Delitti Contro LA Pubblica Amministrazione PDF

Title Delitti Contro LA Pubblica Amministrazione
Course Diritto penale
Institution Università degli Studi di Catania
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DELITTI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE...


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DELITTI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE NOZIONI GENERALI 1. PREMESSA 1.1 Nozione ampia di PA Il titolo II del libro secondo del codice penale disciplina i “delitti contro la pubblica amministrazione”, ed è suddiviso in due capi: • Il primo concernente i “delitti dei pubblici ufficiali contro la PA” (artt. 314335 c.p.); • Il secondo riguardante i “delitti dei privati contro la PA” (artt. 336-356 c.p.). In diritto penale, il concetto di Pubblica Amministrazione può essere inteso in due accezioni differenti: in senso ampio, esso ricomprende tutte le pubbliche funzioni imputabili allo Stato (o ad altro ente pubblico); in senso stretto, si identifica o con la mera funzione amministrativa, ovvero con gli organi preposti all’esercizio della funzione medesima. Il codice del ’30 utilizza la nozione di PA nel primo senso. Affermazione espressamente prevista nella Relazione al codice. Dunque con le norme riflettenti i delitti contro la PA, viene tutelata non solo l’attività amministrativa in senso stretto (tecnico), ma anche quella legislativa e giudiziaria. In linea con questi intendimenti, la dottrina penalistica ha sostenuto (quasi unanimemente) che nel diritto penale, il concetto di PA comprende ogni attività funzionale dello Stato e degli altri enti pubblici, ed ha pure sottolineato la continuità storica con il codice liberale Zanardelli, il quale ricomprendeva – sotto il titolo ei delitti contro la PA – ogni fattispecie di delitto diretta a ledere o esporre a pericolo le prerogative sovrane proprie di tutta l’organizzazione statuale considerata nella sua globalità. Dunque il Codice fa proprio un ampio concetto di PA, peraltro funzionale ad un preciso obiettivo di tutela, e cioè di proteggere l’intera attività dello Stato e degli altri enti pubblici, sia dagli attacchi portati dall’interno, sia da quelli provenienti dall’esterno. L’inserimento della funzione legislativa e della funzione giudiziaria nel concetto lato di PA corrisponde, così, ad un preciso disegno di politica criminale, realizzato in un momento e in un contesto istituzionale che tendono all’unità della sovranità e della gradazione della

teoria della separazione dei poteri a semplice criterio di distribuzione delle competenze. Questo concetto ampio di PA, se assume il ruolo di bene di categoria, non può però impedire la ricostruzione in termini analitici dei valori cardine che il legislatore ha inteso preservare nei confronti delle singole funzioni. E delle differenze tra legislazione, amministrazione e giurisdizione non può non tener conto l’interprete nella precisazione dei significati delle singole fattispecie criminose. La predetta concezione di PA è stata di recente criticata. Si è obiettato che essa non è compatibile con i principi fondamentali dell’attuale Stato democratico (che, come si sa, conferisce un’autonoma dimensione costituzionale alle diverse funzioni dello Stato). Pertanto, la nozione di PA dovrebbe avere un contenuto ristretto, e coincidere con la mera funzione amministrativa. Ma, a ben vedere, si tratta di una critica politico-ideologica, valida soprattutto in una prospettiva de iure condendo. 1.2 Esigenze di riforma L’esigenza (ormai sempre più avvertita) di rivedere l’originaria disciplina dei reati contro la PA ha sollecitato la presentazione di vari progetti di riforma. Gli obiettivi di fondo perseguiti sono stati sintetizzati nella relazione del Guardasigilli ad un disegno di legge governativo a metà degli anni ’80: «è necessario procedere ad una rivisitazione dei “reati contro la PA” che, da un lato, potenzi la risposta punitiva dell’ordinamento di fronte alle condotte illecite poste in essere dai soggetti rivestiti di funzioni pubbliche e, dall’altro, eviti un ingiustificato sindacato del magistrato penale sul merito delle scelte amministrative e limiti l’ambito della repressione penale ai fatti veramente lesivi degli interessi della PA o dei cittadini». A far apparire non più differibile il raggiungimento dei predetti obiettivi, aveva concorso negli ultimi tempi la crescente tendenza del giudice penale a controllare le scelte e l’operato degli amministratori pubblici, spesso in funzione di c.d. supplenza giudiziaria rispetto alle inefficienze e ai ritardi della PA. Ciò aveva portato un duplice rischio:  una indebita ingerenza della magistratura nel merito delle scelte amministrative;  una ingiustificata criminalizzazione di fatti privi di effettivo disvalore penale. Questa anomala situazione, che aveva finito col porre in conflitto il potere giudiziario col potere politico-amministrativo, era stata resa possibile dall’elevato grado di indeterminatezza e imprecisione dell’originario statuto

