Contro il decoro - Riassunto Sociologia urbana PDF

Title Contro il decoro - Riassunto Sociologia urbana
Author Simona Angeloni
Course Sociologia urbana
Institution Università degli Studi di Firenze
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Summary

CAPITOLO 1Per cominciareIl decoro ha vinto sull’indecenza? In questo breve saggio mi propongo di argomentare che, se la nuova messa in scena sembra proporre un nuovo corso, viceversa decoro e indecenza non solo non si escludono a vicenda, ma si implicano, delineando modalità di controllo e disciplin...


Description

CAPITOLO 1 Per cominciare Il decoro ha vinto sull’indecenza? In questo breve saggio mi propongo di argomentare che, se la nuova messa in scena sembra proporre un nuovo corso, viceversa decoro e indecenza non solo non si escludono a vicenda, ma si implicano, delineando modalità di controllo e disciplina orientate per un verso a tenere in riga un ceto medio impoverito e impaurito e per altro verso a contenere i giovani di ambo i sessi e di tutte le nazionalità. Sebbene questo saggio interroghi la peculiare modalità con cui la cultura neoliberista si è dispiegata in Italia nel ventennio berlusconiano, l’intrecciarsi tra “decoro” e ciò che ho convenuto chiamare “indecenza” non finisce d’un tratto e proietta la sua ombra sul nuovo corso, ammesso che di nuovo corso di possa parlare. Cosa che contribuisce a mettere in luce come siano le donne, volenti o nolenti, e gli stereotipi del femminile ad essere al centro di questo intreccio. I corpi delle donne come luogo della sessualità e del desiderio. Decoro è tutta via parola altrettanto usata per giustificare atti del governo passato e ancor più politiche e proposte dei governi locali, di tutti i colori. Decoro e dignità sono risuonate per deprecare i bunga bunga e le barzellette sconce, l’abbondanza di “veline” e corpi femminili nudi sulle tv generaliste, le esibizioni dell’ex premier negli incontri internazionali e in generale l’atmosfera da “nani” e ballerine promossa ai massimi vertici delle istituzioni pubbliche. Le crociate contro le prostitute di strada, i lavavetri, gli accampamenti rom, i mendicanti sono state giustificate (anche) in nome del decoro, da destra non meno che da sinistra, come vedremo. Sul piano del discorso pubblico, dopotutto, sembrano ripetersi vecchie contrapposizioni, i nani e le ballerine da una parte e l’austerità dall’altra. La continuità c’è, ma i contesti sono diversi, e i significati di ambedue le metafore, conseguentemente, cambiano. Al di là dei discorsi politici in senso stretto, tuttavia, ciò che vorrei fare, lo ripeto, è mostrare come decoro e indecenza non si contrappongono affatto sul piano delle politiche pubbliche nazionali e locali, e ancora più su quello delle loro giustificazioni e degli effetti culturali e simbolici che possono essergli imputati. Paura, sicurezza, controllo sociale Dice Jonathan Simon che in USA si governa dalla fine degli anni Sessanta “through crime”, attraverso la criminalità. La data è significativa: è il momento in cui va in crisi il consenso keynesiano e con esso il welfare. In questi ultimi dieci anni la letteratura su questo argomento si è moltiplicata. Il buon cittadino e la buona cittadina sono coloro che corrono rischi e fanno di tutto per prevenirli da soli, ossia senza ricorrere a risorse pubbliche. Certo, per le donne la questione è un po’ diversa, perché l’insistenza sulla prevenzione è molto più forte per loro, sollecitate piuttosto a essere caute e prudenti che a correre rischi. Di qui la centralità della nozione di vittima, estesa a tutti noi ed essenziale oggi per avere una qualche voice. Di qui, anche l’esclusione della buona cittadinanza, o della cittadinanza tout court, di chi non può permettersi di correre rischi perché non ha le risorse necessarie per prevenirli. Società dell’insicurezza, comunità dell’ansia, così Bauman chiama le nostre società attuali, alla perenne ricerca di capri espiatori e tendenti alla chiusura in “comunità i complici”. Oggi, le culture del controllo sociale si distinguerebbero tra una criminologia della vita quotidiana e una criminologia dell’Altro. Per la prima, la criminalità è “normale”, si tratta semplicemente di individuare i modi migliori per evitare che la gente perbene ne rimanga vittima. Wacquant e De Giorgi parlano di una criminalizzazione della povertà, di uno Stato penale che si sostituisce ad uno Stato sociale nel mutamento del modo di produzione dal fordismo l postfordismo. Si può dire, in generale, che il pervasivo sentimento di insicurezza, riscontrabile facilmente in buona parte dell’Europa occidentale e negli USA, viene dirottato verso minacce e pericoli che con questo sentimento hanno poco a che fare, ma che sono invece apparentemente aggredibili con i (pochi) strumenti adesso disponibili per i governi nazionali e locali. In una democrazia sottesa dal principio di eguaglianza, ci deve essere anche qualcosa a cui aspirare, qualcosa cui agganciare il desiderio. La speranza è anche risorsa scarsa (come lo è la fiducia), ma senza di essa governare è diffcile, se non impossibile. La questione allora è, da un lato, come si coniugano paura e speranza, paura e desiderio: e, dall’altro, come essi si declinano e vengono interpretati in contesti sociali e politici diversi. Controllo sociale è concetto che è stato definito in molti modi. Una molteplicità di processi volti da una parte a produrre motivazioni all’agire e dall’altra a reprimere motivazioni e comportamenti considerati devianti, inappropriati, illegittimi. Nella letteratura oggi troviamo concetti in parte sovrapponibili a questa definizione di controllo sociale, e in parte divergenti: disciplina, governabilità e biopolitica, dove gli ultimi due implica il controllo sociale, inserendo i processi cui questa nozione fa riferimento dentro un quadro teorico di ascendenza foucaultiana.

