I reati contro il patrimonio PDF

Title I reati contro il patrimonio
Author Martina Fossati
Course Diritto penale ii
Institution Università degli Studi di Genova
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Riassunto del libro "Giurisprudenza commentata di diritto penale Volume I" del prof. Pisa unito agli appunti presi a lezione, limitatamente ai reati contro il patrimonio ...


Description

Reati contro il patrimonio Il furto e l’appropriazione indebita Il delitto di furto: la condotta di impossessamento: L’impostazione di questi reati è discutibile per la loro classificazione in reati verso il patrimonio con violenza o minaccia, che però include anche il furto, e con frode, che però viene meno in alcuni casi, come nell’appropriazione indebita o nella ricettazione o nell’usura. Nell’analisi si segue l’ordine del codice perché aumenta la complessità: l’art. 624 disciplina il furto (impossessamento della cosa mobile altrui) che si tratta del reato più frequente e più facile, ma è il frutto di una disciplina che si è evoluta nel tempo: nel codice del’30 c’era una disciplina molto rigorosa, era procedibile d’ufficio salvo pochi furti minori (art. 626) ed erano previste una serie di aggravanti ex art. 625 che rendevano difficile trovare un furto semplice, a volte erano anche furti pluriaggravati con pene elevate (mono aggravato da 1 a 6 anni, pluriaggravato da 3 a 10 anni) e con circostanze che determinano una nuova cornice edittale senza possibilità di bilanciamento. Nel 1974 abbiamo un aumento nell’ambito del bilanciamento delle circostanze per ammortizzare il rigorismo, ma riprende vigore la corrente di senso contrario e, all’inizio del 2000, abbiamo un primo mutamento con un trasferimento di due ipotesi di furto aggravato in una norma espressamente dedicata (art. 624 bis) diventando reati autonomi: sono il furto in abitazione e il furto con strappo. Apparentemente il trasferimento sembra avvenire alla pari, perché la sanzione va sempre da 1 a 6 anni, ma in questo modo le due ipotesi, diventando un reato autonomo, non sono più neutralizzabili dalle attenuanti (infatti nel 624 viene ripresa la fattispecie). Su queste due norme è intervenuto, e sta per intervenire il legislatore, l’inasprimento più evidente è dato dalla legge Orlando, infatti il minimo è salito a 3 anni e sta per salire nuovamente, insieme al massimo, arrivando da 4 a 7 anni, in ogni caso questo è giustificato perché nel quadro dei furti hanno un impatto diverso, perché si tutela sia il patrimonio che la persona. Gli elementi del furto sono l’impossessamento più la sottrazione della cosa mobile altrui (ma è anche possibile il furto del proprietario a danno del possessore) e sono la base per altri reati, per esempio la rapina ingloba gli elementi del furto con l’aggiunta di altri elementi caratterizzanti. Benché sia una figura collaudata, il furto ha aperto molte discussioni e una di esse è rimasta aperta fino a pochi anni fa e si basa proprio sulla condotta descrittiva del reato, che ne segna il momento consumativo, occorre infatti puntare l’attenzione sulla condotta dell’impossessamento: prima c’è una situazione di

