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Title Appunti videolezioni
Author Eli bera
Course Beni Culturali
Institution Università Telematica Internazionale UniNettuno
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Letteratura Italiana

VDL: Prof. Marco Santagata

LETTERATURA ITALIANA (da lez. 01 a 08 e da Lez. 21 a 30) Proff. Santagata & Leonelli

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Letteratura Italiana

VDL: Prof. Marco Santagata

LEZIONE 1 L’epica Volgare in Francia: dagli inizi del ‘200 a Pietro Bembo ed al Petrarchismo. Una storia della lirica italiana non può non partire dalla Francia dove alla fine dell’XI secolo nasce, prende piede e si sviluppa una tradizione lirica che si diffonderà nel resto dell’Europa. Definiamo i termini: Cortese è la poesia lirica che nasce nelle corti feudali per un pubblico di nobili, che poi esce, ma mantiene sempre i caratteri originali. Cortigiana è, invece, la produzione lirica scritta nelle corti Signorili italiane nella seconda metà del ‘400. Mentre la corte feudale è sostanzialmente un castello, in cui vive il proprietario di un possedimento terriero su cui esercita diritti, la corte Signorile è dove vive il Signore di uno stato (generalmente di carattere regionale), che ospita anche l’amministrazioni di quelloi stato ed in cui si svolge la vita di relazione. Mentre la lirica cortese è un fenomeno europeo, la lirica cortigiana è tipicamente italiana; all’inizio l’Italia sarà importatrice di lirica, poi, alla fine del 400, ne sarà esportatrice come “petrarchismo”. Verso la fine dell’XI secolo l’organizzazione francese si regge sul sistema feudale. La classe nobiliare regola i suoi rapporti in base al vassallaggio sulla base di un rapporto di fedeltà in base alla quale riceve il sostentamento (economico e politico). All’interno di questa struttura nasce la letteratura moderna in Europa; la Francia è divisa in due aree a nord dove si parla la lingua d’ “Oil” (l’evoluzione è il francese di oggi) e a sud dove si parla il provenzale, o “lingua d’Oc”. “Oil” e “Oc” significano “Si” (l’italiano veniva chiamato “lingua del Si”). Lingua d’Oc, o provenzale: Dante, nel vcanto XXVI 140-42 (dedicato ai lussuriosi) fa intervenire un grande poeta del ‘200, Guido Guinizzelli, ed un grande poeta provenzale, Arnaut d’Agnel (vissuto a cavallo tra il XII ed il XIII) che si presenta in provenzale (tanto mi è gradita la vostra cortese domanda che non posso e non voglio nascondermi, io sono Arnaut che piango e vado cantando). La Francia dell’XI non era solo divisa linguisticamente, ma anche dal punto di vista letterario; negli ultimi anni di quel secolo compaiono nelle corti due differenti tipi letterari: nord (Oil) = Epica, canzoni di gesta; sud (Oc) = Poesia Lirica dei trovatori (provenzale). Le canzoni di gesta sono poemi epici, mentre la lirica è una forma breve, ma letterariamente complessa. Entrambe nascono negli ambienti nobiliari delle Corti e danno voce ai valori ed alle aspirazioni, alle ideologie di quelle classi; l’epica nasce con un lieve anticipo sulla lirica. La più antica è la epica Chanson de Roland che risale agli ultimi decenni dell’XI, ma è importante parlare dell’epica anche per la lirica (oggetto del corso) perché rivela i tratti salienti delle letterature moderne in occidente. Siamo nell’XI secolo, alla Corte del Signore intorno a cui siedono poche donne ed invece molti uomini (la popolazione femminile era in netta minoranza) che sono quasi tutti giovani, gran parte cavalieri (figli minori, cadetti, esclusi dall’eredità di altri Signori feudali che hanno abbandonato le loro famiglie per passare al servizio del nuovo Signore). A questo Signore sono legati da un patto di fedeltà personale e la loro stessa sussistenza dipende dalla generosità del Signore e Generosità = Cortesia. Un Giullare sta allietando i presenti cantando un passo della chanson de Roland; il giullare è un professionista dell’intrattenimento che viaggia di Corte in Corte o nei mercati, davanti alle chiese. Un giullare appartiene ai livelli bassi della Società ed è un cantastorie: la poesia era sempre cantata in pubblico; la recitazione e il canto sono caratteristiche fondamentali del modo in cui la poesia 2

