Empatia e sviluppo morale PDF

Title Empatia e sviluppo morale
Author Matteo Cocciardo
Course Filosofia morale
Institution Università degli Studi di Genova
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Summary

Riassunto esaustivo di Empatia e sviluppo morale
...


Description

Martin L. Hoffman Empatia e sviluppo morale il Mulino, Bologna 2008

1. Martin L. Hoffman ha dedicato tutta la sua attività di ricerca all’empatia, giungendo ad un’integrazione tra l’approccio emozionale e quello cognitivo ritenuta ormai da tutti di grande interesse. Pubblicato negli Usa nel 2000 e in Italia nel 2008, Empatia e sviluppo morale è la summa delle sue scoperte e delle sue riflessioni. La tesi di fondo del libro, come viene rilevato nella Presentazione, scritta da Anna Emilia Berti, “è che l’empatia, definita come “risposta affettiva più appropriata alla situazione di un’altra persona che alla propria” sia alla base della moralità” (p. 7) L’approccio è relativamente nuovo. Nella Presentazione giustamente viene ricordato che c’è una lunga tradizione filosofica, che parte da Hume e, attraverso A. Smith, giunge fino a Darwin, che ha valorizzato la “simpatia” come una caratteristica intrinseca alla natura umana, espressiva di un potente istinto sociale atto a promuovere comportamenti di solidarietà e di aiuto. Questa tradizione è stata praticamente azzerata dalla teoria freudiana, giunta a negare radicalmente quell’istinto. Fino all’avvento delle ricerche di Hoffmman, la psicologia ha cercato di recuperarla, ma prescindendo dall’empatia come caratteristica naturale, innata e prevalentemente intuitiva, e inserendola nella cornice cognitivista della Teoria della mente, che cerca di spiegare la capacità di comprendere gli stati mentali altrui sulla base di attribuzioni. Hoffman non ha mai avuto dubbi sull’innatismo dell’empatia, prima ancora che le ricerche sullo sviluppo dei bambini e la scoperta dei neuroni specchio confermassero inequivocabilmente tale ipotesi. Egli ha lavorato per approfondire l’intreccio tra l’empatia, lo sviluppo cognitivo e il contesto culturale, giungendo a conclusioni per alcuni versi originali e addirittura azzardate. Come accade ad ogni summa che contiene il lavoro di una vita, Empatia e sviluppo morale è articolato in maniera eccellente sotto il profilo espositivo,a partire dalla lunga e densa Introduzione , che espone sinteticamente tutte le tematiche affrontate e vale la pena leggere integralmente: INTRODUZIONE

