Arti Applicate - Silvia Grandi 6 cfu Arti Visive Unibo PDF

Title Arti Applicate - Silvia Grandi 6 cfu Arti Visive Unibo
Author Rossella Sarli
Course Fenomenologia delle arti applicate
Institution Università di Bologna
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Summary

Riassunto della Dispensa su Alfonso Rubbiani e le arti applicate nel Futurismo, a cura della prof. Silvia Grandi ...


Description

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Rossella Sarli Silvia Grandi – 6 cfu – Fenomenologia Arti Applicate

DISPENSA: RUBBIANI ALFONSO Zucconi Guido – Rubbiani e la nozione di arte collettiva Ghetti Baldi Orsola – Arts and Crafts a Bologna Baldini Elisa – Alfonso Rubbiani, Direttore dei restauri Virelli Giuseppe – Alfonso Rubbiani a cavallo fra due mondi Virelli Giuseppe – Una fucina di Talenti

FUTURISMO Belli Gabriella – Arredo, oggettistica, moda : l’avventura della Ricostruzione futurista dell’universo Crispolti Enrico ( a cura di) – Ricostruzione Futurista dell’universo, MUSEO CIVICO DI TORINO, 1980

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Rubbiani e la nozione di arte collettiva Guido Zucconi Alfonso Rubbiani si dedicò agli studi di giurisprudenza, nella prospettiva di diventare notaio, secondo la consolidata tradizione familiare. La sua attività di polemista vicino al mondo cattolico, di giornalista impegnato nel confronto politico rivela la volontà di andare al di là dell’orizzonte professionale a lui predestinato. Il suo interesse per le vicende della città natale e il suo dichiarato “amore per il bello”, si abbinano a doti innate di scrittore oltre che di disegnatore. Per cui possiamo certo annoverarlo nella schiera dei numerosi “dilettanti”, che nel corso del XIX secolo si avvicinarono con successo al mondo delle arti. Come può quindi, un dilettante, privo di base specifica, intraprendere una serie difficile di rifacimenti architettonici? Attorno a tale quesito ruotano molti dei problemi interpretativi riguardanti questa figura di “notaio-restauratore”, a cominciare dalla sua formazione anomala di architetto atipico. Ricordiamo quindi, che a fare da tramite tra Rubbiani e l’architettura, fu la storia, prima di tutto. A fornirgli un movente non occasionale fu l’interesse per il passato, inteso come COMPLESSO DI TRADIZIONI E CARATTERI CHE DEFINISCONO IL PROPRIO AMBITO DI APPARTENENZA: la città innanzitutto, ma anche il territorio che la circonda, con rocche, castelli, pievi, palazzi comunali, e chiese urbiche, che rappresentano manifestazioni tangibili della storia. Bologna offriva allora moltissimi spunti di interesse per chi si ponesse in questa prospettiva. La ricerca in questo campo, vi era ampiamente praticata grazie soprattutto all’attivismo della locale Deputazione di Storia patria, guidata da Giosuè Carducci, fin dal lontano 1964. Specialmente, poi a partire dagli anni Ottanta, i membri della Deputazione attivano un ciclo che ha inizio con la lettura del documento, o di uno pseudo-documento per giungere poi, attraverso la creazione di un mito, a un’opera di divulgazione. L’intervento sul singolo edificio rappresentava spesso la manifestazione complementare rispetto ad un’opera di RICOGNIZIONE DEL TERRITORIO, alla ricerca di coerenze tra i luoghi e la storia. In alcune circostanze, i progetti di restauro condotti da Rubbiani possono essere considerati come il versante spettacolare di questo processo di ricognizione. L’architettura è chiamata a svolgere un ruolo fondamentale nello sforzo di evocare un passato illustre: ma per rispondere a questo scopo nobile, le citazioni in pietra o in prosa devono presentarsi in tutta la loro carica allusiva. È nel contesto della Deputazione che Rubbiani si fa le ossa, di studioso. Non a caso il percorso da lui seguito inizia da una serie di guide, dedicate all’Appennino, a Bologna, e ai suoi dintorni. In questi testi di iniziazione alla conoscenza della città, e del suo territorio, gli edifici più significativi, assumono il ruolo di “condensatori di memoria”, vere e proprie epifanie in pietra di un articolato sistema di relazioni con il passato. La descrizione “a tutto campo” si concentra su alcune epoche e in particolare, come ricorda il titolo stesso, rimanda al Medioevo, perché ricordiamo che:

