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Title Bioprinting appunti
Course Strutture bioartificiali e biomimetiche
Institution Politecnico di Milano
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appunti del corso della prof Silvia Farè, anno 2019-2020...


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Strutture biomimetiche e bioartificiali

10. Bioprinting 28/10/19

10. BIOPRINTING I materiali utilizzati sono idrogeli, che ci consentono di inglobare le cellule. Gli approcci classici di additive manufacturing prevedono l’utilizzo o di solventi organici o temperature molto alte, quindi non posso utilizzare proprio tutti i materiali e inglobare le cellule in tutti i materiali. Al contrario, gli idrogeli permettono di essere lavorati in altre condizioni, perché hanno un elevato contenuto di acqua quindi non servono alte temperature o solventi organici. Da un punto di vista biologico sono quelli che sono più in grado di mimare la ECM. Biofabbrication: fabbricazione in modo organizzato dei costrutti che prevedono al loro interno materiali, cellule, componenti organiche. Faccio un disegno in CAD, lo do alla mia stampante e ottengo l’oggetto che avevo progettato. Quando parliamo di biofabbrication si parla sempre della fabbricazione di scaffold attraverso il processamento di materiali: questi possono essere dei biomaterial inks, che attraverso la stampa 3D mi consentano di ottenere l’oggetto progettato. Divisione molto semplice:

Biomateriali per la biofabbrication:  

Si stabilizzano (=acquistano una forma propria) rapidamente dopo la deposizione mediante diversi meccanismi In grado di produrre un costrutto che interagisca con l’ambiente biologico (cellule, tessuti)

Si usano due tipi di materiali:  

Idrogeli detti bioinks che hanno le cellule inglobate negli idrogeli durante la stampa Acellular links che non contengono cellule

Un ink può essere composto anche da tutti questi elementi:    

Matrice, composta dal materiale che abbiamo scelto di stampare Cellule, messe all’interno del materiale per ottenere un bioinks o seminate dopo per ottenere un cellular ink Particelle, in generale, ad esempio se volessi stampare uno scaffold per osso dovrei aggiungere in questo caso idrossiapatite Bioactive factors, qualunque tipo di molecola attiva (es farmaco, fattori di crescita, …)

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10. Bioprinting

Nell’immagine vediamo i componenti con cui posso giocare per ottenere un “inchiostro” per la stampa, avrò una matrice composta da idrogelo e da un materiale che stampo. Posso inserire poi le cellule e posso poi rendere più complesso il sistema, per migliorare le proprietà, con fattori bioattivi che stimolino le cellule a una funzione di interesse. I fattori bioattivi sono: la composizione dell’inchiostro e la sua concentrazione. Si parla di composizione dell’inchiostro nel senso che posso scegliere il tipo di materiale che voglio stampare e che ha determinate proprietà e posso scegliere se stampare materiale con le cellule all’interno o senza. Non tutti i materiali e non tutte le loro formulazioni vanno bene per bioink, bisogna processarlo. I materiali principalmente utilizzati nella biofabbrication sono gli idrogeli. Si dividono tendenzialmente in due classi:

Si differenziano perché gli idrogeli naturali sono estratti da fonti naturali (alginato estratto dalle alghe, gelatina estratta da tessuti animali trattando il collagene). Il vantaggio di usare idrogeli di origine naturale è che buona parte di questi materiali contiene delle sequenze o dei siti che sono riconosciuti dal corpo umano perché mimano quelli dell’uomo, vado a far vedere alla cellula un ambiente che è molto simile a quello presente in vivo. Svantaggio: variabilità di questi materiali. Gli 2