Quando dico a qualcuno che il mio campo di studio è lo sviluppo morale, di solito la prima reazione è il silenzio - o, a volte, un'esclamazione di sorpresa. Pensano, costoro, che mi riferisca alla religione, al dire la verità, al declino della famiglia tradizionale, alla proibizione di droghe e alcol e alle gravidanze adolescenziali. Quando aggiungo che mi occupo della considerazione che le persone hanno verso gli altri, gli interlocutori si fanno attenti, dopodiché osservano che deve trattarsi di un oggetto di studio piuttosto frustrante, visto che ognuno bada anzitutto a se stesso: chi mai si prende cura degli altri (famiglia a parte, forse)? Ma quando faccio notare loro che se ognuno si fosse preso cura solo di se stesso la specie umana non sarebbe sopravvissuta, si fermano, ci riflettono sopra e dicono qualcosa come: «Ma lo sai che forse hai ragione...». Quello evoluzionistico è un argomento forte; sembra ovvio che gli esseri umani debbano avere geni per il mutuo aiuto, visto che, a suo tempo, cacciatori e raccoglitori non sarebbero sopravvissuti se non si fossero aiutati l'un l'altro. Comunque sia, quelli che studiano il comportamento morale prosociale lo fanno nel «primo mondo» alla fine del XX secolo, in una società attraversata da individualismo competitivo e indifferenza verso il prossimo, e sono tutti perfettamente consapevoli che per quanto una persona si prenda cura degli altri, ognuno alla resa dei conti pensa prima di tutto a se stesso: lui (lei) non è l'altro. Ciò nondimeno, le persone fanno sacrifici per gli altri - grandi sacrifici, a volte - e spesso li aiutano in modi meno importanti, e tutto ciò migliora la qualità della vita di tutti e rende possibile l'esistenza sociale. Vi è dunque qualcosa da studiare. Non per nulla si tratta di un tema che ha interessato i filosofi a partire (almeno) da Aristotele, e che gli psicologi studiano da quasi un secolo. La persistenza di questo tema si deve, a mio giudizio, all'ovvia importanza che esso riveste per l'organizzazione sociale e al fatto che sintetizza il dilemma esistenziale umano: come affrontare gli inevitabili conflitti tra bisogni egoistici e obblighi sociali. La filosofia e la religione offrono diverse risposte a questo dilemma, e queste risposte si ripresentano nelle teorie psicologiche contemporanee. Secondo la «dottrina del peccato originale», ad esempio, l'uomo nasce egoista e poi, attraverso la socializzazione, acquisisce una coscienza morale che controlla l'egoismo; questa dottrina corrisponde alle prime formulazioni teoriche freudiane e alle teorie dell'apprendimento sociale, che sottolineano quanto siano importanti, per lo sviluppo morale, le ricompense e le punizioni dei genitori (soprattutto il dare o negare affetto). Diametralmente opposta, e più interessante, è la «dottrina della purezza innata», associata al nome di Rousseau. Essa considera il bambino naturalmente buono (sensibile agli altri), ma vulnerabile all'azione corruttrice della società. Questa dottrina corrisponde, per certi aspetti, alla teoria di Piaget; la quale, benché non affermi che i bambini siano naturalmente puri, suppone però che la loro relazione con gli adulti crei un rispetto eteronomo per le regole e per l'autorità che interferisce con lo sviluppo morale. Questa corruzione da parte degli adulti può essere vinta solo dal reciproco «dare e avere» dell'interazione libera, senza supervisione, con i propri pari, che, assieme alle capacità cognitive che si sviluppano naturalmente, permette ai bambini di assumere il punto di vista altrui e di sviluppare un'etica autonoma. La somiglianza con la dottrina della «purezza innata» sta nel fatto che l'interazione libera e naturale del bambino premorale favorisce lo sviluppo morale, mentre l'interazione con gli adulti (socializzati) lo ostacola.

