Appunti Letteratura Italiana sul Canzoniere di Petrarca con la prof. Castellano Unifi PDF

Title Appunti Letteratura Italiana sul Canzoniere di Petrarca con la prof. Castellano Unifi
Author Ludovica Marchese
Course Letteratura italiana
Institution Università degli Studi di Firenze
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Summary

Sbobine dettagliate e complete della professoressa Castellano (unifi) sul Canzoniere di Petrarca. Sono compresi i componimenti trattati a lezione e informazioni su Petrarca. Ottimo per preparare l'esame da 6cfu di Letteratura italiana su Petrarca a UNifi....


Description

LETTERATURA ITALIANA (LEZIONE DEL 24 FEBBRAIO 2020) GLI ANTEFATTI AL CANZONIERE:

Francesco Petrarca è nato il 20 luglio 1309 ad Arezzo ed è morto nel 1374 ad Arquà. Fu scrittore, poeta, filosofo e filologo italiano. Nel 1325 si trasferisce ad Avignone, in Francia, nella corte della Famiglia Colonna, dove faceva il cappellano. Che rapporti c’erano tra Francesco e la Famiglia Colonna? I rapporti con la famiglia erano iniziati nel 1325 grazie al coetaneo e amico di studi Giacomo Colonna, succeduto poi dal fratello Giovanni Colonna nel 1330. Il rapporto tra Giovanni e Francesco è più complicato, ciò è dovuto anche all’aperto sostegno di Francesco per la rivoluzione antinobiliare proposta da Cola di Rienzo. Il 1347-48 è un biennio funestato da lutti, infatti Francesco, nel 1348, riceve dall’amico “Socrate” (nomignolo di Ludwig Van Kempten, musico che esercitava la professione presso la famiglia Colonna) una lettera con la notizia della morte della sua amata, Laura. Inoltre, nel 1347 era morto anche Giovanni Colonna. Laura muore il 6 aprile 1348 mentre Francesco è a Verona, in quel periodo aveva abbandonato Avignone e viveva a Parma. Quali sono i rapporti con Laura? La passione per Laura risale ad anni remoti, il primo incontro avvenne ad Avignone, nella Chiesa di Santa Chiara, il 6 aprile 1327, e fu un incontro fatale. Con il tempo questa “fiamma del desiderio” si estingue ben presto, Laura appartiene al territorio della donna mai posseduta, solo desiderata. Questa passione assume connotati intellettuali, quindi pian piano questa figura scivola via dai territori del desiderio e divine, come dice Petrarca in una lettera, “una fiamma languente”, destinata all’estinzione, e si metaforizza in entità simboliche, quindi la Laura è carnale, terrena, fanciulla, che ha innescato la fiamma del desiderio e che è destinata a divenire metafora, figura simbolica, entità emblematica. Questa è la prospettiva della donna del “Canzoniere”. Laura si metaforizza in alcune figure poetiche: 1) “LAURO”  Diviene quindi immagine delle sacre fronde della poesia, non è più soltanto la creatura terrena, non è detto che sia meno desiderabile, anzi, mantiene forti connotati di desiderio, ma sublimati in tensione poetica. 2) “L’AURA” Ossia la presenza costante della donna amata nell’universo. Quindi, questa donna impregna di sé l’universo e verrà declinata secondo due sentimenti costanti: il sentimento della lontananza (e del mancato possesso) e il sentimento della nostalgia (una sorta di rimpianto). La donna che muore di peste ad Avignone è, invece, la donna che vive nelle rime del suo “amante”. Tuttavia, queste vite si sono già separate da tempo. Questa donna si era già trasfigurata in altro, era viva nei versi. Sulla Laura storica è fiorita una Laura culturale (come per tutte le muse). La trasfigurazione poetica della donna dona poi eternità all’effimero corpo. Quindi, il mito erotico che c’è fiorisce in un profondo mito culturale. Crea un universo ideologico e concettuale. Esistono una serie di tracce che Petrarca dissemina sia nell’epistolario e nel Bucolicum Carme, nei quali Francesco scrive, a pochi mesi dalla morte di Laura, un carne intitolato “Laurea accidens” (=la morte del Lauro), questo carme ci dà la misura esatta di quanto Petrarca abbia vissuto la morte di Laura come un evento culturale. Il poeta qui si raffigura in modo classico, sotto le vesti del pastore Silvano, mentre racconta a Socrate (il musico), che lo aveva informato

