Archeozoologia UNIFI (prof. Paul Mazza) PDF

Title Archeozoologia UNIFI (prof. Paul Mazza)
Author Clara Valenti
Course Archeozoologia
Institution Università degli Studi di Firenze
Pages 61
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Summary

Appunti presi a lezione di Archeozoologia, materiale completo per superamento esame (meno il laboratorio). La materia mira a comprendere le relazioni tra il mondo animale e l'uomo nel passato attraverso lo studio dei resti animali rinvenuti nei siti archeologici.L'obiett...


Description

ARCHEOZOOLOGIA

La tafonomia si occupa dell’insieme delle modificazioni cui va incontro un resto organico, dal momento dell’immediato post-mortem a quello in cui può essere rinvenuto come fossile. In estrema sintesi consiste in un processo di trasferimento di materia dalla biosfera alla litosfera. Le sostanze organiche si possono riunire in idrati di carbonio (carboidrati), proteine e grassi. Gli organismi si compongono di parti molli e parti dure: •



parti molli → composte essenzialmente da acqua, costituiscono i muscoli, i tessuti adiposi e connettivi e gli organi interni degli animali, oltre ai liquidi cellulari e la linfa delle piante. parti dure → si distinguono in: 1. parti dure mineralizzate → Includono denti, ossa, conchiglie e gusci. Sono composte da carbonato di calcio, silice e fosfato di calcio. 2. parti dure non mineralizzate → negli animali sono tectina, chitina e scleroproteine mentre nei vegetali sono cellulosa, lignina, cutina, suberina e sporopollenina.

La morte segna l’inizio dei processi tafonomici. Risalire alle cause di morte sarebbe importante ma ci è quasi sempre precluso. Sono rari i fossili che danno informazioni dettagliate sulla morte degli individui. Le diverse modalità di morte (senilità, malattia, predazione, incidente) hanno influenza sul potenziale di preservazione. Pochi animali muoiono di senilità e in ogni caso raramente influenza la potenzialità di preservazione, con alcune eccezioni. Alcuni organismi si raggruppano per la riproduzione e poi muoiono in massa producendo orizzonti di accumulo naturali (salmone e alcuni cefalopodi). L’improvviso accumulo di un elevato numero di carcasse riduce localmente l’O 2 e innalza il limite anossico/ossidante sopra l’interfaccia acqua/sedimento inibendo la necrofagia e la bioturbazione. Alcune malattie (setticemia, peritonite, itterizia) possono ridurre il potenziale di conservazione aumentando la velocità di decomposizione. Altre, al contrario, la inibiscono. Processi biostratinomici: fase di distruzione preseppellimento Il primo processo, e forse il più importante, è la necrolisi. Il processo necrolitico fondamentale è la decomposizione delle parti molli degli organismi. Le varie parti del corpo vengono decomposte in tempi diversi: intestini, stomaco, fegato, milza e cervello decompongono prima. I polmoni, cuore, reni, vescica, prostata, testicoli, utero e ovaie decompongono più tardi.