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idrogeli sintetici sono ottenuti chimicamente. Svantaggio: se metto le cellule all’interno di questi materiali non riesco a ricomporre la ECM, ma vantaggio è che hanno proprietà riproducibili. Tecniche utilizzate Il problema e la sfida nel realizzare scaffold con stampante 3D: sull’asse delle ordinate abbiamo la fedeltà di stampa, ovvero dato che il materiale viene depositato su una superficie di stampa voglio che venga depositato con un’alta fedeltà di stampa, ovvero strutture ben definite che rispecchino il disegno iniziale, quindi riesco a vedere bene i filamenti stampati. Sull’asse delle ascisse abbiamo la concentrazione di polimero, oppure la densità del crosslinking, che va ad influire sia sulla vitalità cellulare sia sulla fedeltà di stampa. In sostanza, si deve trovare un compromesso tra questi due fattori: man mano che le proprietà aumentano riesco ad andare nella zona in alto a destra e riesco ad ottenere una struttura definite con buona fedeltà di stampa. Il problema è che più aumento le proprietà più è probabile che vada ad influire negativamente sulla vitalità cellulare. La zona verde è il compromesso tra fedeltà di stampa accettabile e proprietà meccaniche e strutturali del materiale che mi consentono di ottenere una buona vitalità cellulare.

Quando parliamo di biofabrication, possiamo riferirci a 3 diverse tecniche di stampa: 

Laser-induces forward transfer: non viene usata tantissimo, ma è una tecnologia disponibile. Ho la piattaforma donatrice, che ha sotto l’inchiostro, e assorbendo un raggio laser (che colpisce in punti definiti che decido io) lo trasmette al bioink sotto. Questo trasferimento di energia fa sì che vengano sparate delle goccioline sul piano di stampa. Vantaggi: ci stiamo basando su una fonte laser, quindi la deposizione del materiale è molto precisa. Sono goccioline piccole quindi posso stampare con alta risoluzione e posso stampare con alte densità cellulari. 3

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Svantaggi: distribuzione delle cellule non omogenea e materiale deve gelificare velocemente una volta depositato. La dimensione dei costrutti che posso ottenere rispetto alla 3° tecnica è minore. Inkjet printing (both thermal and piezoelectric): si utilizza un pochino di più. Il materiale esce da un ago grazie all’energia fornita da due fonti di energia diverse: o Piezoelettrico: non utilizza il calore, ma viene applicato un impulso meccanico direttamente al fluido nell’ugello mediante un attuatore piezoelettrico, un’onda d’urto forza il bioink attraverso l’ugello. o Termica: ho una parte riscaldante che genera calore localizzato, si generano bolle di vapore che sparano goccioline e le depositano Vantaggi: si possono utilizzare cellule e ottenere strutture 3D Robotic dispensing: sono le più utilizzate, sono più semplici, il set-up e attrezzatura richiesta è molto più semplice. Ho una siringa con un pistone, in un qualche modo la siringa viene schiacciata ed esce la gocciolina, ho bisogno di braccia meccaniche che guidino sul piano xy di stampa la siringa per ottenere strutture 3D. Ho 3 tecnologie disponibili: o Siringa a compressione pneumatica o Siringa con pistone: il primo viene definito pneumatico perché per estrudere l’idrogelo applico una pressione sull’inchiostro. Il secondo tipo è di tipo a pistone, ciò significa che ho un pistone che spinge l’idrogelo nella cartuccia. Le cellule depositate con questa tecnica hanno un’elevata vitalità e non ho effetti di rilievo sulla capacità di differenziamento delle cellule. o Siringa a vite: meno utilizzato, una vite girando spinge il materiale verso l’uscita, ho canale in cui si spinge il materiale verso l’ago e quindi verso l’estrusione. Con questa tecnica ho un maggiore controllo spaziale e sono adeguati a idrogeli a maggiore viscosità, le gocce però sono poste a pressioni maggiori all’ugello, e questo è potenzialmente dannoso per le cellule incapsulate. È la tecnologia più promettente e più facile da usare. Il problema è che il materiale deve essere abbastanza liquido per essere estruso da una siringa ma anche abbastanza viscoso da non collassare una volta estruso (deve mantenere la sua forma). Una volta stampati, l’idrogelo deve essere stabilizzato in qualche modo (reticolazione o gelificazione).