Tra i filosofi, Immanuel Kant e i suoi eredi - che cercarono di dedurre principi di giustizia universali e applicati in modo imparziale hanno ispirato il tentativo di Kohlberg (e, in minor misura, di Piaget) di descrivere una successione invariante di stadi morali universali. La versione britannica dell'utilitarismo rappresentata, tra gli altri, da David Hume e Adam Smith, che consideravano l'empatia un legame sociale necessario - trova espressione nelle attuali ricerche sull'empatia, la compassione e l'etica del prendersi cura. Le teorie contemporanee dello sviluppo morale prosociale tendono a focalizzarsi su una singola dimensione, ognuna con i suoi propri processi esplicativi. Le teorie dell'apprendimento sociale si occupano del comportamento di aiuto e affrontano in particolare i processi implicati nella ricompensa, nella punizione e nell'imitazione. Le teorie dello sviluppo cognitivo riguardano il ragionamento morale e si servono di concetti come quelli di assunzione di prospettiva (perspective taking), reciprocità, disequilibrio cognitivo, costruzione progressiva e co-costruzione. Le teorie dello sviluppo emotivo e motivazionale fanno appello a concetti come quelli di identificazione con il genitore, angoscia per la perdita dell'amore, empatia, simpatia, senso di colpa e interiorizzazione morale. Mi occupo da tempo della dimensione emotivo-motivazionale e specialmente dello sviluppo dell'empatia, del senso di colpa e dell'interiorizzazione morale. A mio giudizio, l'empatia è la scintilla da cui nasce l'interesse umano per gli altri, il collante che rende possibile la vita sociale. Potrà essere fragile ma, verosimilmente, ha accompagnato finora la nostra evoluzione e può ben darsi che duri tanto quanto l'umanità. In questo libro aggiorno i miei studi precedenti e li inquadro in una teoria generale del comportamento morale prosociale e del suo sviluppo, che mette in luce il ruolo morale dell'empatia nell'emozione, nella motivazione e nella condotta, ma attribuisce anche speciale importanza alla cognizione. Il mio obiettivo è chiarire i processi che si trovano alla base dell'attivazione dell'empatia e il ruolo che questa ha nella condotta prosociale. Descriverò le forme in cui l'empatia si sviluppa, dalle forme preverbali presenti, forse nei primi esseri umani e ancor oggi nei primati, fino alle più sofisticate espressioni di interesse per le sottili e complesse emozioni umane. Esaminerò inoltre il contributo dell'empatia ai principi del prendersi cura e della giustizia, alla soluzione dei conflitti fra cura e giustizia, e al giudizio morale. Sono trent'anni che lavoro a questa teoria. Essa include elementi degli orientamenti filosofici e psicologici menzionati sopra, ma anche della psicologia cognitiva contemporanea: memoria, elaborazione delle informazioni, attribuzione causale e, specialmente, la sintesi di affetto e cognizione. Il suo focus primario è la considerazione per gli altri - quella che spesso è chiamata «etica del prendersi cura» - ma include anche la «giustizia» e la relazione (di mutuo sostegno, benché a volte contraddittoria) tra il prendersi cura e la giustizia. La teoria si propone di dar conto dell'azione umana in cinque tipi di incontri o dilemmi morali, che, mi sembra, abbracciano la maggior parte del dominio morale prosociale. 1. Nel primo tipo, il più semplice, vi è uno spettatore innocente del dolore o della sofferenza altrui (di tipo fisico, emotivo, economico). Il problema morale è: la persona darà aiuto? e, se non lo fa, come si sentirà? 2. Il secondo tipo implica un trasgressore che nuoce o è in procinto di nuocere a qualcuno (in modo accidentale, in una lotta, in una disputa). Qui il problema morale è: la persona eviterà di nuocere all'altro? e, in caso contrario, si sentirà poi colpevole? 3. Nel terzo tipo di dilemma, che combina elementi dei primi due, vi è un trasgressore virtuale che, pur essendo innocente, crede di avere fatto del male a qualcuno. 4. Il quarto tipo è più complesso: implica più parti morali (multiple moral claimants) tra le quali la persona è costretta a scegliere. Il problema morale è: a chi dare aiuto? e la persona si sentirà colpevole per avere trascurato gli altri? 5. Il quinto tipo, nel quale il prendersi cura si contrappone alla giustizia, implica non solo più parti morali, ma anche un conflitto fra la considerazione per il prossimo e temi più astratti quali i diritti, il dovere, la reciprocità. Il problema morale in questo caso è: quale principio prevarrà, la cura o la giustizia? e ci sentiremo colpevoli per avere violato l'altro principio? Questi dilemmi - il dilemma tra più parti morali e quello tra cura e giustizia - sono particolarmente importanti in società come le nostre, che stanno diventando sempre più diversificate culturalmente. Tutte e cinque queste situazioni condividono una base motivazionale empatica - dove l'empatia è definita come una risposta affettiva più consona alla situazione di un altro che non alla propria. Ogni situazione è caratterizzata da sofferenza empatica - si soffre ad osservare qualcuno che soffre - e da una o più motivazioni derivate da tale sofferenza: sofferenza simpatetica, rabbia empatica, sentimento empatico di ingiustizia, senso di colpa. Il libro inizia con un'analisi della situazione dello spettatore innocente, il cui modello si propone di rispondere alle seguenti domande: quali sono le motivazioni che inducono lo spettatore innocente ad aiutare la vittima? Quali sono i meccanismi psicologici alla base dell'attivazione di queste motivazioni? Qual è il loro corso di sviluppo? Queste domande trovano risposta nei primi tre capitoli (prima parte) del libro. Il capitolo secondo comincia definendo l'empatia come una risposta affettiva più consona alla situazione di un altro che non alla propria. Il tema centrale è la sofferenza empatica (empathic distress), giacché di solito gli spettatori sono tipicamente nella posizione di rispondere a qualcuno che soffre. Illustreremo le prove che mostrano che la sofferenza empatica agisce come una motivazione morale prosociale, ma la maggior parte del capitolo riguarda le varie modalità di attivazione dell'empatia. Se, come ho sostenuto altrove [Hoffman 1981], l'empatia è frutto della selezione naturale, essa deve essere una risposta multideterminata, che può essere suscitata da segni o indizi di sofferenza provenienti dalla vittima o dalla situazione in cui essa si trova. Tale in effetti è, ed esamineremo qui cinque forme chiaramente distinte di attivazione empatica. Tre sono preverbali, automatiche ed essenzialmente involontarie: a) la mimesi (mimicry) motoria e la retroazione afferente che ne segue; b) il condizionamento classico; c) l'associazione diretta tra indizi provenienti dalla vittima o dalla sua situazione e le passate esperienze dolorose dell'osservatore. L'empatia suscitata da queste tre modalità è una risposta affettiva passiva e involontaria, che dipende da stimoli superficiali e richiede il livello più basso di elaborazione cognitiva. Questa semplice forma di sofferenza empatica è tuttavia importante,