3 nell’ottica di Rubbiani, più di altri edifici; le pievi, i castelli, le rocche e le altre testimonianze di quel periodo lontano, hanno contribuito a definire i tratti di un’identità locale. A partire dal 1884, il giovane notaio appassionato d’arte inizia una serie di ricognizioni nei rioni del centro, alla ricerca di elementi tipici, come le decorazioni tre-quattrocentesche in terracotta: lungo questa linea egli compie “una serie di assaggi, di rilievi, di fotografie, di perizie”. La superiorità del MEDIOEVO, è concetto che deve misurarsi con scenari edificati, da assumersi nel loro insieme; e quelli offerti dai rioni bolognesi, offrono un ottimo esempio, da questo punto di vista. La stessa nozione deve poi fare i conti con l’architettura intesa nelle sue massime espressioni, nella sua complessa orditura artistica: la chiesa Bolognese di San Francesco, sta a dimostrare la validità di questo principio. Ricordiamo che questo monumento rappresenta la prima tappa nel suo percorso di restauratore, ma prima di questo, costituisce la seconda, fondamentale tappa nel percorso di studioso da lui intrapreso: la chiesa trecentesca gli fornirà uno schema interpretativo alla lettura di altre fabbriche religiose con le quali egli si cimenterà in seguito, anche se con minore impegno (San Domenico, San Giacomo, San Petronio). Nel tempio francescano, il rapporto costruzione-contesto è di tipo organico dal momento che si è consolidato in “forme naturali”, la sua realizzazione non discende infatti da particolari scelte di indole artistico-intellettuale assunte in via preliminare. Né vi ha agito, in modo determinante, un architetto o chi possa apparire avulso dal processo di costruzione materiale. Non a caso l’attenzione di Rubbiani si concentra sulle parti accessorie della chiesa: più che sull’impianto planimetrico o strutturale, egli si sofferma sulle decorazioni policrome, sugli stalli lignei, sulle vetrate dipinte, sulle modanature in pietra.

L’Arte è dunque da concepirsi come sforzo corale: entità collettiva che prescinde da motivazioni di carattere individuale per diventare: genuina espressione del proprio tempo. È questo uno dei concetti che Rubbiani eredita dall’estetica Romantica, e che sa efficacemente applicare al caso bolognese. E questo stesso concetto è alla base anche di altre esperienze come quella di Aemilia Ars, che egli vive in forma di sodalizio a partire dagli ultimi anni del secolo. Ad analoghi principi si ispira anche il Comitato per Bologna storico-artistica, là dove rivendica il primato dell’interesse comune, sulle ragioni particolari. Fondato nel 1899, il Comitato opera principalmente allo scopo di valorizzare l’identità locale, anche quella incarnata in opere minori o accessorie all’edilizia storica: ufficialmente, uno dei suoi obiettivi fondamentali è quello di “conservare alla città il suo carattere storico-artistico”. Ad accomunare, questo eterogeneo movimento internazionale è un moto di reazione contro la rigidità e l’uniformità degli schemi edilizi imposti dalla cultura dominante dell’ingegnere: contro questa idea di città si invocano le ragioni dell’arte e della tradizione nella prospettiva di esaltare il genius loci in ogni centro urbano. Si tratta delle stesse motivazioni che Rubbiani chiama in causa contro l’allargamento indiscriminato di via Rizzoli. Ora non è sicuro che Rubbiani avesse consuetudine con l’opera di Camillo Sitte: abbiamo però evidenza di una sua conoscenza non superficiale degli scritti di Charles Buls, il secondo esponente di questa emergente tendenza nell’ultimo decennio del XIX secolo. Sitte e Buls provengono dal filone delle arti applicate. Traendone principi e fondamenti, con l’esperienza di Aemilia Ars, Rubbiani corona un percorso abbastanza complesso ma non incoerente. A dispetto di un diverso background, si nota in tutti e tre gli autori un continuo travaso ideologico tra queste due sponde dell’arte, ossia: tra l’estetica della città e il rilancio di un artigianato di alta qualità, dove intercorrono molte più analogie di quanto si possa credere.

