Caravaggio wittkover PDF

Title Caravaggio wittkover
Author Maria Letizia Fontana
Course Storia Dell'Arte Moderna I
Institution Università Ca' Foscari Venezia
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Caravaggio Caravaggio, in contrapposizione ad Annibale Carracci, viene generalmente considerato un grande rivoluzionario. Dalla metà del xvii secolo in poi è diventato, anzi, abituale, considerare questi due maestri come operanti in campi opposti: l’uno restauratore dell’antica tradizione, l’altro distruttore di questa e suo accanito antagonista. In queste caratterizzazioni vi è certamente qualcosa di vero, ma ora noi sappiamo anche che sono troppo assolutiste. Caravaggio era assai meno antitradizionalista e Annibale Carracci molto piú rivoluzionario di quanto si sia creduto per quasi trecento anni. Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, nacque il 28 settembre del 1573 nella cittadina di Caravaggio, a sud di Bergamo. Non aveva ancora undici anni quando si recò a Milano, come apprendista presso Simone Peterzano, un mediocre pittore, con il quale rimase per circa quattro anni. Peterzano si autodefiní allievo di Tiziano, una qualifica che la sua opera di tardo manierista non rivelava di certo. Non vi sono motivi per dubitare che in quello studio, Caravaggio abbia ricevuto l’istruzione «tipica» di un pittore manierista. Fornito del bagaglio di nozioni allora correnti, si recò a Roma, verso il 1590, certamente non dopo il 1593. Ma la sua vita a Roma non fu per nulla tranquilla. Forse, egli fu il primo vero bohémien, in continua rivolta contro l’autorità costituita e il suo temperamento spregiudicato e ribelle lo portò piú d’una volta ad avere a che fare con la giustizia. Nel 1606 dovette addirittura fuggire da Roma perché accusato d’omicidio. Durante i tumultuosi quattro anni seguenti passò qualche tempo a Napoli, a Malta, a Siracusa, e a Messina. Sulla via del ritorno a Roma, morí di malaria, nel luglio 161o; non aveva ancora trentasette anni. Quando, per la prima volta, si recò a Roma aveva dovuto guadagnarsi da vivere in molti modi. Ma il pesante lavoro di seconda mano per altri pittori, fra i quali vi era, forse, Antiveduto Gramatica (1571-1626)5, di poco piú vecchio di lui, lasciava completamente insoddisfatto un giovane con il suo temperamento e la sua genialità. Per qualche tempo lavorò per Giuseppe Cesari (piú tardi Cavalier d’Arpino), come giovane di bottega6, ma ben presto iniziò a dipingere in proprio. Dapprima senza successo, la sua sorte cominciò a mutare quando il cardinale Francesco del Monte acquistò alcuni suoi quadri7. Sembra che tramite la mediazione di questo stesso principe della chiesa, gli venisse affidata, nel 1599, la prima commissione per un’opera monumentale: le pitture della Cappella Contarelli in San Luigi de’ Francesi. Questo avvenimento appare, retrospettivamente, come la tappa piú importante nella carriera del Caravaggio. Da allora in poi egli dipinse quasi esclusivamente soggetti religiosi in stile solenne. Tenendo presente questi dati, la breve durata dell’attività del Caravaggio può opportunamente venir divisa in quattro diverse fasi: primo, quella del periodo milanese; anche se dipinti di questo periodo

non verranno probabilmente mai scoperti, è di notevole importanza non soltanto per la educazione artistica convenzionale che egli ricevette dal Peterzano, ma anche per la profonda impressione che gli fecero maestri piú vecchi dell’Italia settentrionale, come Savoldo, Moretto, Lotto e i fratelli Giulio e Antonio Campi; secondo, i primi anni trascorsi a Roma, dal 1590 circa al 1599, durante i quali il Caravaggio dipinse i suoi «juvenilia», per la maggior parte quadri di dimensioni piuttosto piccole, consistenti generalmente in una o due figure a mezzo busto; terzo, il periodo delle commissioni monumentali per le chiese romane, periodo che inizia nel 1597 e termina con la sua fuga da Roma nel 1608; e infine, le opere degli ultimi quattro anni, destinate anch’esse, per lo piú, a chiese ed eseguite in un accesso di attività creativa, mentre egli si spostava di luogo in luogo. Un raffronto fra un’opera del primo periodo romano e una del periodo postromano, offre la misura della sorprendente evoluzione del Caravaggio. La