Quello che accomuna questi processi è che tutti si basano sulla deposizione controllata del materiale, come si vede nell’immagine. Una volta che ho depositato il primo piano, la stampante si alzerà per depositare un altro strato sopra il primo per crescere in altezza. 4

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Struttura di una stampante 3D tipica:

Abbiamo un piano di stampa su cui viene pescato il materiale con cellule all’interno e viene depositato sul substrato. Per stampare con successo un bioink devo tener conto di tutte queste cose: 



Viscosità del materiale  deve essere ingegnerizzata, deve essere un buon compromesso per essere stampabile e stabile una volta stampato Grandezza dell’ago  se sto stampando con una siringa posso variare la dimensione dell’ago per variare la dimensione dello stampo

Questi due fattori vanno ad influire sullo shear stress  tanto più alti sono, tanto più alta è la probabilità che le cellule non sopravvivano 

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Tempo di fabbricazione  le cellule sono esposte all’aria e non sono le condizioni ottimali

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Proprietà di network Gelation  devo intervenire affinchè una volta stampato l’idrogelo induca la sua gelificazione/reticolazione per renderla stabile a 37°

Ci sono due proprietà nello specifico che sono fondamentali per andare a stampare uno scaffold: 



Proprietà reologiche  il materiale deve essere estruso e quindi le sue proprietà devono essere adatte all’estrusione, ma deve rimanere stabile una volta stampato, le proprietà reologiche sono quelle che determinano le proprietà di stampa dell’idrogelo. Consideriamo una proprietà reologica dell’idrogelo come la viscosità. Se l’idrogelo che stampo ha una viscosità bassa, si formano delle gocce in uscita dall’ago e la struttura stampata collassa, i particolare il secondo strato collassa sopra il primo. Se vado ad aggiungere una quantità determinata, ad esempio di acido ialuronico, ottengono la deposizione di un filamento continuo che ha proprietà reologiche adeguate che mi permette di ottenere una struttura 3D con più layer. Meccanismo di gelificazione o reticolazione  al materiale deve essere impressa a lungo termine la forma che gli ho dato stampandolo, al fine di mantenere la forma, replicata fedelmente, dopo la stampa l’idrogelo deve essere reticolato, ciò conferisce anche una sufficiente stabilità meccanica.

Come utilizzare la viscosità di un idrogelo affinchè sia stampato Quando si stampa un materiale si fa a griglia: il primo strato saranno tutte righe parallele tra loro, il secondo saranno righe parallele però perpendicolari con quelle stampate prima e ogni strato si aumenta dimensione. Immagine C: bassa fedeltà di stampa. Le immagini A e C il materiale ha una viscosità troppo bassa e la struttura è collassata. Allora si è aggiunto dell’acido ialuronico per aumentare la viscosità e nell’immagine B infatti ho un filamento che esce e mi permette di ottenere una struttura perfettamente a griglia (immagine D). Se utilizziamo idrogeli sintetici, si crea un ambiente inerte delle cellule, ovvero le cellule sopravvivono ma non avviene per natura l’adesione. Esempio di stampa di idrogeli di origine naturale La reticolazione dipende dal materiale, in questo caso stampo alginato: lo carico dentro alla siringa, dentro l’alginato posso mettere le cellule. Deposito il materiale a goccioline e se viene a contatto con ioni divalenti l’alginato si reticola (ad esempio soluzione di calcio-cloruro, che inserisco nell’alginato ad esempio mettendolo sul substrato).

