Artaud e il teatro della crudelta PDF

Title Artaud e il teatro della crudelta
Author Daniele Di Nicola
Course Principles Of Stage Studies
Institution Sapienza - Università di Roma
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riassunto del libro di Artaud...


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Artaud e il teatro della crudeltà

Al pari di Brecht Antonin Artaud è stato un artista e teorico del teatro tra i più influenti sul teatro sperimentale del dopoguerra. Entrambi si ribellavano violentemente alle convenzioni del teatro naturalista ed entrambi elaborarono la propria visione del teatro nel clima delle avanguardie tra le due guerre mondiali. Tuttavia le due visioni erano anche profondamente antitetiche: mentre Brecht indicava la strada verso un teatro politico che era incentrato sulla distanza critica e sulla capacità razionale, Artaud mira a liberare l’uomo moderno represso dalla civiltà attraverso la primarietà “fisica” e irrazionalistica del suo teatro. Artaud è stato un personaggio unico e assai complesso. E’ stato teorico, scrittore di avanguardia, attore sia di teatro che di cinema (muto e poi sonoro), ma soprattutto un visionario inquieto e radicale. In effetti le sue idee e provocazioni sul ruolo dell’arte e specificamente del teatro furono osteggiate e rifiutate in vita e recuperate soltanto a partire dagli anni Sessanta, molti anni dopo la sua morte (nel 1948). In gioventù aveva aderito in Francia al movimento surrealista, un movimento che univa una forte presa di posizione politica comunista a una radicale rimessa in discussione dell’arte attraverso l’inconscio, l’irrazionalismo e lo scardinamento delle strutture razionali, sia nel linguaggio che nei linguaggi visivi (pittura, cinema…). Dopo i contrasti con i surrealisti Artaud, espulso dal movimento, inizia a progettare un’attività teatrale autonoma nel 1926 fondando il Thèatre Alfred Jarry, così chiamato dal nome del drammaturgo autore di Ubu Roi, una delle farse più ferocemente anti-borghesi. L’esperimento del Teatro Jarry ebbe vita abbastanza breve e l’ostilità che incontrò alimentò una serie di saggi-manifesto riassunti nell’opuscolo Le thèatre Jarry et l’hostilité publique (1930). Negli stessi anni iniziava il suo interesse per il cinema, sia come autore di soggetti mai realizzati, che come attore. Fu l’incontro a Parigi, in occasione dell’Exposition Coloniale, con il teatro balinese che rivelò ad Artaud un modello di teatro completamente alieno alla recente tradizione occidentale. Questa nuova fase del pensiero di Artaud trovò espressione in una serie di articoli e manifesti, tra cui i due manifesti per un “teatro della crudeltà” che poi vennero raccolti nel famosissimo volume Il teatro e il suo doppio (pubblicato in Francia nel 1938). Artaud cercò anche di sperimentare praticamente le sue intuizioni su questo nuovo modo radicale di fare teatro scrivendo ad esempio la tragedia I Cenci, andato in scena nel 1935. Ma altri suoi testi rimasero incompleti o allo stadio “virtuale”. Nel 1936, amareggiato per la propria marginalità in Europa, partì per il Messico, allora vivacizzato dal clima rivoluzionario, dove cercò di riscoprire una dimensione religioso-sciamanica che vedeva incarnata nell’antica civiltà india. La fine degli anni Trenta e tutta la seconda guerra mondiale vide Artaud ricoverato in una clinica psichiatrica (da anni soffriva di pesanti disturbi nervosi). Dal ’46 trasferito a Ivry ma sempre in cura poté tornare a scrivere, tra cui saggi illuminanti come quello su Van Gogh, suicidato dalla società. Vennero esposti alcuni suoi dipinti, mentre nel 1948 venne approntata, ma mai messa in onda, un progetto di emissione radiofonica intitolata Per finirla con il Giudizio di Dio, che voleva essere una sorta di teatro della crudeltà radiofonico, con una combinazione di parole, urla e rumori. Dai saggi e dai manifesti di Artaud si può evidenziare il suo ideale di teatro, spesso intuito quasi come illuminazione e raramente concretizzato durante la sua vita. L’obiettivo del teatro di Artaud mirava a risvegliare il teatro dal torpore in cui era caduto con il naturalismo borghese, liberando le