4 Nel nostro caso una comune nozione di arte collettiva e impersonale, avvicina l’esperienza all’interno dei due sodalizi, il Comitato per Bologna storico-artistica e Aemilia Ars. Ricerca di coerenza collettiva è il principio predominante nel lavoro di questi gruppi. Dal mondo delle arti applicate giunge il supporto ideologico a una visione dell’arte che nega ogni legittimità ai solipsismi architettonici: al contrario l’Art Public, intende ricercare una qualità media, altresì basata sul recupero delle tradizioni locali, comprese quelle degli edili e degli artigiani. Anche in questo caso la predilezione per il Medioevo, degli anonimi artieri, risulta evidente. Il fondamento dell’armonia, termine ricorrente cui è dato il senso di raccordo invisibile tra materia e oggetto artistico, così come tra architettura e ambiente urbano. Quella che si auspica, con riferimento a una lontana età dell’oro, è dunque un’arte senza artisti, un’architettura senza architetti, che sappia nascere spontanea, dalla mano dell’artefice, così come dall’opera di “anonimi costruttori di città”: guidati dall’istinto, essi sono in grado di tracciare le linee di un disegno basato sulla tradizione non su norme scritte. Vera e propria “ARTE DI POPOLO” non più intesa come romantico auspicio ma come concreta direttrice di azione. In questa sua non lineare, apertura verso il nuovo, Rubbiani si conferma perciò come il perfetto rappresentante del neo-medievalismo bolognese, il quale giunge tardi ma con forza e slancio. E proprio per questo suo essere generosamente in ritardo, la vena locale riesce a mescolarsi con pulsioni verso il nuovo e con temi tipicamente fin-de-siecle. Il riferimento al Medioevo, diventa allora il veicolo di innovazione stilistica (la semplicitas) e tecnologica (l’unità delle arti, il rilancio dell’artigianato di qualità). Il passato diventa quindi, in altre parole, una metafora per parlare di un gusto e di un modo di produzione profondamente rinnovati.

Arts and Crafts a Bologna Orsola Ghetti Baldi Le arti applicate e il Revival: gli anelli principali del rinnovamento alla metà dell’Ottocento L’intenzione di ripercorrere i momenti salienti e gli snodi significativi del passato artistico della città, nella congiuntura epocale fine-inizio secolo, non poteva che individuare nella Aemilia Ars, attiva nei decenni a cavallo tra Ottocento e Novecento, l’esperienza più appariscente e ambiziosa. Il richiamo all’estetica medievale, o in alternativa, la rivisitazione quattrocentesca definiscono l’ambito delle scelte di poetica e stilistiche, che appaiono chiare fin da subito: il revivalismo storicistico, con posizione obiettivamente rilevante, come repertorio ben assimilato di decori tratti dall’immenso serbatoio dei modelli locali, provenienti tanto dal gotico quanto dal primo rinascimento,

