Storia DELL\' Europa Contemporanea- UNIFI RISE PDF

Title Storia DELL\' Europa Contemporanea- UNIFI RISE
Author mariaelena tognar
Course Storia dell'europa contemporanea
Institution Università degli Studi di Firenze
Pages 28
File Size 746.6 KB
File Type PDF
Total Downloads 17
Total Views 119

Summary

Appunti di tutte le lezioni del Corso di Storia dell'Europa Contemporanea...


Description

STORIA DELL’EUROPA CONTEMPORANEA 18 lezioni su 24 per essere considerati frequentati. 22/02/21

La violenza politica nel ‘900. Kershaw → autore del saggio La questione di partenza del saggio di K. è un tratto della storia del ‘900, non solo di questo periodo ma nel quale essa ha un peso molto importante. Un aspetto rilevante della violenza politica è la violenza nei confronti dei civili. Nelle prime 4 decadi del ‘900 sono caratterizzate da enorme violenza contro i civili. “Enorme” richiama la quantità dei civili coinvolti in questa violenza. Nella Prima guerra mondiale, 5 milioni di persone civili morte; nelle Seconda guerra mondiale circa 40 milioni di morti tra civili e militari, 2/3 delle vittime sono civili. La guerra coinvolge le popolazioni, che si trovano al centro del conflitto. La Polonia è un esempio: la guerra dura un mese ma il massacro di civili continua per 5-6 anni. Questa violenza non è uno scopo di guerra, non sono vittime dei bombardamenti. I rifugiati, le persone che hanno abbandonato i territori in cui risiedono per la guerra, nel periodo 19181922 siano circa 4-5 milioni di persone, dopo la Seconda guerra mondiale si calcola circa 40 milioni di persone. Le domande che K. si pone e che fanno da cornice sono 4: • Quali sono le cause di questa violenza contro i civili → sicuramente la Prima guerra mondiale ma non solo. Non è stato solo il conflitto tra gli eserciti di vari stati e che ha avuto come effetto la violenza contro i civili. La guerra è stata un contesto rilevante. Secondo K. un ruolo importante lo hanno avuto le ideologie. L’ideologia è un modo di leggere il mondo. Dobbiamo rilevare il peso che hanno avuto certe ideologie non solo riducendolo ad essere ideologie negative. Le ideologie sono diverse che hanno contribuito a queste vicende, espressione di soggetti diversi. Era diffusa all’interno della società europea un modo di leggere criticamente la società del tempo, la società borghese nata alla fine dell’800, che faceva ricorso all’esaltazione della violenza come strumento di rifondazione della società e dei suoi valori (come il Futurismo italiano); un altro filone è quello che esalta l’etnicità, cioè l’idea di popolo, concependo l’idea di popolo come un diritto all’esistenza da affermare con la violenza, fatto proprio dalla società di massa, la maggioranza che ha diritti di affermarsi anche con la violenza. Un altro filone ideologico è tutta l’eredità che si è sviluppata attraverso l’espansione coloniale, un modo di leggere il mondo che ha consolidato, attraverso il dominio coloniale, l’idea per cui coloro che sono più forti sono anche i più evoluti. La violenza è legittimata dall’essere dalla parte giusta della storia. Assume un carattere razzista, dove la violenza è legittimata dall’essere dalla parte della civiltà. Un ultimo filone ideologico è quello che prende piede nei territori in cui si sta costruendo un progetto socialista, nella Russia sovietica, socialismo che è nato con ideali umanitari che scopre, nel momento in cui si costruisce in guerra civile, l’importanza della dimensione autoritaria che si rivela essere un’indispensabilità per costruire il socialismo, per cui è legittimo ricorre alla violenza in quanto unico modo di costituire il socialismo. Nasce in un contesto di guerra e guerra civile ma non lo giustifica. Queste ideologie trovano largo spazio proprio perché il contesto è quello di guerra e rivoluzione che rendono plausibile la brutalità esperita durante il conflitto a mettere sullo stesso piano la violenza che viene giustificata dal difendere un popolo o fermare la guerra. Germania e Russia sono i terreni in cui si combatte la guerra e dove si realizza più violenza contro i civili. Dunque, non solo la guerra ma anche le ideologie che si sviluppano durante la guerra. •