sua genialità priva di inibizioni, avanzava a passi giganteschi in un terreno inesplorato. Se avessimo soltanto le sue prime e ultime opere, sembrerebbe quasi assurdo sostenere che si tratta del medesimo artista. È vero che, fino a un certo punto, questo è vero per l’opera di ogni grande maestro; ma nel caso del Caravaggio l’intera evoluzione dell’artista è racchiusa in un arco di tempo di circa diciotto anni. Infatti, fra i dipinti mostrati nelle tavole 10 e 15 non ci possono essere piú di tredici anni. Non stupisce che gli avvenimenti fondamentali della sua vita, coincidano con i mutamenti sostanziali del suo stile, ma questi ultimi hanno troppe ramificazioni per essere descritti mediante una analisi puramente formale. Si potrà saperne molto di piú in proposito esaminando il suo modo di abbordare i soggetti mitologici, di genere e religiosi, e concentrando l’attenzione sul carattere e il significato del suo realismo e del «tenebroso», i due pilastri sul quali poggia la sua fama. Al contrario di quanto spesso si è creduto, le scene di genere occupano una parte molto subordinata nella produzione del Caravaggio. Sembra siano persino piú marginali dei temi mitologici e allegorici9 e, si può notare, quasi tutti i quadri a soggetto non religioso appartengono ai primi anni romani. Contrariamente a quanto avviene per la pittura di genere, i quadri mitologici e le allegorie indicano chiaramente l’accettazione da parte dell’artista, di una tradizione colta; e non sarà mai sufficientemente rilevato che il giovane Caravaggio lavorava secondo questa tradizione con piena consapevolezza. È probabile che nel Bacco degli Uffizi egli rappresentò se stesso in vesti mitologiche10. La ritrattistica mitologica o allegorica ha certamente una genealogia che risale ai tempi romani. Né l’atteggiamento del modello qui è nuovo nella storia della ritrattistica. Al contrario, vi sono innumerevoli esempi di atteggiamenti simili, in cui la figura guarda lo spettatore, per cosí dire, da dietro una tavola o un parapetto. Che cosa vi è di notevole, allora, in questo quadro? A parte il vino e la corona, vi è ben poco che ricordi il dio dell’antichità. Il suo sguardo è assonnato, la bocca molle e

carnosa; bianco, ben nutrito e languido egli tiene il fragile bicchiere con un gesto grazioso. Questo androgino ben pettinato, vizioso e pigro, statico come la imponente natura morta sul tavolo, non si muoverà mai né scompiglierà la sua complicata acconciatura e la sua posa studiata. I contemporanei possono aver considerato questa interpretazione un’eresia mitologica11 la quale, peraltro, non era neanche un’invenzione di Caravaggio. Essa era nata nell’epoca del manierismo, quando gli artisti avevano cominciato a trattare con tanta leggerezza i soggetti mitologici, che gli antichi dei potevano persino diventare oggetto di derisione12. Ma gli attributi del Bacco mitologico, nel quadro di Caravaggio, non dovrebbero venir considerati come una semplice mascherata spavalda: egli scelse gli emblemi di Bacco per esprimere il proprio temperamento lussurioso. Quando il Bronzino rappresentò Andrea Doria in figura di Nettuno, egli intendeva esprimere metaforicamente il dominio del mare da parte dell’ammiraglio. Il travestimento di Caravaggio, viceversa, ha un significato solo come l’appropriato modo di mettere in risalto la sua rivelazione emotiva. Il passaggio tra la descrizione di un messaggio obiettivo e l’indicazione di un atteggiamento soggettivo, segna una nuova tendenza la cui importanza non occorre sottolineare13. Il temperamento dissoluto del modello è chiaramente espresso anche dalla tonalità con la quale il quadro è dipinto: i colori dell’ambiente, luminosi e trasparenti, senza quasi ombre, sono messi in risalto dal contrasto con il bianco abbagliante della massa del drappeggio. Lo splendore dei colori è unito a una straordinaria precisione e nitidezza del disegno e a una scrupolosa rappresentazione dei dettagli, in particolare dei pampini della ghirlanda e della natura morta di frutta sul tavolo14. Non vi è atmosfera intorno alla figura; colore e luce non creano il senso dello spazio e della profondità, come avviene, invece, nella pittura veneziana. La profondità, per quanto la si possa rendere