Caravaggio 1951 - Aiello Patrizio PDF

Title Caravaggio 1951 - Aiello Patrizio
Course Storia dell’arte moderna (laurea magistrale)
Institution Università degli Studi di Milano
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02+Patrizio Aiello – Caravaggio 1951

Introduzione di Giovanni Agosti Ricerca di Patrizio Aiello su una mostra capitale del XX secolo, a partire dal ritrovamento di un dossier fotografico. Ricostruzione archeologica delle sale di Palazzo Reale che cerca di dare conto di un allestimento geniale, non privo di conseguenze critiche, e non rispettato dal catalogo. Il Caravaggio del 1951 non è la prima mostra milanese di Longhi (prima vi era stata, nel 1948, l’esposizione su Giuseppe Maria Crespi detto Lo Spagnoletto al Castello Sforzesco) ma inaugura il trittico degli anni ’50: -

Caravaggio, 1951 I pittori della realtà, 1953 Arte lombarda dai Visconti agli Sforza, 1958

chiuso dalla Mostra di Carlo Carrà del 1962. L’attività milanese di Longhi è poi completata da una conferenza a Brera (27 maggio 1957, in occasione della donazione della Resurrezione del Cariani) e dall’intervento di apertura del “Convegno Internazionale sulle Mostre d’Arte”: Mostre e Musei del novembre 1959. Il Caravaggio del 1951 non è la prima mostra in assoluto sull’artista: -

Esposizione caravaggesca, 1914, Roma, Palazzo Corsini Caravaggio and the Caravaggisti, 1946, NY Qui il S. Francesco di Hartford era accompagnato da tele di seguaci italiani ed europei.

Ma è sicuramente la più importante per visitatori (400mila in una Milano ancora ferita dalla guerra) e per “rigore di analisi, varietà di riscoperte e vigore di sintesi”. Gli scritti di Longhi sul pittore vanno dalla prima edizione della monografia (Martello, 1952) a quella di Editori Riuniti del 1968, passando per l’edizione provvisoria del 1951: un libro che Longhi aveva in mente già dal 1920 (volantino su “Valori Plastici” e che svilupperà ulteriormente tra 1947-48 sotto forma di commento al film di Umberto Barbaro. Quest’ultimo è un momento fondante per lo sviluppo della nuova interpretazione realista del lombardo. Tra la prima e la seconda edizione del catalogo, che segnalano l’alto valore sperimentale dell’esposizione, vi sono piccole differenze: viene inserita la Salomé dell’Escorial e viene eliminato il Cristo alla colonna di San Pietro a Perugia, allora creduto derivazione da un originale perduto del Merisi. La Giuditta Coppi scoperta da Pico Cellini non farà in tempo ad entrare nel secondo catalogo (arriverà ad inizio luglio ‘51) Tra i restauri fatti in vista o in occasione della mostra va ricordato quello dell’opera di Antonio Campi, Decollazione del Battista, 1579 ca, Milano, San Paolo Converso, quadro “pre-caravaggesco” esposto per dare contezza degli anni di formazione milanese di Caravaggio. Il catalogo però non restituisce la disposizione dei dipinti nelle sale di Palazzo Reale ma presenta le opere del Caravaggio, le copie e derivazioni e poi i caravaggeschi in ordine alfabetico -> i caravaggeschi in realtà erano stati suddivisi per decenni (non sale regionali o monografiche), quasi come “mostre successive” che rievocassero possibili tendenze: -

“Sala dei caravaggeschi del primo decennio, quando imitare il maestro era fisicamente pericoloso”

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La “mostra” del secondo decennio dove alcuni artisti della precedente mostrano la loro evoluzione (Borgianni, Gentileschi, Saraceni) Terzo decennio, quando rimane solo Gentileschi, e a Roma dominano Valentin de Boulogne e Giovanni Serodine. Finale, richiami europei a Rembrandt e Vermeer.