Quale ruolo hanno gli stati nazionale in questa violenza →la guerra aiuta e ha un impatto decisivo ma contano le culture politiche di questi stati. Le violenze non si manifestano nelle stesse maniere in tutti gli stati ma tendenzialmente in certi contesti è minori, dove ci sono certe istituzioni con certe caratteristiche e più alte in altre. Nelle istituzioni democratiche vincitrici del conflitto la 1

violenza è minore, dove non ci sono fermenti rivoluzionari, dove non ci sono dispute territoriali dove le ambizioni imperialiste sono soddisfatte, dove l’identità nazionale è fondata su un insieme di valori liberaldemocratici. Sul lato opposto, la violenza è maggiore dove le istituzioni liberal o liberal democratiche sono più deboli, in stati che sono stati sconfitti o umiliati dalla guerra, dove ci sono conflitti tra rivoluzione e controrivoluzione, dove ci sono perdite territoriali o ambizioni territoriali insoddisfatte, dove c’è una concezione etnico-culturale della nazione. •



Questa violenza del XX secolo ha una sua specificità, è una violenza “moderna” rispetto ai secoli precedenti non solo da un punto di vista quantitativo ma anche da un punto di vista qualitativo → secondo alcuni fu più moderna per tutte le ragioni sopra citate perché le ideologie sono un carattere del tardo 800 e del 900. Le violenze dei secoli precedenti erano orientate dai valori e dal credo religioso, non meno violente, ma ci si può sempre convertire e questo fa cessare la violenza. Di fronte alla componente ideologica è più difficile convertirsi soprattutto se l’avversione si basa su l’appartenenza di classe o sul parlare una certa lingua. L’altro elemento che fa parlare di modernità è l’utilizzo di strumenti moderni, l’uso della burocrazia, della logistica, la scienza e la tecnologia che aiutano il massacro. Questi elementi ci sono quando sono messe in atto dallo stato. 23/02/21 Che rapporto c’è tra prima e seconda metà del secolo. La prima è più affollata di episodi di violenza mentre sono minori nella seconda metà → la risposta schematica a questa domanda prende atto che effettivamente le violenze contro i civili sono minori una volta conclusa la Seconda guerra mondiale, dal 1950 in avanti. Le spiegazioni che si danno riguardano due elementi: la Guerra fredda con il suo sistema di controllo sui blocchi dalle potenze egemoni costituisce un fattore di ordine; il secondo fattore è la Golden Age, una fase di prosperità sociale e stabilità sociale. I conflitti in ex Jugoslavia o in Kosovo sono considerati manifestazioni locali ma non paragonabili per importanza a quelli accaduti nella prima metà del secolo. Se guardiamo fuori dall’Europa troviamo molti episodi di decolonizzazione e la costruzione di nuovi stati dà origine a violenza contro civili inermi. Quindi la minor violenza della seconda metà del secolo riguarda l’Europa ma nei processi di decolonizzazione la violenza è stata fortemente usata contro i civili.

Questo per dare un primo quadro sommario che ci troveremo ad affrontare e delle domande che dobbiamo porci. Quale è stato il ruolo dell’Europa in questi fenomeni? → l’Europa è stato il teatro di queste violenze contro i civili ma è stata anche motore di queste violenze, gli stati europei che agiscono non solo tra di loro ma anche all’esterno. Queste violenze sono state perpetrate a partire dagli anni ’70 dell’800 in due contesti. Il primo è a crisi dei vecchi imperi europei ma anche nel contesto esterno, nella globalizzazione di fine Ottocento che costruisce gli imperi coloniali e più rapporti con la Cina, l’Europa è stata motore di violenze all’esterno del proprio territorio. Ricordiamo ancora che la violenza contro i civili non sono mancati momenti di violenza all’interno del continente anche dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Vi sono degli autori che hanno proposto una periodizzazione articolata in 5 fasi. Questi autori sono Blox-ham e Gerwardh • La fine dell’Ottocento • La Prima guerra mondiale e le vicende coeve o immediatamente successive • 1936-1945 la guerra civile spagnola e la Seconda guerra mondiale • Guerra fredda e decolonizzazione • Dopo guerra fredda La domanda che si pongono è “Tutti questi episodi rispondono a una o alcune logiche unitarie e ricorrenti o sono la somma di violenze che si accendono?” Sono espressione di fenomeni politici più vasti o esplosioni di violenza? → fenomeni politiche che prevedono il ricorso alla violenza come strumento per conseguire il risultato. La chiave di lettura proposta dai due autori è che dobbiamo vedere questi fenomeni dalla prospettiva geo-strategica, della geografia e dei rapporti spaziali fra gli stati e collocare in questa geografia 2

