Capitolo X-XV - Riassunto sui capitoli dal 10 al 15 di Promessi sposi PDF

Title Capitolo X-XV - Riassunto sui capitoli dal 10 al 15 di Promessi sposi
Author Dennis Coccione
Course Letteratura italiana moderna e contemporanea
Institution Università degli Studi Gabriele d'Annunzio - Chieti e Pescara
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Riassunto sui capitoli dal 10 al 15 di Promessi sposi...


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Capitolo 10. Sintesi. Il padre di Gertrude, ricevuta la nuova lettera, sfruttò il senso di colpa, il pentimento e lo sconforto della figlia come arma per convincerla a piegarsi alla vita monacale. Gertrude cedette e si dichiarò pronta a comportarsi come il padre desiderava. Gertrude compì gli ultimi passi per diventare monaca: espresse la richiesta alla badessa del monastero di Monza, fu esaminata da un vicario che le domandò se la sua intenzione di diventare monaca fosse dettata da un sincero desiderio o non fosse il frutto di una costrizione, Gertrude mentì, fingendo di voler prendere il velo di sua volontà. Una volta entrata in convento, per Gertrude i primi anni di clausura furono un tormento: aveva continui rimpianti e provava astio verso le sue compagne. Pur non rivestendo ancora l’incarico di badessa che le era stato promesso, godeva di molti privilegi, compreso quello di abitare in un appartamento separato che confinava con l’abitazione di un giovane di malaffare di nome Egidio. Gertrude cominciò una relazione clandestina con Egidio, che la indusse a commettere diversi atti illeciti, fino a coinvolgerla nel delitto di una conversa che aveva minacciato di rivelare ciò che sapeva sulla loro relazione. La conversa scomparve e la gente pensò che fosse scapata lontano. Gertrude, presa dai rimorsi, la sognava anche di notte. Lucia e Agnese si trovarono di fronte alla monaca di Monza a distanza di circa un anno da quegli avvenimenti. La monaca fece domande molto insistenti a Lucia e lei si sentì rispondere di non dare troppo peso alle domande della monaca di Monza, perché le persone appartenenti ai ceti alti sono tutte particolari.

Riassunto ampio. Dopo aver letto la lettera in cui Gertrude lo supplicava di perdonarla, il principe convocò sua figlia che, non appena si presentò al suo cospetto, gli chiese perdono in ginocchio, senza nemmeno avere il coraggio di guardarlo negli occhi per la vergogna. Lui le parlò cercando di farla sentire in colpa e di farle credere che ciò che era accaduto era la dimostrazione che lei, troppo debole di fronte alle tentazioni, non era adatta alla vita mondana. Quando Gertrude acconsentì a diventare monaca, il principe cambiò atteggiamento nei suoi confronti e assicurò alla figlia che, da quel momento, le avrebbe dimostrato il suo lato amorevole. Mandò un servo a chiamare la moglie e il primogenito e, per condividere con loro la sua gioia, comunicò che Gertrude era pronta a prendere il velo. I familiari acclamarono la decisione di Gertrude, prospettandole una vita di agiatezza e onori. Stabilirono che l’indomani avrebbero fatto immediatamente richiesta alla badessa. Onde evitare che la sfiorasse anche un minimo ripensamento, le tennero occupato il resto della giornata tra impegni, congratulazioni, visite e inchini. Quando gli ospiti se ne andarono, Gertrude rimase sola con i genitori e il fratello: suo padre la elogiò nuovamente e lei, sentendosi finalmente benvoluta e forte, volle vendicarsi della cameriera che le aveva fatto da carceriera e si lamentò di lei con il padre, che promise che l’indomani avrebbe rimproverato la donna e assegnò immediatamente al suo posto un’anziana servitrice. La decisione di Gertrude rallegrò tutta la famiglia che finalmente la premiò con la sua rinnovata considerazione. L’indomani Gertrude si lasciò vestire e pettinare per andare in gita al monastero di Monza ed esprimere alla badessa la volontà di farsi monaca. Prima di partire, il padre la prese in disparte e le disse che la sua dichiarazione alla badessa sarebbe stata una formalità e le raccomandò di parlare poco ma in maniera disinvolta, per non lasciare trapelare il sospetto che la sua decisione non fosse ferma e risoluta. Scesa dalla carrozza davanti al monastero, Gertrude si trovò circondata da una folla che si divise in due parti, man mano che lei attraversava. Si sentiva osservata, ma ciò che la teneva maggiormente in soggezione erano gli occhi del padre. Condotta fino al monastero di Monza per dichiarare alla badessa che voleva prendere i voti, Gertrude cominciò a parlare, ma la vista di una compagna che la fissava con aria di pietà e malizia la indusse quasi a tirarsi indietro; bastò lo sguardo del padre a farla desistere, così Gertrude dichiarò che voleva diventare monaca. La badessa replicò che avrebbe dovuto sottoporre la richiesta alle altre monache e ai superiori, ma, conoscendo i sentimenti che in quel luogo si provavano verso la fanciulla, era sicura di un responso positivo.

