Dario Ianes, Sofia Cramerotti, Il Piano educativo individualizzato, vol. 1, Erickson, 2009 PDF

Title Dario Ianes, Sofia Cramerotti, Il Piano educativo individualizzato, vol. 1, Erickson, 2009
Author Gaetano Di Costantino
Course Pedagogia speciale
Institution Università degli Studi di Palermo
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Riassunto completo del libro sopracitato....


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Younid Riassunto IL PIANO EDUCATIVO INDIVIDUALIZZATO PROGETTO DI VITA, vol. 1

D.Ianes, S.Cramerotti Erickson

2009

D. Ianes, S. Crmerotti “IL PIANO EDUCATIVO INDIVIDUALIZZATO (PEI)”, Erickson, 2009

CAPITOLO I 1. GLI ALUNNI CON BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI: DISABILITA’, DISTURBI DELL’APPRENDIMENTO E ALTRE DIFFICOLTA’ Leggere le situazioni degli alunni attraverso il concetto di Bisogno Educativo Speciale (BES), fondato su base ICF, può costituire un passo avanti verso la piena inclusione che vuol dire riconoscere e rispondere efficacemente ai diritti di individualizzazione di tutti gli alunni che hanno qualche difficoltà di funzionamento, eliminare le barriere all’apprendimento e alla partecipazione di ognuno. Il concetto di Bisogno Educativo Speciale comprende tutte le possibili difficoltà educative- apprenditive degli alunni, diversissime tra loro. Dobbiamo distinguere bene i bisogni degli alunni individuati da una diagnosi clinica, che è ovviamente utile ( L 104 del 1992) ma dà legittimità solo ai bisogni che hanno un fondamento chiaro nella minorazione del corpo, mentre altre difficoltà non sono altrettanto riconosciute, legittimate e tutelate, come se ci fossero bisogni di serie A e bisogni di serie B. Secondo l’OMS la salute non è assenza di malattia, ma benessere biopsico sociale, piena realizzazione del proprio potenziale, questo chiama in causa dimensioni sociali, culturali, economiche, razziali, religiose. A scuola si fanno i conti quotidianamente con gli intrecci più diversi di fattori personali e sociali che rendono molto differenti i funzionamenti anche di persone “uguali”. Dobbiamo dare piena cittadinanza e riconoscimento a ogni forma di funzionamento problematico, a prescindere dall’origine. Il modello ICF dell’OMS ci obbliga a considerare la globalità e la complessità dei funzionamenti delle persone mentre la nostra legislazione è più restrittiva e non include alcune condizioni particolari, per es. essere migranti. Recentemente, l’Intesa Stato- Regioni siglata il 20 marzo 2008 sulla presa in carico globale dell’alunno con disabilità prevede l’uso di ICF come modello, pare che stiano maturando alcune delle condizioni necessarie perché si possa lavorare appieno con il concetto di BSE, sempre più si parla di varie forme di “difficoltà di apprendimento” riferendosi a qualsiasi difficoltà riscontrata dallo studente, spesso non conseguenza di una causa specifica ma dovute al concorso di molti fattori (DSA, deficit attentivo, disturbi nella comprensione del testo, difficoltà visuo-spaziali, motorie, disprassia evolutiva, ritardo mentale, difficoltà di linguaggio, disturbi dello spettro autistico, ma anche difficoltà emozionali, timidezza, collera, ansia, inibizione, depressione, disturbi della personalità , psicosi, difficoltà comportamentali, oppositività, bullismo, dist. alimentari, disturbi dell’ambito psicoaffettivo, b. dipendenti, passivi, isolati). L’Ambito familiare può creare anch’esso difficoltà: famiglie disgregate, trascuranti, patologiche, abusanti, difficoltà lavorative ed esistenziali. Nell’impressione degli insegnanti questi casi sembrano in aumento, oggettivamente in parte lo sono, ma anche per la maggior capacità diagnostica dei neuropsichiatri e per la maggior capacità interpretativa degli insegnanti. La percezione di difficoltà deve essere letta anche sullo sfondo di una sempre crescente consapevolezza dell’eterogeneità delle classi, abitate da alunni sempre più diversi. Se pensiamo per es. al concetto di intelligenza nessun insegnante pensa più ad un’unica intelligenza poiché la concettualizzazione di Gardner sulle intelligenze multiple ha fatto scuola. Si incrociano due percezioni di differenza: una legata alle difficoltà dell’alunno, l’altra legata all’eterogeneità della classe, l’insegnante ha sempre più la sensazione di non essere in grado di rispondere adeguatamente a tutte queste varie difficoltà, soprattutto se il numero degli alunni aumenta e gli insegnanti di sostegno diminuiscono. Al di là dei processi di classificazione e denominazione, ogni scuola dovrebbe comunicare nell’offerta formativa e concordare con le famiglie: La decisione di occuparsi in maniera efficace degli alunni che presentano QUALSIASI difficoltà di funzionamento educativo/apprenditivo, di