La velocità di decomposizione è fortemente influenzata dai fattori ambientali e può essere rallentata se il cadavere è immerso in acqua, perché il calore corporeo è disperso più rapidamente. Se il tessuto è esposto all’aria svilupperà un pH molto basico, superiore a 9. Se il cadavere è stato sepolto in condizioni anaerobiche il pH è acido. La decomposizione è tanto più rapida quanto più è estremo il pH. Con la morte la temperatura del cadavere si equilibra con quella ambientale, i processi enzimatici vitali cessano (mentre enzimi autolitici, quali le fosfatasi, si attivano) e cessa l’escrezione cellulare. Poche ore dopo la morte interviene il rigor mortis, fenomeno legato alla riduzione di ATP nei muscoli ed in un conseguente aumento di acido lattico. Il rigor mortis arriva al suo apice in 24 ore, poi subentra il rilassamento via via che le cellule soccombono per putrefazione all’autolisi. La putrefazione è legata ad una azione microbica anaerobica a carico delle proteine che inizia subito dopo la morte, ma che si manifesta solo dopo alcuni giorni. Dopo circa 1 settimana i tessuti si gonfiano e si coprono di vesciche. Dopo 3 settimane i tessuti vengono attaccati e si sviluppano vari gas, CO 2, CH4, NH3, H2S e dimetilsolfuri, freon, tetracloruro di carbonio (CCl4) e volatili organici, come il benzene (C6H6). Il cadavere appare sfigurato e dopo circa 1 mese comincia parzialmente a liquefare. Il rigonfiamento avviene soprattutto a livello intestinale. I gas possono fuoriuscire dall’ano o per lacerazione delle pareti intestinali. Il seppellimento o la sommersione in acqua può escludere la necrofagia entomologa purché avvenga prima della colonizzazione da parte di insetti. Ma se una carcassa torna in superficie per galleggiamento la parte emersa può essere colonizzata. Anche l’ambiente acquatico ha i suoi necrofagi, mammiferi, pesci, crostacei, echinodermi, molluschi ed anellidi. L’azione di larve può indurre un aumento della temperatura. Animali viventi o morti da poco sono molto resistenti alla distruzione fisica, anche in ambienti turbolenti, mentre la decomposizione produce fasi gassose che alterano in modo sostanziale le proprietà idrodinamiche delle carcasse. Carcasse gonfie e galleggianti si disarticolano rapidamente disseminando parti scheletriche sul fondo. La propensione di una carcassa a galleggiare dipende dalla resistenza dei tessuti, dalla velocità di formazione dei gas putrefattivi e dalla pressione idrostatica. I tessuti raggiungono un grado di indebolimento tale che ad un certo punto i gas fanno scoppiare la carcassa. Anche la regione dove si sviluppa il gas è importante: può fuoriuscire più facilmente dalle cavità celomatiche che dagli interstizi della carne. Il rapporto superficie/volume influisce sulla formazione del gas. In grandi carcasse si diffonde meno facilmente O2 a causa del minore sviluppo della superficie corporea. Ciò favorisce la metanogenesi e la putrefazione. La maggioranza degli animali affonda al momento della morte e poi torna a galleggiare in seguito alla formazione dei gas putrefattivi. Man mano che aumenta la pressione idrostatica con la profondità diminuisce il volume di gas putrefattivi e la capacità di questi di indurre galleggiamento. Con ulteriori studi saremo in grado di utilizzare il grado di articolazione come indicatore paleobatimetrico. L’idrogenizzazione degli acidi oleici insaturi in acidi grassi, detta anche saponificazione, è una reazione che produce adipocera, che è da biancastra a giallo scura a brunastra, opaca: si palesa a partire dalla 6a settimana dopo il decesso e si verifica in cadaveri sommersi in acqua o inumati in terreni umidi. Può ostacolare la decomposizione. È prodotta da batteri anaerobici in ambiente umido, e aderisce alle ossa o anche ai muscoli, preservandoli. L’adipocera può creare un ambiente anaerobico e protetto, rallentando la decomposizione del tessuto su cui si forma e potenzialmente ritardando anche la liquefazione in quell’area. Le

