De brevitate vitae: analisi opera PDF

Title De brevitate vitae: analisi opera
Author Samantha Bellato
Course Latino - Anno 5 - Classico
Institution Liceo (Italia)
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Summary

De brevitate vitae: analisi opera...


Description

DE BREVITATE VITAE, Seneca Trattato filosofico che occupa il decimo libro dei "Dialoghi" di Lucio Anneo Seneca.! DESTINATARIO: Pompeo Paolino, cavaliere originario di Arles e prefetto dell'Annona. Tacito lo identifica come suocero di Seneca.! 1. Con un dialogare vivace e discorsivo, Seneca comincia da subito a criticare quanti si lamentano per la brevità della vita umana, non risparmiando nemmeno personaggi famosi per la loro sapienza come Ippocrate, fondatore della medicina “scientifica”, e il filosofo Aristotele. ! A detta di Seneca l'esistenza umana non è breve, ma viene resa tale dalla nostra incapacità di adoperare il tempo che ci è stato assegnato in maniera proficua > “non abbiamo poco tempo, ma ne perdiamo molto” (Non exiguum temporis habemus, sed multum perdidimus).! 2-3. Molti infatti sprecano i propri giorni negli affari pubblici (i negotia), ora impegnandosi in una campagna elettorale, ora ascoltando i propri clienti, ora contendendosi un’eredità. Gli uomini sono spesso restii a dare il proprio denaro, prigionieri di “un’avarizia insaziabile” ma concedono con facilità il proprio tempo, l’unico bene per il quale “honesta avaritia est”. Il tempo è “il bene più prezioso”, considerato tuttavia di poco conto dal momento che non si vede, è immateriale (8).! Seneca li ammonisce: “vivete come se doveste vivere in eterno”, quando in realtà ogni giorno potrebbe essere l’ultimo. “Il maggiore spreco della vita consiste nel rimandarla”, ponendosi obiettivi a lunga scadenza, concentrandosi dunque sul futuro e dimenticandosi di vivere l’oggi (8).! 4.-6 Gli occupati - così Seneca definisce, quasi con disprezzo, le persone impegnate in attività non essenziali - sprecano il presente, che è l'unico tempo veramente in loro possesso, e rimandano alla vecchiaia il momento in cui potranno finalmente dedicarsi all'otium. Seneca rafforza questa sua teoria citando le parole di tre celebri occupati che lasciarono nei loro scritti lamentele di questo tipo: “il divo” Augusto, il retore Cicerone e il tribuno della plebe Livio Druso.! 7. Critica maggiormente coloro che hanno tempo solo per il vino e per il sesso, poiché privi di dignità, in quanto si dedicano ai “vizi più turpi”. Infatti non sono solo i negotia a consumare il tempo degli uomini. 12-13. Anche le attività svolte nel tempo libero (gli otia) possono rivelarsi un ostacolo al nostro vivere. Tra queste attività possiamo contare i banchetti, l'attenzione nei confronti della propria capigliatura e del gioco della palla, la musica, e persino l’”insulsa passione” storica riguardante fatti di scarsa importanza o in certi casi addirittura meritevoli di essere scordati, come le notizie riguardanti i sanguinosi giochi del circo.! 10. “La vita si divide in tre tempi: ciò che fu, ciò che è, ciò che sarà. Di questi il presente è breve, il futuro dubbio, il passato certo.” Solo una mente priva di angosce riuscirò a guardare al passato.! 11. Solo il saggio vive veramente e, per quanto poco a lungo abbia vissuto, è sempre disposto a morire senza rimpianti: “Il saggio, invece, sa scegliere e vivere l'unica dimensione temporale che è sotto il suo controllo, cioè il presente, perché passato e futuro, per i quali spesso stiamo inutilmente in ansia, non sono in nostro potere.! 14-15. L’unico modo per usare in maniera proficua il proprio tempo, ossia “vivere davvero”, consiste dunque nel ritirarsi a vita privata e dedicarsi alla filosofia, la sola attività che consente a chi vi si applica di conoscere il pensiero degli uomini più saggi dell’antichità (Socrate, Epicuro, gli stoici..), e ottenere la serenità. Inoltre, questo è considerato l’unico modo per elevarsi e ottenere una condizione immortale, pari ad un dio.! 18-19. Per questo Seneca invita il destinatario dell'opera, Paolino, a ritirarsi dalla vita pubblica e rifugiarsi in un “tranquilliorem portum”, prendendosi del tempo per sé. L’autore apprezza come Paolino amministri l’Impero con onestà, ma ritiene sia un compito poco adatto ad una vita serena, poiché ne derivano preoccupazioni e affanni.! 20. Al contrario gli occupati non possono dire di aver vissuto veramente, la loro condizione è la già disgraziata e miserevole!

#Genere e stile! #! DIALOGO: la forma assunta da queste opere non è per nulla simile ai dialoghi platonici o aristotelici, dove in maniera simile a uno spettacolo teatrale due o più personaggi si scambiano le rispettive opinioni all'interno di un discorso simile al parlato. In Seneca l'unico a parlare è sempre l’autore. In tal senso, in Seneca “dialogo” va inteso nel senso originario di “trattazione, dissertazione”.!

- Frequentissimo è l'utilizzo di esempi, tratti sia dalla vita quotidiana della nobiltà dell'epoca, sia da personaggi famosi come appunto Augusto, Cicerone e Druso. !

- Il continuo utilizzo di domande retoriche e una preferenza per la paratassi invece che per -

l'ipotassi, tipico della costruzione del periodo senechiano, rende il suo scritto di lettura veloce e simile al linguaggio parlato. ! Caratteristica anche l’abilità con cui Seneca concentra il proprio pensiero in brevi frasi epigrammatiche e sentenziose, da cui proviene il netto appello al lettore affinché non sprechi i giorni della sua vita.!

