Cicerone - Appunti 2 PDF

Title Cicerone - Appunti 2
Course Diritto Romano
Institution Università LUM Jean Monnet
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cicerone appunti di letteratura...


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MARCO TULLIO CICERONE (Arpino, 106 a.C. - Formia, 43 a.C.)

PREMESSA Esponente di un'agiata famiglia dell'ordine equestre, Cicerone fu una delle figure più rilevanti di tutta l'antichità romana. La sua vastissima produzione letteraria, che va dalle orazioni politiche agli scritti di filosofia e retorica, oltre a offrire un prezioso ritratto della società romana negli ultimi travagliati anni della repubblica, rimase come esempio per tutti gli autori del I secolo a.C., tanto da poter essere considerata il modello della letteratura latina classica. Attraverso l'opera di Cicerone, grande ammiratore della cultura greca, i Romani poterono anche acquisire una migliore conoscenza della filosofia. Tra i suoi maggiori contributi alla cultura latina ci fu senza dubbio la creazione di un lessico filosofico latino: Cicerone si impegnò, infatti, a trovare il corrispondente vocabolo in latino per tutti i termini specifici del linguaggio filosofico greco. Tra le opere fondamentali per la comprensione del mondo latino si collocano invece le Lettere (Epistulae, in particolar modo quelle all'amico Tito Pomponio Attico), che offrono numerosissime riflessioni su ogni avvenimento, permettendo di comprendere quali fossero le reali linee politiche dell'aristocrazia romana. Cicerone occupò per molti anni anche un ruolo di primaria importanza nel mondo della politica: dopo aver difeso la repubblica dal tentativo eversivo di Lucio Sergio Catilina ed aver così ottenuto l'appellativo di pater patriae (padre della patria), ricoprì un ruolo di primissima importanza all'interno della fazione degli Optimates. Fu infatti Cicerone che, negli anni delle guerre civili, difese strenuamente fino alla morte una repubblica giunta ormai all'ultimo respiro e destinata a trasformarsi nel principatus augusteo. BIOGRAFIA Giovinezza L'infanzia e la famiglia Marco Tullio Cicerone nacque il 3 gennaio del 106 a.C. in località Ponte Olmo, oggi nel territorio di Sora ma all'epoca nel municipio di Arpinum, antica città di collina fondata dai Volsci 100 chilometri a sud-est di Roma. Gli Arpinati avevano ricevuto la civitas sine suffragio già nel IV secolo a.C., e i pieni diritti di cittadinanza nel 188 a.C.; in seguito la città aveva ottenuto anche lo status di municipium. La lingua latina vi era in uso già da lungo tempo. Ad Arpino, tuttavia, era diffuso anche l'insegnamento della lingua greca, che l'élite senatoriale romana preferiva spesso a quella latina, riconoscendone la maggiore raffinatezza e precisione. L'assimilazione da parte dei Romani delle comunità italiche nelle vicinanze di Roma, avvenuta tra il II ed il I secolo a.C., rese possibile il futuro di Cicerone come scrittore, statista ed oratore. Cicerone apparteneva alla classe equestre, la piccola nobiltà locale, e, anche se lontanamente imparentato con Caio Mario, il leader dei Populares durante la guerra civile contro gli Optimates di Lucio Cornelio Silla, non aveva alcun legame con l'oligarchia senatoriale romana; era dunque un homo novus. La famiglia era composta dal padre Marco Tullio Cicerone il Vecchio, uomo colto ma di origine sconosciuta, dalla madre Elvia, di nobile casato e integri costumi, e dal fratello Quinto.