forze oscure e latenti entro l’animo dell’individuo. Da questo punto di vista egli portava alle estreme conseguenze le aspirazioni simboliste e surrealiste. Il teatro si era ormai separato dalla vita, si era fossilizzato in puro automatismo, per cui era necessario una vera e propria azione di shock riconducendolo alle fonti più pure delle sue radici mistiche e metafisiche. Anche in questo caso, quindi, la battaglia era anche contro un’idea di pubblico come semplice spettatore, anzi “voyeur”. Il pubblico doveva tornare a essere partecipante, e partecipante a un’esperienza totale che doveva avere la stessa profondità e “violenza” del rito totemico. Già dai primi manifesti programmatico del teatro Jarry Artaud prometteva un teatro che lungi dal rassicurare e cullare lo spettatore, doveva invece mostrargli le angosce e le inquietudini della sua vita reale e sottoporlo quindi a “una operazione vera, dove sono in gioco non solo il suo spirito, ma anche i sensi e la carne”. Sarebbe stato un teatro di magia ma anche di crudeltà e violenza taumaturgica: la metafora dell’operazione chirurgica è sintomatica. La rivoluzione artaudiana non passa tanto dalla pura e semplice rivoluzione politica e sociale (da qui la polemica con surrealisti come Breton), ma dalla rivoluzione che deve passare dall’interiorità umana, dal momento che l’uomo moderno è sostanzialmente un uomo castrato e mummificato, avendo perso ogni vero contatto con il sacro, con la carne e il corpo. Queste idee gli furono più chiare quando vide esibirsi i danzatori in trance del teatro balinese. In contrapposizione a un teatro occidentale, schiavo della parola e dei suoi valori razionali e statici, il teatro orientale di Bali gli sembrava un teatro puro e assoluto dove “tutto, concezione e realizzazione, vale ed esiste esclusivamente nella maniera in cui si oggettiva sulla scena”. Le parole erano eliminate, gli attori erano come “geroglifici animati”, le cui grida e i cui gesti risvegliano nel pubblico una risposta intuitiva, intraducibile in linguaggio logico e discorsivo. Artaud era assai sospettoso delle trappole del linguaggio e nel teatro di Bali vedeva un sistema di segni spirituali. Il teatro deve essere perciò liberato dalla subordinazione al testo, così come il corpo doveva essere liberato dalla subordinazione alla mente. Qualora usato, iul linguaggio doveva piuttosto essere il linguaggio religioso e mistico, non quello del realismo naturalistico o della psicologia razionale. Il termine “crudeltà” in “teatro della crudeltà” va quindi inteso in questi termini. Artaud aveva prima pensato di chiamarlo teatro “assoluto”, “alchimistico” e “metafisico”. La crudeltà non deve essere una componente solo letterale del teatro, cioè mostrare la violenza delle forze ed energie vitali, ma soprattutto indicare un metodo di rigore e determinazione implacabile che tiene avvinti sia attore che spettatore, sia aguzzino che vittima. Questo oscuro principio che deve essere riattivato dal teatro non può essere valutato come bene o male, e quindi l’arte non offre una consolazione o un premio estetizzante. Il teatro della crudeltà non offre o promette né catarsi né salvezza; in questo forse sta la sua crudeltà più vera. Le costruzioni della morale, dei tabù, delle istituzioni sociali sono per Artaud patetici tentativi per negare e reprimere la forza cosmica, un tentativo di temperare il caos, o il principio dionisiaco di cui parlava Nietzsche, con l’ordine fittizio e illusorio dell’estetica o della morale (il principio apollineo). In un saggio del 1933 addirittura Artaud paragona il teatro alla peste in quanto come la peste porta alla luce impietosamente il fondo di crudeltà latente e represso; esso non cerca di lenire o curare il dolore ma di mettere di fronte l’anima con “energie cupe e dolorose, che non ammettono conciliazione”. Il titolo del volume Il teatro e il suo doppio non fa riferimento alla tradizionale opposizione fra realtà e finzione, per cui il doppio del teatro sarebbe la realtà di cui il teatro (naturalista o realista) dovrebbe essere l’imitazione. Anzi il teatro non dovrebbe imitare la realtà perché la realtà ormai è dominata dal vuoto e dalla morte, si è svuotata di senso. Trarre la propria linfa vitale dalla realtà sarebbe come avvelenare le possibilità di vita del teatro. Se vuole ritrovare la vita, il teatro della crudeltà non deve guardare al presunto reale, ma a un altro e ben diverso “doppio” del teatro, una dimensione che in alcuni saggi egli chiama la “realtà archetipica e pericolosa” (“Le théatre alchimique”, 1932). Compito tradizionale dell’alchimia (e dei riti occulti) era appunto quello di dar

