Denis Bertrand, basi di semiotica letteraria: capitoli 8 e 9 PDF

Title Denis Bertrand, basi di semiotica letteraria: capitoli 8 e 9
Author MARTIN BALDUCCI
Course Semiotica
Institution Università degli Studi di Siena
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Summary

Riassunto dei capitoli 8 e 9 del libro di Denis Bertrand "basi di semiotica letteraria", richiesti per l'esame di semiotica tenuto dal professor Tarcisio Lancioni...


Description

IL RIASSUNTO

BASI DI SEMIOTICA LETTERARIA

Denis Bertrand Parte IV: La narratività

Capitolo 8 – Dall’analisi del racconto alla narratività 8.1 – Cenni storici Il punto di svolta nelle scienze umane per ciò che riguarda la riflessione sul racconto si individua con l’uscita, nel 1966 dell’ottavo numero della rivista “Communications”. L’importanza di questo evento sta nei contenuti pubblicati: studi di Barthes, Bremond, Eco, Genette, Metz e Todorov, che si dirigevano tutti nella direzione di una razionalizzazione della finzione narrativa, quindi alla nascita di una quasi-disciplina: la narratività o narratologia. Nella sovversione di metodo si ha il passaggio dalla “intelligenza narrativa” (Ric œur), derivante dalla tradizione della “messa a intreccio” quindi cronologica e legata all’evoluzione storica, alla “razionalità semiotica”, scollegata dalla storia e alla ricerca di strutture profonde immanenti, che trovano nelle configurazioni di superficie solo una manifestazione particolare (Immanenza: avendo le forme strutturali una propria funzionalità, queste sono indipendenti ed incondizionate da fatti extralinguistici). L’evoluzione della messa in intreccio per Ricœur (sulla scia degli studi di Lukacs) produce il romanzo moderno attraverso un rovesciamento della gerarchia “intreccio”-“carattere”. Se prima l’intreccio era omnipervasivo e subordinava pensieri, affetti e caratteri che li esprimono e configurano (in semiotica, lo studio sui caratteri proseguirà con l’ausilio del concetto di “ruolo tematico” degli attori), inizia poi un processo di progressiva estensione dei caratteri, in cui Ricœur riconosce tre tappe: 1. Estensione della “sfera sociale” nel romanzo. In questa fase eroi esemplari (Perceval, in Chretienne de Troye) o persone comuni (nel romanzo picaresco) incarnano valori complessivi della società, talvolta anche in modo ironico; 2. Intreccio subordinato alla “scoperta di sé”. Il romanzo di riferimento di questa fase è il “romanzo di formazione”, vitale fra il XVIII e metà XX secolo. Basi della complessità dell’episodio qui saranno complessità e ricchezza del carattere. Autori esemplari sono Stendhal, Balzac, Dostoevskij e Tolstoj; 3. L’interiorità subordina l’intreccio. Con il “flusso di coscienza” (Flaubert, Proust, Woolf) l’interiorità (livelli di coscienza, desideri, timori, affetti e percezioni) ricopre la totalità della messa ad intreccio. Questa fase è ben rappresentata anche dal “nouveau roman” (Sarraute, Robbe-Grillet, Simon). La rivoluzione della narratologia porta con sé l’allontanamento dall’intelligenza narrativa storica, l’allontanamento dalla storia in favore allo studio di vincoli strutturali acronici. Questa rivoluzione è spiegabile per molte ragioni: -

La diversità culturale del fatto narrativo. Il fatto narrativo ha grande varietà interna, rendendo qualsiasi processo intuitivo fallimentare. Esempio dell’affermazione precedente è stato il ripetuto tentativo di costruzione di una definizione formale e consensuale dei “generi”, sempre con esito negativo. Un fatto narrativo può differenziarsi culturalmente in base a: a) Forma espressiva (orale, gestuale, iconica, scritta, …)