penale della PA. Ai suddetti problemi ha cercato di dare una soluzione la legge di riforma n. 86/90.

2. LA RIFORMA NOVELLISTICA DEL 1990 La progettata riforma dei delitti dei pubblici ufficiali contro la PA, dopo un travagliato iter parlamentare protrattosi per più di 5 anni, è stata finalmente varata nel corso della X legislatura. Si tratta di una delle più importanti revisioni novellistiche della parte speciale del codice, perché investe un settore cruciale sul cui terreno si intersecano e vengono in conflitto diversi poteri dello Stato. Negli obiettivi politico-criminali di fondo, la nuova normativa (l. 86/90) si pone in una prospettiva di sostanziale continuità rispetto alle principali direttrici di riforma emerse nei progetti discussi durante la precedente legislatura. a) Il legislatore della riforma si è, innanzitutto, preoccupato di potenziare il controllo penale delle forme di illecita appropriazione delle risorse pubbliche, delle condotte di arricchimento ingiustificato e di prevaricazione a danno del cittadino. Questo rafforzamento della repressione panale (tendente a contrastare il crescente fenomeno dell’affarismo e della corruttela) si è tradotto sia nell’ampliamento dei casi in cui la punibilità è estesa anche “all’incaricato di pubblico servizio” (abuso d’ufficio e concussione), sia nella creazione di nuove figure di reato (peculato d’uso, corruzione in atti giudiziari, istigazione alla corruzione da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio). Sempre nella prospettiva del potenziamento del controllo penale, il legislatore si è altresì preoccupato di colmare gravi lacune di tutela che sono andate emergendo negli ultimi anni. Si allude ai casi di abusiva utilizzazione di contributi, sovvenzioni o finanziamenti. Per reprimere tali fattispecie è stata configurata l’apposita fattispecie di malversazione a danno dello Stato. b) La seconda direttrice di riforma ha investito il versante delle ipotesi di reato “a formulazione aperta”, connotate dal tendenziale polarizzarsi dell’illecito sul contrasto tra la condotta effettivamente tenuta dal pubblico ufficiale e il corretto modello di comportamento che egli avrebbe dovuto adottare in conformità ai valori dell’imparzialità e del buon andamento. Era questo il settore nel quale la ricostruzione del volto dell’illecito penale aveva, tradizionalmente, dato eccessivo spazio alla discrezionalità interpretativa dei giudici, anche a causa della notevole indeterminatezza ed elasticità delle originarie fattispecie incriminatrici. D’altra parte, l’accentuarsi della libertà interpretativa in sede di applicazione di queste fattispecie era anche dipesa dalla