estraneità dove il soggetto non ha il possesso della cosa (diverso dall’appropriazione indebita), ma mira ad averlo e una volta ottenuto si ha la consumazione del reato, perché il profitto è oggetto del dolo specifico e quindi non occorre aspettare il consolidamento del profitto. Sulla questione dell’impossessamento le interpretazioni non sono sempre state convergenti: mentre in dottrina girava una definizione che lo vedeva come un rapporto di fatto sulla cosa con una certa autonomia rispetto al precedente possessore, in giurisprudenza si faceva coincidere con la sottrazione che è menzionata nel 624, ma sembra un momento ancora antecedente allo spossessamento, che non sempre coincide, perché altrimenti ci sarebbe una ripetizione (da un vagone ferroviario butta la valigia dal finestrino: in quel momento abbiamo la sottrazione, quando scenderà dal treno se ne impossesserà). In questo caso il problema che ci si pone è se una volta che è stato sottratto il bene il reato è consumato anche se viene interrotto (es. porta alcune cose fuori dal locale)? Nel supermercato per esempio, il momento è importante perché non basta sottrarlo dallo scaffale, per alcuni serve qualcosa in più come nasconderlo: c’è quindi una contrapposizione fra la sottrazione e la signoria autonoma sulla cosa che si distinguono, in primo luogo, anche in base al controllo presente. Le Sezioni Unite sono intervenute con una lettura più vicina all’opinione della dottrina, quindi l’impossessamento viene definito come un rapporto autonomo al di fuori della sfera di vigilanza del proprietario, quindi al converso se si è sotto il controllo non c’è l’impossessamento completato e non viene considerato consumato il reato, è la perdita di controllo che influisce: “quando l’avente diritto o persona da lui incaricata sorvegli le fasi dell’azione furtiva, così da poterla interrompere in ogni momento, il delitto non è consumato neanche con l’occultamento della cosa sulla persona del colpevole”. Non influisce però il fatto che l’automobile sia dotata di impianto satellitare. Questa interpretazione leggermente ridimensionante rispetto a quella precedente della giurisprudenza è costruita sulle modalità di vendita delle strutture commerciali complesse, ma si può estendere anche ad altri ambiti (ladro che non esce dall’immobile non è più furto consumato). La tendenza della Cassazione, a dilatare la sfera di applicazione del furto a danno di altri reati, ha trovato riscontro nell’indirizzo che ravvisa il delitto di cui all’art. 624-625 nella condotta di chi trattiene cose dotate di segni esteriori pubblicistici che consentono di individuare il proprietario: “nell’ipotesi di smarrimento di cose che

conservino chiari ed intatti i segni esteriori di un legittimo possesso altrui, il venir meno della relazione materiale fra la cosa e il suo titolare non implica la cessazione del potere di fatto di quest’ultimo bene smarrito, con la conseguenza che chi se ne appropria senza provvedere alla restituzione commette il reato di furto e non di appropriazione delle cose smarrite”. Controversa è la questione riguardante il telefono cellulare in quanto, in alcune decisioni rientra nell’appropriazione di cose smarrite, perché il codice IMEI identifica la cosa, ma non la proprietà del bene, mentre altre decisioni ritengono che il bene conservi chiari segni del legittimo proprietario. La Cassazione è intervenuta in materia per chiarire la differenza fra cosa smarrita e dimenticata: la cosa smarrita è materialmente e definitivamente uscita dalla detenzione del possessore, mentre la cosa è momentaneamente dimenticata quando si conserva memoria del luogo in cui ritrovarla. Il dolo di profitto: per quanto riguarda invece l’elemento soggettivo è richiesto il dolo generico e accanto il fine di trarre profitto che è il classico dolo specifico e che viene descritto come conseguimento del profitto, ma non è necessaria l’effettiva realizzazione. Il problema però è il suo concetto: cosa significa agire allo scopo di trarre profitto? Anche qui in giurisprudenza viene data un’interpretazione molto ampia, che viene fatta coincidere con qualsiasi vantaggio o soddisfazione che chi ha agito pensa di poter ricavare (non solo economico), nella maggioranza dei casi non ci sono problemi, però ci sono alcune situazioni che fanno discutere, come per esempio prendere un oggetto per romperlo in un momento di rabbia o la sottrazione del telefono per leggere i messaggi, ma in questi termini ogni sottrazione è un furto, si perde quindi la funzione selettiva del dolo specifico (si usa quando la semplice definizione oggettiva è troppo ampia). È quindi utile aggiungere un riferimento al profitto che deve essere inteso come un vantaggio economico, ma anche non patrimoniale. Ci sono però dei limiti come per esempio il furto per scherzo, anche se a volte c’è un’interpretazione troppo estesa: furto di un estintore da ubriaco che poi però è stato svuotato, quindi tecnicamente è un furto perché lo scherzo si ha in un secondo momento e il soggetto ha solo evitato di comprarne uno, l’intento scherzoso deve quindi essere accompagnato alla successiva restituzione della cosa. Bisogna infatti prestare attenzione a non confondere il dolo specifico con il motivo, se un soggetto prende una cosa al fine di evitare di comprarla a sua volta si ha un dolo di profitto, se la prende per realizzare uno scherzo si rientra nel motivo. Il furto in domicilio e lo scippo: La legge 128/01 ha introdotto delle

