7. Significato di progresso e sviluppo PDF

Title 7. Significato di progresso e sviluppo
Course Antropologia culturale
Institution Università degli Studi di Palermo
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riassunto capitolo 7 robbins, antropologia culturale...


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7. Significato di progresso e sviluppo. Fino a circa 10.000 anni fa, gli esseri umani vivevano in piccoli gruppi nomadi formati da 30 a 100 individui, raccogliendo piante spontanee e cacciando animali di piccola e grande taglia. Per cercare il cibo bisognava allontanarsi e così per questi gruppi era del tutto normale spostarsi periodicamente. Non vi erano capi formali in quanto tra i gruppi erano sufficienti accordi economici, sociali e politici, e la specializzazione era quasi assente: se vi erano “specialisti”, questi erano tali in virtù di poteri spirituali attribuiti loro, attraverso cui potevano curare malattie o provocare la morte. Queste società erano organizzate sulla base di legami di parentela e le differenze sociali erano relative a età e sesso. Essendo la ricchezza equamente distribuita e la specializzazione scarsa, i rapporti tra le persone erano paritari. Ad un certo punto però, alcuni cacciatori e raccoglitori iniziarono a coltivare piante e ad addomesticare animali selvatici, così divennero orticultori sedentari e formarono insediamenti permanenti di 200-2000 persone. Essendo i gruppi di orticultori più numerosi rispetto a quelli di cacciatori-raccoglitori, fu necessario introdurre una distinzione dei diversi ruoli e alcuni membri si assunsero il ruolo di capo o anziano del gruppo: ciò fece sì che i membri di alcuni gruppi acquistassero maggiore importanza rispetto ad altri. Gli individui si organizzarono in diversi clan formati da 200/500 persone le quali rivendicavano la discendenza da un antenato comune. Successivamente, forse per fronteggiare la necessità di difendersi da altri gruppi, gli insediamenti si riunirono sotto la guida di capi comuni formando degli stati, costituiti da migliaia di persone. Si passò dall'agricoltura itinerante a quella dell'aratro o irrigua. I capi gestivano la manodopera per creare opere per la collettività; a causa della rivalità tra i gruppi per le risorse, fu necessaria costituire eserciti stabili; fece la sua comparsa anche la trasmissione ereditaria del potere e i villaggi si trasformarono in città. A seguito dell'aumento della complessità tecnologica, gli individui iniziarono a coltivare specifiche abilità e dunque si sviluppò la specializzazione; questa favorì il commercio e lo sviluppo della classe dei mercanti. I più forti tra questi contribuirono alla trasformazione delle prime società stato in grandi stati industrializzati. Nonostante si possa pensare che le invenzioni dell'uomo l'abbiano portato a volgere in modo sempre migliore alcune attività, molti antropologi hanno sostenuto la vita dei cacciatoriraccoglitori fosse migliore rispetto a quella di chi praticava l'agricoltura stanziale, e inoltre pare che l'agricoltura itinerante fosse più efficiente e provocasse un impatto ambientale minore rispetto ai metodi moderni di produzione del cibo. Il motivo per cui le società passarono all’agricoltura stanziale è che quest'ultima era un modo più semplice e produttivo per procurarsi il cibo. Lewis Henry Morgan sosteneva che le società umane si erano evolute attraverso tre fasi: stato selvaggio, stato della barbarie e stato della civiltà; alcune società si erano evolute fino allo stato della civiltà mentre altre erano rimaste ad uno stato precedente. Il passaggio da una fase ad un'altra era sancito da una nuova invenzione o scoperta tecnologica. Il progresso era quindi visto come un percorso e le società potevano essere collocate in diversi punti del percorso. Secondo Leslie White, la tecnologia rappresenta la forza motrice dell'evoluzione culturale; gli esseri umani cercano di produrre energia attraverso la tecnologia e di trasformarla in cibo, abiti e ripari. Dunque, lo sviluppo culturale dipende dall'efficienza degli strumenti utilizzati. Nel momento in cui l'aumentata efficienza della produzione consentì a poche persone di produrre abbastanza cibo per tutti, gli altri furono liberi di specializzarsi in altre attività, e la specializzazione rese possibile l'espansione e lo sviluppo del commercio. La crescita numerica della popolazione e l'intensificarsi dei contatti tra i gruppi fecero sorgere la necessità di sviluppare lo stato per coordinare le attività dei gruppi e organizzare eserciti per difendere le risorse. La teoria di White si basa sull'idea attualmente prevalente che la tecnologia sia il principale indicatore del progresso. Alcuni antropologi hanno iniziato a rivalutare la teoria della trasformazione culturale, e hanno riposto la loro attenzione sugli studi sulle società di cacciatori-raccoglitori in base ai quali la vita di queste società fosse tutt'altro

