Benjamin Constant fra Stato e libertà PDF

Title Benjamin Constant fra Stato e libertà
Author Marco Bassani
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Constant 256 18-02-2009 20:16 Pagina 2 I volumi della collana Mercato, Diritto e Libertà sono pubblicati grazie al generoso contributo dell’Istituto Adam Smith di Verona. Constant 256 18-02-2009 20:16 Pagina 3 Benjamin Constant CONQUISTA E USURPAZIONE Introduzione, traduzione e cura di Luigi Marco ...


Description

Constant 256

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I volumi della collana Mercato, Diritto e Libertà sono pubblicati grazie al generoso contributo dell’Istituto Adam Smith di Verona.

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Benjamin Constant

CONQUISTA E USURPAZIONE Introduzione, traduzione e cura di Luigi Marco Bassani Nota bibliografica di Stefano De Luca

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Titolo originale De l’esprit de conquête et de l’usurpation dans leurs rapports avec la civilisation européenne AD Gerardo Spera Copertina Timothy Wilkinson © IBL Libri Via Bossi, 1 10144 Torino [email protected] Prima edizione: marzo 2009 ISBN 978-88-6440-001-3

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Indice Introduzione Benjamin Constant fra Stato e libertà di Luigi Marco Bassani

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Nota del curatore

59

Avvertenza alla prima edizione

63

Prefazione

65

Prefazione alla terza edizione

67

Avvertenza alla quarta edizione

69

Preambolo

71

Parte prima - Dello spirito di conquista Capitolo 1 Delle virtù compatibili con la guerra nelle diverse epoche e condizioni sociali

75

Capitolo 2 Del carattere delle nazioni moderne in relazione alla guerra

77

Capitolo 3 Dello spirito di conquista nelle condizioni attuali d’Europa

81

Capitolo 4 Di una razza militare che agisca solo per interesse

83

Capitolo 5 Altra causa di deterioramento per la classe militare nel sistema di conquista

87

Capitolo 6 Influenza dello spirito militare sulla situazione interna dei popoli

89

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Indice

Capitolo 7 Altro inconveniente della formazione di tale spirito militare

93

Capitolo 8 Effetti di un governo di conquista sul grosso della nazione

95

Capitolo 9 Dei mezzi di coercizione necessari per integrare l’efficacia della falsità

99

Capitolo 10 Altri inconvenienti del sistema guerriero per il progresso e le classi colte

101

Capitolo 11 Aspetto sotto il quale una nazione conquistatrice vedrebbe oggi i propri successi

105

Capitolo 12 Effetto di tali successi sui popoli conquistati

107

Capitolo 13 Dell’uniformità

111

Capitolo 14 Esito inevitabile dei successi di una nazione conquistatrice

119

Capitolo 15 Risultati del sistema guerriero nell’epoca attuale

123

Parte seconda - Dell’usurpazione Capitolo 1 Scopo preciso del raffronto tra usurpazione e monarchia

129

Capitolo 2 Differenze tra usurpazione e monarchia

133

Capitolo 3 Di un aspetto sotto il quale l’usurpazione è più incresciosa del dispotismo assoluto

143

Capitolo 4 Come l’usurpazione non possa reggere nella nostra attuale civiltà

147

Capitolo 5 Risposta a un’obiezione che potrebbe trarsi dall’esempio di Guglielmo III

153

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Indice

Capitolo 5 (bis) L’usurpazione non può mantenersi con la forza?

157

Capitolo 6 Del tipo di libertà quale è stata presentata agli uomini alla fine del secolo scorso

159

Capitolo 7 Degli imitatori moderni delle repubbliche antiche

165

Capitolo 8 Dei mezzi adoperati per dare ai moderni la libertà degli antichi

171

Capitolo 9 L’avversione dei moderni per tale presunta libertà implica forse in loro l’amore per il dispotismo?

