Che cos\'è la socializzazione PDF

Title Che cos\'è la socializzazione
Author Francesca Maganza
Course Sociologia generale
Institution Università degli Studi di Milano-Bicocca
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CHE COS’E’ LA SOCIALIZZAZIONE INTRODUZIONE Il libro analizza l’inserimento del singolo individuo in un ambito collettivo del quale condivide le regole di comportamento e i principali valori. Oggi vi è una crisi dei valori comuni e delle istituzioni tradizionalmente preposte alla socializzazione (la famiglia e la scuola in particolare). Da qui, l’importanza di recuperare forme e luoghi di socializzazione. Vi è inoltre un processo di allungamento della fase di adolescenza. Le nuove generazioni restano sempre più a lungo con i propri genitori, sempre più tardi decidono di sposarsi o di generare figli, e passano da un’esperienza lavorativa all’altra. Le ragioni sono in parte legate a processi strutturali, come la necessità di maggiore istruzione per le diverse attività professionali, la difficoltà nell’inserimento stabile nel mondo del lavoro o la scarsa disponibilità a trovare alloggi a costi ragionevoli, ma in considerevole misura si legano ad atteggiamenti individuali. C’è una crescente mancanza di certezze su quello che è giusto o almeno opportuno dire o fare o almeno pensare. Si manifesta, in sintesi, una diffusa CRISI DELL’IDENTITA’. Quando i processi di evoluzione sociale accelerano si producono per l’individuo una miriade di possibili ruoli e di interpretazioni dei ruoli stessi. La tradizione non ha più la funzione decisiva di indicare le scelte da compiere e gli atteggiamenti da prendere. Questa condizione fa sì che la costruzione dell’identità tenda a non fare più riferimento a ruoli prefissati e dai significati condivisi e a dipendere invece dalle scelte del soggetto. Le alternative sono del tutto incerte. E’ attraverso queste scelte che si realizza il processo della formazione dell’identità e l’incertezza che lo pervade spinge i soggetti a rinviare le decisioni irrevocabili e a lasciarsi aperto uno spettro il più ampio possibile di alternative e di possibili scelte future. Questo fenomeno si manifesta con particolare evidenza nelle giovani generazioni. Anche gli adulti, però, sono coinvolti nei processi di riadeguamento alle molteplici realtà in trasformazione della società contemporanea. Si pensi solo ai mutamenti nell’organizzazione del lavoro per l’introduzione delle nuove tecnologie, alle migrazioni di popolazione o al prolungarsi della vita media. I processi di socializzazione si trovano oggi a dibattersi tra questa serie di alternative che spingono il soggetto a rafforzare la propria individualità ma anche a partecipare a forme di mobilitazione collettiva attraverso le quali riconoscersi in un destino condiviso. Il seguente testo vuole porre in luce come la socializzazione equivalga a un processo di apprendimento, e come quindi concorra a costituire l’insieme di conoscenze attraverso cui prende forma la personalità dell’individuo; porre in luce come la socializzazione sia un processo che accompagna l’intero corso della vita di un individuo; porre in luce come la socializzazione non produca di per sé comportamenti deterministici: i valori, le norme e i modelli di comportamento ai quali l’individuo è socializzato possono essere modificati tramite l’esperienza e il rifiuto dei modelli acquisiti, specialmente in una situazione sociale di rapido e costante cambiamento come quella attuale. Nel primo capitolo si esaminano gli aspetti biologici della socializzazione. Nel secondo capitolo sono presentati i principali contributi delle scienze sociali all’analisi dei processi costitutivi della personalità. Nel terzo capitolo sono analizzate le forme di socializzazione. Nel quarto capitolo vengono prese in esame le agenzie di socializzazione, tradizionali, come la famiglia e la scuola, o moderne, come i mezzi di comunicazione di massa ma anche la religione, il luogo di lavoro e la dimensione politica. Il quarto capitolo esamina le varie forme di socializzazione nel corso della vita.