DEDICA-TONO: anche la dedica dell'opera a un personaggio proveniente dal ceto degli equites e probabilmente non esperto di filosofia serviva a tenere volutamente il tono generale della conversazione a un certo livello. !

La filosofia! Seneca appartiene allo stoicismo, una dottrina filosofica fondata in età ellenistica da Zenone di Cizio (336/335-263 a.C.) e che raggiunse la sua massima diffusione in età imperiale, contando tra le proprie fila personaggi illustri come l'imperatore Marco Aurelio.! Seneca non è però totalmente aderente allo stoicismo dogmatico e non creerà mai un sistema filosofico compiuto, ed anzi moficherà spesso le proprie opinioni da un'opera all'altra. Se infatti in alcuni dialoghi propende infatti a favore della vita attiva, nel De brevitate vitae traspare quasi una forma di disgusto per quelli che l'autore definisce con disprezzo come occupati, tanto che verso la fine dell'opera Seneca consiglia addirittura a Paolino, detentore di importanti incarichi pubblici, di ritirarsi a vita privata. ! ESILIO: il motivo per questo astio nei confronti della vita pubblica doveva essere determinato dal recente ritorno di Seneca dall'esilio in Corsica (49 a.C.), dove il filosofo è stato inviato per l’ostilità di Messalina, moglie dell’imperatore Claudio. Tornando a Roma, il filosofo trova una realtà ben diversa da quella che si era prefigurato durante il suo forzato allontanamento dalla vita pubblica: da qui, probabilmente, il pessimismo radicale nei confronti della classe dirigente romana e del suo stile di vita, che non troviamo in altre opere.! All'interno del De brevitate vitae assume una funzione importantissima la figura del saggio, l'unico capace di usare al meglio il proprio tempo. All'interno dello stoicismo quella del saggio è una figura essenziale, in quanto l'unico capace di adattarsi pienamente al volere della divinità e di accettare il proprio destino usando pienamente la propria ragione e imitando in questo la divinità. In Seneca questa figura diviene tanto elevata e difficile da raggiungere per l’uomo comune che il filosofo decide di inserire una figura intermedia, quella del proficiens, ovvero colui che si è reso conto di quale sia il bene, ha intrapreso la strada per raggiungerlo ma non ha ancora abbastanza forza per arrivare alla meta, né probabilmente l'avrà mai. Lo stesso Seneca afferma di appartenere a questa categoria, ammettendo di non agire sempre nella maniera migliore possibile, ma sapendo cosa sarebbe tenuto a fare.!

Epistulae morales ad Lucilium L’epistola 1, che funge da introduzione all’intera raccolta non svolge, come ci si potrebbe aspettare il tema del protrettico filosofico, dell’invito al ritiro dalle attività pubbliche per rientrare in se stessi e dedicarsi alla filosofia che ricorre frequentemente ma tratta un tema strettamente correlato, e già affrontato nel dialogo De brevitate vitae, quello della fugacità del tempo.! Tempo: Seneca invita Lucilio a rivendicare il possesso di se stesso, ovvero ad impadronirsi del tempo che ha a disposizione, impiegandolo per studiare e riflettere, per ricercare la virtù, unico vero bene della vita, senza sprecarlo in attività inutili, come la politica. Seneca parla all’amico consapevole di aver sprecato gran parte della sua vita, e quindi esorta Lucilio a non commettere lo stesso errore. Egli spinge l’amico a non dipendere dal domani, dal futuro incerto, ma ad impadronirsi dell’oggi, a vivere il presente intensamente nella ricerca della virtù. Questo pensiero è molto simile al carpe diem oraziano: la differenza sta nel fatto che Orazio, epicureo, invitava a cogliere i piaceri del momento, mentre Seneca, stoico, esorta a perseguire istante per istante il dovere morale.! Morte: Lucio Seneca ha una visione complessa della morte, costituita di due aspetti diversi, uno tradizionale e uno originale. Come molti suoi predecessori, Seneca considerava la morte qualcosa di positivo, in quanto liberazione dei mali di una tormentata esistenza.! L’originalità sta nell’idea che l’uomo, seppure non se ne renda conto, muore giorno per giorno: infatti anche se si è soliti considerare la morte come qualcosa di lontano, gran parte di questa è già stata vissuta perché tutto il tempo che è già trascorso appartiene alla morte.! #! Il tono dell’epistola 1, è decisamente colloquiale: lo dimostra la scelta dei vocaboli. Le prime parole, ita fac (fa così), sono espressione del linguaggio quotidiano e insinuano nel lettore l’idea che questa prima lettera sia il seguito di un discorso iniziato in precedenza. Inoltre nell’espressione mi Lucili, l’aggettivo possessivo mio sottolinea la profonda amicizia e l’affetto che esiste tra i due, evidenziando un tono personale, tipico del genere epistolare.! Risulta evidente l’ampio utilizzo di imperativi, questo mostra che il colloquio con Lucilio è basato sull’esortazione, il consiglio. Per quanto riguarda la sintassi, prevale la paratassi: le frasi sono brevi e si susseguono senza congiunzioni. Sono presenti nel testo delle metafore tratte dal linguaggio giuridico-finanziario (Omnes horas conplectere - Afferra e tieni stretta ogni ora; Mihi constat impensae – tengo i conti delle spese). La lettera si conclude con una massima proverbiale: Serva parsimonia in fundo est (è troppo tardi per risparmiare quando si è arrivati alla feccia)....


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