visivamente, è suggerita dagli scorci come quelli del braccio e della mano che regge la coppa di vino. Altri quadri giovanili di Caravaggio possono essere descritti in modo simile, ma in nessuno troveremo toni cosí limpidi, bianchi cosí penetranti e il rosa della carne cosí impudico. I colori e i valori tonali mettono evidentemente in risalto l’atmosfera preziosa del quadro. In questo periodo il metodo caravaggesco di accentuare le forme singole con il colore dell’ambiente si stacca tanto dall’uso del colorismo veneziano quanto dalle eleganti e insipide generalizzazioni dei manieristi. D’altra parte, uno spiccato residuo manieristico è riscontrabile nel Bacco, non solo in dettagli, quali le pieghe dell’abito e il flaccido braccio nudo, ma, soprattutto, nella diffusa stilizzazione, la quale sta a dimostrare che l’abusata frase fatta sul realismo di Caravaggio dovrebbe essere adoperata con cautela, specie a proposito delle sue prime opere romane. Poco dopo il Bacco, Caravaggio rappresentò di nuovo se stesso in travestimento mitologico, ma questa volta esprimendo con proprietà il proprio furore attraverso l’orrendo volto

della Medusa (Firenze, Uffizi). Il semplice fatto che egli dipinse il quadro su uno scudo di legno rotondo, sta a dimostrare la sua conoscenza delle associazioni d’idee letterarie tradizionali, e coloro che citano quest’opera come esempio estremo del suo realismo separano arbitrariamente il contenuto dalla forma. Né il trattamento è del tutto aderente al vero, come scoprirà facilmente chiunque cerchi di imitare la posa. Questa immagine del terrore ha il potere di «pietrificare» l’osservatore, proprio perché essa è irreale e si rifà all’antica formula espressiva delle maschere classiche della tragedia. Allo stesso modo, pochi quadri di genere di Caravaggio possono venir definiti realistici. Come altri artisti italiani del periodo, egli era debitore ai nordici che avevano a lungo praticato questo ramo dell’arte e avevano cominciato a invadere il mercato italiano alla fine del xvi secolo. Ma, se la loro pittura di genere, fedele al significato della parola rappresenta gente anonima, dedita alle sue occupazioni quotidiane, si deve osservare che né I bari né la Buona ventura di Caravaggio rillettono aspetti vivi di vita popolare dell’epoca. Personaggi come questi, levigati e vestiti in maniera vistosa, non si trovano in giro per la strada; e l’ambiente non delimitato dà l’impressione del tableau vivant, piuttosto che dell’«istantanea» di vita reale. Si ammirano questi quadri come si legge un racconto romanzesco, la cui particolare attrattiva consiste nel clima di irrealtà. È già stato ricordato che, dal 1599 in poi, la maggior parte dell’attività di Caravaggio, fu dedicata a pitture di soggetto religioso e d’ora innanzi si notano importanti mutamenti nella sua pratica artistica. Tali mutamenti sono osservabili nel quadro La cena in Emmaus alla National Gallery (c. 16oo)17. Soltanto la ricca natura morta sul tavolo ricollega quest’opera al primo periodo romano dell’artista. Ma, come se il ricordo delle sue scappate giovanili fosse dimenticato e sradicato, improvvisamente e inaspettatamente Caravaggio si rivela un grande pittore di immagini religiose. Il mutamento è segnato non soltanto con una trasformazione della tavolozza, che ora diventa scura, ma anche da un ritorno a modelli del Rinascimento. Per quanto riguarda la composizione, l’opera deriva da altre rappresentazioni del medesimo soggetto, come la Cena in Emmaus di Tiziano, ora al Louvre, dipinta all’incirca nel 1545. In contrasto però con la solenne immobilità riscontrabile nell’opera di Tiziano, la scena qui è animata da gesti energici, intense reazioni fisiche a un avvenimento spirituale. Il Cristo è profondamente assorto e dà il senso del mistero con la testa leggermente inclinata e gli occhi abbassati, il tutto accompagnato dal vigoroso linguaggio delle mani benedicenti. Il gesto sacramentale di queste mani assume un ulteriore significato emotivo per essere giustapposte alle zampe inerti del pollo che è sulla tavola. All’incomprensione dell’oste si oppone la reazione dei discepoli che riconoscono il Cristo, ed esprimono la loro partecipazione all’evento sacro, con movimenti rudi, quasi coercitivi.