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veniva fruita in età medievale: non esisteva la lettura individuale, la poesia era eseguita pubblicamente in una sorta di performance ed era un fatto dalla importante carica sociale. Il Giullare più che cantare esegue una cantilena, una melodia semplice e monotona che si ripete di verso in verso, che si ripete ad ogni “lassa” (strofa) che può essere di varia misura. Le partizioni della lirica sono invece tutte di uguale misura e costringono il poeta a ripetere la stessa sequenza di rime che la lirica ha, mentre la epica non ha rima e neppure la prevede. La Chanson de Roland è anonima e tratta di un evento accaduto circa tre secoli prima (778, sconfitta dell’esercito di Carlo Magno, da parte dei Baschi, in un’imboscata); la canzone non è una cronaca fedele, ma quei fatti sono il nucleo di un racconto che viene amplificato e che somma anche elementi di tipo fantastico. Fu un episodio secondario, ma viene distorto ed amplificato sino ad assumere tinte epiche, non interessava tanto l’evento in se, ma la possibilità di mettere in rilievo i valori che animavano i cavalieri cristiani e, primo fra tutti, Rolando (Orlando). Verso la fine dell’XI quello scontro aveva riacquistato una forte attualità poiché nella seconda metà del XI comincia la Riconquista e si da luogo alla I Crociata.

LEZIONE 2 Cortesia cavalleresca e cortesia amorosa. La Chanson del Roland è una narrazione epica; per noi l’arte del narratore consiste nel creare la curiosità del lettore, che quasi lo costringa proseguire. Niente di tutto ciò si trova nel poema epico che anticipa sistematicamente le azioni che verranno, ed è pieno di presagi che rimandano al futuro, elimina alla radice l’idea stessa di sorpresa: anche l’episodio centrale della narrazione, ovvero il massacro dell’a retroguardia e di Rolando, viene anticipato nel corso del racconto da eventi miracolistici che anticipano e preannunciano la morte di Orlando. Il narratore non conosce il gioco degli intrecci e degli incastri narrativi e non esplicita i nessi causali tra un episodio e l’altro ne’ consequenzialità tra gli eventi: non sappiamo neppure, a ben guardare, di cosa muoia Rolando. Tutto il racconto procede per via paratattica, ovvero Giustapponendo un episodio all’altro; anche le coordinate temporali sono stravolte, il tempo è dilatato o accorciato a piacere indipendentemente da ogni principio di verosimiglianza (spostamenti di eserciti di Re Carlo da Saragozza ad Acquisgrana, con tutto quel che succede in mezzo, stando al racconto avviene in soli sei sette giorni). La storia è raccontata al presente fisso, sono perciò una successione di scene che si presenta alle orecchie dell’ascoltatore nel momento in cui avvengono. L’effetto complessivo è antirealistico: non si ha l’impressione di uno svolgimento temporale, ci sono interventi soprannaturali (piano mondano di battaglia sommato al piano sovrannaturale degli angeli che portano Orlando in paradiso, o che danno al paladino la stessa Durendana). Ma allora, a cosa mira l’epica? Attraverso i caratteri dei personaggi, o la verosimiglianza delle loro gesta è di mettere in mostra la veridicità dei valori ideologici e simbolici di cui quei personaggi, o quei gesti, sono portatori. È una sorta di rilevanza plastica e fisica al sistema di idee e credenze sui quali si reggeva la società feudale dell’epoca. Tutti si riconoscevano in questo sistema ed il pubblico socialmente più elevato ed era in grado di cogliere le implicazioni politiche della storia (ceti guerreschi –Orlando- contro proprietari feudali –Gano-), mentre i più semplici erano affascinati dal fatto epico in se. Orlando muore combattendo pur sapendo che sarebbe morto, ma questa consapevolezza non lo ha mai fatto deflettere dal compiere fino in fondo il suo dovere: la sua è la morte di un martire. Orlando è il perfetto eroe cristiano, che muore come martire della fede, ma è anche esponente dell’aristocrazia guerriera. In tutto questo, l’amore è un elemento che non trova posto nel sistema dei valori dell’epica, neppure al momento della morte: la donna amata non può insinuarsi tra il 3