SOCIALIZZAZIONE E BIOLOGIA Per secoli nella cultura occidentale si è stati propensi a spiegare l’origine della vita umana sulla base di IPOTESI CREAZIONISTE. Il principale racconto a questo proposito è la GENESI, contenuta nel Vecchio Testamento. Per quanto mitologico, tale racconto ha costituito un punto di riferimento anche per gli studiosi dei fenomeni naturali. Nel 1700, pur riconoscendo l’appartenenza dell’uomo alla famiglia dei primati, i naturalisti facevano propria l’idea per cui l’uomo sarebbe stato creato a immagine e somiglianza di Dio. La credibilità di una simile concezione è posta in dubbio dal diffondersi delle IPOTESI EVOLUZIONISTE sorte in ambito biologico fra il 1700 e il 1800. Con l’approccio evoluzionista sorge una nuova mentalità scientifica, soprattutto con Charles DARWIN. Nel suo libro del 1859, L’ORIGINE DELLA SPECIE, Darwin riesce a mostrare come qualsiasi forma vivente sia il frutto di un complesso processo evolutivo. Darwin formula una duplice ipotesi: che le specie discendono le une dalle altre e che in futuro nulla esclude che molte di queste possano anche estinguersi. L’importanza delle teorie evoluzionistiche è anche nel METODO DI INDAGINE: nel suo EMPIRISMO basato sull’INTERPRETAZIONE DEI FOSSILI. La specie umana discende dalle scimmie, ma non è il risultato di un’evoluzione lineare che dalle scimmie antropomorfe giunge all’uomo moderno. Il contesto sociale nel quale si cresce, e la qualità dei legami che vi si sviluppano, condiziona più aspetti della personalità. Possiamo dire che la PERSONALITA’ sia data dall’insieme di una componente EMOTIVA e di una COGNITIVA. La COMPONENTE EMOTIVA si riferisce a SENTIMENTI quali l’amore, l’odio, la simpatia, l’invidia, mentre la COMPONENTE COGNITIVA si riferisce a CAPACITA’ INTELLETTUALI quali il pensiero, la percezione o la memoria. Entrambe queste due componenti consentono all’uomo di intervenire sull’ambiente e di modificarlo. E’ una caratteristica specifica dell’uomo saper inventare strumenti e linguaggi artificiali grazie ai quali oltrepassare i propri limiti naturali; capacità che l’uomo possiede in misura incomparabilmente superiore a qualsiasi altra specie animale e che proprio per questo induce a parlare di ARTIFICIALIZZAZIONE DELLA NATURA. I relativi saperi devono essere appresi e trasmessi di generazione in generazione tramite la CULTURA, la quale è il SISTEMA DI SEGNI a partire da cui le situazioni e gli eventi acquistano un proprio significato. E’ la cultura che affranca l’uomo dalla dipendenza delle dinamiche lente e casuali dell’evoluzione: se infatti si aspettasse l’evoluzione naturale per volare sulla Luna, l’attesa sarebbe vana; grazie all’efficacia delle proprie invenzioni, l’uomo vi è invece già approdato. La cultura è ciò che libera l’uomo dalla sua rigida programmazione genetica sottraendolo ai condizionamenti dell’ambiente fisiconaturale: tramite la trasmissione nel tempo delle conoscenze pratiche e morali, ogni generazione non deve così iniziare da zero reinventando il fuoco, la ruota o la macchina. Si racconta che nel 1200, l’imperatore Federico II avesse deciso di far crescere dei bambini in parziale isolamento per studiarne i comportamenti. La sua folle idea era quella di scoprire che tipo di linguaggio e che modi di parlare avrebbero avuto i bambini se fossero cresciuti senza che nessuno parlasse mai con loro. Si affannò invano, perché tutti i bambini morirono. Nei primi anni di vita, il bambino necessita di rapporti caldi e affettuosi. Nella letteratura scientifica, vi sono al riguardo molti esempi di come una simile mancanza incida negativamente sull’evoluzione psicologica del bambino. Basti ricordare a questo proposito due celebri vicende: quella del ragazzo francese VICTOR e della ragazza-lupo indiana KAMALA. Nel 1797, nelle foreste francesi venne rinvenuto un ragazzo cresciuto in pieno isolamento, e venne affidato alle cure di un medico, ITARD. Il medico ne tentò il recupero partendo dall’assunto che nonostante l’età questi fosse pari a un bambino di un anno. Egli pensava che se al momento dell’abbandono (intorno ai 4-5 anni) Victor aveva già un proprio linguaggio, l’isolamento