177

Capitolo 10 Sofisma in favore dell’arbitrio esercitato da un solo uomo

179

Capitolo 11 Degli effetti dell’arbitrio sui vari aspetti dell’esistenza umana

183

Capitolo 12 Degli effetti dell’arbitrio sui progressi intellettuali

187

Capitolo 13 Della religione sotto l’arbitrio

195

Capitolo 14 Gli uomini non possono rassegnarsi volontariamente all’arbitrio quale ne sia la forma

199

Capitolo 15 Del dispotismo come mezzo per perpetuare l’usurpazione

203

Capitolo 16 Dell’effetto, sugli stessi governi legali, delle misure illegali e dispotiche

207

Capitolo 17 Risultati delle considerazioni esposte per quanto riguarda la durata del dispotismo

213

Capitolo 18 Cause che rendono particolarmente arduo instaurare il dispotismo in questa nostra epoca della civiltà

215

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Indice

Capitolo 19 Come, non potendo l’usurpazione reggersi mediante il dispotismo, dato che al giorno d’oggi il dispotismo stesso non può sussistere, non vi sia per l’usurpazione alcuna probabilità di perpetuarsi

219

Appendice Aggiunte alla quarta edizione Parte prima - Capitolo 1 Delle innovazioni, delle riforme, dell’uniformità e della stabilità delle istituzioni

229

Parte prima - Capitolo 2 Chiarimenti sull’usurpazione

241

Nota bibliografica di Stefano De Luca

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Introduzione Benjamin Constant fra Stato e libertà di Luigi Marco Bassani

Rien ne justifie l’homme qui prête son assistance à la loi qu’il croit inique.

In un noto scritto giovanile – Des réactions politiques (1797)1 – Benjamin Constant affermava, polemizzando con i giacobini e anche con Immanuel Kant (chiamato semplicemente “un filosofo tedesco”), che un’applicazione troppo rigida dei principi avrebbe condotto alla distruzione della società. L’esempio di Constant verteva sul divieto della menzogna. Al futuro autore dei Principi di politica sembrava che in certi casi una menzogna potesse essere giustificata e che un divieto rigido, ossia un obbligo di dire la verità a chiunque, anche ai malfattori, avrebbe significato un pericolo reale per la società.2 Secondo Kant, al contrario, è proprio colui che 1. Benjamin Constant, “Des réactions politiques” (1797), in Écrits et discours politiques, a cura di Olivier Pozzo di Borgo, Parigi, 1964, pp. 2185 (tr. it. Le reazioni politiche. Gli effetti del terrore, a cura di Franco Calandra, Napoli, ESI, 1950). Questo saggio si segnala anche per essere stato uno dei primi ad utilizzare il termine “liberale” come sinonimo di moderazione politica. 2. Constant attribuiva a Kant l’opinione opposta. Stimolato dal saggio del francese, il filosofo di Königsberg avrebbe subito risposto con il noto “Sul presunto diritto di dire una bugia per motivi altruistici” (“Über ein vermeintes Recht, aus Menschenliebe zu lügen”, 6 settembre 1797, Werke, Berlino, 1905-1922, vol. VIII, pp. 425-430), nel quale sosteneva proprio l’ultralegalista tesi che sia sempre sbagliato mentire, anche per salvare un amico dall’omicidio. In italiano i due testi sono raccolti in Immanuel Kant – Benjamin Constant, La verità e la menzogna, a cura e con Introduzione di Andrea Tagliapietra, Milano, B. Mondadori, 1996. Sulla questione, oltre all’ottima introduzione di Tagliapietra nel volume appena citato, cfr. Robert J. Benton, “Political Expediency and Lying. Kant vs Benjamin Constant”, Journal of the History of Ideas, 43, n. 1, 1988, pp.