modifiche in materia di furto ispirate ad un aumento del rigore e, in quest’ottica, due fattispecie aggravanti vengono trasformate in reati autonomi all’interno dell’art. 624 bis. Con la legge Orlando (L103/17) viene innalzato il minimo edittale dell’art. 624 bis che sale da un anno a tre anni, questo sulla base del fatto che vengono lesi interessi diversi dal solo patrimonio. Nel furto in privata dimora viene lesa la libertà di domicilio, per questo abbiamo un notevole distacco dal furto ordinario, soprattutto dal punto di vista quantitativo della pena che parte da 3 anni (furto ordinario 6 mesi). L’ambito di applicazione viene successivamente ampliato, infatti prima era il furto in abitazione o nelle pertinenze, ma ora, in linea con l’art. 614, la nozione si è ampliata: “tutti quei luoghi nei quali le persone si trattengono per compiere, anche in modo transitorio e contingente, atti della loro vita”. Ci sono però delle discussioni per alcune ipotesi molto dilatate, come l’attività commerciale o professionale: in questa ultima ipotesi in alcuni casi è stata interpretata come abitazione sulla base dell’orario di chiusura o apertura del locale. Le Sezioni Unite sono intervenute sul furto autonomo e in particolare sul furto in esercizio commerciale in orario di chiusura, stabilendo che occorre prestare attenzione agli atti di riservatezza, quindi ci deve essere una distinzione all’interno del locale: rientra nell’art. 624 se avviene nei luoghi accessibili a tutti, mentre nel 624 bis se avviene nei luoghi riservati ai dipendenti, questa decisione è proiettabile in molti altri contesti sulla base di come sono regolate le entrate (anche uno studio professionale): “il luogo di lavoro non rientra nei luoghi di privata dimora, salvo che il fatto sia avvenuto all’interno di un’area riservata alla sfera privata della persona offesa (…) luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non sono aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare”. Ci sono poi le pertinenze, sulle quali c’è una sentenza recente sul parcheggio condominiale, dove è stato riconosciuto l’art. 624 bis non per la riservatezza, ma perché è una pertinenza e, in quanto oggetto di specifica tutela del legislatore, ha una tutela privilegiata, però bisogna anche tener conto della percezione del soggetto, infatti ci deve essere un minimo di recinzione. Le circostanze aggravanti del furto: L’art. 625 prevede un elenco tassativo di circostanze aggravanti, nel corso del tempo si è verificato un aumento dell’inasprimento sanzionatorio anche per le fattispecie aggravanti. La riforma del 2001, che ha introdotto i due furti autonomi, aveva inevitabilmente previsto pene più elevate in caso di configurabilità

