PAUL Poiret PDF

Title PAUL Poiret
Author Alice Spada
Course Cultura della moda - Moda Contemporanea
Institution Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM
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Summary

Vita e lavoro di Paul Poiret...


Description

PAUL PORET Gli esordi Agli inizi del novecento l’haute couture rappresentava il modello produttivo di punta della moda parigina. Poiret era figlio di un commerciante di tessuti e aveva mostrato fin da piccolo una forte propensione per il disegno e le arti figurative. Doucet vedendo i suoi figurini, gli propose di lavorare in esclusiva per lui. Qui imparo il mestiere del couturier di lusso e soprattuto una sapienza che gli portava venire solo dalla pratica di atelier: l’arte del dettaglio. Intuendo il suo spiccato senso per la teatralità, gli affido la realizzazione di costumi di scena per alcuni attrai clienti della Maison. Nel 1900 Poiret partí per il sevizio militare e al suo ritorno trovó lavoro da Worth. Erano gli anni di crisi quando Jean-Philippe si era reso conto che gran parte della clientela del padre era invecchiata e costringeva la Maison ad uno stile non più alla moda, che non poteva attirare nuove clienti. L’impegno affidato a Poiret era di grande rilievo: rinnovare l’immagine della Maison con creazioni più “giovanili” ed adatte alla e signore del nuovo secolo. Egli tentó un tailleur dalla linea molto semplice e con un mantello a kimono di panni nero, ma la clientela di Worth era troppo affezionata al gusto vistoso ed ai grandi ricamo per accettare la novità. Il rapporto non si concretizzò e si concluse presto. Maison Poiret Nel 1903 Poiret aprí la sua prima Maison al 5 Rue Auber, dietro all’Opéra. Egli non aveva una vera fama personale cui legare il proprio esordio. Doveva quindi attirare l’attenzione delle possibili clienti. Utilizzó la vetrina di cui era dotato l’ateleir per creare esposizioni spettacolari. La sua moda nacque sotto il segno della semplificazione e dell’innovazione delle linee. Nel 1905 realizzó un mantello-kimono che fu pubblicato sulle riviste di moda con il nome di “Révérend” e che egli ritenne fondamentale per il suo percorso professionale. Il modello di Poiret si inseriva nella voga del giapponesismo che in quegli anni aveva invaso Parigi. Poiret ne propose una trasformazione radicale: un capo occidentalizzato ed usato come soprabito. Egli rompeva in modo definitivo con la silhouette femminile di moda in quegli anni, modellata dal busto e dai corpetti aderenti. Nello stesso anno del mantello-kimono, Poiret sposó Denise Boulet che in breve diventó la sua musa ispiratrice. L’Atelier stava ottenendo il successo sperato e lo spazio divenne tropo angusto per le sue necessità. Si espande al 37 di Rue Pasquier, dove Poiret mise a punto la sua vera sfida alla moda dominante, eliminando il busto che costringeva il corpo femminile ad assumere la linea ad S, e sostituendolo con una cintura rigida e steccata alla quale era cucita la gonna. Il busto lo sostituì con una guaina più lunga, che aderiva al corpo in modo uniforme e costringeva soprattuto il seno e il sedere. Se questo rappresentó già una notevole passo in avanti, fu più importante la conseguenza di quasi tutta la biancheria che fino a quel momento si collocava sotto le gonne. L’ispirazione neoclassica Poiret cominciò intorno alla nuova linea e a un’idea di donna assolutamente innovativa. L’ispirazione era rivolta alla moda neoclassica degli anni del Direttorio, ma il percorso creativo fu più complesso rispetto a quello di un semplice revival: egli si concentrò sulla struttura di quel modello vestimentario cercando di coglierne gli elementi fondamentali a cui agganciare la propria progettazione di un abito completamente nuovo. Il risultato finale fu un modello diritto, a vita alta, in cui la tradizione settecentesca fu abbinata a suggestioni che venivano da altre fonti, come quelle orientali ed etniche e a quelle dell’abito Reform. Il modello chiave della collezione prese il nome di “Joséphine” ed era quello che più esplicitamente dichiarava l’ispirazione Impero, ma la sopravveste di rete nera ricamata in oro e La Rosa appuntata sotto il seno gli toglievano ogni rigore filologico. Insieme ad esso, però, Poiret propose una serie di capi dalla chiara ispirazione esotica. C’erano la tunica “Cairo” (idee del folklore mediterraneo), il modello “Eugénie”, il mantello “Ispahan” ed altri ancora. Realizzata la grande trasformazione negli abiti, Poiret si rese conto che doveva trovare un mezzo adatto per comunicarla. Decise di agire da solo trovando un artista adatto alle sue necessità. Nell’ottobre del 1908 uscì Les Roves de Paul Poiret racontées per Paul Iribe, un album contenete