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mente che “abolisce la società”.3 Tutta l’opera politica di Constant può essere letta come un approfondimento della polemica contro i rigidi assertori dei “principi giusti”: siano essi i seguaci di Rousseau, i fautori di un’inflessibile adesione ai fondamenti dello “Stato di diritto”, o dell’imperativo categorico. Contro di loro il pensatore francese costruirà, nel corso del tempo, un’autentica dottrina politica della quale il saggio che presentiamo al lettore italiano in una nuova traduzione e cura rappresenta una delle tappe fondamentali. 1. Vita Per quello che qui ci interessa, le seguenti notizie biografiche di Constant potranno essere sufficienti. Nato a Losanna il 25 ottobre 1767 da una famiglia della piccola nobiltà francese espulsa dalla Francia a causa della propria adesione al credo protestante (o almeno questa era la narrazione tradizionale della famiglia), Benjamin-Henri Constant de Rebecque si iscrisse giovanissimo all’Università di Erlangen in Germania (1782), per poi proseguire gli studi ad Edimburgo (1783-1785), centro dell’Illuminismo scozzese. Senza dubbio la sua caratteristica di déraciné deve essergli pesata meno nella prima parte della sua esistenza, quella trascorsa in pieno clima illuminista e cosmopolita, mentre il mutamento culturale dei decenni successivi, con la progressiva “nazionalizzazione” soprattutto degli intellettuali, lo avrebbe spinto ad acquistare nel 1798 la cittadinanza francese (e tuttavia i suoi contemporanei ben raramente lo considerarono francese a pieno titolo). Nel 1788 Constant diventò ciambellano alla corte del duca di Brunswick, titolo che manterrà in 135-144; Carlo Violi, “Una polemica ‘rivisitata’: Constant e Kant”, in Id., Benjamin Constant e altri saggi, Roma, Herder, 1991, pp. 51-106; Stephen Holmes, Benjamin Constant and the Making of Modern Liberalism, New Haven, Yale University Press, 1984, pp. 106-109. 3. Immanuel Kant, “Sui doveri etici verso gli altri. La veridicità” (177581), in Immanuel Kant – Benjamin Constant, La verità e la menzogna, p. 235.

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Introduzione

modo intermittente per sette anni. Nelle lettere di quel periodo egli mostrò una certa simpatia per la Rivoluzione e in particolare per il gruppo dei Girondini (la sua simpatia per i giacobini al potere durò invece pochissimo), il che gli causò non pochi problemi a corte. L’8 maggio del 1789 Benjamin sposò Minna von Cramm, damigella d’onore della duchessa di Brunswick, dalla quale si separerà meno di quattro anni dopo. Nell’autunno del 1794 rimase letteralmente folgorato dall’incontro con Germaine de Staël, tanto che nel marzo dell’anno dopo mise in scena un tentativo di suicidio perché era stato rifiutato (cosa che impressionò molto la sensibile letterata). Nella primavera del 1795 i due si trasferirono insieme a Parigi. Arrivò quindi nella capitale in tempo per esser testimone di tutta la parabola del Direttorio e dell’ascesa al potere del suo quasi coetaneo Napoleone (1799). Fin dal principio il liberalismo di Constant risulta diverso da quello che la sua stessa cerchia intellettuale (il circolo che si riuniva nella residenza di Coppet), andava sviluppando, e che può essere sintetizzato nella nota affermazione dell’autrice delle Considérations, secondo la quale “in Francia la libertà è antica e il dispotismo moderno”. L’idea di una sorta di regresso storico dell’idea di libertà, così come la parallela riscoperta antiilluminista del Medio Evo e delle sue libertà, non convinsero mai del tutto Constant, che rimase anzi persuaso non solo della incompatibilità fra feudalesimo e libertà personale, ma anche della conciliabilità fra libertà e un certo grado di centralizzazione statale. I suoi primi scritti politici del biennio 1796-97 – De la force du gouvernement actuel de la France (1796) e il già citato Des réactions politiques – sono tipicamente considerati lavori del “periodo repubblicano” (in contrapposizione al periodo “monarchico costituzionale” dell’età matura), composti anche per mettersi in buona luce nei confronti del Direttorio e per segnalare le debolezze intrinseche della sua posizione. È assai difficile affermare che i convincimenti politici generali di Constant siano stati ondivaghi, piuttosto svariati autori ritengo11