Il cognomen Cicero era il soprannome di un suo antenato abbastanza noto, che aveva un'escrescenza carnosa sul naso (presumibilmente una verruca), che ricordava nella forma un cece (cicer, ciceris è il termine latino per cece). Quando Marco presentò per la prima volta la sua candidatura ad un ufficio pubblico, alcuni amici gli sconsigliarono l'utilizzo del suo cognomen, ma lui rispose che «avrebbe fatto sì che esso diventasse più noto di quello degli Scauri e dei Catuli.» Studi Cicerone si rivelò subito un fanciullo dotato di straordinaria intelligenza, distinguendosi tra i suoi coetanei a scuola e accumulando fama e onore. Il padre, auspicando per i figli una brillante carriera forense e politica, li condusse a Roma, dove Marco venne introdotto nel circolo dei migliori oratori del suo tempo, protettori della sua famiglia, Lucio Licinio Crasso e Marco Antonio. Particolare influenza ebbe il primo su Cicerone, per cui rimase sempre modello di oratore e di statista. A tale proposito vale la pena di citare un interessante aneddoto: nel 93 a.C. era stata aperta la prima scuola di retorica a Roma, per iniziativa di un personaggio non molto famoso: Plozio Gallo. Era la scuola dei rhetores latini, della quale parla lo stesso Cicerone, per testimoniarci dei successo che essa riscontrava presso i giovani di allora e del suo rammarico per non potervi accedere: il giovane Arpinate era infatti trattenuto dai suoi maestri, che lo indirizzavano allo studio della retorica solo in greco. Ma per quali motivi questo allontamento dalla scuola di Plozio Gallo? Possiamo affermare che i consiglieri di Cicerone agivano in tal senso per motivi non solo o non tanto didattici, quanto politici: la scuola dei retori latini rischiava agli occhi loro, e agli occhi di altri benpensanti romani, di trasformarsi in un pericoloso centro di democratizzazione del sapere, e, quindi delle vie di accesso al potere sociale e politico. Sappiamo infatti dell’amicizia del maestro, cioè di Plozio Gallo, col popolare Mario, in anni di contrasti fortissimi in Roma, culminati nella guerra del 91 a.C. per il diritto di cittadinanza degli Italici. A Roma Cicerone poté anche formarsi nella giurisprudenza, grazie alla guida di Quinto Mucio Scevola, eminente giurista. Tra i compagni di Cicerone c'erano Gaio Mario il giovane, Servio Sulpicio Rufo (destinato a divenire un celebre avvocato, uno dei pochi che Cicerone considerò superiori a se stesso), e Tito Pomponio, che prese poi il cognomen di Attico dopo una lunga permanenza ad Atene, e che divenne intimo amico di Cicerone (il suo unico, vero amico, come in seguito si potrà constatare). In una lettera Cicerone gli scrisse: «Sei per me come un secondo fratello, un alter ego al quale posso dire ogni cosa». In questo periodo Cicerone si avvicinò anche alla poesia cimentandosi nella traduzione di Omero e dei Phainòmena di Arato, che influenzarono, più tardi, le Georgiche di Virgilio. Particolarmente attratto dalla filosofia, alla quale avrebbe dato grandi contributi, tra i quali la creazione del primo vocabolario filosofico in lingua latina, nel 91 a.C. incontrò, assieme all'amico Tito Pomponio (Attico), il filosofo epicureo Fedro in visita a Roma. I due ne furono affascinati, ma solo Attico rimase per tutta la vita seguace della dottrina epicurea. Nell'87 a.C. conobbe il maestro di retorica Apollonio Molone di Rodi (che istruì, pochi anni dopo, anche Gaio Giulio Cesare), e l'accademico Filone di Larissa, che esercitò in lui un'influenza profonda. Questi era infatti a capo dell'Accademia che Platone aveva fondato ad Atene circa trecento anni prima e Cicerone, grazie alla sua influenza, assimilò la filosofia platonica - pur rigettando, ad esempio, la teoria delle idee arrivando spesso a definire Platone come il suo dio. Poco tempo dopo, Cicerone incontrò Diodoto, esponente dello stoicismo. Lo stoicismo era già stato precedentemente introdotto a Roma, dove aveva ricevuto larghi consensi grazie all'enfasi posta sul controllo delle emozioni e sulla forza di volontà, che sposava gli ideali romani. Cicerone non adottò completamente l'austera filosofia stoica, ma preferì uno stoicismo modificato. Diodoto divenne poi un protetto di Cicerone, dal quale fu ospitato fino alla morte. Il filosofo, dimostrando la sua piena adozione dello stoicismo, continuò ad insegnare anche dopo la perdita della vista.