Dopo le congratulazioni e le acclamazioni, Gertrude fu contesa dalle monache, che le dimostravano benevolenza con carezze e moine. La badessa, nel mentre, avvisò il principe che, qualora i genitori avessero forzato la volontà della loro figlia, sarebbero incorsi nella scomunica, ma il principe la rassicurò. Mentre tornavano a casa, Gertrude contò le occasioni che le erano rimaste per tirarsi indietro. Si sentiva in colpa per non averlo ancora fatto, ma, visto che il padre mostrava di essere soddisfatto di lei, per il momento ne fu rincuorata. Nei giorni successivi, Gertrude scelse una madrina e questo valse come ulteriore assenso verso la scelta monacale. Poco prima che giungesse il vicario che avrebbe dovuto valutare la sincerità della sua vocazione, il padre la convocò per essere sicuro che lei non rinnegasse il percorso intrapreso fino a quel momento. Per Gertrude ormai non era più possibile tornare indietro, così scelse una madrina e scrisse la lettera al vicario, come prevedeva la consuetudine. Il padre di Gertrude le disse che ormai, dopo tutti i consensi dati e i passi fatti, un ripensamento non sarebbe stato possibile. Aggiunse che, qualora Gertrude avesse cercato di tornare sui suoi passi, sarebbe stato svilito il suo onore e le fece capire che si sarebbe trovato nella condizione di raccontare a tutti del paggio. Vista la reazione turbata di Gertrude, suo padre si affidò dunque al giudizio della figlia, le suggerì qualche risposta da dare al vicario e le prospettò la vita di clausura che l’attendeva come piacevole e piena di vantaggi. Quando un servitore annunciò che era arrivato il vicario, il padre di Gertrude li lasciò soli. Il vicario era convinto che Gertrude nutrisse una sincera vocazione, perché così era stato informato dal principe, e la interrogò, quasi giustificandosi per l’insistenza delle domande. Le chiese se la sua decisione di farsi monaca fosse libera o se fosse stata dettata da qualche costrizione. Gertrude, che conosceva la verità, allontanò spaventata la possibilità di raccontarla, immaginando l’ira del padre e dichiarò di voler prendere il velo di sua spontanea volontà. Dal momento che il vicario non aveva motivo di dubitare di lei, il colloquio si risolse come desiderava il principe che, una volta conosciuto l’esito, corse da Gertrude per riempirla di lodi e carezze. Nonostante fosse combattuta tra i suoi desideri profondi e la necessità di evitare la disapprovazione del padre, Gertrude proseguì dunque il percorso della vita monacale; viveva nel rimpianto della libertà perduta e nell’odio del presente, rimuginava sui suoi passi falsi e disfaceva invano mille volte con il pensiero i suoi assensi, invidiano ferocemente le donne che non si trovavano nella sua condizione. Dopo 12 mesi di noviziato e pentimenti, si trovò al momento del sì definitivo: anche stavolta lo ripeté ed entrò in monastero. A quel punto, qualunque fosse il modo in cui era diventata monaca, avrebbe potuto condurre una vita serena: invece, continuava a sentire il peso dell’imposizione. Una volta superato l’esame con il vicario, Gertrude entrò in monastero e iniziò a fare dispetti alle monache che riteneva complici del padre nel convincerla a diventare suora. Dal momento che lei era pur sempre la figlia del principe e quindi si trovava, nella scala sociale, un gradino al di sopra di loro, le compagne subivano le sue prepotenze e i suoi sbalzi d’umore. Gertrude, però, non risparmiava nemmeno le monache che non avevano tramato contro di lei e, anziché seguire il loro pio esempio, le derideva alle spalle. Le consolazioni, in convento, erano poche e per nulla appaganti e, per di più, Gertrude non godeva del confronto che avrebbe potute venirle dalla religione. Gertrude non era stata insignita del titolo di badessa, però godeva di diversi privilegi, tra i quali l’incarico di maestra delle educande. Invidiosa del fatto che avrebbero assaporato un giorno ciò che a lei sarebbe stato precluso per sempre, spesso le maltrattava. In altri momenti, invece, partecipava all’allegria delle sue allieve, lasciandosi persino andare ad atteggiamenti poco ortodossi. La sua esistenza proseguì in questo modo per qualche anno, finché non si presentò un’occasione che sarebbe stata la sua disgrazia. Tra i privilegi concessi a Gertrude per ripagarla del fatto di non essere ancora badessa, vi era l’assegnazione di un appartamento separato che confinava con la casa di un giovane di malaffare di nome Egidio. Un giorno Egidio vide Gertrude in cortile mentre lui era affacciato a una finestra, e osò rivolgerle il saluto: lei rispose e tra i due cominciò una relazione che provocò in Gertrude, almeno in un primo momento, dei cambiamenti

