passo di Tucidide Luraghi vede le patrikai basileiai soltanto come forme di potere di tipo omerico. Ma anche in altre fonti ci sono distinzioni tra tyrannos e basileus: Pindaro ed Erodoto. È una discussione soltanto teorica oppure esiste concretamente una differenza, che possiamo studiare?

12-03-2019 Ci manderà l’articolo di Luraghi, che forse è il caso di leggersi una buona volta, visto che appunto è quello su cui lavoriamo. Che palle sta dicendo ancora che lavoreremo su alcuni testi chiave. Quali sono i temi generali di questo contributo di Luraghi allora, è bene ripeterli: -

Secondo Luraghi il concetto di monarchia è sostanzialmente estraneo al mondo greco.

Però appunto monarchia e basileia non è la stessa cosa, o almeno non esattamente coincidente. Vediamo Omero e chiediamoci: quanta continuità c’è col mondo miceneo attraverso le età oscure e quanto i poemi omerici sono una fonte affidabile? Problema di fondo, come al solito, origine della polis. Luraghi dice che si occupa soltanto della monarchia (estranea al mondo greco, esiste soltanto al di fuori del mondo greco): questo però è restringere il problema in maniera quasi arbitraria. Infatti non si può parlare di basileia senza considerare che basileus è anche un magistrato, oppure, al plurale, indica gli aristocratici di alcune poleis. Se secondo Luraghi dunque la monarchia è del tutto estranea al mondo greco, la basileia lo è senz’altro. Per esempio Sparta: possiamo dire che i basileis spartani sono davvero totalmente altri rispetto alla monarchia? Che cosa possiamo dire delle tradizioni che soprattutto in ambito dorico parlano di monarchia in epoca arcaica? Di nuovo, è legittimo sussumere il concetto di regalità sotto la definizione ‘descrittiva’ di monarchia? Pierre Carlier ‘La royalité en Grece avant Alexandre’ tratta il problema in modo molto più ampio rispetto a Luraghi, considera tutti i punti che Luraghi esclude. Luraghi fa il mustiano e dice che la parola basileus è di origine non greca, e quindi non appartiene al mondo greco, e giustamente Vannicelli dice: ma questo è sufficiente? Per di più i qa-si-re-we nel mondo miceneo non sono assolutamente dei sovrani.

La posizione di Luraghi si affianca a quella di Drews, che scrive un libercolo a proposito dell’assenza di reali monarchie in Grecia nel periodo arcaico. Però quando si decide di dubitare sistematicamente delle fonti, soprattutto quelle successive al IV sec., si è mossi da premesse concettuali più che da reali ragioni puntuali per dubitare di queste stesse fonti. Ancora: rapporto con la tirannide. Anche qui l’impostazione di Luraghi prescinde dalle implicazioni ideologiche o istituzionali. Luraghi discute bene secondo Vannicelli la tirannide soltanto perché in qualche modo Vanni è d’accordo.

Parliamo di Omero [Dal punto di vista della documentazione palaziale, che come è noto è ristretta e poco perspicua, è che il sovrano è in cima alla società. Il re ha una serie di prerogative sociali: ha un te-me-no e riceve delle offerte da parte della popolazione. Che cosa faccia il wa-na-ka non è chiaro, lo conosciamo soltanto come oggetto di offerte, oppure conosciamo aggettivi come wa-na-ka-tero che indicano persone od oggetti a lui ‘pertinenti’. Accanto al wanax conosciamo il ra-wa-ke-ta, di cui sappiamo ancora meno, Vannicelli dice ‘diarchia disuguale’ ma in realtà sappiamo soltanto che riceve offerte più ridotte. Sempre Er312 ovviamente. I qa-si-re-we delle tavolette sono, secondo la terminologia italiana, “capi officina”, ci sono attestati legati alla lavorazione del bronzo. Questo suggerisce una forte cesura con l’epoca palaziale, e infatti Luraghi dice che la monarchia è estranea alla storia della ‘città greca’. Allora poniamoci un’altra questione: Come si rapporta il concetto di regalità con la nascita della città greca?] Luraghi conclude che il quadro offerto dai poemi omerici è completamente immaginario, e che nel mondo reale abitato dal poeta/poeti omerici non esisteva nessuna forma di monarchia. Ma la città greca quando nasce? Molti sostengono che sia nell’VIII sec., ma Musti sostiene che invece sia più antica l’origine della polis, ma nell’VIII sec. si diffonda il modello per tutta la Grecia, quando prima era presente in alcune esperienze cittadine isolate. Luraghi dunque adotta un atteggiamento ipercritico verso tutte le fonti che parlano di città per il periodo delle età oscure, mentre alcune fonti di certo non si possono liquidare facilmente.