adipocere conservano l’impronta dei muscoli anche dopo che questi vengano eventualmente dissolti. In ambiente caldo-umido l’adipocera viene formata in meno di 1 mese, nel qual caso appare dura e friabile, mentre in carcasse immerse in acqua o sepolte in suolo umido in ambienti temperati si forma in vari mesi, e allora si presenta molle e pastosa. L’adipocera aumenta le probabilità che uno scheletro resti articolato. La presenza, in paludi ricche di resti vegetali, di composti polifenolici strutturali prodotti di decomposizione, quali tannini, aumenta la resistenza alla decomposizione. In condizioni anaerobiche, una iniziale decomposizione batterica determina lo sviluppo di un ambiente anaerobico nei fanghi vegetali, che tuttavia blocca un ulteriore avanzamento dell’alterazione batterica per eliminazione di possibili terminazioni degli accettori elettronici. In ambienti aridi è frequente la mummificazione, soprattutto in animali morti poco dopo la nascita perché non hanno ancora sviluppato colture batteriche intestinali e in quelli morti alla nascita perché non hanno ancora contaminazioni polmonari. Una minima umidificazione delle mummie riattiva la decomposizione. È dunque una conservazione effimera. Riassumendo, vi sono varie condizioni post-mortem che rallentano o anche ostacolano il progresso della decomposizione. Questi comprendono: 1. la formazione di adipocere; 2. la conservazione in paludi sotto l’influenza di acidi umici ed in condizioni di deficienza di ossigeno; 3. la mummificazione in condizioni aride e aerate. La decomposizione dei tessuti connettivi, dei muscoli, tendini, ecc., può comportare la disarticolazione degli scheletri. La distruzione del collagene e dei composti organici che tengono uniti gli acicoli di idrossiapatite porta alla macerazione stessa delle ossa. Predazione e bioconfezione → alcuni predatori digeriscono le parti molli e rigurgitano le parti dure in forma di bolo. L’effetto della predazione dipende dal rapporto dimensionale predatore/preda. Se la preda è più grande del predatore lo scheletro può preservarsi anche in seguito alla rimozione delle parti molli. Ferite mortali possono accelerare la decomposizione e ridurre quindi il potenziale di conservazione. Infatti microbi possono introdursi nei tessuti dalle ferite ed iniziare la decomposizione prima della morte dell’animale. Come nella predazione nel caso della necrofagia il potenziale di conservazione dipende dalle dimensioni del necrofago e dalla dimensione e forma della carcassa. L’azione di grandi vertebrati comporta più facilmente disarticolazione rispetto all’azione di invertebrati. L’azione di rimozione di parti molli di insetti saprofagi è di 1 o 2 ordini più rapida di quella operata dai soli batteri. La combustione è un altro processo di eliminazione di parti molli. Nel caso di combustione di piante, evaporano linfa e tutti gli elementi volatili della sostanza organica componente, e cioè ossigeno, idrogeno e azoto. Il residuo è uno scheletro formato dal solo carbonio. Anche le parti dure mineralizzate sono soggette ad alterazione → La modificazione delle parti scheletriche possono consistere in fenomeni di bioerosione.

Molti carnivori inghiottono frammenti ossei o piccole ossa intere, come falangi, basipodiali, ecc. L’osso deglutito può sopravvivere al transito attraverso tutto il tratto digerente ed essere espulso presentando una tipica corrosione configurabile tra i processi di dissoluzione prediagenetica. → anche l’alterazione meteorica si configura tra le cause di modificazione delle parti dure mineralizzate; → un organismo morto può andare incontro a trasporto. La forma più classica e più frequentemente documentata di trasporto è quella della dislocazione idraulica in un fiume. Il trasporto fluviale può comportare logorio meccanico, e cioè abrasione e frantumazione. Il seppellimento può avvenire in detriti minerali, in detriti organici o in fluidi. Alcuni casi classici di inglobamento in fluidi sono le sabbie mobili e l’ambra. In contesto marino, nel primo tratto di sedimento sono presenti ossigeno libero e acidi derivanti dalla decomposizione, operata da batteri, degli organismi che, morendo, si accumulano sul fondo e che vengono sepolti nel sedimento. È dunque un ambiente molto aggressivo nei confronti dei resti organici che vi si trovano esposti. L’attività batterica demolisce le parti organiche molli e libera acidi che aggrediscono anche le parti scheletriche, sciogliendole.

In contesto continentale, resti organici che finiscono sepolti sono esposti, nel tratto più superficiale di sedimento, ad acidi derivanti sia dalla decomposizione, operata da batteri, sia dagli acidi umici, prodotti dalle radici delle piante, sia da acqua pluviale, che è debolmente acida. È dunque un ambiente molto aggressivo nei confronti dei resti organici che vi si trovano esposti. Man mano che si scende in profondità nei sedimenti l’attività batterica, intensa nei livelli ricchi di ossigeno e anche nei primi livelli privi di ossigeno libero, si riduce progressivamente, mentre l’effetto fisico di schiacciamento dell’accumulo sedimentario cresce. La deformazione fisica: La velocità alla quale respirano e si moltiplicano i microbi demolendo la materia organica dipende: 1. dalla natura della materia organica; 2. dalla temperatura; 3. dall’apporto di O2;

