Che cos e l empatia albiero PDF

Title Che cos e l empatia albiero
Author Daniela Fiorillo
Course Filosofia del Linguaggio
Institution Università degli Studi di Messina
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Che cos è l’ empatia? L’ empatia è un concetto vago e misterioso, quasi magico, è insita nell’ uomo, simile alla capacità di saper comprendere e condividere gli stati d’ animo degli altri. Ogni giorno siamo chiamati a fare i conti con nuove sfide che ci coinvolgono sul piano personale , professionale , con una qualità della vita che ci costringe a ritmi e climi lavorativi sempre più problematici , si avverte il bisogno di relazioni interpersonali migliori, di capire ed essere capiti , di accettare ed essere accettati. Capitolo 1: Lo studio dell’ empatia ha interessato diverse aree della psicologia , provare empatia significa mettersi nei panni degli altri e condividere lo stato emotivo in maniera vicaria, ovvero provare un emozione uguale o simile a quella dell’ altro, con la consapevolezza che la causa del proprio vissuto è l’ emozione dell’ altro . L’ empatia è una capacità fondamentale per la costruzione di relazioni interpersonali positive e la promozione di comportamenti pro sociali , essere in grado di condividere i punti di vista e i sentimenti altrui favorisce la comunicazione e gli scambi sociali , incoraggia l’ accoglienza della diversità , facilita la cooperazione nell’ ambiente lavorativo , regola il flusso delle emozioni negative e delle condotte aggressive. Significati di empatia nel dizionario della lingua italiana: capacità di capire, sentire e condividere le emozioni di un altro in una determinata situazione, condivisione delle emozioni altrui, capacità di comprendere gli altri vedendo la situazione come loro la vedono e vivendola cime loro la vivono. In psicologia lo studio dell’empatia è stato caratterizzato da due differenti modi di concettualizzarla: L’uno che la considera un’esperienza di partecipazione/condivisione delle emozioni vissute dall’altro (attribuendole, dunque, una natura primariamente affettiva); l’altro che la identifica con la capacità di comprendere il punto di vista dell’altro (attribuendole una natura innanzitutto cognitiva). Il ruolo dell’ empatia nelle relazioni interpersonali è centrato sulla dimensione affettiva dell’ empatia. Empatia è descritta come un processo di attivazione emotiva più o meno volontario , innato, empatizzare con qualcuno significa partecipare/condividere l’ emozione che l’ altro vive provando la stessa emozione. Psicologi: imitare spontaneamente i gesti, le posture, condividere i loro vissuti; psicoanalisti: accesso alle emozioni e ai significati del mondo interno. Anni 60 : attenzione sulla cognizione e i processi di pensiero che svolgono nel generare empatia. Empatia capacità di sapersi decentrare cognitivamente per mettersi nei panni degli altri, per comprendere il modo di vivere una certa situazione, l’ esperienza affettiva è subordinata alla comprensione dei sentimenti e intenzioni degli altri. A partire dagli anni ottanta, l’empatia è stata considerata un’esperienza affettiva, in cui i processi cognitivi giocano un ruolo importante. La persona empatica comprende e condivide e partecipa allo stato emotivo dell’altro. Mehrabian: empatia cognitiva: comprendere il punto di vista dell’ altro , empatia emozionale: esperienza vicaria nelle emozioni di altri. Feshbach : empatizzare con qualcuno significa provare esattamente l’emozione sperimentata da chi stiamo osservando. Si tratta di un’esatta concordanza affettiva, in cui, tuttavia, vi è piena consapevolezza che l’emozione condivisa deriva dall’emozione dell’altro (condivisione vicaria). La componente affettiva e quella cognitiva svolgono un’azione integrata per generare una risposta empatica. 1