Premessa Rischio di cedere al positivismo accumulatorio, ad una serie di dati e di informazioni presunte oggettive. Tentativo di ricostruire le sale di Palazzo Reale tra aprile-luglio 1951 -> ricostruire le sale, ordinare le opere e individuare anche elementi contestuali come il bookshop all’ingresso (che dovrebbe dare info sul gusto, magari presunto, dei visitatori della mostra) e del mobilio portato appositamente per la mostra (che concede elementi sulle scelte di allestimento nella città della IX Triennale in cui Baldessari ragionava di unità delle arti). --

Se la mostra del 1951 fosse stata programmata oggi, sarebbe stata accompagnata da una pubblicità più ampia e da un catalogo molto più voluminoso delle 200 pagine edite da Sansoni. Ma soprattutto ci sarebbe stato, forse, un dépliant con la pianta del piano nobile di Palazzo Reale e un elenco delle didascalie delle opere esposte -> potremmo così avere una mappa del percorso concepito da Longhi per la rassegna, leggendaria sia per quantità di opere, sia per il successo di pubblico ma il cui catalogo non riflette l’allestimento (brevi schede in ordine alfabetico che non ricostruiscono la disposizione delle opere). È stata rinvenuta una campagna fotografica eseguita nelle sale della Mostra del Caravaggio e dei caravaggeschi: 70 lastre di vetro scattate da Vincenzo Aragozzini, delle quali solo 10 allargano l’obiettivo all’allestimento, dando parzialmente conto della messinscena orchestrata da Longhi. Non vediamo però un allestimento particolare o innovativo, anzi: non è per nulla straordinaria la scenografia né ci lascia stupiti. L’enorme affluenza nei tre mesi di mostra non è solo dovuta alla sete di immagini dell’uomo moderno né all’analogia neorealista con la realtà urbana post-bellica: con Longhi, riconosciamo le ragioni del successo ne: -

Accuratezza del piano Scelta della sede nel cuore della metropoli milanese Semplicità e decoro della presentazione Abilità dell’ufficio stampa Collaborazione con quotidiani e periodici e anche radio (Piero Bianconi, L’uomo dal ferraiolo negro, 25 maggio 1951, Radio Svizzera Italia) Argomento

Imprescindibile è l’apporto del clima della Milano del Secondo dopoguerra, dalla capacità attrattiva altissima: -

Riapertura di Brera nel 1950 Poldi-Pezzoli, 1951 Avvio dei lavori della torre Breda Primo edificio a superare in altezza la Madonnina

Milano è anche la città di Oltre Guernica, del Fronte Nuovo delle Arti, del MAC, del “Politecnico”, di Miracolo a Milano, del realismo e del neorealismo e del dibattito, anche politico, che ne scaturisce. Il dibattito concerne anche la presa di coscienza del PCI, nel 1947, della propria distanza dal ceto medio -> necessità di fare ricorso ad un linguaggio che tocchi il cuore e il sentimento, il popolo. Sono anche gli anni di pubblicazione dei Quaderni dal carcere di Gramsci (Einaudi, 1950), con le loro riflessioni sulla cultura popolare e sul concetto di nazional-popolare. Un anno dopo Longhi conclude l’introduzione alla mostra con la lettura di un Caravaggio “che cercò di essere naturale, comprensibile, umano (più che umanistico) -> popolare” Non si può però collocare Longhi in una posizione precisa rispetto al dibattito, anche in virtù della sua propensione all’uso di “naturalismo” al posto di “realismo”. Nell’introduzione a Pittori della realtà, 1953 critica persino la parola “realismo”, a suo dire troppo inflazionata, originata da ideologie (direttive di partito) o dall’eccessiva presenza dell’astrattismo (ragione dialettica). L’adesione di Longhi al marxismo non è, infatti, incondizionata e va sottolineato il suo sguardo rivolto alle esperienze figurative e non alle istanze del PCI. Non bisogna però dimenticare la vicinanza di Longhi al Partito, intensificatasi in anni successivi: in questo avvicinamento progressivo troviamo anche le ragioni dello schiarimento e semplificazione della sua prosa, già a partire dalla monografia del 1952 (ed. Martello), recependo le critiche gramsciane ai “neolalismi” in ottica di connessione tra cultura e popolo. Rimane però il problema del rapporto tra Longhi e realismo. Renato Guttuso, dando notizia dell’inaugurazione della Mostra del Caravaggio su “Rinascita” , si concentra sull’aspetto “fortemente realista” e rivoluzionario del Caravaggio (rivoluzionario nei confronti del cattolicesimo controriformato e dell’accademismo di quegli anni); più che a Longhi, egli si oppone a Vittorini che vedeva nel Merisi l’inizio di uno “pseudo-realismo” e di un’attitudine antiaccademica risolta a metà, base delle scuole pittoriche legate ai partiti di massa e ai regimi di polizia -> parole da leggere alla luce della distanza di Vittorini dal PCI, peggiorata dopo l’attacco dello scrittore alle risoluzioni di Zdanov (“Concilio tridentino del Cominform”)_________ La dottrina Zdanov (1946-58) è una politica culturale sovietica volta a combattere le opere apolitiche, il “formalismo”, ovvero l’arte realizzata per il solo interesse artistico e priva di scopi sociali o politici in cui il regime vedeva principi borghesi e individualistici. SI osteggiava anche il cosmopolitismo e l’emulazione (o la possibilità di influenza) dei modelli stranieri. Per Guttuso il realismo di Caravaggio è un vivo legame con il popolo e con le lotte della società contemporanea: rimprovera alla mostra la presenza di troppe opere “chiesastiche e controriformiste” che smorzavano l’influenza del Merisi e il suo focus sui contenuti di carattere laico (nature morte, bacchini, ragazzi, ramarri, zingare, bari) -> per il pittore questa è la rivoluzione popolare operata da Caravaggio, che smantella le gerarchie della Controriforma.