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accorgersi PRECOCEMENTE di TUTTE le difficoltà e delle condizioni di rischio, anche di quelle meno evidenti, di comprendere le complesse interconnessioni dei fattori che costituiscono le varie difficoltà anche in collaborazione con gli operatori sociali e sanitari del territorio, di rispondere in modo inclusivo alle difficoltà, attivando tutte le risorse dell’intera comunità scolastica e non. I BES COME DIFFICOLTA’ EDUCATIVO/APPRENDITIVO

EVOLUTIVA

DI

FUNZIONAMENTO

Il concetto di bisogno educativo speciale innanzitutto dovrebbe avere la caratteristica della SENSIBILITA’, cioè riesca a cogliere precocemente tutte le difficoltà del b., senza eccedere per il rischio di produrre falsi positivi. Deve inoltre avere le caratteristiche di REVERSIBILITA’ e di TEMPORANEITA’ poiché molte situazioni non sono stabili e perenni ma soggette a mutamenti e miglioramenti. La reversibilità facilita la famiglia ad accettare un percorso di approfondimento della difficoltà e un intervento individualizzato. Il BES non dovrà far riferimento all’origine del disturbo né alla classificazione ma dovrà partire dalla situazione complessiva di funzionamento qualunque siano le cause. DEFINIZIONE: Il BSE è qualsiasi difficoltà evolutiva in ambito educativo e o/apprenditivo che consiste in un funzionamento problematico anche per il soggetto, in termini di danno, ostacolo o stigma sociale, indipendentemente dall’eziologia, e che necessita di educazione speciale individualizzata. Analizziamo la definizione: 1 si manifesta entro i 18 anni, 2 nell’ambito dell’educazione/ apprendimento,3 funzionamento globale del soggetto dal punto di vista bio-psico-sociale (mod. ICF 2002), 4 confine tra funzionamento problematico per famiglia e insegnanti ma non per il soggetto e invece problematico anche per il soggetto che la manifesta. In questa definizione esiste un continuum tra normalità e patologia. I BES LETTI ATTRAVERSO IL MODELLO ICF-CY DELL’OMS Il b funziona bene dal punto di vista evolutivo se riesce a intrecciare positivamente le spinte biologiche alla crescita con le varie forme di apprendimento, date dall’esperienza e dal contatto con le relazione umane e gli ambienti fisici. L’educazione media questo intreccio fornendo stimoli, guida, accompagnamento, feedback, significati, obiettivi e gratificazioni, modelli, il b funziona bene se integra questi messaggi con la sua spontanea iniziativa e con le sue spinte biologiche. La situazione di salute di una persona è la risultante globale delle reciproche influenze tra i fattori rappresentati nello schema. Nella grande dialettica tra le forze biologiche e contestuali si trova il b. , che crescerà sano e funzionerà bene se i fattori interagiscono in modo positivo, ma potrà avere difficoltà di funzionamento se uno di questi ambiti è compromesso. Una situazione di funzionamento è realmente problematica per un b se lo DANNEGGIA o se ci può essere un OSTACOLO per il suo sviluppo futuro, se condizionerà i futuri apprendimenti cognitivi, sociali, relazionali ed emotivi oppure se peggiora la sua IMMAGINE SOCIALE. Insegnanti e genitori hanno il dovere di tutelare e migliorare l’immagine sociale di ogni b perché non diventi danno o ostacolo per lo sviluppo.