5 si coniuga con il florealismo, e il fitomorfismo dell’Art Nouveau avanzante. E spesso è proprio quest’ultimo, con la sua stilizzazione sintetica e sinuosa, a divenire protagonista e a imprimere le esecuzioni più brillanti e innovative; a scandire per esempio, i disegni preparatori per interventi su muri o per forniture di mobili, suppellettili etc. I fogli più attraenti del Fondo dei Disegni dei Musei Civici di Bologna, il nucleo appartenente all’Archivio della chiesa di San Francesco e quello dell’Archiginnasio, fanno balzare in primo piano i nomi di: Achille e Giulio Casanova Giuseppe De Col Alberto Pasquinelli Alfredo Tartarini Augusto Sezanne Vittorio Fiori Sante Mingazzi, come autori di progetti destinati alle decorazioni per soffitti e pareti, vetrate, mobili, ferri battuti, candelieri, altari, cofani preziosi etc. Le carte annodate rendono evidente la costante attenzione, o meglio preoccupazione, di valorizzare la “costruzione” nelle sue diverse parti, e l’annessa funzionalità. Emerge una scelta di campo lucida, e precisa quanto a tecniche e stile a suggello della loro autenticità: quella del neomedievalismo venato di eclettismo che si confronta con i concetti di rinnovamento incentrati sul rilancio del naturalismo floreale di ascendenza morrisiana-preraffaellita. Un revivalismo, quello avviato dai bolognesi, fin dalla metà degli anni Ottanta, su ispirazione di Rubbiani, che può degnamente prender posto nel panorama modernista internazionale. Scenario di multiformi sopravvivenze revivalistiche, neogotiche e non, che giungono con vitalità intatta fino alle soglie del Liberty più avanguardistico dei pieni anni Novanta. Per comprendere al meglio le fonti dalle quali ha preso spunto Rubbiani per la sua poetica, e la concezione dei suoi collaboratori, che si sviluppa similmente alla sua, è necessario ripercorrere le linee generali del processo evolutivo delle Arts and Crafts. La dizione inglese per Arti e Mestieri, risulta la più appropriata per etichettare la priorità storica della Gran Bretagna e la sua estensività in questo campo e riconoscere in quella ricerca pioneristica, la molla decisiva del rinnovamento che ha sospinto tutte le successive sperimentazioni artigianali fino alle soglie del Novecento e oltre. Infatti il bisogno di riformare la situazione del settore, deteriorata dai fattori del nascente industrialismo, che aveva provocato lo scadimento sia del prodotto sia della condizione dell’artigiano, vide la svolta al risanamento proprio in Inghilterra, il paese in cui giunsero a esasperarsi tutte quelle componenti. La riflessione teorica attorno a queste tematiche, che precede e accompagna la rinascita di fine Ottocento, è vastissima e affonda le radici nella coscienza critica progredita nel corso del Settecento a opera del movimento illuminista, propugnatore del valore sociale del lavoro umano quanto del prodotto tecnico-manuale di genere utilitario.

L’apprezzamento estetico delle arti applicate nei loro aspetti progettuali, ornatistici e funzionali, aveva conquistato forza con la ricerca archeologica moderna: il Winckelmann, le fece oggetto di una razionale valutazione ed insieme contribuì ad allargare la passione collezionistica dei materiali. Sono i repertori di disegni di oggetti di scavo che fluiscono in Inghilterra dopo gli anni Settanta del Settecento a fornire i

6 modelli di ispirazione classica alle industrie manifatturiere come la Wedgwood, e al suo geniale progettista John Flaxman, chiamato a ridare smalto alla produzione di vasellame esteticamente decaduta della fabbrica. Flaxman raggiunse il punto massimo di equilibrio tra innovazione tecnologica ed estetica dell’oggetto commerciale. Nel pieno della crisi del gusto, dilagante nei primi decenni dell’Ottocento, nasce la concezione di A. Pugin, architetto, storico, critico del costume, estetologo, il quale, stigmatizzando lo svilimento dell’arte dovuto al revivalismo indiscriminato, condannò le forme incongruenti di certa architettura, e ritenendo che tale degrado fosse organico alla decadenza etica della società, credette di trovare la via del riscatto nel passato. Ispirandosi a un Medioevo utopistico, si sarebbe trovata la via della rigenerazione sociale e nello stile gotico la chiave della riprogettazione delle arti applicate. L’esame storico delle condizioni socio-culturali dell’Inghilterra del secolo XIX e del rapporto arte-società vittoriana, conduce Pugin a elaborare una complessa teoria, ove viene affermato l’assunto assolutamente moderno delle funzionalità legate all’ornamento, che andava a focalizzare la problematica della produzione corrente. Revivalista illuminato, Pugin non concede neanche al gotico di degenerare in connotati ipertrofici, quali si videro in numerosi esempi all’Esposizione Universale di Londra del 1851, apoteosi e documentazione dei prodotti artistici per la nuova società industriale. Per quanto riguarda il Gothic Revival, dobbiamo ricordare che, la crescita di un sentimento romantico della natura, la formulazione di una “poetica”del pittoresco, relativo al paesaggio, la riflessione sulle origini delle idee del Sublime e del Bello, dovuta a Edmund Burke, e in parallelo, la nascita della moda di introdurre false rovine nel paesaggio, insieme a una nuova concezione del giardino, indicavano quella rivoluzione della sensibilità sottesa anche al gusto per il gotico. Ad alzare le quotazioni di questo stile in Inghilterra e a conferirgli tutto l’impatto di suggestione visiva che solo l’architettura può dare, troviamo alcuni edifici così spregiudicati e bizzarri da meritare una posizione capitale nell’esprimere e potenziare l’immaginario medievalista e aumentarne il quoziente emotivo. È d’obbligo citare la costruzione di Strawberry Hill (1747-53) voluta dallo scrittore Horace Walpole, appassionato archeologo dilettante, ( e autore della storia The Castle of Otranto. A Gothic Story, uno dei primi romanzi gotici, antesignano del romanzo nero). Quella dimora satura di ogni preziosismo e audacia goticizzante, fece a lungo discutere nei dibattiti antiquariali del momento, alimentati dai viaggi nel continente e dalle disamine di adepti e detrattori sulle proprietà formali dello stile. Un altro caposaldo di questa temperie del gusto architettonico e uno dei più grandi esempi di abitazione gotica fu Fonthill Abbey (1796-1807), costruita dall’architetto James Wyatt per William Beckford, collezionista d’arte medievale, scrittore esotista ed erudito viaggiatore, il quale vi riversò elementi stilistici e costruttivi desunti dalle impressioni avute dal Monastero portoghese di Bathala.