Hoffman: l’empatia è definita in termini funzionali (cioè orientati a esplicitare i processi sottostanti alle reazioni empatiche) consiste in «una risposta affettiva più appropriata alla situazione di un altro che alla propria». una partecipazione/condivisione può avvenire attraverso diversi processi, il cui fondamento è lo sviluppo progressivo della capacità di differenziare il sé dall’altro, così da comprendere sempre più chiaramente che la causa del proprio vissuto consiste nell’emozione dell’altro. Nel modello di Hoffman, si può essere empatici fin dalle primissime fasi della nostra vita. Davis descrive l’empatia come una serie di fattori che entrano in gioco ogniqualvolta si assiste all’esperienza emotiva di qualcuno. Davis propone un approccio integrato che identifica il ruolo congiunto di cognizione e affetti. Davis sottolinea come gli elementi cognitivi e quelli affettivi presenti nell’empatia concorrano congiuntamente a definire la natura multidimensionale dei processi empatici. Davis parte dalla definizione dell’ “episodio prototipico” empatico, costituito da tre vertici: il soggetto che osserva; il soggetto osservato mentre sperimenta una situazione emotiva; la risposta dell’osservatore. Le componenti cognitive e affettive dell’empatia che caratterizzano le risposte empatiche dell’osservatore, secondo Davis sono quattro: le prime due concernono le abilità cognitive e sono l’abilità di adottare il punto di vista di un’altra persona e la tendenza a immaginarsi in situazioni fittizie. Le altre due componenti si riferiscono alla reazione emotiva del soggetto, che può essere orientata verso la condivisione dell’esperienza emotiva dell’altro (considerazione empatica) oppure diretta verso la comprensione dei propri stati di ansia e di preoccupazione in situazioni relazionali (disagio personale). Vreeke e Van der Mark propongono una definizione di empatia che interessa anche il contesto comunicativo in cui la risposta empatica si origina e si evolve. L’empatia è una risposta comportamentale ed emotiva a una specifica domanda dell’altro; empatizzare con qualcuno significa capire qual è il bisogno che l’altro esprime e rispondervi in modo adeguato. studio delle forme che l’empatia può assumere in contesti specifici, come la scuola, e delle relazioni che si instaurano in specifici contesti lavorativi e organizzativi, culturali ed etnici. Tutto ciò ha portato all’individuazione di particolari forme, come l’empatia culturale e l’empatia etnoculturale. “empatia culturale” : consiste nella capacità di provare un interesse nei confronti delle altre persone e di avere un’accurata percezione dei loro pensieri, sentimenti, comportamenti ed esperienze. L’empatia culturale ha dunque a che fare con la disponibilità ad accettare modi di fare e abitudini tipiche di un contesto culturale diverso dal proprio. “empatia etnoculturale” : l’empatia se rivolta a persone che non solo appartengono a gruppi culturali, ma anche a etnie diverse dalla propria. Oltre alle tradizionali componenti affettive e cognitive, nell’empatia etnoculturale riveste grande importanza la componente comunicativa, vale a dire la capacità di comunicare agli altri i propri sentimenti e pensieri di comprensione della condizione che vivono le persone appartenenti ad altre etnie e la capacità di accettare le differenze culturali.