La mostra di Longhi prende vita in questo contesto culturale, a Milano ancora più aggravato dai problemi della giunta. La data di nascita della mostra può essere individuata nel 30 giugno 1949 quando Antonio Greppi, partigiano e primo sindaco della Milano liberata, scrisse a Fernanda Wittgens, soprintendente della Gallerie della Lombardia, per proporre una mostra che “sciolga il voto di studi trentennali e rivaluti il filone lombardo che, attraverso Caravaggio, ha avuto così forte influenza sulla pittura moderna europea”. La giunta era indebolita dall’uscita di PSI e PCI e l’invito ad una convinta antifascista, cattolica ed ex-

azionista era ben visto dalla maggioranza democristiana. Greppi è a conoscenza del dibattito intorno alla figura di Caravaggio e si esprime in favore del “filone lombardo” sulla scorta della lettura datane da Longhi -> presa di posizione non scontata. L’adesione al Caravaggio “lombardo” da parte di Greppi può essere condizionata e funzionale allo scopo politico di rivalutazione e legittimazione della città di Milano come centro artistico. Mercoledì 6 luglio 1949 il comitato promotore si riunisce a scopo di esame preliminare delle possibilità pratiche della mostra -> bozza di organigramma intitolato “Mostra del Caravaggio”. Nella commissione per la scelta delle opere troviamo, tra gli altri, Longhi, Argan Matteo Marangoni, Rodolfo Pallucchini e Lionello Venturi. Nel comitato esecutivo i nomi più illustri sono Alessandro Casati, Francesco Flora e Fernanda Wittgens. Costantino Baroni è segretario tecnico. Per l’allestimento verrà chiamato Franco Albini (accanto a Portaluppi nel 1949 nelle salette braidensi di pittura veneta e lombarda da cavalletto), affiancato dal Soprintendente ai Monumenti Luigi Crema e alle Gallerie Guglielmo Pacchioni. 5 settembre 1949, approvazione della giunta comunale. 23 settembre, nomine ufficiali. Spesso si riporta che la scelta della sede fu uno dei molti meriti di Longhi -> in realtà la scelta è del comitato, da leggere all’interno del dibattito sulla destinazione del Palazzo, già sede di alcune mostre (Arte astratta e concreta, 1947 e coll. Guggenheim 1949), ma ancora incerto sul proprio futuro. Un promemoria della Wittgens conferma che, all’autunno 1949, Venturi, Argan e Longhi hanno dato solo adesione di massima -> difficile che abbiano avuto in questa fase un ruolo in questioni logistiche o non puramente scientifiche. Lo stesso promemoria abbozza un primo impianto della mostra: -

10 dipinti pre-caravaggeschi 40 opere di Caravaggio 20 caravaggeschi italiani 20 seguaci stranieri