che dura e pericolosa: il cibo disponibile era abbondante e procurarlo non era poi così faticoso. Secondo un'interpretazione dell'evoluzione culturale, il passaggio da queste società alla moderna società industriale, piuttosto che uno sviluppo o un progresso, rappresenta un “male necessario”. L'antropologo Mark Cohen ha tentato di spiegare questo processo analizzando lo stile di vita dei cacciatori-raccoglitori. Questi si stabilivano in un'area, e in questa cercavano il cibo; quando le risorse alimentari diminuivano, ampliavano l'area da esplorare per la ricerca. Nel momento in cui, in una certa area, la densità della popolazione si faceva talmente alta che diversi gruppi iniziavano a incrociare i propri percorsi, o quando si fece necessario percorrere distanze più grandi, allora questi gruppi iniziarono a praticare l'agricoltura stanziale. Essi infatti possedevano anche prima la capacità di coltivare i terreni, ma si limitarono a raccogliere piante spontanee finché la fatica dovuta allo spostarsi per ricercare il cibo non fu maggiore della fatica richiesta dalla coltivazione della terra. Dunque il passaggio all'agricoltura sedentaria non fu dovuto ad una scoperta ma rappresentò una scelta obbligata di fronte all'aumento della popolazione. Robert Carneiro ha sottolineato che l'aumento della popolazione rispetto alla terra disponibile, fa sì che nascano conflitti per le risorse e che si renda indispensabile una maggiore organizzazione sociale allo scopo di intensificare i metodi di coltivazione. Dunque, alla luce dei contributi di Cohen e Carneiro, si può affermare che il passaggio dalle attività di caccia e raccolta ai metodi di coltivazione più impegnativi non rappresenta una libera scelta ma la reazione necessaria per far fronte alle necessità create dall'aumento della popolazione. Per capire per quale ragione vi siano evidenti differenze nello standard di vita tra i Paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo, può essere esemplificativa la storia dell'espansione dell'industria tessile in Inghilterra tra la seconda metà del Settecento e la prima metà dell'Ottocento. Durante il Seicento, l'Inghilterra era un paese prevalentemente rurale e agricolo; l'attività tessile era abbastanza sviluppata: veniva lavorata la lana grezza per produrre tessuti di bassa qualità. Inizialmente, la produzione era di tipo artigianale e la maggior parte delle fasi della produzione erano affidate a famiglie contadine o piccole cooperative. Nonostante tale genere di commercio fosse vantaggioso per tutti, i commercianti capirono che sarebbe stato più conveniente poter esercitare un maggiore controllo su tipo, quantità e qualità del tessuto prodotto, e così si diffuse il lavoro a domicilio. Questo metodo presentava numerosi vantaggi: la manodopera era a basso costo e il mercante, se la domanda diminuiva, poteva semplicemente ridurre la produzione limitando la quantità di materiali da dare in lavorazione. All'inizio del Settecento, i mercanti inglesi iniziarono a pensare che fosse più pratico trasformare il lavoro a domicilio in lavoro industriale, riunendo i filatori, i tessitori e altri artigiani in un'unica sede per produrre i tessuti. Questo sistema consentiva profitti minori rispetto al lavoro a domicilio e lo spostamento delle persone dal lavoro familiare alle fabbriche comportava nuovi meccanismi di disciplina e controllo; inoltre, l'imprenditore, non potendo più ridurre a suo piacimento la produzione di fronte alla flessione della domanda, sarebbe stato costretto a mantenere le fabbriche in attività per ripagare gli investimenti in tecnologia e strutture e avrebbe dovuto alimentare egli stesso la richiesta dei prodotti. In assenza di leggi sui salari minimi o sull'utilizzo di manodopera infantile, la manodopera prevalente era rappresentata da donne e bambini, i quali venivano sottopagati. Lo sviluppo dell'industria tessile favorì l'urbanizzazione e lo sviluppo tecnologico. Lo sviluppo dell'industria tessile produsse ingenti ricchezze e diede lavoro a moltissime persone. L’ascesa dell’industria tessile in Inghilterra produsse grande ricchezza per alcuni ma, nel corso di questo processo annientò la manifattura tessile in India, portò alla colonizzazione di India e Cina, determinò lo sfruttamento del lavoro degli schiavi negli Stati Uniti mentre depredava l’africa di forza lavoro. L’Inghilterra non era però l’unico paese produttore di tessuti né il solo a cercare di aprire e controllore i mercati d’oltremare. Se si guarda il quadro generale si inizia infatti a comprendere per quali ragione i problemi delle cosiddette nazioni