In Omero il termine anax è usato per Agamennone e anche per altri capi, una divinità, e anche per indicare il capostipite di un oikos. Basileus invece è molto più diffusa, compare spesso al plurale, ed indica i capi minori, i capi di contingenti e di comunità, ma in generale anche un’ élite. Mai usato come epiteto per gli dei. Di norma il basileus è figlio di un basileus. Abbiamo qualche caso di basileus usato come aggettivo al comparativo, quasi che non fosse un sovrano tout court, ma una persona dotata di grande potere, che però è ‘quantificabile’. Per esempio Alcinoo a Scheria è membro di un collegio di 13 Basileis: qualcuno ha proposto che l’uso singolare di basileus sia ‘arcaico’ mentre l’esistenza di un collegio di basileis rispecchi un’epoca aristocratica più sviluppata. Però è difficile argomentare qualunque cosa se si comincia a pensare che la fotografia di Omero sia in realtà un’accozzaglia di anacronismi (è molto probabile che sia così però). Luraghi esclude anche la testimonianza di Tucidide famosa sulle patrikai basileiai e dice che fa soltanto riferimento all’età eroica. Sarebbe quindi da scartare l’idea di una basileia delle età oscure. Ma davvero possiamo escludere che Tucidide in qualche modo confermi l’antichità di tradizioni successive che conosciamo a proposito di basileiai nelle città greche di epoca arcaicissima? Il terminus ante quem che Tucidide individua è la fine dell’VIII sec. quindi le patrikai basileiai apparterrebbero appunto alle piene età oscure. La domanda è: quanto si conosceva di storia delle età oscure se non c’era la scrittura? Due parole di carattere generale sui due passi omerici che leggeremo domani: l’Iliade e l’Odissea hanno uno sfondo sociale un po’ diverso. Odissea VIII: dopo l’incontro con Alcinoo Odisseo rivela la propria identità… Alcinoo si definisce basileus tra 12 compagni, potremmo definirlo appunto un primus inter pares, lui è basileuteros. Il lessico istituzionale di Omero è già quello della polis arcaica e classica: c’è un basileus ma c’è anche una gerousia, un consiglio ristretto (o una boulè), e poi c’è il demos.

13-03 Dicevamo centinaia di volte che in sostanza nell’ Iliade vediamo una fotografia della grecia alto-arcaica ma non micenea: certe formule sono ormai obsolete, l’anax non ha più il significato che aveva nel palazzo miceneo, o meglio non lo possiamo sapere perché i micenei li conosciamo soltanto in pace e non in guerra. L’Iliade conosce già una serie di centri etnici, che non possiamo forse ancora

chiamare poleis, ma di contingenti che sono legati a realtà locali ben definite, che intrattengono tra loro una dialettica di egemonia-autonomia. Il lessico delle assemblee Iliadiche è lo stesso che si trova nelle tavolette micenee, ma con un certo grado di shift semantico nella direzione delle istituzioni cittadine. C’è una αγορη e una βουλη che invece non ci sono mai menzionate dalle tavolette, però in queste si riuniscono i λαοι che sono ben noti per il ra-wa-ke-ta. Lo scettro che si prende per parlare in assemblea è anche quello che nello scudo di Achille viene utilizzato durante il giudizio (siamo sicuri?): è difficile che dietro non ci stia il background politico dell’autore. Lo schema è, di nuovo, basileus, basileis o pares (una sorta di assemblea di pari) e poi laoi che in guerra sono l’esercito ma in pace sono il demos (credo che Omero parli anche

di demos). Funzioni del basileus: governo militare, governo

dell’assemblea, amministrazione della giustizia (non mi sembra, questo c’è nello scudo di Achille ma non viene detto che è il basileus ad amministrarla se non ricordo male). Il personaggio di Tersite rappresenta tutto ciò che non è autorità basilica, non ha potere, e per questo anche se dicesse cose sensate (e non è vero che dice solo cazzate), non sarebbe ascoltato, perché l’assemblea non funziona così. Certo è che Omero non è così primitivo: Tersite non viene messo in campo soltanto per questo motivo ‘enciclopedico’, ossia per far riflettere su come non ci si deve comportare in assemblea: ogni cittadino avrebbe saputo benissimo di non avere voce in capitolo, non serviva Omero per spiegarglielo. Vannicelli insiste sul fatto che se la regalità micenea è individuata dai privilegi si può individuare una continuità, ma la continuità finisce lì perché per il resto il modo in cui si comportano è aristocratico. L’idea di fondo è che il poeta dell’Iliade stia descrivendo eventi molto lontani, tanto lontani da non essere del tutto ricostrubili, e che tappi i buchi con le proprie conoscenze istituzionali, ossia l’aristocrazia di una polis antichissima. Descrive dettagli del passo bla bla bla.

14-03 Periodizzazione tradizionale: arcaismo = orientalizzante 730-580. Musti propone un’inutile suddivisione in alto arcaismo IX sec. – 730 (=medioevo ellenico, che va visto in continuità perché lui crede che qui nasca la polis); medio arcaismo = orientalizzante (730-580); basso arcaismo 580-480 ossia VI sec. più o meno, perché naturalmente dopo l’arcaismo inizia la parabola ateniese. Poveretti.

Ci ricostruisce tutta la genealogia degli Eraclidi se non sbaglio, che si dipanano tra le varie città del Peloponneso tra Messene, Argo, e infine Sparta in cui i tradizionali iniziatori della diarchia sono Agide ed Euriponte. La tradizione spartana li vuole nati in Laconia, però sembra che gli stessi spartani (Hdt. ce ne parla) riconoscano la possibilità di un ‘tutore argivo’, ossia Temeno, perché i due figli erano senza tutore. Sta di fatto che c’è di mezzo un oracolo delfico e altre cose che mo non mi interessa, tanto ripeterà un sacco di volte e non stiamo leggendo i testi. La tesi più diffusa è che per Sparta si debba immaginare una sola dinastia originaria che si bipartisce ad un certo punto durante le guerre messeniche, mentre Musti pensa che si faccia per sottrazione (3 – 1 che è una cazzata mirabolante). Sicuramente la presenza della diarchia moderava il carattere verticistico del potere, perché, come abbiamo sempre detto, c’è un forte grado di ideologia aristocratica nelle poleis t...


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