IL Problema DELL\' Empatia PDF

Title IL Problema DELL\' Empatia
Author Federica Crinò
Course Storia della psicologia
Institution Università Europea di Roma
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IL PROBLEMA DELL’EMPATIA-EDITH STEIN CONTENUTO DELL’OPERA: L’opera è ripartita in 4 parti: nella prima espone tutta la letteratura empatica (Husserl vs Stein), nella seconda delinea il concetto di empatia, nella terza viene trattato il problema della costituzione dell’individuo psicofisico e nell’ultima si tratta l’empatia come comprensione delle persone spirituali. L’autrice, a partire dal termine empatia, utilizzato dal maestro Husserl senza precisazioni, tenta di chiarirne la vera essenza tramite il metodo della riduzione e dell’analisi fenomenologica.

PARTE SECONDA, L’ESSENZA DEGLI ATTI DI EMPATIA 1) IL METODO DELLA RICERCA: L’atteggiamento di ‘riduzione fenomenologica’ il cui scopo è la chiarificazione e l’esclusione di tutto ciò su cui si può dubitare. Posso dubitare di ciò che abbiamo davanti a noi, in quanto sussiste la possibilità dell’inganno, ma non posso dubitare della MIA personale esperienza e del suo correlato (es: allucinazione: sappiamo che non esiste ma non possiamo mettere in dubbio la nostra percezione). Quindi posso dubitare dell’esistenza dell’io empirico, ma non dell’io soggetto dell’esperienza vissuta perché permane in essa, e la stessa esperienza non può essere cancellata. La situazione si complica perché io vivo in un mondo con altri Soggetti estranei, non solo oggetti fisici, e posso mettere in dubbio la loro esistenza, ma non il fenomeno della vita psichica estranea (l’esperienza vissuta altrui). Infatti, questi Soggetti non solo fanno parte del mio mondo fenomenico, ma sono essi stessi orientamento di simili mondi fenomenici, con cui io stesso sono in commercio reciproco. Se prendiamo in considerazione i singoli vissuti di questi individui, vediamo che hanno diversi modi di rivelarsi alla conoscenza (‘diversi modi di datità’): tramite l’espressione del volto e i gesti, che rimandano ad atti nei quali è possibile cogliere la stessa esperienza vissuta estranea. Su questi atti si basa l’empatia. 2) EMPATIA COMPARATA CON ALTRI ATTI: Per poter comprendere l’empatia è necessario prima confrontarla con altri atti della coscienza. -percezione esterna ed empatia: L’empatia non ha carattere di percezione esterna (per quanto con essa abbia l’analogia di rivelare il suo Oggetto hic et nunc) perché l’empatia non ha il proprio oggetto davanti a sè (es: dolore, anche nel caso in cui io lo percepisco in un volto, posso interpretarlo come un volto sconvolto dal dolore, e assieme ad esso mi viene dato il dolore, ma esso non è una cosa, non faccio esperienza del dolore stesso). -atto originario e empatia: Tuttavia, ammesso che l’empatia non sia una percezione esterna, non si può ancora dire se essa abbia o no il carattere di ‘originarietà’ (caratteristica che designa tutti i vissuti presenti intesi come tali). Per poter rispondere a questo quesito bisogna prendere in esame altri atti non originari per il loro contenuto, che non hanno il loro oggetto davanti a sé (fantasia, attesa e fantasia). Il ricordo di un sentimento è originario in quanto atto di presentificazione che si sta compiendo ora, ma il contenuto del ricordo-il sentimento- è non originario perché non sta lì in carne ed ossa, bensì come è stato vissuto una volta. Anche nel caso in cui io attui il susseguirsi dei ricordi in modo passivo, senza tener conto dell’io del presente, vivendo nel ricordo e non volgendomi ad esso come oggetto, il soggetto resta sempre una presentificazione in cui il soggetto non originario è contrapposto al soggetto originario che compie l’atto. Anche nel caso della fantasia, l’io nel momento in cui crea un mondo fantastico è originario, mentre l’io che vive in esso è non originario, anche se fa parte di un vissuto presente. L’empatia, quindi, è un atto originario in quanto vissuto presente, mentre non è originario per il suo contenuto. Quando ho dinanzi il vissuto come oggetto (l’espressione facciale), per poter cogliere