Inizialmente si pensa ad un’80ina di pezzi -> meno della metà di quelli esposti nel 1951. Vengono ritenuti indispensabili alcuni prestiti tra cui le tele di Santa Maria del Popolo e quelle, già esposte a Palazzo Venezia nel 1944, di San Luigi dei Francesi. Le tele della cappella Contarelli vengono richieste all’Ambasciata di Francia che, concesso il benestare, pone il problema delle celebrazioni per l’Anno Santo -> entra in gioco mons. Maini, membro del comitato, che chiede ad Achille Marazza, sottosegretario agli Interni e democristiano di sinistra, di intercedere presso l’ambiente ecclesiastico e presso quello politico (sblocco dei 5 milioni promessi da Andreotti per la mostra). In cambio Marazza viene nominato presidente del comitato generale. All’inizio del 1950 le difficoltà sono insuperabili e le esigenze dell’Anno Santo hanno la meglio. Anche i fondi del governo tardano ad arrivare (per una crisi di maggioranza, risoltasi nel gennaio 1950 con un nuovo esecutivo De Gasperi). Il 9 marzo 1950 il comitato esecutivo ratifica il posticipo della mostra all’aprile 1951. Il rinvio a causa dei tempi stretti e dei costi non previsti concede più tempo per ragionare sui prestiti: si passa da 50 caravaggeschi nel 1949 ai 130 dell’agosto 1950 -> il numero di prestiti dei caravaggeschi aumenta anche in virtù del nuovo organigramma: dal 7 luglio infatti Longhi viene promosso Commissario Tecnico della mostra, salto che viene silenziato per tenere in equilibrio i rapporti politici già precari all’interno della commissione -> sulla carta il ruolo è quello di coordinare e attuare le decisioni della commissione, nei fatti Longhi assumerà pieno controllo.

La nuova direzione longhiana prevede più prestiti e quindi più spese: il preventivo per le coperture è di 29 milioni di lire (20 luglio 1950). Sempre di fine luglio è la notizia che l’allestimento sarà da affidare non ad Albini ma alla coppia Ernesto Nathan Rogers e Lodovico Belgiojoso -BBPR- (Baroni è ancora più preoccupato visti i lunghi tempi di allestimento del Castello Sforzesco dopo la guerra). All’apertura della mostra gli ambienti non saranno caratterizzati dal rigore architettonico dei BBPR ma saranno sale molto più piane. Nel frattempo l’impegno della Wittgens è sempre maggiore e sempre più dispendioso, si dedica in prima persona a trattative estenuanti, come quella per la Morte della Vergine del Louvre, per la quale è a Parigi nel marzo 1951 per fare “lavoro di corridoio” e aggiudicarsi il prestito -> si rivolge addirittura al direttore dei Musei Nazionali di Francia. Intercede per la Wittgens anche Angelo Roncalli, nunzio apostolico e futuro Papa Giovanni XXIII, il quale contatta direttamente Schuman, ministro degli Esteri francese. Molto rumore per nulla: Fernanda torna in Italia con un no definitivo. Un'altra assenza sentita nell’economia del percorso espositivo è quella della Deposizione dei Musei Vaticani: è dell’estate 1950 la comunicazione di Giovanni Battista Montini (Paolo VI) dell’impossibilità di prestare la grande tela di Caravaggio -> si propone il prestito di un arazzo 800esco che la riproduce. Longhi rifiuta il surrogato e propone un presunto “bozzetto della Deposizione” in collezione Resega a Milano -> proposta che non ha seguito. La Wittgens tampina Montini, strappa una mezza promessa che lascia sperare fino all’ultimo ma si risolve in un nulla di fatto -> la Sala IV, che avrebbe dovuto ospitare la Morte della Vergine e la Deposizione, mostra i segni dei tappabuchi predisposti all’ultimo minuto. Il libro prosegue con un paragrafo inutile sui bisticci tra Longhi e Venturi e tra Longhi e Argan+Brandi sul tema dell’Istituto Centrale per il Restauro. L’unica ricaduta sulla mostra è l’affidamento, tra le polemiche di Longhi e Wittgens, del restauro di due tele messinesi (Adorazione dei Pastori e Resurrezione di Lazzaro) all’ICR e non a Mauro Pelliccioli. Longhi si rifarà omettendo i restauri dell’ICR dalle schede della prima edizione del catalogo. Nella seconda sono presenti. Altro bisticcio a ridosso dell’inaugurazione, con il restauro della Natività di Palermo affidato a Brandi. I tempi stretti non avrebbero consentito la verniciatura e così il quadro viene esposto non restaurato ma con un ricco repertorio fotografico e di analisi. Materiali fotografici che verranno esposti in una piccola sezione dedicata, all’interno di due vetrine. Le acque della commissione sono anche agitate a causa della presenza, in commissione, di Matteo Marangoni e Lionello Venturi in quale, nell’ottobre 1950, rassegna le dimissioni poi ritirate in dicembre. L’abissale divergenza di lettura di Caravaggio tra Venturi e Longhi risale agli anni ’20 e non è per nulla assopita: il primo sosteneva l’idea di uno spirito di verità, di una luce d’arte che definisce i volumi con consistenza corporea; il secondo vedeva Caravaggio come il primo ad essersi accorto che “non sempre luce e ombra rivelano i corpi, a volte li disfano per troppa luce o troppa ombra”. Le dispute più accese si giocano sulla cronologia: ovvero, in una mostra, l’impianto e il percorso stesso. Ad esempio la datazione del trittico Contarelli: Longhi lo propone una datazione scalata tra 1590-1598 mentre per Venturi non si può andare più indietro del 1596 -> se Venturi si basa sulle fonti, Longhi guarda al fatto artistico, non potendo far coabitare negli stessi anni le due versioni del San Matteo e l’angelo. Per Longhi la tela berlinese è carica di memorie lombarde e, se non fosse stata distrutta nel ’45, l’avrebbe collocata accanto al Riposo Doria Pamphilj (che “si penserebbe nato a Bergamo 60 anni prima”). Venturi insiste invece sul fatto che Caravaggio, nel 1596, non avesse ancora ricevuto la commissione per il suo primo quadro pubblico ovvero la prima redazione del San Matteo.