Le metafore del decoro Decoro è termine utilizzato per significare cose diverse. Un comportamento è “decoroso” quando è adeguato al tipo di persona e al contesto in cui si dispiega; una casa è “decorosa” quando è (abbastanza) pulita e in ordine, magari a dispetto della posizione sociale di chi la abita. Questo aggettivo viene usato di solito per persone e luoghi che si situano ai livelli medio-bassi della società. Nel dizionario, la prima accezione di decoro è “complesso di valori e atteggiamenti ritenuti confacenti a una vita dignitosa, riservata, corretta”, ma anche “dignità che si manifesta nell’aspetto e nel contegno”. È sinonimo, appunto, di “dignità, continuo, convenienza, discrezione”. Ma se i ricchi possono essere “discreti”, forse “dignitosi”, ben difficilmente saranno definiti “decorosi”. Decoroso è chi sta nei limiti, e i limiti devono almeno sembrare, se non essere autoimposti. I limiti cambiano a seconda di molte variabili e della situazione, e dunque un'analisi dei limiti può dire molto riguardo ai processi di controllo sociale. Nel senso comune prevalente il sostantivo “decoro” e l'aggettivo “decoroso” non si applicano a tutte le posizioni sociali. Nel lontano 1899, Thorstein Veblen (2007) sosteneva che la classe agiata improduttiva, ossia i capitalisti dediti alla speculazione, per i quali il possesso e l'esibizione di beni costosi è segno di distinzione e valore sociale, sarebbero stati sostituiti, come classe dirigente, dagli industriali e dagli ingegneri. Negli ultimi 30 anni del secolo scorso, viceversa, la speculazione finanziaria si è imposta sulla produzione industriale e la distinzione e il valore sociale della classe agiata si sono manifestati nell' ostentazione non solo di beni costosi, ma di uno stile di vita perché a volte si dice l’assoluta noncuranza verso i limiti imposti a tutti gli altri. Ostentazione della ricchezza e assenza di limiti sono altresì proposte dall’ammirazione e mostrate come raggiungibili. Esse rappresentano l'oggetto del desiderio. L’abnorme crescita del divario tra i più ricchi e i più poveri, dentro la stessa società e tra le società, è stata sostenuta dall'egemonia di un discorso pubblico che enfatizza la possibilità di emergere solo a condizione che ciascuno e ciascuna di noi si renda disponibile a correre rischi individualmente, rinunciando alle protezioni dello Stato di welfare e a quelle derivanti dall'appartenenza alle collettività riuscita. L’egemonia neoliberale si afferma attraverso due discorsi complementari, che hanno in comune le frasi sulla responsabilità individuale e il rischio: il buon cittadino è contemporaneamente quello che rischia e quello che si mette al riparo dai rischi. Tutto, beninteso, da solo, poiché la dipendenza delle risorse statali, sempre più magre, non è più nemmeno una fatalità, ma una colpa. Infatti chi non può correre rischi nemmeno può evitarli: sono i cattivi cittadini, cui fare la carità e/o tenere a bada. Non è solo la paura, allora, a produrre consenso. Ci vuole anche un valore forte e positivo: la libertà. La libertà, individuale, di desiderare e rischiare. Gli ultimi 30 anni hanno contrapposto libertà ed uguaglianza, facendo dell'eguaglianza l'ostacolo all’affermazione individuale, il freno alla crescita, il simbolo dell'invadenza statale e del primato del pubblico, la parola d'ordine dei fannulloni, dei senza merito e degli invidiosi, l'obiettivo e la giustificazione della barbarie comunista. Accanto alla paura, ci vuole qualcos'altro per tenere a bada chi non ce la fa: appunto, l'appello al decoro. Ma il decoro non riguarda solo le persone. Si applica anche alle case e ai luoghi. Quindi, il confine tra paura e decoro si fa molto sottile. L'analogia con la casa può essere illuminante. Una casa decorosa è in primo luogo una casa “in ordine” e pulita. L’ordine e la pulizia a loro volta evocano il lavoro indefesso e invisibile della casalinga in lotta contro germi e batteri, impegnata nel tenere sporco e confusione fuori dalle mura domestiche. L’ordine e la pulizia della casa rimandano al desiderio di controllare il proprio mondo a sé. Così per la città. Ripulire dallo sporco e dal disordine che turbano o minacciano la vita dei buoni cittadini. Pulizia non vuol dire soltanto né soprattutto rimuovere la spazzatura, riparare le buche, togliere ciò che ostruisce tombini e canali di scolo.