la strategia degli stati. Secondo gli autori è necessario guardare agli stati e alle strategie usate per controllare il loro territorio e alla competizione tra gli stati. Nessuno stato agisce pensando a se stesso collocandosi dentro un sistema, dentro una rete di relazioni che unisce o contrappone i diversi stati. Questa violenza deriva dai disegni strategici che gli stati elaborano nella competizione che si trovano a vivere nel sistema. Dobbiamo guardare agli stati nel loro sistema. Se si guarda al sistema si osserva la crisi degli imperi e la nascita degli stati nazionali. Gli stati competono in maniera violenta per il controllo dei propri territori. Uno sguardo di questo tipo ha diverse implicazioni. Una di queste è il fatto che dobbiamo tenere conto di linee di conflitto di tipo diverso. Dobbiamo guardare al sistema competitivo degli stati. La storia non ruoto tutta intorno alla frattura destra/sinistra ma anche tra opposti nazionalismi, tra soggetti analoghi. I nazionalismi hanno tutti gli stessi strumenti, obiettivi, valori di riferimento ma sono per natura in competizione, una competizione rilevante nella storia contemporanea. Questa tipologia di conflitto non esclude ma si intreccia a quella valoriale. Un’altra questione quando si guarda agli stati come sistema consiste nel fatto che in questo sistema esistono delle gerarchie, non rigide, ma ci sono stati che stanno in una posizione dominante ed altri in una subalterna, oppure in posizione centrale o periferica. Questa distinzione riprende l’analisi di Vallerstain: ci sono dei luoghi in cui stati esistenti costituiscono il centro del sistema e tutti gli stati che nasceranno successivamente si troveranno nella periferia di quel sistema. A partire dalla fine dell’800 ci sono una serie di fattori che implicano l’uso della violenza: • L’affermazione dello stato-potenza l’espansione della potenza dello stato in zone periferiche in cui lo stato era poco avvertito • Lo spostamento di equilibri tra gli stati soprattutto in Europa centrale (paesi compresi fra Germania e Russia), pensiamo alla nascita di nuovi stati • L’affermarsi della politica di massa, dove le masse sono pienamente coinvolte come soggetto non solo attivo ma anche ideale. Si parla in nome della classe, della nazione, del popolo. La somma di questi fattori è un combustibile incendiario delle violenze. Il nazionalismo si propone come fattore unificante della società ma al tempo stesso è un fattore divisivo perché unifica in nome di un riferimento nazionale ma divide perché separa quella comunità rispetto al resto delle comunità ed espelle quelli che ritiene estranei alla nazione. Il nazionalismo non esiste di per sé, è un progetto politico che si basa sulla nazione, la considera un’entità omogenea ed escludente e vuole costruire uno stato. Il diffondersi di questi progetti crea conflitti all’interno degli imperi perché crea competizione tra le nazioni e inoltre i governi imperiali reagiscono all’emergere di queste spinte, sia con iniziative che aboliscono il riconoscimento delle identità nazionali sia anche con l’autoritarismo nei confronti delle minoranze ritenute non integrabili. Questi problemi diventano più gravi nell’Europa della prima metà del ‘900, in Europa centrale. Sembra non esserci alternativa per risolvere questa situazione se non ricorrere alla violenza. È qui che la violenza prende spazio. Anche dentro l’impero Austro-Ungarico si discuteva da tempo di nazioni e nazionalità, in fondo il 1896 lo sdoppiamento della monarchia era stato una risposta a questo problema. Alle soglie del ‘900 si ritiene che l’unica strada sia il ricorso alla violenza. Un punto di partenza sono gli anni ’70 dell’Ottocento quando all’interno dell’impero Ottomano nascono degli stati indipendenti nei Balcani, la Serbia per prima, e viene messo in difficoltà da una minaccia esterna come l’impero zarista. L’impero Ottomano si trova di fronte a due fenomeni: • La nascita di stati indipendenti al suo interno • La pressione esterna sul Caucaso da parte dell’impero zarista C’è una doppia minaccia, interna ed esterna per l’impero ottomano. Questi fenomeni di conflitti per la nascita di questi stati furono accompagnati da fenomeni di “pulizia etnica”, di allontanamento di molti musulmani e sono questi episodi che alimentano la nascita di una forza politica interna all’impero che vive di questa memoria, i Giovani Turchi, che si nutre di questa memoria: l’impero mostra la sua debolezza, dobbiamo rifondare l’impero, impedire che si rinnovino fenomeni di quel tipo che hanno portato all’espulsione di musulmani da quei territori. 3