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no che gli scritti giovanili abbiano come oggetto un potere, quello del Direttorio, troppo debole per rappresentare un vero pericolo per la libertà personale, mentre gli scritti dell’età matura si concentrano invece sulle minacce che un potere politico ben stabilito quale quello napoleonico poneva alla libertà. Già il 20 ottobre del 1797 Talleyrand raccomandava Constant a Napoleone, allora generale in Italia. Ma è nel 1799 che ha propriamente inizio la complessa storia delle relazioni e dei giudizi di Constant sul condottiero corso. Vicenda che troverà una sua sistemazione quasi definitiva proprio nel fondamentale saggio che qui riproponiamo al lettore italiano. Fin dai discorsi di primo Ottocento al Tribunato, organo consultivo del quale era entrato a far parte dal 24 dicembre 1799, Constant mostrò di ritenere proprio compito quello di far rivivere il tema della limitazione del potere. Mentre negli anni precedenti egli era stato piuttosto comprensivo nei confronti delle misure incostituzionali del Direttorio, in questo periodo prese in mano il testimone del liberalismo più coerente fino all’esaurimento della pazienza di Napoleone, che nel 1802 gli impedirà la prosecuzione di qualunque carriera pubblica. Dal gennaio del 1800, nei suoi primi discorsi al Tribunato (organo nel quale era stato nominato probabilmente grazie all’intervento di Sieyès e forse dello stesso Napoleone) egli si dichiarò contrario al “regime di brumaio”. In effetti, «l’avvento di Bonaparte è decisivo, perché scatena in Constant un riflesso anti-dispotico che (…) lo condurrà alla formulazione di una matura dottrina liberale».4 Dal 1802 al 1814 Constant condusse un’esistenza tutta privata, lontana dai discorsi e dalle passioni politiche pratiche, trasorrendo gran parte del tempo presso il castello di Coppet, vicino Losanna, in compagnia di Madame de Staël. I due grandi scritti di questi anni – 4. Stefano De Luca, Alle origini del liberalismo contemporaneo. Il pensiero politico di Benjamin Constant tra il Termidoro e l’Impero, Lungro di Cosenza, Marco Editore, 2003, p. 132.

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Introduzione

Fragments d’un ouvrage abandonné sur la possibilité d’une constitution républicaine dans un grand Pays (composto fra il 1800 e il 1803 e pubblicato solo nel 1991, a cura di H. Grange, Aubier, Parigi) e i Principes de politique applicables à tous les gouvernements (composto fra il 1802 e il 1806, ma pubblicato solo nel 1980, a cura di E. Hofmann, Droz, Ginevra)5 – aprono la grande riflessione teorica dell’esilio e presentano già tutti i temi che caratterizzeranno la sua meditazione politica: dalla critica a Rousseau, all’idea del governo limitato, al disegno costituzionale fondato sulla prevalenza dei “poteri neutri”, all’opposizione antichi/moderni, solo per menzionarne alcuni. Non si può non convenire con Holmes quando afferma che se Constant «avesse pubblicato questi lavori sistematici avrebbe potuto essere riconosciuto come il teorico politico più originale in Francia fra Rousseau e Tocqueville».6 Anche se, conviene precisare, ciò vale solo per il passato, visto che non vi può essere oggi chi dubiti di questa sua precisa statura intellettuale. Il fatto poi che, in seguito alle scoperte dei manoscritti inediti, «il fulcro del pensiero constantiano si sposta dalla Restaurazione al Consolato e ai primi anni dell’Impero»,7 è di enorme rilevanza storiografica. Come nota giustamente Stefano De Luca: «Le soluzioni politiche e costituzionali teorizzate da Constant non sono (…) il riflesso o la celebrazione di una vittoria sul dispotismo napoleonico, ma piuttosto il manifesto di una battaglia ancora da combattere».8 Nel novembre-dicembre 1813, attingendo ampiamente ai Principi del 1806, Constant scrisse De l’esprit de 5. Spesso le date dei due grandi inediti sono semplicemente indicate con 1806 per i Principes e 1810 per i Fragments. Il riferimento è allora alle date di ultima copiatura delle opere e non alla loro effettiva composizione. In italiano i Principi di politica del 1806 sono stati da poco tradotti e curati: Benjamin Constant, Principi di politica applicabili a tutte le forme di governo, a cura di Stefano De Luca, Prefazione di Etienne Hofmann, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2007 [Principi di politica (1806)]. 6. Stephen Holmes, Benjamin Constant and the Making of Modern Liberalism, p. 13. 7. Stefano De Luca, “Introduzione” a Benjamin Constant, Principi di politica (1806), p. XXX. 8. Stefano De Luca, “Introduzione”, p. XXX.