CAPITOLO II 2. IL PIANO EDUCATIVO INDIVIDUALIZZATO, IL PROGETTO DI VITA E LA “SPECIALE NORMALITA’” DELLE RISORSE AGGIUNTIVE 2

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GLI ELEMENTI DI UN BUON PEI Elaborare forme di didattica individualizzata significa costruire obiettivi, attività e atteggiamenti educativi su misura per la specifica peculiarità di quell’alunno, ponendo particolare attenzione ai suoi punti di forza dai quali si potrà partire per impostare il lavoro. Il PEI non deve essere delegato all’insegnante di sostegno perché l’integrazione degli alunni deve riguardare tutti gli ambiti della vita scolastica. Sarà l’insieme della comunità-scuola che mobiliterà tutte le risorse disponibili per soddisfare i bisogni formativi ed educativi speciali dei b; molte attività didattiche alternative mettono in primo piano il ruolo attivo degli alunni , lo sviluppo di reti di rapporti di amicizia e di aiuto, il lavoro con gruppi di apprendimento cooperativi, il tutoring, il coinvolgimento di realtà sportive, culturali e di volontariato della comunità territoriale. Le componenti fondamentali di un PEI: La DIAGNOSI FUNZIONALE EDUCATIVA è la prima componente del PEI , si pone come obiettivo la conoscenza più estesa e approfondita possibile dell’alunno in difficoltà che deve essere però “funzionale educativa” cioè utile alla realizzazione concreta di attività didattiche ed educative appropriate, significative ed efficaci . Deve risultare da un lavoro di collaborazione tra insegnanti, operatori ASL e famigliari, ma il ruolo della scuola deve essere centrale. Una Diagnosi completa fornirà un quadro dei punti di forza e di debolezza sul quale costruire una serie di obiettivi e attività concrete. Per questa costruzione operativa , lo strumento di connessione è il PROFILO DINAMICO FUNZIONALE, attraverso il quale si identificano gli obiettivi a medio e a breve termine, che verranno integrati nella programmazione della classe, e le attività concrete e con metodologie di adattamento, di analisi del compito, e altre tecniche di facilitazione. Il Profilo dinamico funzionale aiuta a ricostruire in una sintesi integrata la notevole quantità di dati prodotti dalla Diagnosi funzionale. LE FASI OPERATIVE E LE FUNZIONI DEL PROFILO DINAMICO FUNZIONALE FASE 1. Sintetizzare in modo significativo i risultati della Diagnosi funzionale integrando punti di forza e abilità raggiunte, deficit, carenze, incapacità rispetto alle aspettative e relazioni di influenze tra i vari ambiti di funzionamento. FASE2. Definire gli obiettivi a lungo termine, quelli cioè che idealmente ci piacerebbe raggiungere nell’arco di 1-3 anni, e nella prospettiva del Progetto di vita anche in dimensioni esistenziali dell’età adulta. FASE3. Scegliere gli obiettivi a medio termine da raggiungere in alcuni mesi o nell’anno scolastico. FASE 4. Definire gli obiettivi a breve termine e i sotto-obiettivi per ricavare sequenze facilitanti di obiettivi più accessibili: riducendo le difficoltà dell’obiettivo e semplificando le richieste di corretta esecuzione (accuratezza, velocità… shaping), con l’uso di aiuti necessari e sufficienti, attraverso l’analisi del compito che permette di scomporre un obiettivo in abilità più semplici. LE ATTIVITA’ I MATERIALI E I METODI DI LAVORO In questa parte del PEI si identificano gli spazi, i tempi, le persone e le risorse materiali, organizzative, strutturali e metodologiche; per es, adattamento dei testi scolastici e dei materiali, uscite in ambienti reali, tecniche meta cognitive. Di seguito un repertorio ampio di situazioni e modelli operativi efficaci: 1. Gruppi di lavoro eterogenei