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Il role taking è la capacità di mettersi nei panni dell’altro, assumendone il ruolo anche se diverso dal nostro, senza che questo processo elimini la consapevolezza del nostro punto di vista. role taking ha tre dimensioni: una emozionale, una percettiva , una cognitiva. Il role taking emozionale consiste nella capacità di riconoscere le emozioni dell’altro e di rispondere affettivamente in modo appropriato. Questa componente coincide, dunque, con una sorta di preoccupazione empatica. Il role taking cognitivo è un processo attraverso il quale un individuo abbandona il proprio punto di vista e prova a comprendere gli stati interni e i pensieri di un’altra persona mettendosi cognitivamente nella situazione dell’altro. Il role taking percettivo riguarda l’abilità di capire come un oggetto, o un insieme di oggetti, è visto da un altro che non occupa la nostra stessa posizione nello spazio. Tale definizione coincide con quella che da molti autori è definita capacità di perspective taking. La risposta simpatetica (o simpatica): con il termine “simpatia” si identifica una modalità di risposta affettiva orientata al vissuto dell’altro che si esplicita nel provare dispiacere, preoccupazione, interesse per qualcuno e si traduce nell’urgenza di agire in qualche modo per intervenire a favore o sostenere la persona per cui si prova simpatia. Diversamente dall’empatia, che potremmo descrivere un “sentire come” qualcun altro, la simpatia è meglio resa dall’espressione “sentire per” qualcun altro. La risposta simpatetica differisce dall’empatia perché l’emozione sperimentata dall’osservatore non è necessariamente simile a quella provata dall’altro. La risposta di disagio personale (personal distress): Batson (1991) ha definito il personal distress, identificandolo precisamente con l’esperienza di uno stato emotivo negativo (ansia o preoccupazione) e che porta a una reazione o a preoccupazione orientata su di sé, egoistica. Hoffman chiama il disagio personale overarousal empatico e lo descrive come un sentimento involontario che occorre quando il sentimento condiviso dall’osservatore diventa così carico di dolore e intollerabile che si trasforma in disagio personale, che porta l’individuo ad allontanarsi dalla situazione. Fin qui, la definizione è molto simile a quella di Batson. Ciò che differenzia le posizioni di Hoffman e Batson sono le motivazioni che i due ipotizzano sottostare a questi comportamenti di aiuto. Batson, ritiene che il fatto di provare personal distress sia riconducibile esclusivamente a motivazioni di tipo egoistico. Per cui egli attribuisce il comportamento di aiuto al fatto che il ruolo o il sentimento che lega le due persone rappresenta un vincolo che rende impossibile la fuga e, quindi, il modo più rapido di smorzare il proprio disagio diventa quello di prestare aiuto all’altro. Hoffman, d’altro canto, sembra affermare che l’overarousal empatico, sebbene motivi anche comportamenti di tipo egoistico, a volte può avere motivazioni altruistiche ed essere orientato verso l’altro. In quest’ultimo caso lo spettatore, in virtù del ruolo che riveste e del legame affettivo con la persona in stato di bisogno, sarebbe spinto a spostare il proprio focus sulla sofferenza della vittima e per questo cercherebbe di aiutarla. La risposta di disagio personale è simile all’empatia, ma differisce da questa perché l’emozione sperimentata dall’osservatore non è necessariamente in sintonia con quella provata dall’osservato. Hoffman si riferisce all’empatia con il termine di arousal empatico e definisce il disagio personale come un overarousal empatico. Da questo punto di vista, sembrerebbe che il disagio personale differisca dall’empatia per un eccesso di attivazione. Si potrebbe perciò immaginare che un’esperienza di condivisione particolarmente intensa provochi un vissuto talmente forte da risultare difficile da gestire e, quindi, da suscitare il disagio personale. Il contagio emotivo: è la prima forma di condivisione affettiva che i bambini manifestano già nelle prime ore di vita. 3