L’indecenza Se in tutto l’Occidente imperano l'economia e l'egemonia liberista, con il loro impasto di paura e di individualismo spacciato per libertà, noi abbiamo fatto meglio di più. Razzismo e xenofobia li abbiamo messi al governo, prima ancora dell’Ungheria. Sessismo e razzismo vanno insieme, come si sa. Le donne sono il primo Altro degli uomini e nell'immaginario maschilista sono le depositarie insieme del passato e del futuro, delle tradizioni e delle identità della nazione così come della sua continuità. Il "celodurismo" su questo è del tutto esplicito: si tratta, per i Veri Uomini di difenderle dall'assalto dei barbari in tal modo preservare la comunità dal contagio e dalla dissoluzione. In Italia il “celodurismo” è stato al governo nazionale ed è ancora in molti governi locali del nord. Non basta: i corpi delle donne sono stati utilizzati dentro uno scenario mediatico in cui vengono presentati come l'obiettivo e l'oggetto del desiderio, come il giusto premio per chi ce la fa, mentre le donne stesse quest’uso del proprio corpo è fortemente proposto come il modo

migliore di farcela. Riguarda tutti i corpi, perché il corpo è al centro dei dispositivi di controllo sociale in molti modi, e il modo in cui esso si dispiega in Italia sta il cuore di ciò che viene chiamato “berlusconismo”. E gioventù e prestazione fisica sono diventati requisito fondamentale per fare carriera, non sono dello spettacolo ma ovunque, specie in politica, almeno nella compagine di Berlusconi. Ciò che viene chiamato “indecente” (e deplorato) da molti è questo impasto di volgarità al potere, proposto come allegro e festante, colorato e canoro, condito dalle barzellette sconce dell'ex primo ministro e dalle sue boutade all'estero. I corpi sono merci e la merce è tutto. In anni molto recenti, sulle TV compariva uno spot a cura della Presidenza del Consiglio, in cui alcune persone che camminavano con acquisti venivano ringraziato da tutti quelli che incontravano: il primato del consumo per il buon andamento dell'economia riguarda ogni cosa, anche, se non soprattutto, se stessi e il proprio corpo – beninteso, se questo corpo è giovane e bello. Se non lo è, meglio nasconderlo e nascondersi. La cosiddetta indecenza funziona in realtà come il rovescio speculare del decoro: si pone come il desiderabile e anche il giusto, visto che fa marciare l'economia, e come ciò che si addice ai ricchi, proprio come nel caso della classe agiata di Veblen. Non i ricchi da sempre, quelli che non ostentano ciò che hanno, quelli del cosiddetto salotto buono, l'alta borghesia discreta che coltiva le arti e il buon gusto, dipinta come elitaria e arrogante. Di questo tipo di ricchi non si può aspirare a far parte. Ecco invece quelli che si sono fatte avanti da soli, che condividono con il popolo gusti, linguaggi, desideri. Populismo, certo, ma in salsa nuova. Che è cosa ben diversa dall’etica protestante di weberiana memoria: duro lavoro, risparmio, morigeratezza