quello stato d’animo, il vissuto non è più oggetto nel vero senso della parola dal momento che mi ha attratto dentro di sé. Non sono più rivolto a quel vissuto, ma al suo oggetto, ovvero lo stato d’animo, e sono presso il suo Soggetto, al suo posto. Solo dopo la chiarificazione dello stato d’animo l’oggetto torna dinanzi a me come oggetto. (es: Mentre io vivo la gioia provata da un altro, non avverto gioia originaria, non ha carattere di essere stata viva in me in precedenza come gioia ricordata, né è fantastica, ma è precisamente quello che l’altro soggetto prova in originarietà, sebbene io non viva tale originarietà). 3) CONFRONTO CON ALTRE DESCRIZIONI DELL’EMPATIA (IN PARTICOLARE QUELLA DI LIPPS): Per quanto concerne le analogie tra la concezione della Stein e quella di Lipps, quest’ultimo descrive l’empatia come una ‘partecipazione interiore’ ai vissuti estranei, che corrisponde al più elevato grado di empatia individuato dalla Stein in cui io mi trovo ‘presso’ il soggetto estraneo e insieme a lui mi rivolgo al suo Oggetto. Come la Stein, egli pone l’accento sull’oggettività, ovvero afferma che l’empatia è un tipo di atti esperenziali, e sottolinea anche l’affinità con il ricordo e con l’attesa. Per quanto riguarda le differenze: Lipps afferma che ogni atto di cui io sono cosciente tende a tradursi in un vissuto esperito in maniera piena, quindi anche l’empatia è un’esperienza piena dei vissuti estranei. Ovvero l’esperienza vissuta non originaria, come l’emozione altrui, diventa un’esperienza vissuta originaria. È vero che il soggetto dei vissuti empatizzati non è un oggetto nel vero senso della parola, ma non è vero che l’io estraneo e l’io possano diventare uno solo. Lui confonde due atti distinti, ovvero l’essere tratti dentro un vissuto che prima mi viene dato in maniera oggettiva, e il passaggio dall’esperienza vissuta non originaria ad una originaria. Ma abbiamo detto che il contenuto dell’empatia è sempre non originario. Quando io colgo empaticamente ad esempio la gioia di qualcuno, colgo anche la gioia dell’avvenimento, quindi è possibile provare gioia anche senza cogliere la gioia altrui. -Empatia e cosentire: se accanto all’empatia, abbiamo in noi la stessa emozione alla notizia dell’avvenimento, si può denominare l’atto come cosentire (ma non è detto che l’empatizzare e il coempatizzare abbiano lo stesso contenuto, ovvero che si provi la stessa emozione per lo stesso motivo, per esempio io posso reagire con tristezza ad una notizia che per un altro è felice.) -Emozione negativa: nel caso in cui quella tendenza di un vissuto empatico a diventare un’esperienza originaria non possa verificarsi, perché in me esiste una forza che si oppone (es: la persona mi dà una bella notizia, ma io in quel momento sono triste). -Empatia e unipatia: Lipps confonde l’autodimenticanza nel momento in cui immedesimiamo in un oggetto (secondo lui ci si fonde in un unico io e solo in seguito, riflettendo sul mio io reale avviene la scissione) con l’aprirsi dell’io al soggetto. Nel primo caso si parla di unipatia, ovvero quando al ricevere una stessa notizia dall’io e dal tu emerge un noi che prova la stessa emozione. Tuttavia, l’emozione avvertita dall’io non è la stessa avvertita dal noi (il soggetto dell’unipatia è il noi, quello dell’empatia l’io e noi esperiamo gli altri attraverso quest’ultima). -Empatia e simpatia riflessiva: posso empatizzare un’empatia in cui il soggetto b coglie gli altri di un soggetto a. Se il soggetto a non è un terzo, ma sono io si parla di simpatia riflessa. (sono felice che qualcuno sia felice che io sono felice) 4) ASPETTO DI RAPPRESENTAZIONE/PERCEZIONE DI EMPATIA: l’empatia è una rappresentazione intuitiva dell’esperienza vissuta solo per quanto riguarda lo stadio in cui i vissuti empatizzati vengono oggettivizzati, ma non per quanto riguarda lo stadio dell’esplicazione riempiente (in cui ci si sente accompagnati dal vissuto estraneo). 5) CONFRONTO CON TEORIE GENETICHE RIGUARDO LA COSCIENZA ESTRANEA: Per poter avere esperienza di un altro individuo psicofisico ci sono tre teorie diverse: -Teoria dell’imitazione: guardando compiere un gesto si determina in me l’impulso ad imitarlo. Ogni qual volta metto in atto un gesto, avverto l’impulso di estrinsecare i miei vissuti: quindi nel caso di un gesto imitato estraneo, lo stesso vissuto si manifesta non in quanto mio, ma come vissuto dell’altro. Quindi, a differenza dell’empatia, in cui si afferra il sentimento vissuto estraneo e ci si