necessità di adattarle alle nuove forme di comportante illecito indotte dalle profonde trasformazioni nel frattempo subìte dalla PA. Si tratta di trasformazioni dovute principalmente dalla progressiva espansione dell’intervento pubblico nella gestione dell’economia, ma che si sono verificate in assenza di una formazione amministrativa precisa e in equivoca: si pensi, ad esempio, alla nozione di “pubblico servizio”, assai dibattuta ancora di recente. A tale caotica e ambigua normativa extrapenale, va aggiunta anche l’incapacità e la collusiva indisponibilità della PA a esercitare controlli “interni” sulla legalità dell’operato dei soggetti pubblici. Tutto ciò ha portato al fenomeno c.d. della “supplenza giudiziaria”: esso ha rappresentato la conseguenza di una permanente situazione di distorsione e confusione istituzionale nei rapporti tra “amministrazione” e “politica partitica”, nonché dell’assenza di efficaci controlli preventivi e successivi di natura extrapenale. Proprio per eliminare (o circoscrivere) le indebite interferenze tra controllo strettamente penale, da un lato, e valutazione politicoamministrativa, dall’altro, hanno indotto il legislatore della riforma a realizzare una radicale modifica di quelle norme incriminatrici che, a causa della loro genericità e indeterminatezza, più avrebbero potuto continuare ad assecondare lo sconfinamento dell’azione giudiziaria. Le “fantasmatiche” figure del peculato per distrazione, dell’interesse privato e dell’abuso innominato, sono state infatti eliminate per essere riassorbite nell’unico nuovo reato di abuso d’ufficio, reato configurato ad hoc nel tentativo di precisare (e rendere meno evanescente) il profilo criminale delle condotte abusive del soggetto pubblico che contraddicono i modelli comportamentali ispirati al buon andamento e all’imparzialità. Ma, come vedremo, si è trattato (purtroppo!) di un tentativo in larga parte non riuscito. Nel contempo, è stata riformulata la fattispecie di omissione di atti d’ufficio, con l’obiettivo di superare quelle interpretazioni tradizionali di stampo formalistico che attribuivano rilevanza penale a ogni mera inadempienza di doversi, fosse o meno pregiudicato lo svolgimento complessivo della funzione o del servizio pubblico. c) Inoltre, il legislatore ha ritenuto opportuno modificare la definizione delle qualifiche di pubblichi ufficiale e incaricato di pubblico servizio, quali soggetti destinatari delle norme incriminatrici in questione. Ciò al duplice scopo di chiarire meglio sia il parametro “esterno” (di distinzione tra settore pubblicistico e settore privatistico”), sia il criterio “interno” (di delimitazione tra pubblica funzione e pubblico servizio).

d) Infine, per quanto riguarda il trattamento sanzionatorio, è stata compiuta una scelta di sopprimere la pena pecuniaria originariamente prevista congiuntamente alla pena della reclusione. Questa opzione politico-criminale è stata giustificato col rilievo che una pena pecuniaria di entità modesta, cumulata con una pena detentiva più severa, non sorbisce un’apprezzabile efficacia deterrente. e) Un’altra innovazione consiste nella previsione di una circostanza attenuante applicabile ai delitti di peculato, malversazione a danno dello Stato, concussione, corruzione (eccettuata quella in atti giudiziari) e abuso. Tale circostanza, incentrandosi sulla “particolare tenuità” del fatto, ha un carattere abbastanza indeterminato che la rende assai simile alla preesistente attenuante di cui all’art. 62, n.4 del c.p. (speciale tenuità del danno). L’introduzione di una simile circostanza si giustifica con l’intento di mitigare il trattamento sanzionatorio in rapporto a tutti quei casi in cui la carica offensiva del reato risulti particolarmente modesta. Ma se così è, non si comprende facilmente la scelta legislativa di escludere l’applicabilità della circostanza in rapporto a talune figure di reato, posto che l’esigenza di adattare la risposta sanzionatoria a fatti caratterizzati in concreto da una minore gravità si poni in maniera pressoché generalizzata. 2.1 Limiti della riforma Non è facile valutare se, e in quali limiti, il nuovo testo approvato nell’aprile 1990 soddisfi le reali esigenze di riforma dello statuto penale di una PA moderna ed efficiente. In verità, in sede di primo commento della riforma, suggerivamo molta cautela, tenuto conto delle polemiche che avevano accompagnato l’approvazione stessa della nuova normativa, a causa sia della “anomala” maggioranza (DC e PCI) che l’aveva votata, sia della inconsueta fretta con la quale si era giunti alla votazione definitiva. Fondato o infondato, un simile sospetto forniva una significativa conferma dal fatto che una riforma avente per oggetto lo statuto penale della PA risente di preoccupazioni e aspettative di origine politico-partitica che non sempre trovano riscontro in serie ragioni politico-criminali e/o di tecnica legislativa. La riforma realizzata non introduce nulla di nuovo riguardo agli strumenti di repressione penale degli abusi commessi nello svolgimento dell’attività economica pubblica. L’insolita accelerazione della discussione parlamentare ha avuto l’effetto di troncare il dibattito anche su alcuni emendamenti che proponevano soluzioni alternative dal punto di vista politico-criminale, rispetto ad alcune questioni tutt’altro che secondarie della riforma. Vanno segnalate in questo senso alcune proposte emendatrici provenienti dal governo e personalmente avanzate dal guardasigilli Vassalli, il quale suggeriva di sopprimere addirittura