non industrializzate siano dovuti non tanto alla loro mancanza di risorse, quanto alle attività di sfruttamento di altri paesi.

Certamente la rivoluzione industrial cambiò la vita delle persone in quanto determinò la trasformazione della maggior parte delle persone, prima costituita in prevalenza da contadini, in classe operaia. La disponibilità di lavoro nelle fabbriche dipendeva dall'andamento della domanda dei prodotti: quando questa diminuiva, i lavoratori venivano licenziati e non godevano di alcun tipo di tutela. Di conseguenza, lo sviluppo dell'industria nell'Ottocento non fu lineare, ma, tutto sommato, il tasso di crescita economica e di progresso tecnologico aumentarono, portando con sé anche un evidente miglioramento del tenore di vita della maggior parte delle persone nei Paesi occidentali; i Paesi del Terzo Mondo, invece, videro calare la qualità della propria vita quando furono sottomessi all'influenza delle potenze europee. Gli abitanti di questi Paesi vollero imitare lo stile di vita dei Paesi occidentali e per far questo diedero inizio al processo di industrializzazione: si manifestò così la spinta verso il cosiddetto sviluppo economico. I Paesi “sottosviluppati” richiesero prestiti e investimenti stranieri per creare infrastrutture industriali. La Banca Mondiale aveva il compito di promuovere lo sviluppo economico; essa avrebbe prestato del denaro ai governi per progetti specifici (autostrade, dighe, centrali idroelettriche, impianti industriali) e i governi si impegnavano nel restituirli nell'arco di un certo periodo di tempo. Nonostante l'aumento dei prestiti ai Paesi arretrati, la povertà aumentò e ingenti furono le devastazioni ambientali. Il caso del brasile è esemplificativo, questo paese fu infatti uno dei maggiori destinatari di prestiti della banca mondiale. Il brasile con i soldi ricevuti dalla Banca Mondiale decise infatti di costruire dighe, strade, fabbriche e stabilimenti industriali divenendo leader nell’esportazione mondiale di alcuni prodotti. Ma per restituire il debito alle banche, il brasile aveva bisogno di incamerare valuta straniera, furono dunque incoraggiati i proprietari terrieri ad aumentare la produzione di colture che avevano grande mercato. Il Brasile intensificò dunque la sua produzione ma dato che i brasiliani poveri non potevano pagare i prodotti quanto i ricchi americani, la maggior parte dei prodotti veniva esportata. La situazione si aggravò in seguito poiché il Brasile scoprendo in non poter rispettare il piano di rientro del prestito, minacciarono le istituzioni di non restituirli. La banca mondiale si mostrò dunque disposta a rinegoziare i debiti a costo però che l’economia del paese sarebbe stata modificata introducendo misure di taglio dei costi. Questi tagli si tradussero poi in condizioni di vita peggiori per le fasce deboli. Per ciò che riguarda la qualità della vita, il trattamento e la cura delle malattie rappresentano uno dei più importanti traguardi raggiunti dalla società moderna. L'aspettativa di vita infatti è più che raddoppiata nel XX secolo. Tuttavia, non tutti possono godere di queste innovazioni, anzi: l'unico fattore da cui dipende la capacità di un Paese di proteggere i propri abitanti dalla malattia è il grado di eguaglianza economica. Per capire questo bisogna esaminare più attentamente quali ragioni fanno sì che una malattia infettiva conduca alla morte. Perché questo avvenga, sono necessarie quattro condizioni: 1. il contatto con un elemento patogeno o con un vettore (zanzare, pulci, zecche, ecc) che lo diffonde; 2. tale agente patogeno deve essere virulento ovvero mortale; 3. a seguito del contatto, l'agente patogeno deve riuscire a sfuggire al sistema immunitario; 4. l'agente patogeno deve riuscire ad eludere le misure che la società ha individuato per renderlo innocuo. Le probabilità di morire, per ognuna di queste condizioni, sono strettamente legate ai modelli culturali e sociali, e in particolar modo alla diseguaglianza economica e sociale. Chiaramente vi sono delle circostanze in cui queste malattie riescono a diffondersi più velocemente, come i grandi insediamenti umani che attirano e mantengono in vita animali nocivi che sono vettori