dieci tavole a colori, in cui Iribe metteva a confronto la novità dei modelli con il punto d’ispirazione. I disegni al tratto rappresentavano figure femminili collocate in abiti sommariamente definiti in cui si trovavano mobili, oggetti, quadri che richiamavano alla mente, in maniera più o meno precisa, il periodo Impero. La novità non era però solo di ordine stilistico. Anche le figure femminili rappresentate erano diverse: alte, sottili, senza forme evidenti o artefatte, con capelli corti semplicemente avvolti da un nastro, colorato in armonia coll’abito. L’immagine Poiret La coerenza formale che Poiret aveva cercato nel comunicare all’esterno la sua moda divenne anche il fondamento dell’immagine grafica della Maison: egli incaricó Iribe di progettare il marchio a forma di rosa. Il secondo elemento fondamentale della nuova immagine che Poiret stava costruendo intorno a sé fu la sede in cui trasferì la Maison nel 1909: un hôtel particulier del XVIII secolo con un grande parco intorno. L’interno venne ristrutturato ed arredato in maniera da diventare l’adeguata cornice dei modelli che il couturier presentava alle sue clienti. Poiret si servì per i suoi scopi professionali anche del parco, che divenne, di volta in volta, una specie di secondo parco della Maison con cui decorare i coperchi delle scatole, lo sfondo delle sfilate, il luogo delle sue feste mirabolanti. L’orientalismo Fra il 1909 e il 1910 inizió a Parigi la stagione dei Ballet Russes. Fino a quel momento la danza classica era vestita in tutù e calzamaglia e le sue scene erano estremamente semplificate. Adesso, invece, i danzatori indossavano costumi mirabolanti e si muovevano in scene elaboratissime e colorate. Tutti notarono una straordinaria somiglianza fra i costumi dei nuovi balletti e i vestiti di Poiret. Da questo momento, infatti, scomparvero dai modelli di Poiret i richiami al Direttorio e si fecero sempre più forti quelli delle culture etniche, orientali ed arabe. Il punto di passaggio fu rappresentato da jupe entravée, una gonna lunga e diritta che veniva serrata da una specie di cintura sotto le ginocchia, con il risultato di impedire il passo e di costringere chi la portava a procedere pattinando o a piccolissimi movimenti. La donna che Poiret aveva in mento non era una suffragetta o un’intellettuale indipendente: era una signora del “bel mondo” che non doveva aver alcun rapporto concreto con la vita reale. Egli la liberó nel corpo, ma non nel ruolo. Non più madre e moglie, ma femme fatale o fatata, circondata da un alone di erotismo misterioso, che la trasformava in oggetto di desiderio e di lusso. L’immagine di donna che Poiret sognava venne esplicitata quando egli presentó la prima jupeculotte. La realizzazione di pantaloni per le donne non passò inosservata. Ma la proposta di Poiret non voleva essere rivoluzionaria, né spezzare una lancia a favore del movimento femminista; si trattava di un paio di pantaloni da harem da portare come abito da casa, sotto una tunica che arrivava al polpaccio (odalische e non femministe erano le donne che avrebbero indossato i pantaloni di seta, stetti alla caviglia). L’impressione venne confermata dal secondo album pubblicitario che raccoglieva le immagini degli ultimi modelli. L’immagine di lusso che ne derivava non era tanto legata alla quantità di materiale e di lavoro visibile, quanto allo stile di vita raffinato e colto cui alludeva, che non aveva più niente a che vedere con i vecchi modelli borghesi. Questo fu l’ultimo album prodotto direttamente da Poiret: il succo delle due iniziative stimoló finalmente Lucien Vogel, che convinse alcuni couturiers a finanziare una rivista di moda da vendere in edizioni limitate, con tavole disegnate da disegnatori affermati. La festa della Milleduesima Notte Poiret utilizzó tutti i modelli possibili per far parlare i giornali, ma l’idea che più colpí la fantasia del tempo fu una serata in costume dal titolo “La festa della Milleduesima Notte”, che si svolse nel giardino della Maison. Si trattava di mettere in scena la sua immaginazione, quella in cui trovavano una collocazione ed una spiegazione tutti i modelli ne stava proponendo al suo pubblico. Ancora vent’anni dopo, Poiret conservava un ricordo estetico dell’evento che aveva dato la miglior rappresentazione del suo mondo creativo. La secessione viennese e l’Atelier Martine