In accordo con la tradizione che scaturiva dall’Alberti e da Leonardo, Caravaggio, a questo stadio del suo sviluppo artistico, considerava i gesti sensazionali necessari per esprimere i moti della mente. Nel Caravaggio la gesticolazione drammatica ebbe anche un altro significato: fu un espediente psicologico, non ignoto nella storia dell’arte18, per attirare l’osservatore nell’orbita del quadro e aumentare l’urto emotivo e drammatico dell’evento rappresentato; infatti, il braccio di Cristo disegnato molto di scorcio, come pure quello disteso del discepolo piú anziano, sembrano staccarsi dal piano del quadro e raggiungere lo spazio in cui si trova l’osservatore. Lo stesso scopo raggiunge la precaria posizione del cesto di frutta, che potrebbe in qualunque momento caderci ai piedi. Nel periodo di mezzo, Caravaggio spesso usò metodi simili, allo scopo di accrescere la partecipazione del credente al mistero divino rappresentato nel quadro. Un riferimento speciale si può fare, a questo proposito, alla prima versione del San Matteo e l’angelo dipinto per la Cappella Contarelli, ove la gamba del santo sembra sporgere al di fuori del quadro, 0 alla seconda versione con una gamba dello scanno in bilico sulla sporgenza tanto che sembra invadere lo spazio dell’osservatore; e ancora il corpo del santo straordinariamente scorciato nella Conversione di san Paolo in Santa Maria del Popolo, e l’angolo aggettante della pietra sepolcrale nella Deposizione vaticana che è richiamato dal gomito di Giuseppe di Arimatea. Verso la fine del periodo romano, Caravaggio dipinse una seconda Cena in Emmaus (Milano, Brera). Qui egli fece a meno degli accessori della natura morta sul tavolo e, fatto ancora piú importante, dei gesti grandiosi. Il quadro è reso in chiave molto meno drammatica e il silenzio che lo pervade preannuncia una tendenza delle opere posteriori al periodo romano. Nelle opere del periodo intermedio, Caravaggio si affanna a sottolineare il volume e la massa corporea delle figure e talvolta le ammucchia talmente dentro i limiti imposti dalla tela che sembrano quasi scoppiare fuori dalla cornice. In altri quadri di questo periodo, però, viene accentuata una tendenza che era già notevole in alcuni dei quadri precedenti, vale a dire la creazione di una vasta zona indeterminata al di sopra delle figure, spazio vuoto che Caravaggio sfruttò con formidabile effetto psicologico. Non soltanto la presenza fisica delle figure è sentita piú vigorosamente per il contrasto con lo sfondo uniforme, ma quest’ultimo può assumere anche un significato simbolico, come nella Vocazione di san Matteo, dove l’oscurità incombe minacciosa sopra il tavolo, intorno al quale siedono san Matteo e i suoi compagni. Nella maggior parte dei dipinti posteriori al periodo romano, il rapporto delle figure con lo spazio muta in una direzione: ne sono esempi salienti Le esequie di santa Lucia, a Siracusa e La resurrezione di Lazzaro, a Messina. Qui, il senso del vuoto, profondamente conturbante e oppressivo, è reso piú acuto dalla svalorizzazione delle figure singole. Seguendo la tradizione italiana, durante il periodo intermedio ogni singola figura

veniva nettamente individualizzata; negli ultimi dipinti, invece, le figure tendono, a prima vista, a fondersi in una massa quasi amorfa. Come c’è da attendersi, i gesti tradizionali sono abbandonati e i sentimenti emotivi sono espressi, semplicemente con l’intrecciare le mani, con lo stringere la testa fra le palme o inclinarla in silenzio e dolore. Quando vengono usati gesti ampi, come nella Resurrezione di Lazzaro, essi non sono presi dalla riserva della retorica tradizionale, com’erano le mani alzate di Maria nella Deposizione o le braccia tese di san Paolo nella Conversione. Le braccia in fuori di Lazzaro al momento del risveglio, non trovano alcun parallelo nella pittura italiana. Nei suoi primi dipinti, Caravaggio sovente creò un’atmosfera particolare, di eterna natura morta. Durante il periodo intermedio