vita o avere accesso a questo livello superiore di realtà. Artaud era interessato alla magia, all’occultismo, ai riti alchemici per la stessa ragione, e il suo teatro doveva esserne l’equivalente creativo e artistico. Specialmente dopo il 1936 il teatro di Artaud venne sempre più a identificarsi con il corpo, particolarmente nel corpo dell’attore. Nel saggio sull’ “atletismo affettivo” Artaud parla della necessità da parte dell’attore di vedere il proprio corpo non come strumento di riproduzione di gesti “realistici”, ma come esso stesso “doppio” di uno spettro, perpetuo, plastico e mai compiuto. Ogni parte del corpo ha uno speciale potere mistico, ogni emozione ha una base organica; da qui l’interesse per il significato simbolico e trasformativi di ogni azione che passa attraverso il corpo, a cominciare dal processo, apparentemente automatico e scontato, della respirazione. Ogni metodo diverso di respirazione è la chiave di un contenuto simbolico, una sorta di geroglifico di cui possedere la chiave. La visionarietà del teatro di Artaud (e anche del linguaggio con cui ne parla) non portò che a pochissime realizzazioni in vita del suo modello. Da quello che sappiamo della realizzazione del suo testo I Cenci l’azione si basava su movimenti ritmici fortemente caratterizzati e sul suono. A causa della povertà di mezzi di cui disponeva, in pratica solo gli effetti sonori erano all’altezza delle sue ambizioni; diffusi attraverso altoparlanti posti ai quattro angoli, essi diffondevano una rete di vibrazioni sonore potenti. Una coreografia dinamica, orchestrata in modo geometrico, si contrapponeva violentemente a un intreccio caratterizzato da una radicale istintività e dal principio dell’eccesso. Come nel teatro di Bali, in cui i danzatori esprimevano l’automatismo dell’inconscio liberato, i suoi attori avrebbero dovuto essere spersonalizzati, trasformati in geroglifici carichi di senso indipendentemente dalla parola. In generale le catene della logica e della ragione, alla base di una civiltà debilitante fondata su una religione che reprime il corpo (il Cristianesimo), vanno spezzate con immagini di energia dall’inconscio per poter sprigionare nel pubblico una spontaneità primitiva e un delirio comunicativo. La riserva di energia costituita dai miti, ormai non più incarnata dall’uomo, può reincarnarsi nel teatro, che ha lo stesso effetto della peste poiché porta alla disintegrazione delle forme sociali cristallizzate riportando la gente alla loro condizione naturale. Il teatro riscopre così la “crudeltà necessaria”, una legge della natura in cui la creazione non può prescindere dalla distruzione....


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