positivi di umore. Dopo qualche tempo, però, la monaca tornò a essere dispettosa e capricciosa come prima. Un giorno, una conversa, che aveva minacciato di raccontare i suoi segreti, sparì misteriosamente. Dopo che fu scoperto un buco nel muro dell’orto, si fecero molte ricerche per trovare la conversa scomparsa, dopodiché tutti si convinsero che di sua volontà fosse fuggita molto lontano (in Olanda). La monaca di Monza evitava di parlare della questione, eppure l’immagine della conversa la perseguitava. Avrebbe preferito mille volte vederla viva e minacciosa davanti a sé piuttosto che pensare a lei, giorno e notte, in modo ossessivo. Era trascorso circa un anno da quei fatti, quando Lucia e Agnese furono accolte al convento e alloggiate nel quartiere della fattoressa attiguo al chiosco. La monaca di Monza riempiva Lucia di domande sulla persecuzione di don Rodrigo, esprimendo giudizi molto strani: sembrava quasi che non capisse la repulsione di Lucia per quel signorotto e che trovasse sciocca la sua ritrosìa. Dal momento che Gertrude la assillava con le sue insistenti e invadenti domande, Lucia le eludeva timidamente. Confidatasi con Agnese, la madre la rincuorò dicendole di non farci caso, perché secondo lei i ricchi erano tutti un po’ particolari.

Capitolo 11. Sintesi. Il Griso, capo dei bravi, racconta a don Rodrigo l’esito negativo del tentato rapimento di Lucia ed entrambi ipotizzano che nel palazzotto si nasconda una spia. Don Rodrigo è molto irritato dalla fuga di Renzo e Lucia. L’indomani, il conte Attilio giunge al palazzotto di don Rodrigo, per ricordagli che i termini della scommessa su Lucia sono scaduti. Saputo della discussione tra fra Cristoforo e don Rodrigo, il conte Attilio si indigna perché il frate non è stato punito come meritava: propone quindi di chiedere aiuto al conte zio, uomo molto potente e rispettato, ed esce per andare a caccia. Il Griso viene inviato in paese perché raccolga le voci sulla notte del mancato rapimento. Quando torna, riferisce che Renzo e Lucia, dopo aver tentato il matrimonio a sorpresa, sono stati mandati in due luoghi diversi. La notizia che i due promessi sposi siano separati dà molta soddisfazione a don Rodrigo, che merita di danneggiare ulteriormente Renzo, provocandogli problemi legali. Renzo, nel frattempo, arriva a Milano, e trova una situazione che non si aspettava: vedendo la farina per terra, pensa che in città ci debba essere molta abbondanza, diversamente dalla campagna, dove imperversa la carestia. Vede perfino del pane in terra e lo raccoglie. Giunto al convento dei cappuccini indicatogli da fra Cristoforo, Renzo domanda di padre Bonaventura, ma gli viene detto di aspettare. Renzo, attratto dal brulichio del tumulto, torna a vedere che cosa accade in città.