dell’accaduto, come la morte di Laura sia intervenuta “al pari di una bufera che sradica il lauro” (la pianta). Alla descrizione di questa bufera, Silvano riserva solo l’ultima parte di questo lungo racconto. Intanto, nella prima parte insiste sulla storia del Lauro, tutta la storia di questo simbolo della poesia, indugia sulla dedizione che egli ha dedicato alla crescita di questa pianta, le fatiche sostenute nel corso degli anni e i lunghi e numerosi viaggi che Silvano dichiara di aver affrontato per affinare la propria arte li definisce “viaggi lunghi e tortuosi”, traccia una vera e propria geografia simbolica, ricca di allegorie, metafore, … In questo racconto si smarrisce la presenza fisica di questa musa. La morte di Giovanni Colonna e la morte di Laura sono, quindi, due eventi che intervengono e costringono Petrarca ad un punto di svolta, ad un punto di non ritorno, gli impongono di intraprendere un nuovo cammino, gli impongono un esame di coscienza. Petrarca è un uomo molto tormentato, più vicino ai tormenti dell’umanità contemporanea. È un uomo insofferente, anche nei confronti del potere. La vicinanza con la Famiglia Colonna è caratterizzata, dal principio, dalla insofferenza che diviene vero e proprio odio, una prigione dalla quale il poeta cerca di fuggire. Avignone e la famiglia Colonna sono tasselli fondamentali per ricostruire la formazione di Francesco. Infatti, rifiuta la formazione scolastica, è un autodidatta, e grazie ai Colonna entra a contatto con opere/manoscritti rarissimi dell’antichità, dai quali apprende anche il greco e il latino. Ciononostante, è uno stipendiato della famiglia, la servitù gli consente l’accesso a biblioteche altrimenti inaccessibili. Saranno i Colonna a propiziare il conseguimento della laurea, Francesco si laurea a Roma. Quindi Francesco deve dimostrare di meritare quell’alloro. La morte di Giovanni consente l’infrangersi di una “catena”, è finalmente libero, ma preso da un forte dubbio “dove andare?”. Egli subisce la seduzione del paese d’origine, l’Italia. Dopo il 1348 c’è una sorta di paralisi, Francesco non sa dove andare, inizia quindi le sue peregrinazioni in Italia. Esiste un’egloga latina (egloga X) in cui Silvano si interroga sul proprio futuro “dove andrò ormai stanco? Sotto quali ombre calmerò la mia angoscia?”. Nel 1350 Petrarca torna nella città che lo aveva incoronato, Roma, ma è diversa rispetto a quando vi era entrato con la famiglia Colonna, questo ritorno assume sconforto. Prima di andare a Roma passa per la Toscana, torna nella sua città natia, Arezzo, e si ferma anche a Firenze, città che non gli lascerà alcuna emozione, come scrive in alcune sue lettere, ma lascia un segno contrastato perché un suo caro amico, Lapo da Castellocchio (un suo amico intellettuale) gli fa un dono, gli regala un libro di Quintiliano, le “Institutiones”, che sarà fondamentale per Francesco. A Firenze incontra anche Boccaccio, il quale descrive meglio l’incontro con Francesco, suo caro amico. Questa visita è importante perché Giovanni Boccaccio si adopera per portare avanti delle pratiche che possono consentire a F. di riavere dei beni paterni che gli erano stati confiscati quando la famiglia era andata via. Le radici toscane non avevano però lasciato un segno netto nella gioventù di Francesco, nonostante lui amasse firmarsi come “Florentinus” (= fiorentino). Questo viaggio a Firenze è anche l’ultimo. Questo ritorno alle origini rimane incompiuto. Più decisivo, in queste peregrinazioni, è l’incontro con Roma. Se non fosse stato un pellegrinaggio, Petrarca non sarebbe tornato a Roma. Il caso volle che durante il suo viaggio, Francesco si ferisce gravemente ad una gamba, ed è quindi costretto ad interrompere il viaggio, che diventa una “penitenza” (pellegrinaggio, giubileo, penitenza  c’è una componente religiosa in questo poeta). Francesco giunge a Roma dolorante, giace a letto per settimane, arrivo diverso rispetto a quello con i Colonna. La Roma di questi anni è molto lontana dall’apparato scenico messo in atto per l’accoglienza di Francesco di qualche anno prima. Il Papa Clemente VI, nella primavera del 1351, complica l’emotività petrarchesca, in quanto lo invita a tornare ad Avignone, offrendogli un porto