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guerriero, il signore e Dio, complicherebbe un quadro didatticamente efficace poiché trasmette un messaggio semplice e chiaro. Nella sala del castello ci sono cavalieri che ascoltano il giullare e non possono che identificarsi con il doppio vincolo di Orlando, la fedeltà al Signore terreno, ed a quello divino perché è lo stesso vincolo che li lega al Signore che servono ed in base al quale aderiscono alla Guerra Santa. Le gesta di Orlando sono avvolte in un’aura mitica, ma tutto ciò alla fine conferisce ulteriore valore al messaggio della canzone: le idee di fides (a Dio), e fidelitas (al Signore feudale), proprio perché ambientate in un tempo lontano non sono più concetti storici, bensì pilastri immutabili esistenti da sempre di ogni possibile società. L’idea che la società era sempre stata così e fides e fidelitas erano immutabili. I cavalieri condividono l’ideologia espressa dalla canzone, ma questa ideologia era condivisa anche dai ceti subalterni. Nella zona centro-meridionale, intanto, la produzione letteraria è lirica, in lingua provenzale o d’ “Oc”. Anche qui siamo alla Corte di un Signore del sud; siamo intorno agli anni ’60 del XII secolo. Il Castelo è un po’ più confortevole ed il pubblico più vario e le donne più numerose; gli uomini sono di estrazione sociale maggiormente diversificata e non sono solo cavalieri al servizio del Signore. Il contesto è più “mosso” le città hanno un ruolo più importante e l’economia si basa oltre che sull’agricoltura, anche sul commercio; la società è più aperta e colta. Si tratta in maggior parte sempre di cavalieri cadetti che sono legati al Signore da un identico patto di fedeltà vassallatica. Qui un trovatore sta eseguendo il suo repertorio di canzoni d’amore accompagnandosi con una specie di viola: alcune di queste canzoni sono state scritte da lui, altre da altri. Il Trovatore è una persona colta, capace di scrivere testi retoricamente molto complessi e di comporre le musiche, può essere anche di umile estrazione sociale, ma può anche essere di estrazione sociale alta (il primo di cui ci sono pervenuti testi è Guglielmo IX Duca di Aquitania e VII Duca di Poiters -1071/1126- che dominava un territorio più vasto di quello sotto il diretto dominio del Re). Un trovatore era un professionista (oppure un dilettante come Guglielmo IX) che prestava servizio presso un Signore o poteva spostarsi di Corte in Corte con frequenza minore di un giullare del nord. La musica che accompagna i testi trobadorici nel sud, è più raffinata delle cantilene dei testi epici del nord. Una canzone è fatta di più strofe, stanze, che hanno la stessa struttura; la melodia assecondava le singole stanze pur ripetendosi di stanza in stanza. Si tratta di una poesia d’arte complicata che ricorre a tutte le forme della retorica. Bernard de Ventador è uno di questi trovatori che ben definisce l’amor cortese: la lirica cortese è il veicolo principale di una concezione di comportamento amoroso. Cortese perché scritta per le Corti e consumata all’interno delle Corti, e perché in essa è centrale il concetto di Cortesia concetto fondamentale per l’intera società medievale, è una specie di bussola che orienta i comportamenti delle classi elevate e, all’interno delle classi elevate, tra i Signori e i Vassalli: implica la generosità verso gli inferiori, ma entro i limiti della ragionevolezza. La società feudale è una piramide (rapporto diretto di dipendenza) ed è evidente che in una socetà di queto tipo la generosità è assolutamente essenziale (senza la generosità, senza donativi, il Vassallo sarebbe stato a mal partito. Il vassallo serviva fedelmente il Signore, ma quest’ultimo doveva ricompensarlo al giusto livello, senza essere spreco). L’amore è una componente essenziale della cortesia, inteso come amore puro (Fin amor), concetto sconosciuto all’epica. Oltre la fides e la fidelitas ora c’è anche l’amore poiché sotto tale schermo si allude ai rapporti interni alla fidelitas ovvero alle regole del vivere sociale. L’amor cortese è un codice di comportamento ed un codice che indica come comportarsi nei rapporti sociali.