Il congresso di Berlino, 1878, che sancisce questi passaggi tutt’altro che pacifici ha l’effetto di legare il conflitto tra le grandi potenze ai conflitti nazionali perché ogni potenza sta dietro questi nascenti stati nazione. Le dinamiche locali si legano ai conflitti tra le grandi potenze. Qui è il nodo: i vecchi imperi si confrontano tra di loro ma anche con i nuovi nazionalismi che stanno nascendo al loro interno o all’interno dello stato vicino. L’emergere dei nazionalismi complica il quadro sia perché nasce al suo interno sia perché vengono sfruttati dagli altri stati per indebolirli. Questa dinamica prende in pieno le due guerre mondiali. Le guerre mondiali sono conflitti tra stati ma coinvolgono i civili se le vediamo come conflitti in cui si disgregano i vecchi imperi e nascono i nuovi stati. Questi fenomeni di violenza sui civili, compresi i genocidi, stanno dentro a queste dinamiche, non sono determinati solo dai nuovi stati, dai vecchi imperi quando cercano di riconfermare il loro potere. 24/02/21 È necessario ripensare ai rapporti tra le due guerre. la continuità delle istanze nazionali che sono emerse o hanno cercato la loro occasione nella Prima guerra mondiale continuano ad essere presenti, a protrarre il conflitto della guerra agli anni successivi ed alimentano l’idea di una rivincita o comunque che deve essere perseguito anche nella Seconda guerra mondiale, pensiamo ai Balcani, ai paesi baltici, sarà un’occasione per dare spazio a queste istanze. C’è un nesso tra i due conflitti, ci sono cicli di conflittualità che si aprono intorno al primo conflitto, che si protraggono anche dopo la fine della guerra e si riaccendono nel secondo conflitto. Ciò significa che la prima, ma anche la seconda guerra, hanno datazioni che devono essere considerate flessibili. È quello che dice Gerwardh nel suo libro più importante “La rabbia dei vinti. La guerra dopo la guerra 1917-1923”. La Prima guerra mondiale si chiude nel 1918 ma ha dei proseguimenti che non sono degli strascichi ma sono legati alla questione del conflitto per la costruzione dello stato. Si calcola che nei 5 anni successivi al primo conflitto, le vittime dei conflitti armati siano più numerose delle vittime subite da USA, UK e Francia nella guerra. Il prolungamento della guerra ha due conseguenze principali: • Una che occorre ridimensionare o approfondire ovvero il discorso sugli esiti della guerra → la guerra mondiale è stata molto violenta, ha portato ad una brutalizzazione dei comportamenti che emergono nel dopoguerra. Secondo Gerwardh, questa idea va precisata: non è solo una brutalizzazione dei modi di agire. È in realtà dovuto al fatto che guerre nazionali e conflitti sociali questi ultimi assumono una connotazione rivoluzionaria a partire dal 1917. Non è semplicemente un umore che si diffonde ma il fatto che i conflitti stessi proseguono, perché non si sono conclusi o perché, quelli di carattere rivoluzionario, si aprono. Non c’è una cultura della violenza alimentata dalla guerra ma ci sono conflitti precisi legati a linee di frattura. Sono questi conflitti molto violenti che si dispiegano alla fine della guerra, dal 1917 al 1922-23, che innescano questa dinamica di violenza anche contro i civili che avrà, a partire dal 1939, una forma genocidaria. • La seconda si accompagna alla prima → in questi conflitti la distinzione tra gli eserciti regolari e i civili tende ad essere sempre più sottili. Gli eserciti regolari sono spesso delle milizie, sono meno caratterizzati come eserciti che porta a distinguerli meno dai civili. Matura in questi conflitti la logica dell’annientamento del nemico. Fin quando esiste il nemico non è possibile arrivare alla pace. Nelle guerre in cui è da costruire la nazione, dove il nemico è esterno ed interno, esso deve essere eliminato. Il nemico può essere esterno o interno ma anche questa distinzione diventa più sfumata. Comincia a maturare l’idea che la comunità che si sta costruendo deve essere depurata. È una logica che risale alle guerre coloniali, che in alcuni casi assumono l’idea che i nativi che vanno battuti con le armi sono quelli che non è possibile integrare: le guerre Balcaniche si sono basate su questa idea, il genocidio degli armeni. I conflitti dopo il 1918 sono frutto sia della vittoria che della sconfitta del 1918, si inseriscono nel progetto di costruzione degli stati nazione, vissuto come incompiuto che viene poi ripresi nel 1945. Il nesso tra Hitler e la Prima guerra mondiale è molto forte e rivendicato, così come Mussolini che presenta il fascismo come figlio erede della guerra e la guerra che verrà e le iniziative che la precedono servono a completare ciò che abbiamo o non abbiamo fatto nella Prima guerra mondiale 4