Cursus Honorum Prime esperienze Il sogno di infanzia di Cicerone era quello di "essere sempre il migliore ed eccellere sugli altri", in linea con gli ideali omerici. Cicerone desiderava dignitas ed auctoritas, simboleggiati dalla toga pretesta e dalla verga dei littori. C'era un solo modo per ottenerli: percorrere i gradini del cursus honorum. Nel 90 a.C. Cicerone era troppo giovane per approdare a qualsiasi carica del cursus honorum, ma non per acquisire l'esperienza preliminare in guerra che una carriera politica richiedeva. Tra il 90 a.C. e l'88 a.C., quindi, Cicerone servì sotto Gneo Pompeo Strabone e Lucio Cornelio Silla durante le campagne della Guerra sociale, sebbene non provasse alcuna attrazione per la vita militare. Era prima di tutto un intellettuale. Infatti, molti anni dopo scrisse al suo amico Attico, che stava raccogliendo statue marmoree per le ville di Cicerone: "Perché mi spedisci una statua di Marte? Lo sai che io sono un pacifista!" L'ingresso di Cicerone nella carriera forense avvenne ufficialmente nell'81 a.C. con la sua prima orazione pubblica, la Pro Quinctio, per una causa in cui ebbe come avversario il più celebre oratore del tempo, Quinto Ortensio Ortalo. Ma il suo vero esordio nell'oratoria a carattere politico, almeno secondo le testimonianze scritte a noi disponibili, si ebbe nell'80 a.C. con la Pro Roscio Amerino, orazione che conserva vistose tracce dello stile "asiano", fiorito ed enfatico, tipico degli esordi di Cicerone oratore, il cui principale esponente latino era proprio Quinto Ortensio Ortalo. Dopo questa orazione Cicerone adotterà definitivamente lo stile "rodiese" di Apollonio Molone, una sorta di contemperamento fra i due opposti eccessi dello stile "asiano" e di quello "atticista", quest'ultimo caratterizzato da disadorna asciuttezza e chiarezza espositiva (il principale esponente di questa corrente stilistica è Giulio Cesare). Nella Pro Roscio Amerino Cicerone difese con successo un figlio ingiustamente accusato di parricidio, dimostrando grande coraggio nell'assumersene la difesa: infatti i veri colpevoli dell'omicidio erano sostenuti dal famigerato liberto di Silla, Lucio Cornelio Crisògono. Se Silla avesse voluto, gli sarebbe stato fin troppo facile eliminare Cicerone, proprio alla sua prima apparizione nei tribunali. Tuttavia, nella terza parte dell'orazione, Cicerone non esitò ad attaccare direttamente Crisogono, affermando che il padre di Roscio era stato assassinato per ottenere i suoi terreni ad un prezzo conveniente, una volta messi all'asta. In forza di queste argomentazioni, Roscio fu assolto. Per sfuggire ad una probabile vendetta di Silla (ufficialmente "per motivi di studio"), tra il 79 ed il 77 a.C. Cicerone si recò, accompagnato dal fratello Quinto, dal cugino Lucio e probabilmente anche dall'amico Servio Sulpicio Rufo, in Grecia ed in Asia Minore. Particolarmente significativa fu la sua permanenza ad Atene. Qui incontrò nuovamente l'amico Attico, che, fuggito da un'Italia sconvolta dalle guerre, si era rifugiato in Grecia. Egli era poi diventato cittadino onorario di Atene e poté presentare a Cicerone alcune tra le più importanti personalità ateniesi del tempo. Ad Atene, inoltre, Cicerone visitò quelli che erano i luoghi sacri della filosofia, a cominciare dall'Accademia di Platone, di cui era allora capo Antioco di Ascalona. Di quest'ultimo Cicerone ammirò la facilità di parola, senza tuttavia condividerne le idee filosofiche, ben differenti da quelle di Filone, delle quali era convinto ammiratore. Dopo un breve soggiorno a Rodi, dove conobbe lo stoico Posidonio, Cicerone tornò in Grecia, dove fu iniziato ai misteri eleusini, che lo impressionarono molto, e dove poté visitare l'Oracolo di Delfi. Qui domandò alla Pizia in quale modo avrebbe potuto raggiungere la gloria, ed ella gli rispose che avrebbe dovuto seguire il suo istinto, e non i suggerimenti che riceveva. Ingresso in politica Tornato a Roma dopo la morte di Silla (avvenuta nel 78 a.C.), Cicerone diede inizio alla sua vera e propria carriera politica, in un ambiente sostanzialmente favorevole: nel 76 a.C. si presentò come candidato alla questura, la prima magistratura del cursus honorum. I questori, eletti in numero di venti, si occupavano della gestione finanziaria, o assistevano propretori e proconsoli nel governo delle province. Eletto alla carica per la città di Lilibeo, nella Sicilia Occidentale, svolse il lavoro con scrupolo ed onestà tanto da guadagnarsi la fiducia degli abitanti del luogo. Durante la sua permanenza in Sicilia scoprì a Siracusa, nascosta tra i cespugli, la tomba di Archimede. Grazie all'interesse di Cicerone per lo scienziato siracusano sono in nostro possesso alcune importanti informazioni su di lui e in particolare la migliore testimonianza sul suo planetario.