Infatti, come sostiene Hoffman, nei primi mesi dopo la nascita i bambini non sono ancora in grado di distinguere sé dall’altro e quindi, nel momento in cui percepiscono l’emozione di qualcuno, non sono in grado di capire che l’emozione ha una causa esterna (l’altro soffre) e le “attribuiscono” una causa interna (io soffro). Capitolo 2: Alcuni neuroscienziati hanno indagato i substrati neurali delle funzioni psichiche negli uomini. Il team di ricercatori individuò nel cervello una particolare classe di neuroni premotori, che si attivano non solo quando si esegue una specifica azione (come ad esempio afferrare un oggetto), ma anche quando si osserva un altro individuo (conspecifico o umano) compiere quella stessa azione. Gli autori hanno battezzato questo tipo di neuroni i “neuroni specchio”. Il nucleo centrale di questa scoperta starebbe nel fatto che, nel momento in cui si è testimoni di un’azione, si mette in moto quello stesso sistema neurale che si attiva mentre la si esegue; l’osservatore, quindi, comprenderebbe le azioni degli altri perché le “mima” dentro di sé e, automaticamente, ne fa esperienza. Il grande merito di questa autrice consiste nell’aver sviluppato, per la prima volta nella letteratura psicologica, un modello che, superando la visione dell’empatia come un’abilità monolitica, le attribuisce un carattere multidimensionale. Processi cognitivi e affettivi si integrano. Feshbach elabora il primo strumento per rilevare la responsività empatica, il FASTE (Feshbach Affective Situation Test for Empathy). Il modello multidimensionale di empatia : L’autrice, nelle sue ricerche, ha dedicato una particolare attenzione a tre aspetti: a) i risvolti sociali dell’empatia, osservando se essa fosse in grado di migliorare i rapporti interpersonali, inibendo l’aggressività e pro- muovendo il comportamento prosociale; b) gli sforzi per misurare l’empatia; e) il tentativo di elaborare programmi specifici per incrementare le capacità empatiche. Feshbach sostiene che l’empatia coniughi al suo interno elementi cognitivi e affettivi e sia costituita da tre componenti. Queste componenti coincidono con altrettante abilità che, svolgendo un’azione integrata, possono generare comportamenti empatici. Esse possono essere così definite e riassunte: • la capacità di decodificare gli stati emotivi vissuti da altre persone; • la capacità di assumere il ruolo e la prospettiva di un altro; • la capacità di rispondere affettivamente alle emozioni provate da un ‘altra persona. Le prime due componenti sono abilità cognitive, mentre la terza inserisce l’empatia in una dimensione affettiva ed emotiva. Solo e soltanto se si prova dentro di sé l’emozione che l’altro vive, si può parlare compiutamente di esperienza empatica. Adottando il quadro di riferimento piagetiano, che ha influenzato il modello di Feshbach, l’abilità di decentramento avviene con il passaggio allo stadio operatorio concreto, attorno ai 6 anni. È dunque a tale età che si verifica la responsività empatica. Nel corso dello sviluppo, con il progredire delle capacità cognitive, essa diventa sempre più frequente e accurata. Il contributo dell’autrice tuttavia è eccessivamente restrittivo nella definizione, poiché esclude tutte le risposte affettive vicine non identiche a quelle osservate; per certi versi risulta semplicistico, poiché tratta le capacità cognitive coinvolte nell’empatia come costrutti monodimensionali, mentre la letteratura ha dimostrato il loro carattere multidimensionale. Inoltre, il modello non spiega forme di condivisione affettiva rudimentali che compaiono nei primi anni di vita e che coinvolgono processi cognitivi più semplici.

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Il modello elaborato da Hoffman fornisce una descrizione dello sviluppo dell’empatia più articolata e complessa di quella di Feshbach. Hoffman, infatti, estende la definizione di empatia a una serie più ampia di reazioni affettive coerenti con il sentimento provato dall’altro e colloca le prime manifestazioni di empatia nei primissimi giorni di vita. Egli, inoltre, non considera più l’empatia come “unitaria”, ma l’articola in diverse forme che, man mano che procede lo sviluppo, diventano più mature e sofisticate. Un modello a tre componenti: affettiva, cognitiva e motivazionale Secondo Hoffman l’empatia si manifesta fin dai primi giorni di vita. Questa considerazione riflette la maggiore autonomia e rilevanza attribuita alla dimensione emotiva dell’empatia, ridimensionando il peso dato da Feshbach alle abilità cognitive. Nelle primissime manifestazioni empatiche, infatti, è la dimensione affettiva ad avere il ruolo di maggior rilevanza, mentre la dimensione cognitiva è pressoché assente. Procedendo nello sviluppo, la componente cognitiva acquisirà un’importanza crescente e si compenetrerà sempre di più con quella affettiva, permettendo lo sviluppo di forme più evolute di empatia. Oltre alla componente cognitiva e a quella affettiva, secondo Hoffman interviene nell’esperienza empatica