Riassunto ampio. Dopo il tentato rapimento, i bravi si presentarono dal Griso mortificati per il fallimento e simili a un branco di segugi che tornano dal loro padrone dopo aver inseguito invano una lepre. Don Rodrigo li attendeva nervoso e pensava a come ricevere Lucia, credendo che il rapimento fosse andato a buon fine. Ma quando il Griso andò a fare rapporto a don Rodrigo sulla notte trascorsa, questi lo accolse con disappunto. Il Griso, ferito dalle parole del suo padrone, rispose che aveva lavorato fedelmente rischiando anche la vita. Per spiegarsi l’insuccesso del rapimento di Lucia, don Rodrigo ipotizzò che ci fosse una spia e il Griso condivise il sospetto. Don Rodrigo gli affidò 3 compiti per il giorno successivo e lo congedò elogiandolo, per risarcirlo dei rimproveri con cui l’aveva accolto. La mattina seguente, Attilio ricordò a don Rodrigo che, essendo il giorno di san Martino, erano scaduti i termini della scommessa. Questi garantì che avrebbe pagato e riferì dell’accesa discussione con fra Cristoforo. Suo cugino si indignò del fatto che il frate non fosse stato punito come meritava e si prese l’incarico di provvedere chiedendo appoggio al conte zio, membro del Consiglio stesso. Durante la colazione, continuarono a discutere dell’accaduto; don Rodrigo era preoccupato non tanto della giustizia, quanto del fatto che le chiacchiere della gente potessero giungere fino al podestà e contestò al cugino l’abitudine di contraddirlo troppo: disse che quella era un uomo potente e che conveniva tenerselo buono; Attilio replicò confermando che sarebbe andato a parlare al conte zio. Quando Attilio uscì per andare a caccia, ritornò il Griso a riferire che cosa si vociferasse in paese. Gli eventi della notte furono così inusuali che era impossibile che chi ne fosse a conoscenza non si fosse lasciato sfuggire qualche notizia. Perpetua ammise di essere stata imbrogliata e raccontò dell’inganno alle spalle di don Abbondio. Anche Gervaso, che finalmente si era sentito un protagonista, e Tonio, che si era confidato con la madre, avevano lasciato trapelare qualche notizia; solo Menico aveva parlato poco, redarguito dai genitori e chiuso in casa. Le voci cominciarono a circolare in paese: il Griso riportò che tutti sembravano concordare sul nome di don Rodrigo come responsabile dell’agguato alla casa di Lucia, ma che si moltiplicavano le ipotesi e le congetture sul ruolo dei bravi e del pellegrino. La mattina successiva, dopo che Attilio ebbe ricordato a don Rodrigo che aveva perso la scommessa, i due si accordarono per dare una punizione a fra Cristoforo. Intanto, il Griso era andato in paese per avere informazioni sui promessi sposi e aveva scoperto che erano scappati. Tornato al palazzotto di don Rodrigo, gli riferì tutto quanto: don Rodrigo si indignò all’idea che Renzo e Lucia fossero fuggiti insieme con l’aiuto di fra Cristoforo, del quale giurò che si sarebbe vendicato. Voleva scoprire dove si trovassero e mandò di nuovo il Griso a raccogliere notizie, ma costui chiese se fosse