di una delle aggravanti speciali dell’art. 625 o di aggravanti generali, per mantenere una simmetria rispetto a quanto stabilisce l’ultimo comma dell'art 625 in tema di furto pluriaggravato: reclusione da tre a dieci anni. La legge Orlando innalza il minimo edittale da tre a quattro anni (conseguenza dell’aumento del minimo edittale per le fattispecie non aggravate). Inoltre viene prevista una blindatura delle aggravanti in questione, lasciando però l’attenuante della minore età e del ladro pentito, con la conseguenza che mentre prima il minimo di tre anni poteva scendere a uno, adesso la pena minima è bloccata a due anni e otto mesi (solo per i furti autonomi aggravati, per i furti comuni rimane la blindatura). Anche per le altre aggravanti si ha una tendenza ad interpretare in modo restrittivo, in particolare si è intervenuti sulla destrezza nel 2017, anche se c’era già stato un segnale su un’altra aggravante, nel 2013, quella del mezzo fraudolento. In quel caso si era posto il problema se l’occultamento sulla propria persona fosse considerabile come aggravante dal giudice, in quanto è un mezzo fraudolento che rende più difficoltosa la ricognizione di chi controlla. Le Sezioni Unite hanno disposto che il puro occultamento non sia sufficiente, se non viene dimostrata una particolare astuzia supplementare, quindi per esempio è configurabile nel caso in cui il capo di abbigliamento venga messo sotto un altro capo di abbigliamento proprio del ladro: “nel reato di furto, il reato di mezzo delinea una condotta dotata di marcata efficienza offensiva e caratterizzata da insidiosità, astuzia, scaltrezza, idonea, quindi, a sorprendere la contraria volontà del detentore e a vanificare le misure che questi ha apprestato a difesa dei beni”. Per quanto riguarda il furto con destrezza, questa viene definita come “approfittamento di un momento di distrazione” (furto in gioielleria) per le Sezioni Unite non c’è aggravante se non è stata provocata, quindi se si approfitta di un momento di distrazione indipendente dal ladro, mentre viene considerata se ci sono due complici dove uno distrae e l’altro ruba: “la destrezza richiede un comportamento dell’agente posto in essere prima o durante l’impossessamento del bene mobile altrui, caratterizzato da particolare abilità, astuzia o avvedutezza, idoneo a sorprendere, attenuare o eludere la sorveglianza sul bene stesso; sicché non sussiste nell’ipotesi di furto commesso da chi si limita ad approfittare di situazioni di disattenzione o di momentaneo allontanamento”. Una sentenza recente (non sulla giurisprudenza commentata) su un furto di una borsa dopo essere salito sul veicolo della vittima approfittando della distrazione, in questo caso se si fosse limitato a

prendere la cosa e basta non si potrebbe ravvisare la destrezza, ma l’aver preso con estrema rapidità l’oggetto mostra la particolare abilità del soggetto che è anche facilmente ravvisabile sui mezzi pubblici. 01/04/19 L’altro furto autonomo, introdotto nel 2001, è il furto con strappo che va visto in parallelo con la rapina. Di per sé le due formulazioni sono diverse: nel primo caso è un impossessamento di un bene altrui strappato dalla disponibilità della persona, mentre nel secondo caso l’impossessamento si ha con violenza, dolo o minaccia. Anche nel primo caso si potrebbe parlare di violenza, quindi occorre segnalare bene i confini, per rimanere nel furto con strappo occorre che la violenza rimanga circoscritta alla cosa che viene rubata, se si trasferisce anche alla vittima si passa nella rapina. Es. delinquente che incontra una donna per strada e le strappa la borsa, si rimane quindi nel 624 bis, se però la vittima non molla la borsa cade e viene trascinata, a quel livello il fatto è diventato una rapina perché la vittima subisce lo strappo della cosa ed è costretta a lasciare l’oggetto perché minacciata di un danno più grave o sottoposta a una violenza supplementare (anche preventiva e anche non troppo grave es. sgambetto). Questo non esclude che anche nel furto con strappo ci possano essere dei danni collaterali alla persona, ma questo non trasforma in rapina la vicenda (cade in seguito allo strappo), ci sarà una responsabilità a diverso titolo per un diverso reato. In ogni caso, avendo ridotto lo scarto fra il furto con strappo e la rapina la differenza è minore. Il furto d’uso: si tratta di un furto minore ed è disciplinato dall’art 626, è finito nel mirino della Corte Costituzionale per il fatto che veniva dato rilievo soltanto alla restituzione effettiva, senza valutare i casi in cui non sia stato in grado di restituire la cosa per forza maggiore o caso fortuito ed è per questo che è stata pronunciata una parziale declaratoria di incostituzionalità. Sempre in materia vi è un altro orientamento giurisprudenziale che nega la configurabilità del tentativo nel furto d’uso, sulla base del fatto che, tale fattispecie implica la restituzione della cosa e questa non può avvenire in caso di mancato impossessamento. Questa tesi tuttavia non è accettata dalla dottrina sulla base del fatto che, chi viene punito per furto d’uso, ha cagionato un minor pregiudizio alla persona offesa e non è corretto sostenere che in caso di mancato impossessamento si verifichi un pregiudizio maggiore. Concludendo, per rientrare nel furto d’uso, non basta un mero uso illegittimo della cosa, ma occorre una sottrazione al detentore ed un successivo impossessamento, non sussiste quindi se viene solo