un terzo fattore: la componente motivazionale. L’esperienza di empatizzare con una persona che sta soffrendo, infatti, rappresenterebbe una motivazione per mettere in atto comportamenti di aiuto. L’effetto motivante dipende dal fatto che condividere l’emozione dell’altro, soccorrendolo, fa provare a chi aiuta uno stato di benessere; viceversa, la scelta di non confortare l’altro porterebbe con sé un senso di colpa. Lo sviluppo della responsività empatica Hoffman definisce cinque ipotetiche forme o manifestazioni del sentimento empatico: • distress empatico globale: nei primi mesi di vita i neonati non sono in grado di percepire se stessi e gli altri come entità distinte. Quando i neonati percepiscono la sofferenza di qualcuno, ne fanno propria l’emozione, vivendola come se quello stato emotivo non avesse una causa esterna (quel bambino è triste), ma interna (io sono triste). Al suo primo apparire, quindi, l’empatia si connota come una reazione affettiva, automatica e involontaria, che in molti autori prende il nome di contagio emotivo; • distress empatico egocentrico: intorno al primo anno di vita, con l’acquisizione della permanenza dell’oggetto, i bambini cominciano a percepire una distinzione tra sé e l’altro, anche se non sono ancora in grado di distinguere tra i propri stati interni e quelli altrui. In questa fase i bambini mimano le emozioni provate dall’altro, spesso lo guardano silenziosamente, talvolta mettono in atto comportamenti che potrebbero apparire tentativi di aiuto, ma che di fatto sono finalizzati ad attenuare il proprio stato di angoscia. • distress empatico quasi-egocentrico: tra il primo e il secondo anno, nei bambini si fa più chiara la distinzione tra i propri stati interni e quelli degli altri. Iniziano così a mettere in atto comportamenti tesi a confortare l’altro (abbracciandolo, accarezzandolo), ma l’egocentrismo permane nella scelta di utilizzare, per dare conforto, gli oggetti che sono significativi per se stessi. Ad esempio, un bambino che vede un altro piangere, potrebbe offrirgli il proprio orsetto; vera empatia per lo stato d’animo di un ‘altra persona: la Consapevolezza che gli altri hanno stati interni (pensieri, sentimenti) diversi dai propri emerge intorno ai 2 anni. Acquisita questa capacità, lo stesso bambino che, pochi mesi prima, per confortare un compagno triste gli avrebbe portato il proprio orsetto, adesso andrebbe a cercare quello del compagno. Il bambino riesce, ora, a empatizzare con i sentimenti e i desideri dell’altro in modo più profondo e il suo aiuto risulterà più efficace. Verso i 6 anni si sviluppa una maggiore competenza linguistica, che consente ai bambini di interagire più appropriatamente con significati simbolici e si consolida la capacità di decentramento, che rende i bambini più abili nell’assumere il ruolo dell’altro;

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• distress empatico oltre la situazione: a partire dai 9 anni, i bambini, avendo sviluppato un senso di sé stabile e coerente, realizzano sempre più compiutamente che anche gli altri individui hanno una propria identità e che quest’ultima influenza i loro comportamenti nelle diverse situazioni. Da questo momento in poi la conoscenza della vita degli altri e delle loro esperienze passate inizia a influenzare le risposte empatiche. L’empatia, nella sua forma più matura, si caratterizza, quindi, come una risposta a un insieme (li stimoli comprendenti il comportamento, l’espressività e tutto ciò che si conosce dell’altro. L’acquisizione di questa funzione, dato l’alto livello di complessità dei meccanismi cognitivi implicati, ha un’evoluzione graduale che trova, in buona parte delle persone, pieno compimento intorno ai 13 anni. Da un punto di vista teorico, quello di Hoffman è senza dubbio il modello più esaustivo che ha trattato lo sviluppo dell’empatia. Un limite che si può imputare al suo autore è quello di essersi frequentemente limitato a una riflessione su dati empirici provenienti da altri ricercatori, senza avere sistematicamente sottoposto a verifica le proprie assunzioni teoriche attraverso esperimenti appositamente ideati. Gli studi di Strayer prendono spunto dal modello di Hoffman, ma, a differenza di quest’ultimo, la sua produzione sull’argomento è basata su numerose e accurate ricerche empiriche. Nell’empatia, secondo Strayer, durante lo sviluppo le componenti cognitive si integrano progressivamente con quelle affettive, organizzandole e permettendo l’instaurarsi di forme vi...


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