possibile affidare a qualcun altro l’incarico, perché temeva che, lontano dalla protezione del suo padrone, qualcuno potesse consegnarlo alla giustizia o addirittura ucciderlo per riscuotere le taglie che pendevano sulla sua testa. Deriso dal suo padrone, il Griso accettò la missione. Don Rodrigo, intenzionato a creare a Renzo problemi con la giustizia, pensò che avrebbe potuto chiedere consiglio al dottor Azzecca-garbugli, in grado di maneggiare le gride secondo il proprio scopo; don Rodrigo, però non immaginava che Renzo si stesse per mettere nei guai con le sue stesse mani. Renzo era giunto a Milano animato da pensieri contrastanti, viaggiando a piedi attraverso una strada difficoltosa e piena di fango, infossata tra 2 sponde. A un certo punto, vide da lontano il Duomo e lo contemplò: ma poi si voltò indietro e, scorgendo il Resegone, si emozionò. Riprese il cammino e, un po’ alla volta, notò degli elementi architettonici della città. Quand’era ormai vicino, chiese a un viandante la strada più breve per andare al convento dei cappuccini. L’uomo che Renzo incontrò per la strada gli chiese di spiegare meglio a quale convento si riferisse e lui gli mostrò la lettera di fra Cristoforo. Il signore vi lesse come destinazione «porta orientale» (oggi Porta Venezia) e, aggiungendo che era vicina, gli indicò l’itinerario per raggiungerla: Renzo si meravigliò della cortesia dei cittadini nei confronti della gente di campagna. Superò la porta, che era molto diversa da quella dei tempi in cui scrisse Manzoni, perché era rudimentale ed era il punto da cui partiva una via divisa da un piccolo fossato in due stradine tortuose. Passando oltre la colonna di san Dionigi, Renzo si meravigliò che nessuno dei gabellini (coloro che riscuotono la gabella, la tassa per l’ingresso in città) lo avesse fermato: i pochi compaesani andati in viaggio a Milano, infatti, al loro ritorno avevano raccontato di grandi perquisizioni. A lui, invece, non avevano chiesto nulla. La città sembrava deserta e silenziosa: si sentiva solo, da lontano, un rumore che era segnale di un movimento importante ma distante. Renzo notò che per terra vi erano delle strisce bianche, che presto riconobbe come farina: pensò che vi fosse grande abbondanza in città, diversamente dalla campagna. L’impressione fu confermata quando Renzo, con sua immensa meraviglia, vide a terra delle pagnotte. Renzo si mise in tasca il pane trovato per terra pensando tra sé e sé che, se fosse comparso il padrone, glielo avrebbe ripagato. Riprese il cammino, ma vide che giungeva della gente dal centro della città. In particolare, notò una famiglia che avanzava con un grosso carico. Un uomo aveva sulle spalle un grande sacco che perdeva farina; la moglie aveva la sottana rivoltata in modo che contenesse una grande quantità di farina, che ad ogni passo però si disperdeva per via dei movimenti; il figlio teneva stretto un cesto colmo di pani che cadevano quando affrettava il passo per raggiungere i genitori. La madre sgridò il figlio perché faceva cadere le pagnotte, ma lui replicò che non era colpa sua. Nel mentre arrivò altra gente dalla porta, attratta dal fatto che si potesse trovare del cibo. Renzo capì di essere capitato in una città insorta e questo gli arrecò un sentimento di piacere, perché anche lui, come la maggior parte delle persone, era convinto che la carestia fosse stata provocata dai fornai e da chi portava via il grano. Ciò nonostante, decise di stare alla larga dal tumulto e andò nel convento dei cappuccini dove domandò di padre Bonaventura. Giunto al convento dei cappuccini, Renzo domandò di padre Bonaventura. Il frate che gli aprì gli rispose di aspettarlo in chiesa, ma il giovane, attratto dal brulichio della città, andò a vedere che cosa stesse accadendo, sbocconcellando il suo mezzo tozzo di pane.

Capitolo 12. Sintesi. È il secondo anno di carestia e a Milano la situazione è molto tesa, perché gran parte del popolo, immiserito e affamato, crede che la responsabilità sia di proprietari terrieri e fornai, che nasconderebbero il grano e si arricchirebbero alle spalle dei poveri. In realtà, le cause della scarsità di cibo affondano le radici sia nella guerra sia nei raccolti insufficienti per sfamare la popolazione. Il cancelliere Ferrer aveva imposto per il pane un prezzo basso ma ingiusto per i fornai, perché inferiore addirittura a quello della farina. Di conseguenza i fornai insorgono, ma, a seguito delle loro proteste, una giunta, nominata dal governatore di Milano, impegnato lontano a causa della guerra, rincara di nuovo il prezzo del pane. A quel punto il popolo si solleva contro i fornai. Dapprima vengono assaliti i garzoni che trasportano il pane. La folla, stimolata da persone senza scrupoli che sperano di approfittare della situazione, si riversa in piazza, quindi si dirige al forno delle grucce nella Corsia de’ Servi. La moltitudine lo assale, nonostante la presenza di un manipolo di soldati e del loro capitano di giustizia, che assiste praticamente impotente. Renzo sopraggiunge quando il forno è già depredato e attaccato: il giovane, ragionando tra sé e sé, non approva il comportamento della folla e si domanda dove si potrà fare il pane se i forni vengono distrutti. Spinto dalla curiosità, sceglie comunque di seguire la folla inferocita. Una volta appiccato il fuoco al mobilio e agli utensili del forno delle grucce, la folla decide di avventarsi contro un al...


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