dei consumi. Del resto qui i soldi sono fatti con lo spettacolo, uno spettacolo che oltretutto poggia sul sull’esibizione di ragazze seminude, e con la pubblicità. Bisogna aggiungere che è uno spettacolo "indecente" anche per i rischi da sempre, sebbene questi ultimi sono stati perlopiù zitti finché ne trovano qualche vantaggio: il bianco e nero del governo Monti gli si addice molto meglio. Come scrive Tony Judt nel suo ultimo libro (2011), “Il contrario di austerità non è ricchezza, ma luxe et volupté. Abbiamo sostituito l'interesse pubblico con il commercio infinito, e non ci aspettiamo aspirazioni più nobili dei nostri leader. A 60 anni da quando Churchill poteva offrire solo “sangue, fatica, lacrime e sudore” il nostro attuale presidente di guerra non ha trovato nulla di meglio da chiederci dopo l'undici settembre 2001 che continuare a comparare. Ciò porta ad un'altra riflessione: il decoro non è l'austerità. Sacrifici di oggi, viceversa, diminuiscono i diritti sociali, dividono e, continuando a rifarsi alla retorica e all'etica neoliberista, si avvalgono, come prima, del "decoro" per governare: con la differenza che adesso il "decoro" viene anche usato come legittimazione del buon diritto dei governanti a governare. CAPITOLO 2 Sul piano nazionale Le prostitute La questione della prostituzione di strada appare e scompare dal dibattito pubblico almeno da quando fu promulgata, nel 1958, la legge Merlin. Si proponeva esclusivamente di eliminare la regolamentazione della prostituzione, la quale ne permetteva l’esercizio soltanto dentro le cosiddette “case chiuse” e sottoponeva le prostitute ad un regime di esami sanitari obbligatori. La senatrice Merlin non si proponeva di “eliminare la prostituzione”, ma soltanto di liberare le prostitute da una situazione di semischiavitù e da ricatti da parte delle forze dell'ordine. Poi, per quelle che lo avessero richiesto, venivano disposte misure di “recupero” e aiuto. Negli anni la prostituzione femminile, ma anche maschile e transessuale, si è diversificata enormemente. Oggi, sulla strada, la maggioranza di chi si prostituisce è straniera. Ma c'è un vasto e variegato mercato del sesso sul web, nei privè, e naturalmente negli appartamenti. Spesso la vendita di servizi sessuali è occasionale e temporanea, o serve per aggiungere altri scopi, per esempio un avanzamento di carriera, un posto di lavoro, una qualche posizione ambita. Il fenomeno delle cosiddette “escort”, venuto alla ribalta di recente con le avventure del nostro ex primo ministro, mostra appunto quanto sia riduttivo parlare di prostituzione come se si trattasse di un mondo unitario e omogeneo, sotteso soltanto da miseria, sfruttamento, coercizione, tratta. I compratori sono per lo più uomini. La discussione pubblica riguarda prevalentemente la prostituzione di strada e si incentra su tre punti principali: • La sicurezza e il decoro. • La coercizione e lo sfruttamento. • La dignità delle donne.