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2. Modalità cooperative di lavoro 3. Rapporti pro sociali e di collaborazione informale tra gli alunni 4. Curricoli rivolti allo sviluppo di intelligenze multiple 5. Istruzione collocata su diversi livelli di competenza 6. Istruzione orientata all’acquisizione di competenze concrete 7. Integrazione delle tecnologie 8. Apprendimento attivo basato su problemi reali 9. Opportunità di azione con pochi rischi di errore 10.Valutazione autentica 11.Coinvolgimento degli studenti nelle decisioni Utilizzando la metafora del viaggio in questa parte del PEI dovremmo trovare i mezzi di trasporto che ci consentono di effettuare concretamente quei percorsi di obiettivi. LE VERIFICHE E LE VALUTAZIONI Le verifiche, che non dovrebbero essere previste solo a fine anno ma dovrebbero accompagnare le varie attività realizzate. Occorre valutare anche il grado di generalizzazione delle abilità e il loro sviluppo in reali competenze, il loro mantenimento nel tempo. Oltre a ciò si deve valutare la sensatezza, la validità rispetto a un progetto complessivo di vita. Ecco le fasi di verifica/ revisione del PEI: FASE1. PRIMA dell’incontro ciascun componente si deve rileggere il pei in modo da riportare alla memoria i contenuti che saranno oggetto di discussione, raccogliere le impressioni dell’alunno, evidenziare le problematiche su cui si deve ancora lavorare ed eventuali nuovi obiettivi, annotare dubbi, incertezze e i vissuti emotivi. FASE 2. DURANTE l’incontro si devono prendere in considerazione tutte le varie proposte, domandarsi se gli obiettivi stabiliti sono realmente significativi, se le attività sono realmente funzionali e se le metodologie, i tempi, gli spazi e i materiali si sono rivelati adeguati, se sono necessarie integrazioni/modifiche e se c’è un buon grado di mantenimento e generalizzazione. Sarà necessario ascoltare le diverse opinioni e trovare un punto comune di mediazione sempre nell’ottica di offrire tutto il meglio all’alunno. FASE 3. AL TERMINE dell’incontro è importante che tutto venga verbalizzato in modo preciso e una copia venga data ad ogni componente del gruppo. E’ importante il coinvolgimento e l’approvazione della famiglia e che l’alunno sia informato nel modo più adeguato circa i cambiamenti apportati al suo percorso. Si fisseranno date per i nuovi incontri. DAL PEI AL PROGETTO DI VITA Oltre alla scuola c’è l’altra parte della giornata e della vita, quindi l’orizzonte dovrebbe allargarsi il più possibile. Progetto di vita per pensare in prospettiva futura, può sembrare uno sforzo inutile, una violazione della libertà di scelta, se poi si tratta di disabili il pensiero si accartoccia nella paura. Dunque il Progetto di vita è un progettare molto cauto, si ha paura delle delusioni, dell’incontro con la consapevolezza del proprio limite, con le amare realtà che la vita riserverà. Una buona qualità della vita adulta dovrebbe essere l’elemento di riferimento per orientare l’insegnamento a un’integrazione

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sociale più ampia, un’indipendenza più matura e un lavoro più soddisfacente, molti insegnanti però sono imprigionati nel dover fare un programma scolastico o subiscono pressioni dall’esterno verso obiettivi più scolastici anziché più utili nella vita e allora il PEI diventa miopemente scuola centrico. IL PROGETTO DI VITA DAL P.D.V. TECNICO – DIDATTICO- FORMATIVO Con il pensiero rivolto al bambino-adulto attiveremo più o meno consapevolmente, aspettative, stimoli, collegamenti. Fare entrare il Progetto di vita nel PEI vuole dire due cose dal pdv tecnico- didattico: •

Scegliere obiettivi orientati il più possibile alla vita adulta: competenze di gestione del tempo libero e del proprio luogo di vita e delle proprie risorse economiche, mantenimento di una rete sociale informale, competenze affettive e per realizzare una propria vita familiare.