Al termine del mandato, nel 70 a.C. i Siciliani gli affidarono la causa contro il propretore Verre, reo di aver dissanguato l'isola nel triennio 73-71 a.C. Cicerone pronunciò subito la Divinatio in Caecilium, con la quale chiese il diritto di sostenere l'accusa per conto dei Siciliani al posto del magistrato Quinto Cecilio Nigro. Divinatio significa "dibattito preliminare"; questo Cecilio era una sorta di "uomo di paglia" - finanziato da Verre - che lo stesso Verre voleva imporre al processo in qualità di accusatore, in modo da "giocare in casa". Nell'orazione Cicerone denuncia e smonta il piano di Verre, delegittima Cecilio e propone la propria candidatura a pubblico ministero. Cecilio si fece difendere al processo da Quinto Ortensio Ortalo; tuttavia il successo arrise a Cicerone, che in tal modo poté assumere l’accusa per conto dei Siciliani e ottenere così un tempus inquirendi di 110 giorni. Cicerone raccolse le prove della colpevolezza con incredibile rapidità ed efficacia, impedendo a Verre di corrompere i giudici e di inquinare le prove, pronunciò l'Actio prima in Verrem e l'ex governatore, oberato da prove schiaccianti, scelse l'esilio volontario. Non ci fu quindi bisogno di pronunciare le cinque orazioni preparate per le successive fasi del processo (che costituiscono l’Actio secunda): esse furono pubblicate più tardi e costituiscono un'importante prova del malgoverno che l'oligarchia senatoria esercitava a seguito delle riforme sillane. A difendere Verre era ancora Quinto Ortensio Ortalo, considerato il più grande avvocato dell'epoca: "sconfitto", Ortensio dovette accettare che il suo posto venisse preso da Cicerone. Nonostante l'episodio, i due strinsero poi un buon legame di amicizia. Ad Ortensio, anzi, che elogiò anche nel Brutus, Cicerone dedicò un'intera opera, non pervenutaci, l'Hortensius. Da sottolineare l'abilità diplomatica del promettente giovane politico: attaccando Verre, infatti, Cicerone attaccò la prepotenza della nobiltà corrotta, ma non l'istituzione senatoria: anzi, fece appello proprio alla dignità di tale ordine perché estromettesse i suoi membri indegni. Contro Cicerone, però, rimaneva la naturale diffidenza dei nobili verso chi era un homo novus, accresciuta dal fatto che l'ultimo homo novus ad acquisire rilevante peso politico era stato il concittadino dello stesso Cicerone, Gaio Mario. Tuttavia lo stesso Silla, fiero oppositore di Mario, aveva preso alcuni provvedimenti che permettevano e facilitavano l'ingresso degli equites alla vita politica, dando così a Cicerone la possibilità di raggiungere le vette del cursus honorum. Il successo ottenuto da quelle orazioni (che vennero poi chiamate Verrine), anticipatrici dei principi di un governo umano ed ispirato ad onestà e filantropia, portò Cicerone in primo piano sulla scena politica: nel 69 a.C. venne eletto alla carica di edile curule (all'età di 37 anni), nel 66 a.C. diventò pretore con una elezione all'unanimità (a 40 anni). Nello stesso anno pronunciò il suo primo discorso squisitamente politico, Pro lege Manilia de imperio Cn. Pompei, in favore del conferimento dei pieni poteri a Pompeo per la guerra mitridatica. In questa occasione Pompeo era appoggiato dai cavalieri, interessati alla rapida risoluzione della guerra in Asia, mentre gli era contraria la maggioranza del senato. Il motivo dell'impegno di Cicerone in una causa ostile all'alta aristocrazia (che d'altronde era restia ad accoglierlo tra le proprie file) sta nell'importanza che essa aveva per i pubblicani e gli affaristi, appartenenti in buona parte al ceto degli equites (quello di provenienza dello stesso Cicerone), minacciati nei loro interessi da Mitridate VI. La provincia dell'Asia Minore, minacciata dal sovrano del Ponto, era, infatti, particolarmente attiva dal punto di vista dell'economia e del commercio. Più tardi, per giustificarsi di aver sostenuto Manilio, Cicerone dirà che lo aveva fatto soltanto per acquistarsi il favore di Pompeo. Questo è sicuramente un motivo politico, ma in realtà c’è anche una motivazione ideologica: infatti, emerge per la prima in questo orazione il motivo dominante della sua linea di condotta iniziale: la concordia ordinum. Per concordia ordinum Cicerone intendeva la concordia tra le varie classi sociali, ed in particolare tra il ceto senatorio e quello equestre. Egli esalterà la concordia ordinum in particolare nella quarta orazione contro Catilina, perché allora, per la prima volta nella storia repubblicana, i senatori, i cavalieri ed il popolo si trovarono d’accordo su decisioni dalle quali dipendeva la salvezza dello Stato. Cicerone auspicava che la concordia potesse durare per sempre, ma il suo sogno era alquanto velleitario: egli stesso si rendeva conto che la concordia era nata, in quel particolare frangente, solo per la pressione emotiva: d’altronde la concordia non faceva leva su nessun particolare progetto politico, ma solamente su motivi di carattere sentimentale ed economico.