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LEZIONE 3 Tratti caratteristici dell’amor cortese Bernart de Ventadorn, Non mi va affatto di cantare (trad. di Pietro G. Beltrami) Non mi va affatto di cantare tanto mi spiace ciò che vedo, che ci si dava assai da fare per aver pregio, onore e lode, 5 e ora non vedo più e non odo che nessuno parli d’amore, e perciò cortesia e valore e piacere sono in dispregio. Dai baroni viene l’inganno, 10 che non amano in buona fede, e da ciò viene agli altri il danno, che non se ne ha di che gioire. Non per altro amore finisce, che facilmente uno amerebbe 15 che non lo fa, che non saprebbe secondo amore comportarsi. D’un amore son fino amante che non invidio un duca o un conte, e non c’è al mondo re né emiro 20 che a averne tanto, come me non si sentirebbe arricchire; e se la volessi lodare non potrei dirne tanto bene che molto di più non sia il vero. 25 Non c’è cosa che fa valere come l’amore e il corteggiare: da qui viene piacere e canto e tutto ciò che fa il valore. Senza amore uno non val niente, 30 e perciò non voglio che sia mia del mondo la signoria se poi gioia non ne so avere. Di lei mi lodo cento volte più che non so dire, e ho ragione 35 che quando può mi fa buon viso e mi parla dolce e soave; e (che gioia!) fece annunciarmi che era soltanto per paura che non poteva di più farmi, 40 e perciò posso ben sperare. Nobildonna bella e valente, per Dio, di me pietà abbiate, e per niente non dubitate del vostro puro amico vero. 45 Potete farmi bene e male, questo resti in vostro potere, perché io sono sempre pronto 5

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a fare ogni vostro piacere. Fons Salada, mio traduttore 50 siatemi al re, il mio signore, e che da lui non vado dite perché mi tiene il Mio Magnete. Come ha la Turenne e il Poitou, ed ha l’Angiò e la Normandia, 55 vorrei, com’è giusto che sia, che avesse il mondo in suo potere! Il vers quanto più lo si ascolta sempre di più va migliorando, e per via ci vada imparando 60 chi su al Puy lo vorrà sapere. In cosa consiste il fin amor; si regge su due architravi: l’amore è desiderio rivolto al possesso fisico della donna; l’amore può essere corrisposto, ma il desiderio no; i due partners non sono mai sullo stesso piano, normalmente c’è un ostacolo insuperabile di ordine sociale; la donna è sempre di rango superiore e l’amore cortese, perciò, avendo per oggetto una donna superiore, resta per sua natura inappagato ed esclude a priori il matrimonio. Ne consegue che l’amore cortese non prevede l’amore coniugale ed è solamente amore adulterino (anche per questo la chiesa ha osteggiato questo tipo di lirica). Ne deriva che il rapporto tra i due amanti si presenta negli stessi termini di quelli del Vassallo e del suo Signore (all’una ed all’altro si deve prestare servizio con fedeltà); la dama in provenzale viene chiamata “midons”, ma questo termine è maschile e significa “signore”: nella dama risiede ogni potere (“potete farmi bene e male, questo resti in vostro potere”), inoltre tutti i possibili vantaggi per l’amante discendono dalla benevolenza della dama. L’amante non può che lodare la dama (ovvero il Signore) pur sapendo che le sue lodi non riusciranno mai ad eguagliare i pregi della donna (e quindi del Signore). Amante : amata = vassallo : signore L’amante svolge un vero e proprio servizio per la dama basato sulla fedeltà e lealtà (colme nel rapporto vassallatico) ed è un servizio che passa addirittura avanti a quello dovuto al Re. Il nome della donna amata, inoltre, non viene mai menzionato, si usano pseudonimi, pur di difendere l’onore della donna amata. L’amore è frustrato e non trova appagamento, ma riceve una doppia gratificazione: innalzamento spirituale provocato dalla nobiltà della donna che ne è oggetto (cantare le lodi di una gran dama è come entrare nel mondo ella gran dama), quest’amore è inoltre necessariamente puro e fino, e diventa una sorta di mezzo di raffinamento interiore visto che, di fatto, è lo strumento per imparare come si sta in società. Ma l’amore cortese è anche un sistema per disciplinare i propri impulsi interiori (per esempio la sessualità). Per questo i poeti provenzali possono sostenere che ogni vera qualità individuale o sociale deriva dall’amore. Una concezione dell’amore come questa va ad impregnare di se, con ovvie varianti, la lirica europea del Medioevo, prima in Provenza, poi nella Francia del nord (dove era nata l’epica e dove i poeti si chiameranno trovieri per non confonderli con i trovatori), poi in Spagna, Germania dove 6