sicuro, in questo momento di insicurezza. Petrarca accetta, anche perché gli dà la possibilità di temporeggiare per un paio di anni. Trascorre questi due anni tra la Provenza e Valchiusa, questo biennio è importante perché il poeta decide dove andare. In questo periodo Petrarca si interroga sulla possibilità di trasferirsi in Italia, rinunciando ad una prestigiosa carica di segretario che il Papa gli offrì. Nel 1353, data di svolta, Petrarca abbandona per sempre Avignone. Sceglie una città a lui sconosciuta, Milano. Perché? Sente il bisogno di ribadire lo stato di un’anima frammentata, che è quella di un uomo senza radici. Le radici sono nei libri, non nel luogo. Prima di queste peregrinazioni apprendistato bolognese la vita di Petrarca è caratterizzata da anni di studi di letteratura, se si tralascia il primo periodo di studi in cui era seguito dal maestro Convenevole da Prato, in età più matura F. studia in due università: l’università di Montpellier e l’università di Bologna (nella quale studia diritto). Petrarca stesso sparge questi anni di silenzi e sappiamo pochi fatti di questo periodo, se non cosa studia e cosa legge in questi anni da autodidatta. Non abbiamo componimenti in volgare inscrivibili a questa data, nessun componimento in volgare anteriore al 1327. È una vistosa carenza di documentazione che ha messo in guardia i critici, ciò contrasta con la ricchissima documentazione di dati che accompagna tutto il resto dell’attività lirica di Petrarca. Vien da dire che l’autore vuole che la storia della sua poesia in volgare cominci esattamente con quella dell’amore per Laura, tutto quello che viene prima è stato distrutto. Nell’assenza di indizi i cinque anni che Francesco trascorre nello studio bolognese, sono anche anni di studio poetico, in quanto Bologna, oltre ad essere la prestigiosa sede universitaria, vantava in questo periodo un primato della poesia in volgare. Bologna farà di Petrarca un poeta, il quale ascrive come periodo della propria formazione il 1325-26 e il 1336-37, ad Avignone, qui prende forma il decennio decisivo per gli studi e la formazione del poeta. Francesco viene premiato soprattutto per gli studi di carattere storico, filologico, viene premiato l’erudito, i suoi interessi di studioso e lo scrittore latino. Questi anni sono fondamentali per la formazione del poeta in volgare e sono anche anni di rivoluzione filologica.

(LEZIONE DEL 25 FEBBRAIO 2020)

Il decennio che va dal 1326 e il 1337 non si traduce in una alacrità dal punto di vista delle opere scritte da Petrarca. Per lungo tempo, lo scrittore è stato più uno studioso che uno scrittore, ha avuto bisogno di lunghi anni di apprendistato. In questi 10 anni ricchi di studi, Petrarca scrive una commedia latina, dal titolo “Filologia Fiostrati”. Scrive poi molte lettere latine ed epistole in versi. Molte di queste epistole sono vere e proprie pagine autobiografiche, poi raccolte e selezionate da Francesco e raccolti. In questi anni Francesco scrive anche molte poesie in volgare, soprattutto poesia d’amore. Sia le epistole, che le rime in volgare, godono presto di popolarità. È innegabile, però, che la fama precoce è più legata alle sue qualità di studioso, piuttosto che di letterato. Cosa dobbiamo ricordare di questo decennio? La netta prevalenza dell’opera in versi in volgare. È epistolante rispetto all’immagine di storico, erudito che lo scrittore vuole dare di sé. È come se fosse accompagnato da una doppia necessità: la scrittura in latino e la necessaria scrittura in volgare. Rimangono però sempre ambiti distinti. Un sonetto emblematico della percezione che Francesco ha dell’opera in versi in volgare è il “Sonetto Proemiale” del Canzoniere. Ogni qualvolta Petrarca ha occasione di parlare delle proprie rime, anche altrove, lo definisce come “il giovinile errore”, ossia che ha scritto le rime in gioventù. Ciò non è vero perché nell’opera che è un autobiografia non c’è nulla di vero. Petrarca insiste , volontariamente , sulla genesi giovanile delle rime d’amore per