usata in loco. L’appropriazione indebita: in materia la Cassazione stabilisce che “affinché sussista il reato di appropriazione indebita occorre che sussistano simultaneamente l’omessa restituzione della cosa, un atto di disposizione uti dominus e la sussistenza della volontà soggettiva di convertire il possesso in proprietà”, quando riguarda una somma di denaro questo non può configurarsi se le somme non sono state date in prestito con un vincolo di uso o destinazione, in quanto l’agente deve violare questo vincolo attraverso un utilizzo personale. La condotta prevista per l’appropriazione indebita, definita con il termine di distrazione, consiste nel dirottare a favore di un terzo del denaro ed è diverso dal peculato, perché nel primo caso l’appropriazione è orientata verso l’impadronirsi della cosa, mentre nel secondo caso si tratta di un uso arbitrario del bene. In questo ambito le Sezioni Unite hanno stabilito che “si configura il reato nel caso in cui un dipendente di un istituto bancario abbia concesso un fido al cliente violando, in collusione con lo stesso, le norme sugli affidamenti stabiliti dagli istituiti. Sotto il profilo oggettivo il dipendente bancario realizzando un’arbitraria attribuzione dei beni della banca a favore di terzi, compie un atto di disposizione uti dominus (...) qualora poi avvenga in collusione al fine di procurargli un ingiusto profitto, si realizza anche l’estremo soggettivo del reato di cui all’art. 646”. Più controversa è la questione relativa al titolare che non versa le somme trattenute a vario titolo dai propri dipendenti, perché in alcune sentenze è stata definito come appropriazione indebita, in quanto comunque di proprietà del dipendente, mentre in altri casi no, perché privo del requisito dell’altruità (si tratta di un sostituto di imposta che è debitore in proprio e non responsabile di un debito altrui), le Sezioni Unite hanno negato la configurabilità dell’appropriazione indebita in quanto, le somme trattenute non possono essere qualificate come altrui perché rimangono indifferenziate con le altre nel patrimonio del datore. Un altro caso in cui non si configura è quando la res è tenuta a titolo di garanzia di un preteso credito, inoltre non si configura neanche l’appropriazione indebita d’uso, in quanto elemento essenziale è l’inversione del possesso in dominio. Tuttavia nonostante l’uso indebito sia una condotta ambigua non si può negare che, nel caso in cui l’uso porti ad un deterioramento o logorio della cosa, si rientri nell’appropriazione indebita. Infine occorre sottolineare che si tratta di appropriazione indebita e non di truffa quando l’artificio o il raggiro non risultano necessari all’appropriazione, ma per nascondere l’appropriazione stessa (false annotazioni di versamenti

per giustificare ammanchi nel bilancio). Reati contro il patrimonio con violenza o minaccia Il delitto di rapina propria: La rapina è un reato composto (furto + violenza privata) disciplinato dall’art. 628 dove abbiamo due figure, la rapina propria (c1) e impropria (c2): quella propria è quella più facilmente percepita, abbiamo quindi una violenza/minaccia che avviene prima ed è strumentale alla rapina stessa. Le forme di violenza possono essere le più svariate, dall’impiego della forza fisica, alla neutralizzazione delle capacità del soggetto. Per quanto riguarda la minaccia, in genere, deve essere una minaccia esplicita: “per la configurabilità del reato di rapina, ad integrare l’elemento della minaccia è sufficiente qualsiasi comportamento o atteggiamento verso il soggetto passivo idoneo ad incutere timore e a suscitare la preoccupazione di un danno ingiusto”. Lo schema è quello che vede la prima parte della condotta, cioè la violenza o la minaccia che precede l’impossessamento, che determina la consumazione del reato, nell’ambito della rapina propria c’è un ampio margine per il tentativo, commesso con atti del tutto atipici, che può anch...


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