egli preferí un momento transeunte, accentuare il culmine drammatico di un evento, come nella prima Cena in Emmaus, in Giuditta che uccide Oloferne (Roma, Casa Coppi) e la Conversione di san Paolo. Nell’ultimo periodo il dramma è spesso trasferito in una sfera di irrealtà spettrale. Sebbene in un dipinto come la Flagellazione di Cristo, a Napoli, non venga rappresentata alcuna azione reale e i carnefici non colpiscano, com’era la regola nella tradizione iconografica, la scena è piú crudele e molto piú lancinante e la sofferenza del Cristo piú acuta che in qualsiasi altra raffigurazione del soggetto eseguita precedentemente in Italia. Molti quadri di Caravaggio del periodo intermedio si ricollegano alla tradizione non soltanto per il linguaggio del gesto espressivo e per l’iconografia21, ma persino per la disposizione della composizione. A questo riguardo, forse nessuna delle sue opere monumentali deriva dal passato piú del Martirio di san Matteo. In quest’opera egli fece ricorso in grado considerevole al repertorio manieristico delle figure in rilievo, insieme a espedienti e raffinatezze compositive che in quel momento stavano diventando rare in Roma22. Il tipo di composizione con le figure che ruotano, per cosí dire, intorno a un perno centrale, si lega a opere come San Marco che libera uno schiavo del Tintoretto, mentre il gruppo del carnefice, del santo e del chierico impaurito, è tratto dalla Morte di san Pietro martire di Tiziano (distrutto). Non è improbabile che la composizione in esame, dipinta sopra una precedente, completamente diversa, fosse una concessione a cui Caravaggio fu costretto dalle difficoltà che incontrò durante il lavoro nella Cappella Contarelli. Questa spiegazione è suggerita anche dal fatto che è l’unica opera, in tutta la sua attività pittorica, nella quale appare un angelo dal cielo sopra le nuvole. Le nuvole costituivano il tradizionale simbolo usato nelle rappresentazioni di visioni e di miracoli: Caravaggio non se ne serví mai se non in questa unica eccezione. Ogni volta che doveva dipingere degli angeli, egli sempre li privò di quei morbidi sostegni che, senza sforzo alcuno dell’immaginazione, riescono a tenere in aria una figura in carne ed ossa. La maggior parte delle opere del tardo periodo romano sono costruite molto piú rigorosamente che non il Martirio di san Matteo; esempi la Deposizione di

Cristo o la Morte della Vergine. Ma le pitture del periodo postromano sono, al confronto, persino piú austere e la composizione è ridotta ad una semplicità in apparenza ingenua. Si può citare in proposito il massiccio triangolo formato dalle figure nella Adorazione dei Pastori di Messina, il gruppo compatto di figure nel Lazzaro o la ieratica simmetria dei compresenti nella Decapitazione di san Giovanni. Osservando in particolare le opere giovanili, si può esser portati, come lo si è stati per generazioni, a considerare Caravaggio un artista il quale rifà ciò che vede con cura meticolosa, captando tutte le peculiarità dei suoi modelli. Lo stesso Caravaggio sembra aver diffuso questa leggenda, ma noi abbiamo già visto quanto poco ciò corrisponda a verità. Inoltre, indipendentemente dal suo stile autografo ben riconoscibile, egli sviluppò un suo proprio repertorio di formule idiomatiche per atteggiamenti e pose, il cui uso ricorrente era sicuramente avulso da qualsiasi modello vero23. In piú, egli rinunziò gradatamente ad interessarsi della disposizione logica e del coordinamento razionale delle figure, a favore del sentimento emotivo che egli desiderava suscitare. Questa tendenza è già riscontrabile nel giovanile Concerto ed è molto piú evidente nei lavori posteriori al 16oo. In una delle opere piú sensazionali di questo periodo, La conversione di san Paolo, è impossibile dire in quale punto dovrebbe esservi il basso della gamba destra del santo, o in qual modo le gambe di colui che lo accompagna possano verosimilmente essere...


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