ribadire una complessa strategia letteraria, nella quale il poeta tenta in apparenza di svalutare questa esperienza poetica. In realtà, questa svalutazione tende a creare una autobiografia che non rispecchia tanto la verità delle occasioni della vita quotidiana, ma deve valere come exemplum. Anche in questo caso il poeta mistifica la realtà, tenendo sempre una parte della verità. È vero anche che, nei suoi esordi, quello che gli sta a cuore è forgiare di sé l’immagine di un letterato tradizionale, quindi anche un letterato che possiede una fortissima formazione filologica. Questa attenzione ai classici si riverbera nella sua scrittura in volgare, che imprime al volgare italiano una direzione nuova, rispetto al magistero Dantesco. Impone alla nostra lingua il nuovo linguismo, la lingua alta della tradizione, crea quindi una nuova linea della lingua italiana. Occorre però precisare un po’ di storia della letteratura in volgare ai tempi di Petrarca. Come è cambiata la letteratura in questi anni, prima e dopo Dante? Nel 1200 la poesia detiene un indiscusso primato sulla prosa e all’interno della scrittura in versi, la lirica e la lirica d’amore è considerata il genere più nobile ed elevato. Dominava la teoria classica e medievale della distinzione degli stili, che imponeva la congruenza necessaria tra la forma linguistica e stilistica di un’opera e i contenuti. Questa teoria degli stili operava su tutti i generi letterali. La lirica d’amore era la massima espressione dello stile tragico, collocata al livello più alto. I suoi cultori erano consapevoli che la poesia d’amore era uno degli strumenti più raffinati. Nel 1300 il panorama muta profondamente, in primo luogo la prosa guadagna spazio, Boccaccio regala la Novella. La prosa, dunque, intraprende un vero e proprio duello con la poesia e la scanserà dal “trono”. La prosa viene sentita come il genere letterario capace di interpretare la realtà con maggior naturalezza, viene giudicata più rispondente a veicolare i messaggi ideologici della realtà. Parallelamente non si ha una diminuzione delle opere in versi, c’è una vera e propria superfetazione, ha un’espansione che colpisce, ma la qualità si abbassa. Vengono ampliati i generi della poesia, una poesia dotata di ritmo narrativo, anche la poesia deve narrare, dunque si abbassa di livello e si avvicina in qualche modo alla prosa. La poesia prolifera si abbassa e subisce anche un processo di emarginazione, viene sempre più indirizzata verso una funzione di intrattenimento. Vi è un nuovo “pubblico” della poesia, un piccolo gruppo della poesia che va ampliandosi in questi anni e che richiede la poesia. Ci sono figure di poeti che, su commissione, creano versi sempre più tendenti alla prosa su commissione, che raccontano la realtà, quindi la poesia è divenuta in poco tempo un genere ancillare, privato quasi di identità aurea che aveva nel secolo precedente. Il tema d’amore che era il pilastro della lirica duecentesca viene soppiantato dal discorso morale, giocoso, occasionale, la lingua subisce una ibridazione che guarda a versanti più popolari. La poesia non è più appannaggio di élite intellettuali (come gli stilnovisti fiorentini). La poesia diviene anche oggetto di scambio fra famiglie, gruppi sociali, anche di ceto differente. Diviene quindi una specie di motteggio, di passatempo e strumento effimero di promozione o di evasione, di divertimento. Dante è stato anche il padre della prosa in volgare ed è stato lui ad infrangere la teoria degli stili, la strada quindi inaugurata nel ‘300 era già stata introdotta da Dante. Nel corso del ‘300 si crea il pubblico della corte. Petrarca crea, con il “Canzoniere”, un’opera nuova, rispetto alla tradizione lirica trecentesca, nella quale la lirica d’amore ha importanza e si carica di insegnamenti morali e filosofici, ripristina, rispetto al modello dantesco, un modello di assoluto monolinguismo. Questi processi, che hanno interessato la lirica in volgare nel 1300, giungono a maturazione nella seconda metà del secolo. Gli anni ‘20 e ‘30 del secolo sono anni ancora di transizione tra i due secoli, in quei decenni scrivono ancora dei poeti (Guido Novello da Polenta, Giovanni e Niccolò Quirini e Senuccio del Bene) che portano avanti ancora un’idea