L’incontro che doveva segnare Poiret maggiormente fu quello con viene dove conobbe Gustav Klimt ed Emilie Flöge. L’ipotesi che la creazione di abiti facesse parte di un più generale movimento di gusto che andava dalle arti maggiori fino agli eventi mondani e alla vita quotidiana era già sorta precedentemente e probabilmente aveva guidato il suo comportamento nei confronti degli artisti. Vienna gli riveló un modello estetico in cui gli abiti di Emilie Föge, i mobili di Koloman Moser, i vasi e le posate di Josef Hoffmann erano uniti indissolubilmente alle architetture di Joseph Olbrich e Otto Wagner e ai quadri di Klimt. La nuova cultura, il nuovo modello di vita dovevano sorgere nel confronto con questa cornice in cui si cancellava la vecchia divisone gerarchica di arti maggiori e minori. Poiret sposó le nuova teoria ed agí di conseguenza: nell’aprile del 1912 aprí in Rue du faubourg Saint Honoré l’Atelier Martine, uno spazio in cui u; gruppo di ragazzine guidate da Madame Serusier dava libero sfogo alla propria creatività in tutti i campi delle arti applicate. Da un lato c’era la ricerca del nuovo, che poteva venire da chi non era stato ancora plasmato dalla cultura figurativa dominante, dall’altro la cattiva impressione che egli si era fatto dei rigidi metodi d’insegnamento usati nelle scuole di arte austriache. L’Atelier Martine fu dotata di un punto vendita, ma la sua produzione ebbe sempre un tratto dilettantesco e quindi non raggiunse mai quel valore di rottura estetica che Poiret sognava. Un successo decisamente maggiore doveva avere un’altra idea di espansione della Maison: la produzione di profumi. Nel 1911 fu messo a punto il primo profumo e venne fondata la luna Rosine. Anche le bottiglie venivano curate direttamente da Poiret e spesso affidate, per la decorazione, al l’Atelier Martine. Alla produzione di profumi venne presto associata un’intera gamma di prodotti di bellezza che andavano dalle creme al mascara, dalle ciprie a tutto quello che le signore potevano cercare in una profumeria. Anche in questo caso, era la prima volta che il nome di un couturier veniva associato a quella di una linea di prodotti di bellezza. Ormai la fama di Poiret era costruita e i suoi modelli influenzavano la moda. Anche la sua posizione nel mondo degli artisti sembrava accettata ed assodata. Gli anni di guerra L’anno successivo scoppió la guerra. La Francia tentò di salvare la produzione di moda. Poiret fu inizialmente mobilitato in un reggimento di fanteria dove prestó servizio come sarto. Come couturier partecipó alla manifestazione insieme alle maison di moda ancora aperte. Poiret sfilò con abiti diversi da quelli di gusto orientale che il mondo conosceva: scelse di allinearsi con la tendenza che stava caratterizzando quegli anni con gonne accorciate e ampie, e con elementi di gusto maschile. Nel 1919 Poiret aveva lanciato anche un profumo “patriottico”, cotte segnato dal tricolore. Il dopoguerra Poi la guerra finí, ma, contrariamente a quanto sperato, nella fu più come prima. Poiret usciva dall’esperienza duramente provato dal punto di vista economico. Aveva dovuto vendere o ipotecare tutte le sue proprietà. L’azienda si divideva in tre aree: moda, profumeria ed arredamento di interni, tutte andate a rotoli durante l’assenza di Poiret. Egli era stato colpito dal punto di vita umano: la febbre spagnola gli aveva ucciso due figli, e la tragedia aveva minato il suo matrimonio che si concluse con un divorzio. Poiret si trovò nella condizione di dover rilanciare la griffe con un capitale assolutamente insufficiente e con gli effetti psicologici del conflitto ancora da superare. Partí per un viaggio in Marocco, dove ritrovò lo stimolo creativo per ricominciare il lavoro. Tornò alla moda con il desiderio di riprendere il discorso sul l’Oriente e con la voglia di festeggiare la fine della guerra. Ma, dal 1921 coinvolse nell’impresa, diventata ormai di tipo teatrale, tutte le vecchie glicerine della Belle Époque per creare un ponte tra il presente e la magia del passato. Le sue collezioni si facevano via via più sapienti e lussuose, i materiali diventarono sempre più ricercati, i ricami elaborati e le ispirazioni colte e esotiche. Un’aria di lusso antico serpeggiava nei suoi modelli. Non è quindi un caso che negli stessi anni gli venissero richiesti sempre più spesso costumi di scena e per feste mascherate o a tema. E non è neppure un caso che, al contrario, diminuisse il suo successo presso la clientela dell’haute couture. Probabilmente, però, l’enfasi data al lusso e alla teatralità allontanó il pubblico dalla Maison e quindi da questa produzione. Le difficoltà finanziare dovuta da un minore coinvolgimento della clientela, portó Poiret a trasferire la Maison in un’altra sede (1924) con una trovata