ben tre fra le innovazioni più significative contenute nel testo riformato: e cioè, la ridefinizione normativa delle qualifiche di pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio; l’estensione della punibilità agli incaricati di pubblico servizio nella nuova fattispecie di abuso di ufficio; la nuova formulazione della fattispecie di omissione di atti di ufficio. Non va sottovalutata l’oggettiva difficoltà del compito di cui si è fatto carico il legislatore, nel tentativo di contemperare esigenze almeno in parte configgenti: da un lato, garantire maggiore libertà di azione agli operatori pubblici, sgravandoli da un eccesso di ingiustificato rischio penale; dall’altro, rafforzare il controllo penale, in modo da rendere più severa la repressione dell’affarismo e della disonestà dei pubblici funzionari. 2.2 Nuove esigenze di riforma Il fenomeno c.d. “tangentopoli” ha fatto emergere tutti i gravi limiti di una riforma circoscritta alla disciplina penale della PA e ha mostrato tutte le insufficienze della stessa riforma realizzata con la l. n. 86/90. Oggi, infatti, si ripropone il problema di una nuova riforma del sistema dei reati contro la PA. Perché l’intervento novellistico di appena pochi anni addietro si è rivelato, nell’impatto con la prassi, fallimentare o inadeguato? Nel rispondere, è bene evitare semplificazioni. Bisogna, soprattutto, saper distinguere tra limiti propri della disciplina penalistica come tale, e cause profonde di quella corruzione politica che le norme penali non saranno mai – da sole – in grado di contrastare. Con specifico riferimento ai limiti della disciplina penalistica, il dibattito recente è andato sviluppandosi lungo 2 direttrici di massima, le quali esprimono esigenze di segno contrapposto: a) In direzione di un rafforzamento del controllo penale muovono alcune proposte elaborate da un gruppo di magistrati della Procura di Milano, insieme a docenti universitari e avvocati, nel contesto della concreta esperienza giudiziaria di “tangentopoli”. La preoccupazione di fondo è quella di fronteggiare più efficacemente la delinquenza politicoamministrativa, una volta scoperto che essa ha finito con l’assumere, nel nostro Paese, un carattere “sistemico” (cioè di fenomeno non più isolato, bensì diffuso e strettamente dipendente dalla degenerazione del sistema politico italiano e dei suoi rapporti con il sistema economico). Allo scopo di combattere la corruzione sistemica, si propone una duplice linea di intervento, che riassumiamo in estrema sintesi. Per un verso, l’idea è quella di rendere più rigoroso il controllo penale, eliminando la tradizionale distinzione tra i due reati di concussione e corruzione, in modo da aggirare il problema del relativo accertamento probatorio, e riformulando il reato di corruzione come unica fattispecie di portata generalissima, con un inasprimento delle pene principali; per altro