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nasce il movimento dei Minnesenger (cantori della “minne” ovvero l’equivalente del “fin amor” provenzale). Possiamo fissare alcuni punti: •

nel seno della nobiltà feudale si sviluppano due generi letterari in volgare attraverso i quali la classe nobiliare esprime i suoi valori ed i suoi codici di comportamento (l’epica prima e la lirica dopo);



questo codice si basa sostanzialmente sulla cortesia (ovvero giusta ed equilibrata liberalità, generosità che non eccede i limiti), cioè sulla giusta ed equilibrata liberalità;



la poesia lirica estende concetti della cortesia alla concezione amorosa (all’interno del rapporto d’0amore abbiamo a che fare con un rapporto cortese, la dama deve concedere, sena mai superare i limiti imposti dal codice dell’onore);



la lirica imposta il rapporto amante-amata su quello vassallo-signore;



l’amore è un sentimento gratuito, chi lo prova sa che suo desiderio non potrà essere soddisfatto;



l’amante viene risarcito in altro modo: attraverso le prove amorose egli si forma e si nobilita diventando migliore;



il rapporto fra i due partners è sempre squilibrato; la dama, che si nega, è collocata su un piano più elevato dell’amante, e anche per questo è irraggiungibile;



il discorso amoroso ha come centro la dama: l’amante non è che il destinatario degli effetti, positivi o negativi, che dalla dama promanano.

LEZIONE 4 La Scuola poetica siciliana Dalla fine dell’XI secolo nella Francia Settentrionale si sviluppa l’epica in lingua d’Oil, mentre la poesia lirica si sviluppa poco dopo nella Francia meridionale in lingua d’Oc. In Italia, nello stesso periodo, non c’è alcuna produzione in volgare che stenta a pèrendere piede rispetto a quel che succede in altri Paesi europei; questo non significa che non ci fosse interesse per l’epica o la lirica che infatti venivano lette in francese antico. Esiste un gran numero di manoscritti in tal senso e si cominciano a vedere nomi come Orlando ed Oliviero, ma, a differenza di quanto avviene nella penisola iberica, o anche nell’Italia meridionale, da noi non si sviluppa produzione epica in volgare italiano. Vengono addirittura prodotti, in Italia, testi epici in francese. La stessa cosa interessa la poesia lirica che intanto si è diffusa in tutta Europa dando spesso spunto alle produzioni nel volgare locale e questo anche in paesi anche non di lingua romanza come la Germania; in Italia, invece, questo non avviene e la lingua della poesia lirica è il provenzale anche per i poeti nati e viventi in Italia (il provenzale è la lingua della poesia in Italia). Canto VI del purgatorio Dante incontra il mantovano Sordello (invettiva contro la decadenza dell’Italia: “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie, ma bordello!” vv. 76-78) che era un trovatore, un poeta italiano che scriveva in Provenzale nel periodo 1220-1269 (in pieno XIII ovvero quasi un secolo dopo la nascita della lirica provenzale). In questo periodo era comunque iniziata una qual forma di poesia lirica in volgare italiano (nella zona confinante con la Francia), ma Sordello vive in Val Padana, a Mantova, frequenta Corti feudali ...


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