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conquête et de l’usurpation, pubblicato in ben quattro edizioni dal gennaio al luglio dell’anno successivo. Nonostante la netta presa di posizione sul “problema Bonaparte”, Constant non fu in grado di resistere alla chiamata dell’Imperatore, il quale nell’aprile del 1815 gli offrì di diventare uno dei suoi consiglieri per la stesura della Costituzione. Anni dopo, nell’apologetico Mémoires sur les Cent-Jours (1820-22),9 cercò di presentare le proprie ragioni per spiegare questo sommo gesto di incoerenza politica, ma come egli abbia potuto intimamente credere di trasformare Napoleone in un sovrano costituzionale rimane un mistero. Nel 1815, proprio durante i Cento Giorni, uscirono i Principes de politiques, che utilizzano articoli editi e parte del materiale inedito accumulato negli anni precedenti. Il fermo ancoraggio di questo lavoro ai principi del costituzionalismo liberale è fuor di dubbio: in esso viene invocata con forza e persuasività la libertà di discussione fra rappresentanti eletti liberamente, la fine della censura su stampa e opinioni in generale, la responsabilità politica dei ministri. Pur apprezzando il principio dinastico, Constant presenta un’argomentazione a tutto tondo a favore di un sistema fondato sulla limitazione dei poteri. Il primo anno della Restaurazione lo vide esule in Inghilterra (si trattava tuttavia di esilio volontario, giacché Luigi XVIII aveva prontamente perdonato le sue debolezze napoleoniche). In questo paese pubblicò nel 1816 il suo romanzo Adolphe, scritto oltre dieci anni prima, che è stato considerato dai critici per lungo tempo quasi un’autobiografia, tesi oggi inaccettabile.10 9. Cfr. Benjamin Constant, Memorie sui Cento Giorni (1820-22), a cura di Enrico Emanuelli, Milano, Gentile, 1945. 10. In italiano una traduzione recente è quella di Piero Bianconi, introdotta da Lucia Omacini: Benjamin Constant, Adolphe. Aneddoto trovato fra le carte di uno sconosciuto, Milano, Rizzoli, 2005. Afferma Omacini: «Il romanzo trascende l’esperienza vissuta e non autorizza, malgrado talune innegabili affinità, una lettura in chiave autobiografica. Adolphe si presenta piuttosto (...) come la felice deviazione di un progetto memorialistico mirato, a sua volta inserito in un’esperienza narrativa condotta principalmente all’insegna della soggettività», p. 11.

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Introduzione

Nel settembre dello stesso anno farà ritorno a Parigi e da allora non lascerà più la Francia, impegnandosi nell’attività pubblica e negli studi. Il suo Cours de politique constitutionelle, in quattro volumi, composto utilizzando le sue pubblicazioni politiche precedenti, fu pubblicato fra il 1818 e il 1820. Nel 1819, in febbraio, tenne la notissima conferenza De la liberté des anciens comparée à celle des modernes.11 Nel 1822 iniziò la...


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