immerge in esso, nell’imitazione c’è una trasmissione di sentimenti priva di alcuna funzione conoscitiva, nonostante la consapevolezza di tale trasmissione (es: cerco un’allegra compagnia per diventare allegro) RIFIUTATA PER SPIEGARE L’EMPATIA -Teoria dell’associazione: associare un gesto estraneo alla rappresentazione dello stesso gesto compiuto da me, e di conseguenza il sentimento a cui era collegata quest’azione mi fa comprendere il sentimento dell’altro. Non ho in me lo stesso sentimento altrui, ma lo comprendo grazie ad un rappresentante intuitivo (la stessa emozione provata da me in passato). Al contrario, l’empatia giunge direttamente all’oggetto dell’atto esperenziale senza alcun rappresentante.RIFIUTATA PER SPIEGARE L’EMPATIA -Teoria dell’inferenza per analogia: siamo in grado di cogliere la percezione interna tramite inferenze. Se so che le modificazioni del mio corpo sono dovute a determinati vissuti, possiamo supporre, di fronte a determinate manifestazioni corporee l’esistenza di un simile elemento. Mentre le altre teorie non conducono all’esperienza della coscienza estranea, questa teoria ignora tale fenomeno. questa teoria non può essere una teoria genetica dell’afferramento della coscienza estranea. In questo caso non ha luogo l’empatia, perché si ha una conoscenza più o meno attendibile del vissuto estraneo. Più che teoria della genesi, essa spiega semplicemente in che forma è possibile il sapere relativo alla coscienza esterna. NESSUNA DELLE TEORIE SPIEGA L’EMPATIA 6)CONFRONTO CON LA TEORIA DI SCHELER SULL’AFFERRAMENTO DELLA COSCIENZA ESTRANEA: dobbiamo allora misurare l’empatia con una teoria estranea a quelle precedenti. Secondo Sheler, l’io estraneo viene percepito con la sua esperienza allo stesso modo di come viene esperito l’io proprio. Questo perchè esiste un flusso indifferenziato di esperienza vissuta da cui un po' per volta escono i vissuti propri e quelli estranei, proprio perché noi non siamo isolati dal resto del mondo. La Stein trova questa teoria seducente. Ma che cos’è la percezione interna? Scheler dice che non è la percezione di sé stessi, perché possiamo percepire il nostro corpo anche dall’esterno, ma sono tutti quegli atti per cui ci giunge a datità lo psichico. La differenza tra i due tipi di percezione sta nel fatto che tra psichico e fisico esiste una differenza solo nel modo in cui gli oggetti ci vengono a datità e non una separazione di oggetti di tipo diverso. Per questo si può dire che la percezione interna comprenda sia quegli atti in cui giunge a datità l’espressione vissuta estranea sia l’espressione vissuta propria. Ma se Scheler aveva parlato di un flusso indifferenziato, come si giunge poi ad una differenziazione? Proprio ed estraneo hanno allora il significato di appartenere ad individui diversi, forniti di diverse forme di qualità. E quindi i sentimenti altrui sono ugualmente accessibili alla percezione esterna introducendosi dall’individuo estraneo. I puri vissuti dell’Io puro mi sono dati nella riflessione, quando l’io toglie lo sguardo dall’oggetto e lo rivolge all’esperienza vissuta di questo oggetto. Ora ci si chiede, qual è la differenza tra percezione interna e riflessione? La riflessione è la conversione attuale dello sguardo nella direzione di un’esperienza vissuta attuale, mentre la percezione interna può includere anche le inattualità. La percezione interna di Scheler è quindi da considerare come ‘appercezione di sé stesso’, nel senso dell’individuo e dei suoi vissuti in rapporto all’esperienza vissuta. La diversità che intercorre tra percezione interna e riflessione diviene chiara se si considerano gli inganno della percezione interna di cui di occupa Scheler: per esempio quando presumo di nutrire certi sentimenti in base ad una mia convinzione, mentre sono prigioniero di pregiudizi. In questo caso ho un inganno della percezione interna, ma non un inganno di riflessione. La differenza tra percezione interna ed empatia sta nel fatto che nella prima la datità dei vissuti è originaria, mentre nell’empatia è non originaria. Proprio la non originarietà dei vissuti empatizzati posta la Stein a rifiutare il titolo comune di percezione interna per indicare l’afferramento dell’esperienza vissuta estranea.