Consolato Nel 65 a.C. Cicerone presentò la candidatura al consolato. Nel 64 venne eletto console per l'anno successivo (ossia il 63 a.C.). La sua posizione venne illustrata dal fratello Quinto in un'opera (di dubbia attribuzione: la scrisse lo stesso Cicerone?), Commentariolum petitionis, scritta per consigliarlo nella campagna elettorale. Per un gioco delle classi, Cicerone risultò eletto con il voto di tutte le centurie. Assieme a lui risultò eletto il patrizio Gaio Antonio Ibrida, zio di Marco Antonio, futuro triumviro e acerrimo nemico dell'arpinate, accusato dallo stesso Cicerone (In toga candida, orazione - pervenutaci in condizioni frammentarie - tenuta in senato come candidato poco prima delle elezioni del 64) di essere collusore di Lucio Sergio Catilina. La fiducia riposta in Cicerone dalla classe equestre venne ripagata già all'inizio del consolato con la pronuncia di quattro orazioni (De lege agraria) contro la proposta di redistribuzione delle terre del tribuno Servilio Rullo. Durante il suo consolato Cicerone dovette contrastare il tentativo di congiura messo in atto da Catilina. Questi era un nobile impoverito che, dopo aver combattuto insieme a Silla e aver completato il cursus honorum, aspirava a diventare console. Catilina si candidò a console tre volte e tre volte venne fermato con processi dubbi o con probabili brogli elettorali; infine ordì una congiura per rovesciare la repubblica. Catilina contava soprattutto sull'appoggio della plebe, a cui prometteva radicali riforme, e sugli altri nobili decaduti, ai quali prospettava un vantaggioso sovvertimento dell'ordine costituito, che lo avrebbe probabilmente portato ad assumere un potere monarchico o quasi. Venuto a conoscenza del pericolo che la Repubblica correva grazie alla soffiata di Fulvia, amante del congiurato Quinto Curio, Cicerone fece promulgare dal senato un senatus consultum ultimum de re publica defendenda, cioè un provvedimento con cui si attribuivano, come era previsto in situazioni di particolare gravità, poteri speciali ai consoli. Sfuggito poi ad un attentato da parte dei congiurati, Cicerone convocò il senato nel tempio di Giove Statore, dove pronunciò una violenta accusa a Catilina, con il discorso noto come Prima Catilinaria. Catilina, còlto di sorpresa e visti i suoi piani svelati, fu costretto a lasciare Roma per ritirarsi in Etruria presso il suo sostenitore Gaio Manlio, lasciando la guida della congiura ad alcuni uomini di fiducia, Lentulo Sura e Cetego. Grazie alla collaborazione con una delegazione di ambasciatori inviati a Roma dai Galli Allobrogi, Cicerone poté però trascinare anche Lentulo e Cetego davanti al senato: gli ambasciatori, incontratisi con i congiurati, che avevano dato loro documenti scritti in cui promettevano grandi benefici se avessero appoggiato Catilina, furono arrestati in modo del tutto fittizio, e i documenti caddero nelle mani di Cicerone. Questi portò Cetego, Lentulo e gli altri davanti al senato. A questo punto Cicerone commise un passo falso - il primo della sua carriera - destinato a costargli molto caro. Nel decidere ...


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