nel quale era poi vissuto ne aveva però cancellato il ricordo. Quando fu ritrovato, Victor si nutriva esclusivamente di ghiande, castagne crude e patate. Non emetteva alcun suono e si mostrava insofferente al dover dormire in un letto; provava avversione per l’abbigliamento e per il cibo cotto, e non possedeva alcun senso dell’igiene. Non sapeva distinguere un oggetto reale da un oggetto dipinto; annusava qualsiasi cosa incontrasse e non era capace di aprire le porte. Non possedendo un linguaggio verbale, il volto non lasciava trasparire alcuna emozione. La prima cosa che ITARD si propose di insegnare a Victor fu l’utilizzo degli organi di senso. Quando Victor morì, all’età di 40 anni, per quanto alcuni

suoi atteggiamenti fossero ancora saldamente influenzati dalla sua precedente esperienza, come la camminata più simile al trotto che a una normale andatura bipede, gli riuscì comunque di assimilare alcuni tipici atteggiamenti della società francese del suo tempo, come pettinarsi, mangiare con le posate, apprezzare il cibo cotto, vestirsi. Non acquistò mai la parola. Altro, caso quello della ragazza-lupo KAMALA. Si suppone che Kamala sia stata rapita ai suoi genitori da una lupa e poi questa allevata assieme ai suoi cuccioli. Ritrovata nel 1920 quando aveva circa 8 anni, Kamala viveva nuda e mangiava carne cruda, avvicinando la bocca al cibo e non viceversa; anziché camminare in posizione bipede, aveva una locomozione quadrupede. Come i lupi, possedeva una spiccata abilità a muoversi nel buio della notte, mal sopportando la luce del giorno; aveva uno spiccato senso dell’olfatto e non possedeva espressioni facciali, mostrandosi ostile nei confronti di qualsiasi essere umano. Nei novi anni trascorsi nell’orfanotrofio, Kamala mutò i propri atteggiamenti affezionandosi alla moglie del missionario che l’aveva trovata, imparando ad usare un linguaggio che per quanto semplice, le consentiva comunque di esprimere i propri sentimenti; imparò a socializzare con gli altri bambini, a mangiare cibi cotti, a dormire nel letto con le coperte, a fare il bagno con l’acqua tiepida e a vestirsi. Quando morì, all’età di 17 anni, le sue capacità intellettuali erano simili a quelle di una bambina di 4 anni; né si erano del tutto superate le abitudini del passato: benché sapesse camminare in posizione eretta, per correre tornava alla posizione quadrupede. Se l’isolamento estremo sperimentato in un’età così delicata è nel caso di Victor e Kamala ciò che ne ha pregiudicato le psicologie, problemi non diversi si riscontrano anche presso i bambini segregati o cresciuti in parziale isolamento, come nel caso delle due ragazze americane ANNA e ISABELLE. Anna era stata segregata dalla madre in una stanza perché figlia illegittima. Quando Anna venne scoperta, intorno ai sei anni, era incapace di muoversi. Portata in orfanotrofio, visse non più di altri cinque anni, raggiungendo una maturità che i bambini generalmente hanno verso i due anni. Come Anna, anche ISABELLE era stata confinata perché figlia illegittima. Ma diversamente dalla mamma di Anna, quella di Isabelle instaurò con la figlia un rapporto minimo, anche se solo gestuale, in quanto la madre era sordomuta. Ritrovata intorno ai sei anni, i trattamenti intensivi a cui Isabelle fu sottoposta riuscirono a riportarla al normale sviluppo di una bambina della sua età. In quest’ultimo caso, l’esperienza di una pur minima stabile relazione affettiva ne spiega il recupero. Ciò vale anche nel caso dei BAMBINI ISTITUZIONALIZZATI, ovvero cresciuti in orfanotrofio. I bambini che crescono in contesti impersonali quali gli orfanotrofi, incontrano maggiori difficoltà a inserirsi nella società. Si è infatti osservato a questo proposito come a scuola molti di loro risultino fra i più turbolenti proprio per richiamare su di sé l’attenzione a parziale compensazione delle carenze di affetto. L’importanza dell’ATTACCAMENTO alla madre, o comunque a una figura intima, emerge anche da una serie di esperimenti condotti in laboratorio. Sui piccoli di scimmia (i neonati più prossimi a quelli della specie umana), per studiarne i rapporti con la madre, HARLOW e i suoi collaboratori