Sono tre punti connessi, che vengono richiamati spesso, confusamente, insieme, per giustificare la richiesta alla proposta di apposite misure legislative e amministrative. Le prostitute sono viste come vittime della disuguaglianza di genere e della sessualità predatrice degli uomini, privati della loro dignità, indotte a prostituirsi dalla miseria, dai ricatti, dalla tratta, dalla pura e semplice prescrizione. La vendita dei servizi sessuali per strada produce disordine, è uno spettacolo indecente, intralcia il traffico, disturba i cittadini e le cittadine per bene. Ci sono però molte femministe che, al contrario, distinguono tra coercizione e libera scelta, avendo deciso di tenere in conto le voci di quelle tra le “sex workers” ad essa si richiamano. In questo come in altri casi il dibattito sulla disciplina giuridica più adeguata confonde spesso diritto e morale, ciò che sarebbe “giusto” e ciò che è “bene” se con una morale particolare assunta a morale assoluta. Se si resta sul piano del "giusto", allora bisogna considerare anche le esigenze di chi vende sesso, assieme a quelle di chi viene eventualmente disturbato dal traffico e dal disordine di questo mercato nelle scale di casa sua. A differenza delle droghe, la vendita di sesso, in Italia, non costituisce di per sé reato, e chi acquista sesso, a differenza di chi acquista droga, non incorre in sanzioni, ma se sesso e droga hanno in comune l'essere merci richieste e acquistate dai cittadini per bene. Sicché le proteste dei suddetti cittadini per il disturbo della loro quiete e per lo spettacolo esibito sotto gli occhi dei bambini dal mercato sessuale nelle pubbliche vie deve bensì essere preso sul serio, ma senza moralismi, perché tra questi cittadini vi sono anche quelli che il sesso in strada lo comprano. La vigente legge sulla prostituzione, la legge Merlin, non punisce la vendita di servizi sessuali, ma introduce il reato di sfruttamento e di favoreggiamento della prostituzione. Possono essere imputati tutti quelli che in qualsiasi modo traggono profitto dei guadagni della prostituta: ossia anche il marito e i figli maggiorenni. Il divieto di tenere case di tolleranza fa sì che si incorra in reato anche quando si condivide l'appartamento con un'altra prostituta. Negli anni, le proposte di legge per cambiare la Merlin in senso più restrittivo si sono moltiplicate, fino all'ultimo disegno di legge presentato dalla ex ministra per le Pari Opportunità Mara Carfagna all'inizio della legislatura (2008) e approvato alla Camera. In quanto fenomeno che crea "allarme sociale", prostituirsi in strada diventa reato e ciò, aggiunge la ministra significativamente, sia per tutelare "il decoro" che per combattere lo sfruttamento e la criminalità organizzata che lo gestisce. Questo disegno di legge innova la Merlini vietando dunque l'esercizio della prostituzione per strada e introducendo sanzioni amministrative anche per il cliente. Ma esso viene giustificato non solo in nome del decoro, della sicurezza e della lotta alla criminalità organizzata: è il bene delle prostitute stesse che si intenderebbe perseguire, attraverso l'introduzione di pene severe per i clienti di prostitute minorenni e la sospensione dell’espulsione per le prostitute che denunciano i loro sfruttatori. L’esercizio in strada è ormai praticamente monopolio di donne straniere e questo è uno dei motivi addotti per vietarlo, un motivo doppio: per un verso, va fermata l'invasione straniera; per l'altro “bisogna salvare queste donne dalla tratta”. Secondo alcune stime le prostitute sarebbero da 50.000 a 70.000, il 65% straniere. Solo un 20% eserciterebbe in strada e circa un 20% del totale lo farebbe in stato di coercizione. I clienti, invece, sono stimati in circa 9 milioni: i mediamente giovani e benestanti si rivolgerebbero agli appartamenti e ai club; i più anziani di estrazione medio e basta sarebbero quelli che cercano sesso in strada. Il divieto di esercitare in strada, però, è difficilmente giustificabile con la lotta alla tratta. Molte associazioni di settore, infatti, ritengono che l'essere reclusione in appartamenti renda molto più esposte alla coercizione e allo sfruttamento, se non altro perché chi decide di prostituirsi dovrà per forza chiedere l'aiuto delle organizzazioni che trovano e gestiscono questi appartamenti. L’idea, naturalmente, è che nessuna donna decide di vendere il sesso “liberamente”. Sappiamo viceversa che nella maggioranza dei casi la “tratta” consiste nel pagare per entrare in Italia legalmente, e che è l'essere senza documenti e dunque senza diritti che espone queste donne, così come gli altri migranti clandestini, allo sfruttamento. La maggior parte delle giustificazioni addotte per evitare e punire la prostituzione è ipocrita. In Italia la prostituzione soft è di fatto sponsorizzata e incoraggiata: solo da noi le tv gior...


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