Bologna:

Quanto alla forma del Revivalismo neomedievalista a Bologna in ambito architettonico, è necessario valutare l’accoglienza dei modelli gotici nella cultura della scenografia emiliana. L’argomento è stato puntualizzato da A.M. Matteucci, la quale ha rinvenuto le “precocissime soluzioni”, i diversi significati e le valenze del lessico gotico nell’ambito bolognese a partire dal Settecento. Ha colto lo “sperimentalismo

7 combinatorio” e l”accostamento di codici diversi”, anticipatori di diversi futuri eclettismi che fluiranno nei disegni del Palagi e del Basoli. Una certa influenza si riconosce inoltre allo scenografo Francesco Cocchi, attraverso l’opera del quale filtrano a Bologna goticismi reinventati e ambientazioni pittoresche. La materializzazione, poi, del gusto della reviviscenza nel bolognese, e dintorni, nel corso dell’Ottocento, passa anche attraverso gli aggiornamenti e interpolazioni di ville e residenze della campagna circostante: dalla limonaia della Villa Sorra, alla villa Giovannina, a quel capriccioso ibrido che è la Rocchetta Mattei.

Inghilterra: Questa enorme impresa che celebra il “gotico moderno” incrocia quindi la data dell’Esposizione Universale londinese (1851) dove Pugin allestisce la sua Sezione, la Mediaeval Court, mettendo in atto una vasta e diramata collaborazione, già sperimentata nel cantiere precedente, con gruppi di artigiani e ditte. Non si può dire che questa struttura anticipi la consorteria artigiana di William Morris e soci. Ma, essa predefinisce la metodologia di progettazione-produzione-vendita che costituisce una ricetta molto rilevante per il futuro: intanto la globalità dell’intervento mette in opera creazioni per ogni settore: vetri, mobilia, tappezzeria, tende, decorazione a pittura, rivestimenti e illuminazione, affidandoli a più coadiutori. Inoltre, il fattore davvero innovativo, è quello di mettersi al passo con un criterio di fornitura industriale; i disegni di Pugin servono per una larga fetta di produttori manifatturieri, che commercializzano il prodotto anche su ordinazione e a prezzo contenuto, e prevedono già l’esigenza della serialità e di un mobile costruttivamente semplice ancorché gotico, quindi da assemblare in breve tempo. Se sul versante del neoclassicismo Robert Adam, aveva impersonato ai più alti livelli il ruolo dell’architetto progettista designer, inventando raffinatissimi apparati decorativi per gli interni destinati a una clientela aristocratica, Pugin è sul fronte del neogotico il capofila di una produzione scelta per la borghesia vittoriana in ascesa, la società che gremisce le grandi esposizioni universali, che si susseguiranno, specialmente a Londra e Parigi, scandendo le tappe del progresso industriale. Pugin, nei suoi scritti tra il 1841 e il 1844, richiede per il neogotico la corrispondenza tra correttezza costruttiva e decoro con un ellittico precorrimento non solo dell’esperienza morrisiana, ma anche della Sachilichkeit di Walther Gropius, facendo uscire questo stile dalla categoria del banale eclettismo. Poi, un altro ...


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