Usare modalità “adulte” di lavorare all’apprendimento di questi obiettivi, cioè poco scolastiche, per es. esperienze in situazioni reali, il role playing, il coinvolgimento di risorse informali (cassiera, autista, ecc.). I meccanismi della profezia che si auto avvera lavorano anche in positivo non solo in negativo! Due competenze utili agli insegnanti nella ricerca e definizione di obiettivi adulti sono l’analisi degli ecosistemi e la valutazione della Qualità della vita. Nel primo si mettono a fuoco i vari ambienti di vita (sistemi di trasporto) che andrebbero padroneggiati dal soggetto ( acquistare il biglietto, andare alla fermata, ecc…) utilizzando il task analisis. Rispetto a una buona qualità della vita sono fondamentali competenze legate alla libera scelta, a una buona rete di supporto sociale, alla gestione consapevole della propria salute. IL PROGETTO DI VITA DAL P.D.V. PSICOLOGICO La condizione adulta richiede una complessa maturazione psicologica e affettiva: la persona diventerà adulta se la sua identità sarà autonoma e stabile e la sua separazione dalla famiglia sarà compiuta. L’identità può essere considerata come la riflessione consapevole e stabile sulle nostre caratteristiche, che dà una direzione di senso alle nostre azioni future e un significato a quelle passate. La persona è continuamente chiamata a riflettere sulla propria continuità temporale e sulle differenze con le altre persone, la crescita del senso di identità va incontro, nel corso della vita, a crisi di vario genere, soprattutto nell’adolescenza. L’identità comincia a formarsi grazie al processo di identificazione con le figure parentali che offrono il primo importantissimo modello di riferimento, seguiranno altri modelli. L’identità di cui qui parliamo è il modo in cui ogni persona vede se stessa e può anche esserci discrepanza con la realtà. In molti casi il modo di vedersi è il riflesso di come gli altri ci vedono, talvolta fino ad indossare la maschera di un falso sé. La nostra identità è molto legata al passato, “di fatto i nostri ascendenti sono in noi” Morin. Queste elaborazioni cognitive e affettive sono difficili e faticose in particolare per la persona con ritardo mentale. Un’identità ben sviluppata dovrà essere il più possibile globale: biologica, corporea, legata alle capacità, a fattori ambientali, sociali, familiari, personali e psicologici, dobbiamo aiutare a non restringere l’identità su alcuni elementi soltanto ( corpo, famiglia, deficit), a non trascurarne nessuno. L’identità influenza molti aspetti e ne viene influenzata: successi/fallimenti, limiti del corpo, ecc. L’id. si sviluppa attraverso il lavoro interconnesso di 4 dimensioni.

IDENTITA’

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Nella dimensione valori, obiettivi, motivazioni collochiamo tutto ciò che ha valore positivo (desideri, aspirazioni, bisogni, modelli, fonti di gratificazione e successo) o valore negativo (situazioni da evitare). La teoria delle motivazioni ha fra i suoi sostenitori più autorevoli Maslow secondo la sua teoria l’essere umano risponde con il proprio comportamento a una scala precisa di bisogni che si può rappresentare con una piramide (dai bisogni primari alla base all’autorealizzazione all’apice). Dovremmo aiutare la persona disabile a sviluppare il più possibile un ampio ventaglio di desideri, obiettivi, punti di arrivo, modelli da copiare. Il desiderio di una meta fa muovere un viaggio. Autoefficacia e attribuzioni hanno un ruolo di mediazione primario rispetto all’azione a all’apprendimento. Il senso di autoefficacia, secondo le ricerche di Bandura, è la percezione che si ha delle proprie possibilità di raggiungere il successo in un compito, cioè il senso di competenza, di potercela fare. Lo stile di attribuzione fa riferimento alle convinzioni rispetto all’utilità dell’impegno attivo, sono valutazioni che l’individuo mette in atto spontaneamente per capire chi o cosa sia responsabile di ciò che gli accade. L’autostima è la percezione del proprio valore, è la risultante delle nostre azioni positive e dei messaggi positivi che riceviamo, essa fornisce energia, direzione e conferma alle motivazioni. Aiuteremo una persona disabile a sviluppare una buona identità se sosterremo i suoi desideri, le sue motivazioni, se lo aiuteremo a credere nella sua efficacia. E’ importante aiutare una persona con ritardo a fare memoria del passato con oggetti, foto, viaggi sui luoghi, racconti autobiografici, e anche a osservarsi, guardarsi quasi dall’esterno. Molte delle azioni importanti per lo sviluppo dell’identità sono le “scelte”, l’identità si nutre di scelte (abbigliamento, amici, lavoro), la persona con ritardo trova molte difficoltà a fare scelte perché c’è troppo spesso qualcuno che sceglie al posto suo, bisogna quindi favorire l’autodeterminazione. Un’identità, per crescere autonoma, ha bisogno di confini, questi vanno sempre rispettati. La costruzione dell’identità porta sempre con sé sofferenza e spesso si è portati a proteggere m...


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