verso, allo scopo di creare varchi nel muro di omertà che normalmente cementa i soggetti del patto corruttivo, si propone di introdurre una “causa di non punibilità” a favore del soggetto che, prima di essere indagato, spontaneamente denunci il fatto. b) L’attenzione si è anche concentrata sull’esigenza di procedere ad una ulteriore riforma del delitto di abuso d’ufficio, essendosi diffuso il convincimento che il legislatore del ’90, nel procedere alla revisione di tale fattispecie incriminatrice, abbia fallito il principale obiettivo preso di mira: quello di distinguete l’abuso penalmente rilevante dalla semplice illegittimità o irregolarità amministrativa. Con la conseguenza che la stessa intervenuta modifica dell’art. 323 c.p. avrebbe finito con l’aggravare il già lamentato fenomeno delle interferenze del controllo penale sull’attività amministrava, con connesso ulteriore incremento del “rischio penale” a carico dei pubblici amministratori. Tutto ciò spiega perché, nel 1997, è intervenuta una seconda modifica legislativa del delitto di abuso. 2.3 I più recenti interventi normativi La disciplina dei reati contro la PA ha subìto, di recente, ulteriori modifiche per effetto di interventi normativi ispirati a un duplice orientamento politicocriminale. Per un verso sono state abrogate (o depenalizzate) alcune fattispecie incriminatrici “minori”, ormai divenute prive di significativo disvalore penale; per altro verso, nella prospettiva di un rafforzamento e di un’ulteriore armonizzazione della tutela degli interessi finanziari dell’UE (nonché di un più efficace contrasto dei fenomeno di corruzione internazionale) sono state introdotte nuove fattispecie incriminatrici, modificate norme preesistenti e apportate altre innovazioni di disciplina. Più in particolare, la l. 205/99 ha abrogato i seguenti reati:  eccitamento al dispregio e vilipendio delle istituzioni, delle leggi o degli atti dell’autorità (art.327;  omissione di dover d’ufficio in occasione di abbandono di un pubblico ufficio o di interruzione di un pubblico servizio (art. 332);  oltraggio a pubblico ufficiale (art. 341);  oltraggio a pubblico impiegato (art. 344). Inoltre, è stata ridotta la pena per i reati di:  oltraggio a corpo politico, amministrativo o giudiziario (art. 342);  oltraggio a magistrato in udienza (art. 343). Il D.Lgs. 507/99 ha depenalizzato le fattispecie di:

 offesa all’autorità mediante danneggiamento di affissioni (art. 345);  agevolazione colposa della violazione di sigilli (art. 350);  vendita di stampati dei quali è stato ordinato il sequestro (art. 352). Infine, le più recenti istanze di riforma dei delitti contro la PA hanno avuto ad oggetto fenomeni di corruzione internazionale e di aggressione agli interessi finanziari dell’U.E. Il 29 settembre 2000 è giunto a compimento il travagliato iter di approvazione della l. 300/2000 con la quale l’Italia ha adeguato il proprio ordinamento agli accordi assunti in sede internazionale negli ultimi anni, per realizzare un programma coordinato di contrasto di alcune forme di criminalità economica internazionale, e di forme di corruzione nella quale sono coinvolti funzionari delle Comunità europee o degli Stati membri dell’U.E. I profili innovativi possono essere riassunti in quattro punti: a) Introduzione dell’art. 322-bis c.p., che predispone forme di PA straniera, comunitaria e internazionale, estendendo cospicuo di delitti contro la PA all’ipotesi in cui soggetti pubblici agenti delle Comunità europee, di Stati esteri istituzioni internazionali.

tutela della un nucleo attivi siano o di altre

b) Introduzione della nuova fattispecie ex art. 316-ter c.p., a tutela del bilancio comunitario da condotte fraudolente, la quale persegue la finalità di portare ad ulteriore compimento il programma di protezione delle risorse finanziarie delle Comunità europee, stabilendo inoltre la soglia quantitativa al di sotto della quale si applica la sanzione amministrativa. c) È stata introdotta una nuova disciplina nell’art. 322-ter, diretta alla confisca del profitto o prezzo del reato rispetto ai delitti previsti dagli artt. 314-320 c.p. Questa disciplina si connota per l’obbligatorietà dell’applicazione giudiziale della confisca tanto nell’ipotesi di condanna, che di applicazione della pena su richiesta delle parti. Inoltre, ove la confisca del profitto del reato non sia possibile, l’art. 322-ter consente la c.d. confisca per equivalente, cioè di beni di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a quello di detto profitto e, comunque, non inferiore a q...


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