7)TEORIA DI MUNSTERBERG SULL’ESPERIENZA DELLA COSCIENZA ESTRANEA: secondo Munserberg, la nostra esperienza degli oggetti estranei deve consistere nel capirne gli atti di volontà estranei: il volere estraneo passa nel mio volere, pur restando il volere di un altro. Ma tale caratteristica deve essere limitata agli atti di volontà. La Stein afferma che prima di cogliere gli oggetti estranei, bisogna aver esplorate la costituzione dell’individuo.

PARTE TERZA, LA COSTITUZIONE DELL’INDIVIDUO PSICOFISICO 1) IO PURO: L’Io puro è il soggetto dell’esperienza vissuta ed è privo di qualità; le altre ipseità (individualità) non differiscono qualitativamente dal mio io (sono entrambe prive di qualità) ma per il modo in cui si manifestano. L’essere dinanzi ad un altro non è ciò che fa esperire all’io la sua individualità, ma è ciò che la mette in risalto. 2) FLUSSO DI COSCIENZA: Possiamo anche considerare l’io come un flusso di coscienza: l’io puro vive nel presente ma è legato a tutti i vissuti del flusso (quando si vive qualcosa si riporta quel flusso su uno sfondo di simili vissuti passati). Di fronte a questo flusso esistono altri che non sono semplicemente ‘altri’, ma sono differenti qualitativamente (il contenuto delle esperienze vissute è diverso). L’ipseità e la diversità qualitativa costituiscono un’unità psicofisica con una certa struttura, l’io individuale. 3) L’ANIMA: prendiamo prima in considerazione semplicemente l’unità individuale della psiche, tralasciando le relazioni psicofisiche. Esiste una struttura alla base dei vissuti, l’anima sostanziale, un’unità costituita da serie categoriali (es: causalità come influsso messo in atto dall’anima e variabilità come influssi subiti). Esiste un rapporto circolare tra anima e vissuti: la struttura dell’unità psichica dipende dal contenuto del flusso del vissuto, e a sua volta il flusso dipende dalla struttura dell’anima. 4) IL CORPO PROPRIO: è necessario tuttavia considerare l’individuo psicofisico nella sua interezza in quanto l’anima è necessariamente anima di un corpo. -Datità: come si presenta a noi il nostro corpo? Ovviamente non può essere percepito esclusivamente tramite gli atti della percezione esterna perché in questo caso diverrebbe un oggetto curioso dal quale non posso né avvicinarmi né allontanarmi e che resta sempre alla stessa distanza di afferrabilità. Per poter percepire il mio corpo proprio è necessario prendere in considerazione il mio campo sensoriale, perché lo spazio corporale proprio è differente dallo spazio esterno: infatti il mio corpo si trova nel mondo esterno percepito esteriormente come qualcosa di unitario, ma allo stesso tempo come corpo senziente. Quest’ultimo, non essendo scaturito dall’io, come per esempio il giudizio o la volontà, non è un cogito; esso è infatti localizzato in punti situati nel mio corpo che creano l’unità del mio corpo proprio. (es: se tocco il tavolo con un dito devo necessariamente distinguere diversi tipi di sensazioni: quella tattile, la durezza del tavolo relativa all’atto di percezione esterna, e la punta del dito che tocca il tavolo e le percezioni del proprio corpo). L’io può anche non possedere un corpo (morti) oppure può non possedere una parte del corpo (piede addormentato): muovendo esso è come muovere un qualsiasi oggetto. Questo dimostra che le sensazioni sono possibili solo per l’io che possiede un corpo proprio. -corpo e sentimenti: allo stesso modo i sentimenti di natura sensibile non si possono scindere dalle sensazioni su cui esse si basano (es: il piacere procurato da un cibo gustoso viene avvertito solo nel momento in cui il cibo viene mangiato). I sentimenti ‘comuni’ di natura non corporale invece non provengono dal corpo (l’allegria non rende il corpo allegro). Questo vuol dire che anche un essere puramente spirituale può essere soggetto a stati d’animo. I sentimenti comuni e quelli del corpo, tuttavia, si influenzano reciprocamente (es: faccio un viaggio stancante e, arrivato in un bel posto,