hanno pensato a due surrogati di mamma scimmia: la prima formata da un cilindro di rete sormontato da una testa di legno, la seconda da una rete foderata con un pezzo di panno di spugna. Si è poi proceduto a collocare otto neonati di scimmia in otto distinte gabbie, offrendo loro la possibilità di raggiungere sia la madre di rete che quella foderata. Di questi otto piccoli, quattro ricevevano il latte solo dalla madre di rete e quattro dalla madre di spugna. Se fisiologicamente entrambe le madri svolgevano altrettanto bene la funzione nutritiva, nel senso per cui i due gruppi di scimmie bevevano la stessa quantità di latte e aumentavano di peso allo stesso ritmo, sul piano psicologico la situazione era però diversa: la maggior parte dei piccoli di scimmia trascorreva più tempo sulla madre foderata che non su quella di rete. E questo anche nel caso dei piccoli che si nutrivano dalla madre di rete: dopo aver bevuto il latte dalla madre di rete, se ne staccavano per accovacciarsi sulla madre di spugna. Inserendo in ciascuna gabbia un orsacchiotto meccanico che procedeva battendo i bastoncini su un tamburo appeso al collo, si è osservato che i piccoli, se presi alla sprovvista, cercavano protezione presso la madre di panno anziché quella di rete. Una volta arrampicatisi sulla madre di panno, accadeva quasi per incanto che la paura sparisse. Secondo HARLOW, sotto questo profilo non vi sarebbe differenza rispetto agli atteggiamenti dei piccoli della specie umana: egli ha infatti rilevato che un bambino, se posto in un ambiente estraneo, non mostra alcun timore finché la madre rimane nel suo raggio visivo; ma allorché questa se ne allontana, il bambino diventa ansioso esattamente come i piccoli di scimmia. Ai fini di

uno sviluppo equilibrato la presenza di saldi LEGAMI AFFETTIVI nei primi anni di vita svolge un ruolo essenziale, tant’è che tale carenza, minando la stabilità psicologica, può portare a personalità paurose e ostili, schive e apatiche. Per ELIAS, sul piano dei comportamenti pratici, il tratto di fondo della società moderna consiste nella PSICOLOGIZZAZIONE delle REGOLE DI COMPORTAMENTO: nel senso per cui ciascuno cerca di fornire una buona immagine pubblica di sé dominando sia la propria emotività che le proprie pulsioni. Un atteggiamento un tempo largamente diffuso quale lo sputare per terra, cambia invece a partire dalla fine del Settecento, quando si mette in moto un processo di interdizione destinato a sfociare in una generalizzata riprovazione verso questo gesto. Altro esempio, quello relativo ai regimi alimentari. E’ noto come India vi sia il divieto di macellare e consumare carne bovina. Secondo la teologia induista, gli dèi si incarnano nelle mucche, e ucciderle significherebbe compiere un atto sacrilego. Ma poiché tale tabù si è imposto nella teologia induista piuttosto tardi, l’antropologo Marvin HARRIS è dell’avviso che per comprendere l’ascesa a principio teologico occorra considerare la questione della densità demografica. Data la penuria di bovini, le vacche assumono una valenza sacrale. E’ infatti tramite il divieto di mangiare carne bovina che i contadini possono portare a termine il proprio ciclo produttivo arando e producendo latticini. Un cambiamento alimentare come quello appena descritto, assumendo una valenza religiosa, è risultato funzionale sia alla produzione che alla sopravvivenza dell’uomo. Benché quindi i comportamenti sociali tendano a essere percepiti come naturali, si tratta pur sempre di atteggiamenti socialmente costruiti e trasmessi di generazione in generazione tramite i processi di socializzazione. A questo punto occorre però chiedersi per quali ragioni gli individui aderiscano al patrimonio culturale della propria società. Vi sono a questo proposito due importanti teorie, una NORMATIVA e una COERCITIVA. Secondo la TEORIA NORMATIVA, i valori e le norme collettive diventano da oggettive a soggettive per via della loro interiorizzazione. In particolare, tramite l’azione svolta dalla famiglia e dalla scuola. Consenso che non è ottenuto tramite il timore delle sanzioni, ma perché tali valori e norme sono stati interiorizzati nei termini