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Esempio di gelatina La gelatina è ottenuta da una parziale idrolisi della struttura a tripla elica del collagene portando all’ottenimento di singole macromolecole. Ha una buona biocompatibilità, capacità di assorbimento di alte quantità di acqua, non-immunogenica, completamente degradabile in vivo. È un idrogelo termo-reversibile (transizione sol-gel). Possono essere fatte varie tipologie di modifiche chimiche e fisiche per migliorare la stampabilità e la stabilità in condizioni fisiologiche: glutaraldeide, idrogelo fotopolimerizzabile (stabile @37°C) chimicamente modificato con gruppi lateriali metacrilici (GelMA) e bisacrilammide. Vantaggio: materiale termo-responsive, se l’abbiamo sopra circa 30° ha un carattere liquid-like, se sotto i 30° abbiamo un materiale solid-like. Può essere stampata, non sempre le cellule possono essere inglobate (dipende dalla reticolazione utilizzata). 

gelMA: più utilizzata per questo tipo di lavori. I gruppi metacrilici dell’anidride metacrilata si attaccano alle ammine della gelatina (esposte naturalmente). Se aggiungo fotoiniziatore e aggiungo luce UV ottengo un polimero perché i gruppi si attivano e si legano tra loro e ottengo un network polimerico, un idrogelo stabile a 37°

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All’interno della siringa quindi avrò gelMA, avrò fotoiniziatore e posso aggiungere cellule, lo stampo e irradio con luce UV. Vantaggio: si possono usare le proprietà termo-responsive per aumentare la fedeltà di stampa. Se riesco a raffreddare il piano di stampa, la gelatina liquid-like gelifica e si solidifica (deve essere comunque reticolata). Reticolazione con gluteraldeide: stampo la gelatina (no gelMA), immergo lo scaffold nella gluteraldeide e la gelatina reticola. Il processo però non è citocompatibile, quindi non posso mettere le cellule dentro la gelatina, ma devo lavare lo scaffold e seminarlo di cellule dopo Gelatina MBA: reticolazione con metilene-bis-acrilammide.

Quando la aggiungo alla catena di gelatina, le estremità della MBA si possono legare a due gruppi amminici della gelatina e fanno da ponte di reticolazione. Mischio gelatina e agente reticolante (MBA), nel tempo iniziano a reagire fino a quando gelatina non è reticolata. La reticolazione è più lenta quindi ho una finestra temporale più alta che posso sfruttare per stampare.

Una volta che ho intersezione di G’ e G’’ il materiale reticola e non lo stampo perché è troppo solido, quindi posso stamparlo fino a 90-105 minuti perché il materiale è liquido, a quel punto però è reticolato. Anche in questo caso non posso metterci dentro cellule durante il processo di stampa, le semino come prima successivamente. Esempio con metilcellulosa Ha un comportamento inverso rispetto alla gelatina seppur termo-responsive: a temperatura alta è solid-like, a temperatura bassa è liquid-like. In questo caso, ho la cartuccia di stampa è bassa e la temperatura del piatto di stampa è più alta, cosicché il materiale possa gelificare. 8

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Durante il processo di stampa posso inglobare le cellule dentro. Il problema degli idrogeli è che è difficile mantenere una buona fedeltà di stampa perché materiale duttili. Si è pensato quindi di combinare la stampa di idrogeli con materiali termoplastici: vengono utilizzate stampe apposite che consentono questo tipo di combinazione.

Le proprietà meccaniche variano di più di un ordine di grandezza quando comparo l’alginato stampato da solo a quello stampato con materiale termoplastico. Il PCL ha buonissima fedeltà di stampa e buone proprietà meccaniche, anche se non è vitale per le cellule, ma questo viene ovviato dalla stampa dell’alginato, che contiene le cellule. Quindi per ogni piano di stampa avrò delle file di PCL e dei filamenti di alginato tra quelli PCL. Una cosa simile è stata fatta con una matrice decellularizzata: posso ottenere degli idrogeli anche decellularizzando dei tessuti, ovvero facendo un trattamento che toglie la parte cellulare e rimane la ECM, perfetta per mimare il tessuto in vivo. Non è facilismo stamparla, quindi posso ricorrere anche ad un frame di materiale termoplastico con dentro la matrice decellularizzata del paziente. 9