proprio perché mostra che gli esseri umani sono fatti in modo tale da poter provare, involontariamente e intensamente, le emozioni di un'altra persona - che spesso la loro sofferenza dipende da un'esperienza dolorosa altrui, piuttosto che propria. Queste tre modalità preverbali sono cruciali per suscitare empatia nei bambini, specialmente nelle situazioni faccia a faccia, ma continuano ad operare e a dotare l'empatia di una dimensione di involontarietà nel corso di tutta la vita. Non solo consentono a una persona di rispondere a qualunque segnale, ma la costringono a farlo - in modo istantaneo, automatico e senza richiedere consapevolezza conscia. Vi sono poi due modalità cognitive di ordine superiore: d) l'associazione mediata, cioè l'associazione tra indizi espressivi provenienti dalla vittima o indizi forniti dalla sua situazione e le esperienze dolorose che la persona ha avuto in passato, associazione che è mediata dall'elaborazione semantica di informazioni provenienti dalla vittima o che la riguardano; e) e l'assunzione del ruolo o della prospettiva di qualcun altro (role-taking, perspectivetaking), quando la persona immagina come si sente la vittima o come lei stessa si sentirebbe se fosse al suo posto. Tutte e due queste modalità possono essere protratte nel tempo e controllate volontariamente, ma, quando l'attenzione della persona è rivolta alla vittima, possono attivarsi involontariamente e immediatamente alla vista della sofferenza di questa. Esse contribuiscono a estendere la portata della capacità empatica e permettono di provare empatia per qualcuno che non è presente. A causa dell'esistenza di più modalità di attivazione, la mia definizione di empatia non comporta necessariamente, benché spesso la includa, una stretta corrispondenza fra lo stato affettivo dell'osservatore e quello della vittima. Le diverse forme di attivazione empatica assicurano un certo grado di corrispondenza, anche in culture differenti (come vedremo più avanti), e ciò per due ragioni: 1. la mimesi (mimicry) che può essere automatica e avere una base neurale, assicura una corrispondenza quando l'osservatore e la vittima sono in contatto faccia a faccia; 2. il condizionamento e l'associazione assicurano una corrispondenza perché tutti gli esseri umani sono strutturalmente affini ed elaborano le informazioni in modo simile, cosicché è probabile che rispondano a eventi analoghi con analoghe emozioni. Ma a volte l'empatia non richiede una corrispondenza ma anzi può richiedere una certa discrepanza, come quando le condizioni di vita della vittima vengono mascherate dai suoi sentimenti nella situazione immediata. E’ in queste occasioni che la mediazione verbale e l'assunzione di ruolo possono avere un ruolo centrale. Nel capitolo terzo, uno dei capitoli chiave del libro, presento la mia teoria dello sviluppo della sofferenza empatica. La mia tesi è che nello sviluppo avvenga una sintesi tra le emozioni empatiche dei bambini e la loro crescente consapevolezza cognitiva degli altri in quanto distinti da sé. Questa sintesi dà origine a cinque «stadi» di sviluppo della sofferenza empatica: a) il pianto reattivo del neonato; b) la sofferenza empatica egocentrica, nella quale il bambino risponde alla sofferenza altrui come se fosse lui stesso a patina; ciò accade nel periodo di sviluppo in cui il bambino è capace di sofferenza empatica (sulla base delle prime forme di attivazione di tipo preverbale) ma ancora non distingue chiaramente tra sé e l'altro; c) la sofferenza empatica quasi-egocentrica, nella quale i bambini si rendono conto che la sofferenza non è loro, ma dell'altro, e tuttavia confondono gli stati interni dell'altro con i propri e cercano di