spettacolare: un falso incendio brució la vecchia sede durante la festa di addio e tutti gli invitati si incamminarono a piedi a cercare rifugio nel nuovo atelier. La sede riuniva tutte le attività di Poiret alle quali si aggiunse Bagatelle, destinata agli accessori e all’aperto giacche sportive. I suoi modelli erano ormai troppo complicati, decorati e vistosamente lussuosi. Egli aveva perfettamente compreso la cultura di riferimento del nuovo gusto che lo stava tagliando fuori dal mercato, ma questo mondo era così lontano dalla sua maniera di pensare che egli si limitava a criticarlo. Quello che non voleva accettare era che l’America, con il suo funzionalismo, la sua cultura moderna e il suo modo di vivere, era arrivata a Parigi e aveva invaso l’Europa. Le donne non si riconoscevano più nei lussuosi idoli da boudoir che Poiret sapeva magistralmente evocare; al contrario, volevamo essere giovani, libere ed indipendenti. Per questo avevano adottato una moda facile, semplice e comoda, che poteva essere riprodotta senza dover necessariamente ricorrere alla sapienza di un sarto eccezionale. Questa semplicità, questa anonima monotonia di modelli ripugnava a Poiret, che non riusciva a capire ome fosse possibile che le donne eleganti del mondo intero preferissero indossare i “miseri” abiti di Chanel piuttosto che le sue lussuose invenzioni...


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