Guardando il catalogo, compilato da due allievi di Longhi, Mina Gregori e Antonio Boschetto, poche istanze venturiane sono accolte nelle schede della prima edizione mentre, assieme alle posizioni di altri commissari, sono inserite solo nella seconda edizione. La dittatura longhiana viene formalmente contrastata dagli organizzatori che intervengono, non sempre con forza, a sostegno degli altri colleghi -> vedasi la questione del Bacco degli Uffizi su cui Marangoni rivendica dei crediti di scoperta che, nel catalogo, sono assegnati totalmente a Longhi per “un’iniziativa del Commissario” o per un “artifizio di un tecnico della Casa Editrice Sansoni”, ovvero Antonio Boschetto. Di fatto anche il catalogo, oltre che la mostra, è totalmente longhiano. Così pure lo strillo sulla fascetta che accompagna la prima edizione, a detta di Longhi responsabilità degli organizzatori della mostra ma, vista l’autonomia da questi lasciata a Sansoni, probabilmente è una sua decisione -> è una citazione di Bernard Berenson, scelta commerciale felice visto il successo editoriale del 1950 (Caravaggio. Delle sue incongruenze e della sua fama), di sicuro richiamo per il pubblico. Sempre longhiano è il breve testo sul retro del flyer della mostra (sul fronte dati e dettaglio del Martirio di San Matteo, sul retro dettaglio dalla Vocazione e testo), che termina con l’individuazione di una “corrente che da Caravaggio, attraverso Vermeer e i realisti olandesi e spagnoli, arriva a Manet”. Il catalogo è corretto e sistemato fino all’ultimo: le notizie e le smentite dei prestiti si accavallano fino all’ultimo. Intanto si pensa ai discorsi celebrativi tra cui quello dell’on. Marazza che, secondo consuetudine, doveva precedere il discorso di Longhi. Lo straordinario successo della mostra dà luogo ad un florilegio di recensioni, saggi, commenti, articoli ecc… nei quali però scarseggiano i dati oggettivi: sale, pareti, teche, pannelli. Per ricostruire l’allestimento della mostra le fonti sono 4: 1. 2. 3. 4.

Scatti di Fedele Toscani all’inaugurazione e qualche giorno dopo. Campagna fotografica di Vincenzo Aragozzini. Recensione di Guido Lodovico Luzzatto per “Convivium”. Un testo di Dell’Acqua scritto a mostra chiusa e pubblicato nel 1952.

Nei mesi di apertura l’allestimento sarà soggetto a continui, seppur lievi, mutamenti: opere che arrivano a rompere l’equilibrio allestitivo, altre se ne vanno prima della chiusura, altre si spostano lungo le pareti -> non esiste un allestimento definitivo. In questo traffico non è nemmeno pensabile trovare una collocazione precisa per tutte le opere (una foto di Aragozzini colloca il Giovane con torcia e libro della Alte Pinakothek di Monaco nella sala di Serodine, collocazione non insensata ma difficilmente supponibile). Questa è una possibile ricostruzione basata sulle fonti sopraindicate che però vuole ribadire la sua p...


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