tradizionale della lirica italiana, poeti che non hanno preso atto della rivoluzione dantesca e procedono lungo la strada della poesia duecentesca. Cino da Pistoia era stato uno dei massimi rappresentanti del primato della lirica negli anni in cui scrivere liriche significava appartenere all’iperuranio della letteratura. Continua la sua esperienza di lirico anche nel corso del ‘300 e suscita l’attenzione di Petrarca. L’immagine con cui Petrarca intende passare alla storia è quella di un rimatore in volgare, ma classico. Boccaccio è noto a tutti come lo scrittore del “Decameron”, ma egli esordisce in versi (ad es. “il Filostrato”). C’è una divaricazione profonda nel secolo tra i nuovi poeti della lirica trecentesca (come Boccaccio) e i poeti legati alla tradizione (Cino da Pistoia e Francesco Petrarca). Quindi il “Canzoniere”, nella lirica trecentesca, è un’opera che guarda alla tradizione, ma è anche un’opera innovativa. Perciò Petrarca si muove nella tradizione, rinnovandola. Nella decisione petrarchesca di cancellare ogni traccia della prima produzione in volgare, in quanto era ritenuta dallo scrittore “di scarso valore”. Il poeta non vuol far scoprire le tracce della sua formazione poetica. È evidente che il genere lirico si configuri con il genere prediletto da Petrarca, che manifesta dal principio uno strumento linguistico raffinatissimo. La poesia italiana non interessa a Petrarca, lui guarda soltanto alla lontana stagione stilnovistica (Dante), ripudia i rimatori del proprio tempo, ritenendoli “dilettanti”. I primi componimenti sono alcuni di occasione, per la Famiglia Colonna. L’apprendistato di P. matura anche affidandosi alla scrittura di occasione, in questo ambito si presentano anche problemi di attribuzione, infatti, spesso alcuni membri della famiglia Colonna scrivevano versi. Dobbiamo ricordare che la poesia in volgare si caratterizza soprattutto per una chiara adesione al classicismo volgare, dunque un caso isolato di rimatore che guarda al passato. Questo poeta classico dedica tutta la sua vita alla composizione del “Canzoniere”, al punto che si pensa che il poeta sia morto reclinando la testa sulle carte del suo studio. Francesco era ad Arquà, è probabile che la morte abbia accolto lo scrittore tra le carte del suo studio anche perché le epistole informano sulla vita dello scrittore. 30 anni prima della sua morte, Francesco manda una lettera a Zanobi da Strada, uno dei suoi più cari amici, e lo informa sulle sue abitudini quotidiane: si svegliava a mezzanotte, nel cuore della notte, di primo mattino usciva di casa, studiava, leggeva, scriveva, tentava di allontanare dal corpo la “mollezza”/ tenere lontano dall’anima i piaceri, dedica la sua vita allo studio e all’osservazione della natura. Nei giorni della sua morte stava lavorando anche al Canzoniere, ma l’opera che catturava maggiormente la sua attenzione in quei giorni era il “De viris illistribus”. Negli ultimissimi giorni della sua vita aveva dei fogli di pergamena (quindi fogli importanti) e una serie di fogliolini di carta. Il “Canzoniere” non ha raggiunto una forma compiuta, completa, Petrarca sa che l’opera non ha raggiunto l’ultima configurazione perché lo scrittore interviene nel testo con varianti, nei singoli componimenti dei testi, ma anche sulla macrostruttura del testo, inserisce fogli bianchi che lasciano pensare ad una volontà di futuri inserimenti. Sono stati rinvenuti 72 fogli di pergamena contenenti i 366 componimenti del “Canzoniere”, questi fogli di pergamena non erano legati tra loro, erano sparsi. Questi fogli andarono a costituire il manoscritto, il Codice Vaticano latino 3195, custodito a Roma. È stato conservato un altro piccolo gruppo di fogliolini di carta che, raccolti e riuniti dopo la morte, che costituiscono il Codice Vaticano latino 3196, noto come il “Codice degli Abbozzi”. Si tratta di carte scarse che provengono da tempi lontani, non abbiamo una cronologia precisa, appartengono a molteplici stagioni e fanno riferimento solo al numero limitato di rime del canzoniere, contengono anche qualche passo de “I Trionfi”, l’unica sua altra opera in volgare. Questi codici sono importanti perché ci illustrano le genesi liriche. La filologia italiana nasce grazie al Codice degli Abbozzi e al Codice Vaticano 3195. Pietro Bembo entra in possesso di entrambi i codici e inizia, nelle sue opere, a studiarle e a interrogarsi sui motivi...


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