sento che lo stato gioioso si impossessa di me ma allo stesso tempo non sorge in me proprio per il fatto che mi sento stanco). -causalità: la causalità psicofisica è l’effetto che un vissuto provoca nelle funzioni del corpo (aumento battito cardiaco dopo uno spavento), questo proprio perché l’anima, come unità che si manifesta nei singoli vissuti, ha il suo fondamento nel corpo. Allo stesso modo infatti esiste una causalità puramente psichica: a causa di uno spavento ho un effetto paralizzante nei miei atti di pensiero. -fenomeno dell’espressione: l’espressione però è un fenomeno differente rispetto alla manifestazione fisica concomitante al sentimento. Infatti, la differenza sta nel fatto che tra l’espressione e il sentimento non sussiste un rapporto causale. Al contrario, mentre rivivo un sentimento sento come se il sentimento carico di energia si scarichi nell’espressione o in un atto di volontà (è il sentimento a prescrivere quale atto o espressione motivare). Allo stesso tempo l’espressione mi viene data in una percezione del proprio corpo di cui io non sono consapevole (se sono felice sorrido e non me ne accorgo). Se però dirigo la mia attenzione sul mutamento percepito del mio corpo, esso mi appare determinato dal sentimento e si costituisce solo in quel caso un rapporto causale tra sentimento ed espressione. I fenomeni espressivi sono quindi allo stesso tempo sia emanazione dei sentimenti sia espressione delle qualità pschiche che si manifestano in essi. -volontà e corpo proprio. La volontà si serve del meccanismo psicofisico per compiersi, così come il sentimento si avvale dello stesso meccanismo per realizzare la propria espressione. Spesso la volontà incontra delle tendenze oppositive, spesso legate al corpo (es.se sto camminando e mi sento stanco, la stanchezza è una resistenza alla mia volontà e gli stessi piedi si rifiutano di obbedire ad essa. Se invece prevale la volontà, essa è vissuta come superamento dell’influenza contraria). Ora ci si chiede però se anche questa influenza della volontà e delle tendenze sul corpo e a volte anche sull’anima, rientri nell’ambito della causalità psicofisica. L’azione si compie tramite una successione causale, ma l’introduzione del processo, il vero e proprio intervento della volontà , non è vissuto causalmente. In realtà non è completamente estranea alla causalità, ma l’atto della volontà fondamentalmente rifiuta tutti quei rapporti causali, poiché solo l’io volente è padrone del proprio corpo. In definitiva, l’individuo è un oggetto unitario, in cui l’io e il corpo fisico si congiungono in maniera indissolubile. Il corpo è corpo proprio, mentre la coscienza è l’anima dell’individuo unitario. Infatti abbiamo visto come molti processi siano appartenenti sia all’anima sia al corpo e come esista un causalità dei processi psichici e fisici. 5) PASSAGGIO ALL’INDIVIDUO ESTRANEO: se il corpo proprio, a differenza dell’altro è portatore dei vissuti dell’io e strumento della sua volontà, come si costruisce per noi l’individuo estraneo? -corpo proprio estraneo come portatore di campi sensoriali: così come i campi sensoriali propri sono dati in maniera unitaria nella percezione esterna del nostro corpo, allo stesso modo sussistono per me i campi sensoriali altrui. Tuttavia, nei campi sensoriali altrui viene escluso il riempimento originario: l’unico riempimento qui possibile è dato dalla presentificazione empatizzante, ovvero con il carattere della presentificazione piuttosto con quello della vuota rappresentazione. Per esempio, se vedo la mano altrui poggiata al tavolo, la mia mano sente le sensazioni della mano estranea, ma non in modo originario e proprio. In tal modo le sensazioni empatizzate, in continuo contrasto con le proprie, si configurano come sensazioni estranee. -condiz...


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