4. dall’ambiente deposizionale; 5. dalla velocità di seppellimento. Natura della materia organica → la materia organica è composta da C, O, H, N e P. Le molecole volatili sono rapidamente consumate attraverso la respirazione batterica, mentre altre vengono degradate molto più lentamente. I polimeri con un solo tipo di legame chimico e quelli composti da un solo tipo di monomero vengono rapidamente demoliti. Le molecole più complesse richiedono più tempo, perché occorre un consorzio di enzimi microbici per demolirle. Temperatura → la velocità della degradazione microbica della materia organica aumenta all’aumentare della temperatura fino ad un optimum oltre il quale le reazioni vengono inibite e le proteine e le membrane cellulari si alterano. In generale la velocità di decomposizione raddoppia ogni 10° C di aumento di temperatura. Tuttavia, la modificazione di altri fattori di controllo ad alte temperature può accelerare la decomposizione di 3 o 4 ordini di grandezza. Apporto di O2 → con la respirazione i batteri aerobici combinano la materia organica con O2 demolendola in CO2 e H2O. Se la quantità di materiale da demolire supera la quantità di O2 l’ambiente diventa anossico. A questo punto i batteri utilizzano una serie di accettori elettronici alternativi. In un profilo sedimentario ideale tali reazioni sono stratificate con liberazione decrescente di energia. Ma in molti profili sedimentari le acque interstiziali sono prive di alcuni di questi ossidanti. Lo scostamento più ovvio riguarda i solfati che abbondano nelle acque marine, ma che sono carenti nelle acque dolci. Al contrario, i nitrati abbondano nelle acque dolci e sono rari nelle acque marine. Perciò lo spessore della zona riducente varia a seconda delle concentrazioni ioniche delle acque interstiziali e questo riflette l’ambiente deposizionale. Prove di laboratorio indicano che la demolizione aerobica ed anaerobica procedono, a parità di materiale organico, con velocità paragonabili. Ambiente deposizionale → la permeabilità del sedimento può influenzare il trasporto di nutrienti ai batteri demolitori. Nelle argille l’impermeabilità impedisce l’apporto di O2 ai microbi, promuovendo l’anossia. Al contrario, la bioturbazione può apportare nutrienti accelerando la decomposizione. La decomposizione è inibita in presenza di acque interstiziali tossiche, come abbiamo nelle torbiere, dove acidi tannici e derivati fenolici vengono prodotti dalla decomposizione delle piante. Ma tali prodotti intaccano il collagene, dissolvendo le ossa. Velocità di seppellimento → è comunemente riconosciuto che un seppellimento catastrofico può portare alla conservazione delle parti molli per isolamento dai necrofagi e bioturbatori e per l’anossia che induce (es. Burgess Shale). Col crescere della profondità cala il numero di batteri. Ciò riflette l’apporto di ossidanti e la disponibilità di materia organica. L’introduzione di solfati o materia organica aumenta la biomassa batterica. Perciò il seppellimento rapido di per sé non inibisce la decomposizione. La decomposizione può essere inibita da mineralizzazione diagenetica precoce in ambiente anossico, in torbiere ed in permafrost. In quest’ultimi