di microrganismi. Per quanto concerne invece la seconda condizione, le azioni umane possono rendere un agente patogeno più o meno nocivo, e questa capacità può essere legata allo stato sociale, alla situazione culturale e al reddito. La capacità del sistema immunitario è legata fortemente alla dieta, e questa a sua volta è determinata dal reddito. Dunque, possiamo concludere che le società moderne sono più soggette alle malattie infettive; allora ci possiamo chiedere se almeno le tecniche di cura siano migliorate. Tuttavia, la risposta a questa domanda non può essere univoca, in quanto non è univoco il significato che le varie società attribuiscono alla malattia. Secondo la visione prevalente nella società americana, la malattia è dovuta all'aggressione da parte di microrganismi (germi, batteri, virus), e per curarla è necessario distruggerli o eliminarli. In altre società, invece, la malattia è attribuita a diverse cause: magia, stregoneria, perdita dell'anima, possessione da parte degli spiriti. L'elemento che accomuna queste teorie è che esse sono espressioni di una teoria interpersonale della malattia: la malattia non è provocata da microrganismi, ma da tensioni o conflitti nelle relazioni sociali. Ad una tale spiegazione consegue che la cura della malattia debba, come questa, essere sociale: un guaritore dunque ha anche il compito di risolvere il problema sociale che ha causato il male. La pratica medica occidentale è giunta con molto ritardo al riconoscimento dell'influenza esercitata dallo stress sulla salute fisica, anche se alcuni dati dimostrano che degli eventi della vita, come ad esempio la morte di un coniuge possono aumentare l’incidenza di malattie. Anziché considerare come inferiori le pratiche di guarigione delle società tradizionali, bisognerebbe ammettere che esse si concentrano sulla vera causa della malattia, ovvero le tensioni sociali, e riescono a curarla attraverso specifiche tecniche. Le cure tradizionali, oltreché efficaci, sono anche alla portata di tutti, mentre il progresso medico fa sì che solo una piccola parte dei pazienti possa accedere alle cure, legate a tecnologie costose....


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