aiutarlo facendo per lui ciò che darebbe conforto a loro stessi; d) la sofferenza empatica veridica, nella quale il bambino è più vicino a sentire ciò che l'altro sente realmente, perché giunge a rendersi conto che l'altro ha stati interni indipendenti dai suoi; e) l'empatia nei confronti di esperienze altrui che vanno oltre la situazione immediata (per esempio: malattie croniche, difficoltà economiche, privazioni), quando il bambino si rende conto che la vita di altre persone può essere fondamentalmente triste o lieta, e, come sottocategoria, quando il bambino prova empatia nei confronti di un intero gruppo (senzatetto, vittime di attentati terroristici). In questo capitolo presento anche le prove dell'ipotesi che, a partire dallo stadio c), la sofferenza empatica dei bambini si trasformi, in parte, in un sentimento di sofferenza simpatetica o di compassione per la vittima, e che, da quel momento, quando il bambino osserva una persona che sta soffrendo, avverta tanto sofferenza empatica quanto simpatetica. Nel resto del volume, con il termine sofferenza empatica farò riferimento a una combinazione di ambedue i tipi di sofferenza (empatica/simpatetica). In questo schema di sviluppo, ogni nuovo stadio comprende e riunisce in sé le conquiste dei precedenti. Nello stadio più avanzato si è esposti a un insieme di informazioni sulle condizioni della vittima che può includere segni espressivi verbali e non verbali provenienti dalla vittima stessa, conoscenze sulle sue condizioni di vita e indizi situazionali. Le informazioni che provengono da queste fonti sono elaborate separatamente: segni non verbali suscitano l'empatia attraverso forme di elaborazione essenzialmente involontarie e cognitivamente superficiali (mimesi, condizionamento, associazione); i messaggi verbali della vittima, la descrizione del suo stato o della sua condizione da parte di una terza persona, la conoscenza personale che ne abbiamo, richiedono, per suscitare una risposta empatica, forme di elaborazione più complesse (associazione mediata, assunzione di ruolo). Nello stadio più avanzato, possiamo riprodurre mentalmente le emozioni e le esperienze suggerite da queste informazioni e considerarle introspettivamente, e in tal modo possiamo comprendere e rispondere affettivamente alle situazioni, ai sentimenti e ai desideri dell'altro, pur mantenendo il senso di separazione tra questa persona e noi stessi. E se le informazioni che possediamo sulle condizioni di vita dell'altro ne contraddicono il comportamento nella situazione immediata, la nostra risposta empatica può essere influenzata da tali informazioni, oltre (e forse più) che dal suo comportamento immediato. Già a questo punto dovrebbe essere chiaro che la cognizione ha un ruolo importante nello sviluppo della sofferenza empatica. La sua importanza appare ancora più evidente nel capitolo quarto, che illustra la tendenza umana a spiegare gli eventi in chiave causale e mostra come le attribuzioni sulla causa della sofferenza altrui possano articolare la sofferenza empatica in quattro affetti morali fondati sull'empatia. 1. Quando la causa è oltre la possibilità di controllo della vittima (malattia, incidente, perdita), la sofferenza empatica degli osservatori si trasforma, almeno in parte, in sofferenza simpatetica, come nella trasformazione evolutiva della sofferenza empatica in simpatetica analizzata nel capitolo terzo.

2. Se la causa è una terza persona, la sofferenza empatica si trasforma in rabbia empatica, cioè una risposta empatica alla rabbia della vittima o un sentimento duplice di tristezza o delusione empatica (se è questo, e non rabbia, ciò che la ...


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