di un’autorità morale normativa fatta propria dall’individuo quale proprio sistema etico. Per quanto riguarda la TEORIA COERCITIVA, si parte dal presupposto che gli individui possiedano posizioni sociali differenziate perché diversamente collocati all’interno della scala dei compensi materiali e simbolici. Le conseguenti disuguaglianze strutturali derivano dall’azione di due principali meccanismi distributivi; quello economicosimbolico e quello relazionale. Nel primo caso, i meccanismi redistributivi riguardano le disponibilità finanziarie e indicatori simbolici quali lo status, il prestigio e l’autorità. Nel secondo caso, il controllo e la distribuzione del potere. Poiché il controllo del potere può far sì che suo tramite una classe sociale realizzi i propri interessi obiettivi specifici, la cultura trasmessa dalla socializzazione è ritenuta la cultura della classe dominante perché si è dell’avviso che sia tale classe a esercitare il controllo sul potere economico, politico e culturale. Gli aderenti a tale impostazione ritengono che gli individui siano obbligati al rispetto dei valori e delle norme collettive per via della minaccia di ricorso alla coercizione, la quale viene utilizzata dalle classi dominanti che detengono il potere per imporre sia i propri interessi che la propria visione della realtà. Se il modello coercitivo risulta nell’insieme più esplicativo rispetto a quello normativo, in entrambi i casi vi è però la tendenza ad assolutizzare un solo lato della questione: nessun dubbio sul fatto che la conformità possa talvolta essere consensuale, mentre altre volte forzata, ma in un caso e nell’altro si attenua in qualche modo l’autonomia del soggetto, che può far proprie ma anche rigettare norme e valori collettivi. Senza l’azione dei PROCESSI DI SOCIALIZZAZIONE, gli individui sarebbero incapaci di svolgere con successo anche le più elementari attività della vita quotidiana. La socializzazione permette invece di acquisire sia i saperi che le regole per relazionarsi tanto al mondo degli oggetti materiali che al mondo degli individui.

SOCIALIZZAZIONE E PERSONALITA’

Se è tramite la socializzazione che gli individui apprendono le regole e le modalità dei rapporti interpersonali, il capitale culturale così trasmesso condiziona anche i caratteri delle rispettive personalità. La personalità, nel neonato, prende corpo gradualmente e sotto l’azione (quantomeno iniziale) dei processi educativi. L’attenzione a tale processo di crescita della personalità è l’argomento al centro di questo capitolo. IL COMPORTAMENTISMO (WATSON e SKINNER) La riflessione comportamentista muove dall’idea che si possa spiegare solo ciò che si osserva. Il comportamento va visto come risposta, e quindi effetto, a un determinato stimolo, che ne è invece la causa. WATSON ha analizzato i riflessi condizionati di un bambino alla presenza di un topo bianco. Se in un primo tempo la comparsa del topo non era fonte di timore per il bambino, allorché tale comparsa è stata però sistematicamente seguita da un suono assordante e fastidioso, ciò ha portato a un radicale cambiamento di percezione: la comparsa del topo (stimolo) è diventata fonte di apprensione perché il bambino è stato indotto ad associarvi il successivo rumore. Il significato di tale esperimento consiste nel sottolineare come la personalità vada vista nei termini dei RIFLESSI CONDIZIONATI che si determinano nelle varie situazioni. Il concetto chiave è quello di RINFORZO. Il rinforzo corrobora una data relazione ed è altresì il meccanismo attraverso cui la società opera il controllo sull’individuo. Come precisa SKINNER, la crescita di personalità dell’individuo da bambino a persona adulta procede attraverso SEQUENZE DI RINFORZI. Dato che le sollecitazioni a cui si è esposti sono così tane che seguendole tutte si cadrebbe in confusione, il patrimonio culturale trasmesso dalla SOCIALIZZAZIONE educa a reagire solo a determinati stimoli. IL SIMBOLISMO SOCIALE (COOLEY e MEAD) COOLEY e MEAD rigettano l’idea per cui mente e corpo debbano considerarsi separatamente. COOLEY guarda alla coscienza socia...


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