2 ambienti l’effetto inibitorio è effimero alla scala dei tempi geologici. Anche l’adipocera, che si forma facilmente in presenza di tessuti grassi, richiedendo la sola presenza di acqua, non conferisce stabilità a lungo termine, se non funziona come precursore alla mineralizzazione diagenetica. Acidi nucleici: Vengono facilmente idrolizzati quando la cellula muore. Il DNA si conserva solo in materiale molto recente ed in campioni molto ben conservati. In resti di appena 100 anni il DNA originario è ridotto appena all’1%. Frammenti di DNA originario è stato rinvenuto in mummie egizie di 3000 anni, o da tessuti cerebrali di 7000 anni conservati in palude. Tuttavia, con tecniche di amplificazione molto potenti è possibile risalire all’originale sequenza di DNA. La stabilità extracellulare degli acidi nucleici è relativamente elevata grazie all’azione stabilizzatrice delle superfici minerali. Le tecnologie di amplificazione della sensitività hanno permesso di rilevare frammenti di geni originari su ossa, semi e foglie. Proteine: Le proteine strutturali sopravvivono più a lungo nel record geologico di quanto non facciano gli enzimi. L’idrolisi chimica tuttavia distrugge velocemente le proteine. Le proteine si conservano più a lungo dei nucleotidi, specie in ossa e gusci. Monomeri di proteine possono essere stabilizzati per assorbimento da calcite, quarzo e minerali argillosi. Si prendono perciò in considerazione piuttosto le proteine racchiuse e stabilizzate dai biominerali o minerali abiotici. Con tecniche elettroforetiche sono state isolate proteine in gusci di foraminiferi di 300.000 anni. Il collagene di ossa e denti è stato utilizzato per studi tassonomici, di diagenesi delle proteine e per identificazione di paleodiete. Carboidrati: I carboidrati più semplici sono i monosaccaridi. I polisaccaridi hanno funzione sia strutturale che di accumulo energetico e questo si riflette nelle diverse caratteristiche della cellulosa (struttura) e dell’amido (accumulo energetico). L’amido ha struttura elicoidale, mentre la cellulosa è in forma di lunghe catene. Queste lunghe catene si legano fra loro con legami a idrogeno a formare matasse ritorte a spago e a loro volta varie matasse si legano a formare fibre. La cellulosa è il carboidrato più importante nel tessuto legnoso ed il principale componente strutturale delle piante verdi. È forse la macromolecola più diffusa nella biosfera. A dispetto di ciò viene rapidamente riciclata dai microorganismi. Tuttavia saccaridi intatti sono stati estratti da sedimenti mesozoici e residui sono noti anche da rocce cambriane e precambriane. Anche i carboidrati, come le proteine, vengono degradati più velocemente dei lipidi o della lignina. Anche monomeri di carboidrati possono essere stabilizzati per assorbimento da minerali, quali ad es., calcite, quarzo e minerali argillosi. Lignina: È un importante componente delle piante vascolari. Nel legno intrecci di cellulosa sono immersi in lignina formando una struttura composita molto robusta. È uno dei biopolimeri più resistenti al degrado chimico. Si conoscono derivati della demolizione della lignina da resti vegetali carboniferi. Anche la lignina può essere degradata, in condizioni anaerobiche, seppure lentamente.

Lipidi: I lipidi sono sintetizzati da tutte le cellule e usati per varie funzioni, soprattutto nella struttura della membrana cellulare e come immagazzinatori di energia. Molti prodotti derivanti dalla demolizione dei biolipidi sopravvivono all’azione microbica e vengono sepolti nei sedimenti sotto forma di geolipidi. Al contrario dei polisaccaridi e delle proteine, che vengono decomposti in componenti solubili, i lipidi tendono ad essere resistenti all’attacco chimico. Essendo insolubili in acqua possono essere incorporati nel kerogene, cosa che ne aumenta il potenziale di conservazione. La conversione da bio- a geolipidi comporta una perdita d’informazione a causa dell’alterazione strutturale. L’originale classe dei lipidi può essere riconosciuta anche dopo le modificazioni diagenetiche, le quali ci danno informazioni utili sulla storia dei sedimenti dopo il seppellimento. La fossilizzazione: • mummificazione • carbonificazione Il processo più diffuso di fossilizzazione è la sostituzione o mineralizzazione: a. Guscio originale b. Guscio disciolto e sviluppo dell’impronta interna ed esterna c. Ricristallizzazione d. Sostituzione → si ha riempimento minerale delle porosità ossee, sostituzione delle pareti ossee Il collagene, nel quale sono dispersi i cristalli, comincia a deteriorarsi durante le prime fasi di decomposizione della carcassa per azione dei batteri e continua con il seppellimento in seguito all’idrolisi; questo processo aumenta la porosità delle ossa e favorisce il contatto tra i cristalli di apatite e il sedimento, le acque interstiziali e gli elementi in esse disciolte. I fenomeni che conducono alla fossilizzazione delle ossa sono piuttosto complessi e ancora poco conosciuti, ma in generale sembra che il processo sia guidato dalla progressiva dissoluzione del collagene. L’apatite è termodinamicamente metastabile e viene disciolta e ricristallizzata quando i cristalli sono esposti in seguito alla scomparsa del collagene: in condizioni favorevoli l’idrossiapatite non stechiometrica si trasforma in fluorapatite [Ca10(PO4)6F2] o francolite [varietà di carbonati della fluorapatite (Ca,Mg,Sr,Na)10(PO4,SO4,CO3)6F2−3 )], che sono forme di a...


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