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Costrutti che si possono ottenere:

Con questa tipologia riesco stampare filamenti che non hanno la migliore risoluzione possibile. Quindi in realtà per avere una risoluzione molto accurata non è il massimo. Si è pensato quindi di 10

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combinare il principio di funzionamento delle stampanti 3D con quello dell’elettrospinning, che consente di elettrofilare il materiale e depositarlo in maniera più o meno random causa il campo elettrico, cosa che ho invece con la stampante 3D. La tecnica che è nato da questo approccio si chiama melt electrospinning writing: la mia testina espelle comunque una soluzione polimerica, come fosse una stampante 3D, ma viene comunque applicato un campo elettrico e il materiale viene depositato in modo controllato sul collettore, quindi ottengo fibre elettrofilate ma stampante. Vado ad ottenere scaffold con dimensione dei filamenti molto più piccoli della stampante tradizionale.

Voglio che lo scaffold si degradi con la cinetica di degradazione del tessuto che vado a rigenerare. 11

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Materiali sacrificali e bioink: i materiali sacrificali sono dei materiali che devono svolgere una funzione temporanea e poi essere rimossi in modo selettivo per andare a fornire alla matrice dello scaffold una funzione particolare. I materiali sacrificali sono stati implementati nei processi di stampaggio per realizzare micro-canali nei chips, questi chips sono fabbricati con materiali inorganici e i componenti sacrificali possono essere rimossi impiegando molte sostanze chimiche. Quando il materiale di supporto è un componente di un biocostrutto in idrogelo la procedura sacrificale deve essere citocompatibile, i materiali sacrificali sono stati utilizzati per la realizzazione di reti di canali all’interno di costrutti in idrogelo. La formulazione adeguata a soddisfare due criteri di progettazione identificati per materiali sacrificali 3D biocompatibili: 



Sufficiente rigidezza meccanica per supportare fisicamente il proprio peso in un reticolo 3D di filamenti (cioè lo scaffold) e avere adeguate proprietà meccaniche per essere inglobato all’interno di un altro scaffold e mantenere la propria forma Capacità di degradarsi rapidamente e con rilascio di prodotti biocompatibili in presenza di cellule

Un altro modo nel quale si utilizzano gli scaffold è come strutture sacrificali: immagino di stampare la griglia di idrogelo e lo inglobo dentro altro idrogelo che reticolo (che sarà poi l’idrogelo che impianto), se vado a togliere il primo idrogelo ottengo dei canali vuoti dentro al secondo idrogelo prodotto. Questi canali vuoti possono essere estremamente utili per la vascolarizzazione del mio scaffold, perché possono essere delle guide per il sistema vascolare del paziente. Quelli che vengono stampati e rimossi vengono chiamati materiali sacrificali, che mi servono per determinate finestre di tempo. Devono avere buone caratteristiche meccaniche ma allo stesso tempo devono essere in grado di degradarsi velocemente e il processo di rimozione deve essere cell-friendly, altrimenti muoiono. Ad esempio la griglia è composta di zucchero perché se messo in acqua si scioglie. Inglobo il materiale sacrificale verde all’interno del secondo idrogelo in grigio, che contiene le cellule in giallo. Reticolo l’idrogelo in grigio e vado al terzo step. Immergo tutto in acqua o terreno di coltura e la parte verde se ne va, lasciando all’interno delle parti grigie scure che sono canali vuoti. Le strutture sacrificali si possono fare in diversi materiali, devo prestare attenzione a come rimuovo la struttura sacrificale da dentro al secondo materiale, perché non gli deve intaccare la stabilità. Ad esempio, se volessi utilizzare l’alginato come materiale sacrificale, lo reticolerei con ioni diva...


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