Non si può leggere il ‘900 soltanto come guerra civile ideologica, progresso contro reazione, è una lettura unilaterale ma Diner ci dice che sarebbe altrettanto unilaterale adottare una lettura che mette al centro in modo esclusivo i fattori etnici e geografici. Queste due chiavi di interpretazione si devono combinare tra loro, sono due linee di conflitto che si intrecciano. L’interagire di queste due dimensioni rimanda ad un intreccio che passa dall’ideologia alla natura dei conflitti. Abbiamo parlato di due tipi di conflitti: • Guerre → inteso come conflitto tra stati • Rivoluzioni Non è che le guerre si fanno sulla base dei principi nazionali e le rivoluzioni sulla base dei principi ideologici ma quell’intreccio fra le due assi tematiche, progresso-reazione e conflitto etnico, si combinano e combinandosi danno vita a delle guerre, a conflitti esterni, sia a rivoluzioni, ovvero conflitti interni. La distinzione tra i due momenti è una distinzione che è difficile rendere assoluta. Se poi allarghiamo lo sguardo temporalmente o in alcuni casi è evidente in sé, in alcuni casi la guerra interna (intesa come la rivoluzione o guerra civile → è la guerra tra i cittadini per determinare l’ordine politico della comunità a cui appartengono) e la guerra esterna si intrecciano. Guerra interna ed esterna non sono sempre così distinguibili. Le guerre esterne sono conflitti tra gli stati ma anche conflitti ideologici, identitari. Nel momento e nelle aree che ci interessano di più abbiamo conflitto tra potenza ma anche intreccio tra crisi degli imperi e nascita degli stati nazione. La violenza politica la colleghiamo ai conflitti tra stati, tra gli imperi e gli stati nazione. A questo punto vale la pena mettere a fuoco cosa significa stato nazionale e imperi perché è da lì che partiamo. • Stato nazione → vuole esprimere una nazione che è immaginata come omogenea e naturalmente il territorio su cui vive questa comunità e quindi su cui lo stato esprime la sovranità. La tripartizione dei poteri, anche se adottata dagli stati nazione in alcuni casi, non è un tratto distintivo. È uno stato che cerca di esercitare una piena sovranità. Ha l’obiettivo di creare ed esprimere una nazione. • Impero → non è necessariamente autoritario. Quello che lo caratterizza è la pluralità interna, una pluralità di culture, lingue, religioni anche quando una religione è dominante non è esclusiva. Pluralità nelle forme di amministrazione che sono diverse per territori o per ceti, magari le città hanno normative privilegiate. Quello che unifica è il sovrano. La f...


Similar Free PDFs