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b) Supporto (testo scritto, film, fumetto, pittura, conversazione quotidiana, …) c) Classe narrativa, genere e sotto-genere (mito, epopea, fiaba, novella,dramma, poesia, …) L’affermazione del processo deduttivo. Progressivamente va affermandosi il processo deduttivo, che, partendo da un assioma (principio evidente di per sé), crea modelli ipotetici poi messi alla prova, deriva sottoclassi e crea gerarchie e rapporti di interdefinizione fra concetti operatori. Questo procedimento sembra efficace contro la complessità empirica, isolandone le regolarità e formulandovi sopra delle regole. L’influsso delle categorie fondamentali dei processi linguistici. Questi modelli venivano utilizzati prima nell’ambito della fonologia, poi nell’analisi della semantica e quindi nell’analisi del discorso. Essendo il racconto una delle classi discorsive più ampie, la sua natura transculturale giustifica la ricerca di universali semantici e sintattici che possano generarne le forme. Il sistema: autonomo ed organico. Il racconto è un sistema in quanto autonomo ed organico, perché al suo interno il “tutto” è prioritario rispetto alle “parti”, c’è una gerarchia nei livelli di analisi e si possono integrare i suoi elementi costitutivi in un insieme. È così che la narrativa può essere vista come l’insieme delle dinamiche che integra fatti ed elementi sconnessi ed eterogenei in una storia completa, articolata ed ordinata.

Per tutte queste ragioni, i rapporti tra forme dell’espressione e forme del contenuto (principalmente intesi come articolazione e integrazione) possono essere analizzati prescindendo da ogni riferimento diretto alla tradizione narrativa. Roland Barthes, in epoca strutturalista, invitava a: “decronologizzare e rilogicizzare!”. Di contro Ricœur si interroga sull’effettiva radicalità e addirittura sulla validità del pensiero di Barthes. Per Ricœur la narrativa ha carattere irriducibilmente storico e afferma che i tratti della decronologizzazione vanno contro a fondamenti stessi del racconto. Decronologizzare, infatti, significa distaccarsi da una parte dalla storicità della funzione narrativa (mentre l’intelligenza narrativa si inscrive nel tempo umano e sociale: la tradizione ne fonda l’esercizio) e dall’altra distaccarsi dalla dimensione temporale del racconto, che per Ricœur, rappresenta uno dei tratti fondamentali del racconto, rendendolo parte integrante nella costituzione dell’esperienza fenomenologica del tempo. La semiotica narrativa, indeboldendo la dimensione temporale, la ritiene comunque solo una realizzazione di superficie, legata all’enunciazione. Per la semiotica narrativa, le strutture soggiacenti alla temporalità sono acroniche: trattasi di operazioni di trasformazione estranee a qualunque manifestazione della esperienza temporale (Fenomenologia del tempo: Complesso delle manifestazioni esteriori che affiancano lo svilupparsi del processo temporale).

8.1.2 - La fondazione della narratività: Propp La riflessione sulla narratività comincia con “morfologia della fiaba” di Propp, pubblicata nel 1928 a Leningrado (oggi San Pietroburgo), tradotta prima in inglese nel 1958 e poi in italiano nel 1966, oggetto di numerosi commenti e pilastro del formalismo russo. Claude Levi-Strauss nel 1960 si propose di far conoscere quest’opera in Francia, con il suo saggio “La struttura e la forma. Riflessioni su un’opera di Vladimir Ja. Propp”. Questo testo nasce in un contesto di studi folkorici, di carattere storico, esaminanti fonti, corrispondenze e genealogie di fiabe. È con questa opera che Propp sprona allo studio dell’oggetto “fiaba” in quanto oggetto stesso, analizzandone la morfologia, quindi le regolarità e le sue variazioni formali. La forma della fiaba popolare è dunque individuabile nella costanza dei suoi elementi (personaggi e attori) e relazioni (concatenazioni di azioni). Era intento di Propp, quindi, “logicizzare” il racconto e “decronologizzarlo” almeno parzialmente. La morfologia di Propp si compone di 4 tesi elaborate sul modello delle fiabe di magia slave, prese (dalla numero 50 alla 151) dalla raccolta di Afanas’ev:

1. Funzioni: le unità costitutive della fiaba. Le funzioni sono definite dal loro particolare segmento d’azione (divieto, fuga, infrazione, tranello, …) e sono presenti in tutte le fiabe, prescindendo dalle specificità del contesto figurativo (ambiente, personaggi, luoghi, tempi, …) che vengono escluse. A definire le funzioni è anche la significazione assunta nello svolgimento dell’intreccio, che può essere condivisa da atti diversi o, viceversa, diversificata per atti uguali (il “matrimonio” può avere sia la funzione di “tranello” che di “ricompensa”). Lo “svolgimento dell’intreccio” richiede un approccio rivolto alla sua finalità complessiva, finalità complessiva che è origine della diacronia interna del racconto; 2. Il numero limitato delle funzioni. Nonostante le azioni ed i personaggi di una fiaba possano essere innumerevoli, questi si fondano su un numero definito di funzioni, nell’opera originale di Propp, 31. Ognuna di queste funzioni è indicata con una lettera minuscola o maiuscola dell’afabeto cirillico o latino, con un simbolo, od una cifra araba o romana. Prima troviamo 7 funzioni di “preparazione”, seguite dalla funzione di “mancanza”, alla quale seguono funzioni di varia natura (“mediazione”, “lotta”, “ritorno”, …), in alcune fiabe, a questo punto, l’azione viene riproposta sino alla “vittoria” e quindi alla “ricompensa” finale. La costruzione dell’intreccio si fonda su di una segmentazione lineare ed orientata che conferma la sua natura finalistica: ogni “mancanza” o “danneggiamento” a seguito di funzioni preparatorie, è seguita da “ un nuovo movimento”. È la funzione di “mancanza” o “danneggiamento” che avvia la ricerca, svolgendo quindi il ruolo di fulcro dell’intreccio. La struttura dell’intreccio è quindi data da una catena di azioni: es.) mancanza -> partenza -> preparazione/prima funzione del donatore -> vittoria -> risoluzione de la mancanza -> arrivo dell’antieroe -> partenza -> preparazione -> vittoria -> ritorno -> ricompensa; 3. Funzioni: una successione fissa. Le varie funzioni si implicano reciprocamente. Alcune di esse possono essere raggruppate in coppie (divieto/infrazione, lotta/vittoria, …), svelando una struttura paradigmatica, mentre altre possono essere concatenate (mancanza > mediazione > preparazione > partenza), costituendo blocchi sintagmatici precostruiti. Ciascuna Fiaba utilizza solo un numero limitato di funzioni, senza però turbarne l’ordine. Le fiabe si differenziano quindi formalmente per la scelta delle funzioni da impiegare. Se Propp sostiene una compatibilità assoulta tra funzioni, LeviStrauss insiste su di “un sistema di incompatibilità tra le funzioni” durante la classificazione. Secondo questo ragionamento dunque, prendendo 2 coppie di funzioni (solitamente non compresenti nell’intreccio), che ciameremo “A” e “B” potremmo individuare 4 classi di fiabe: a) si impiega esclusivamente la coppia A; b) si impiega esclusivamente la coppia B; c) si impiega sia la coppia A che la coppia B; d) non si impiega né la coppia A né la coppia B. Abbiamo così ottenuto le condizioni su cui basare una classificazione strutturale. 4. Funzioni e protoforme. L’insieme delle funzioni note di una fiaba dà vita ad un solo tipo di racconto, formato dalla loro successione. Per Levi-Strauss tutte le fiabe di magia vanno ricondotte ad un solo tipo di struttura, perciò, la singola fiaba sarà una variante di una protoforma, una formula fissa che andrà, a seconda della combinazione delle funzioni con le quali sarà compilata, a formare la fiaba nelle sue specificità. Un esempio di protoforma: i e X¹ Y² ≠ L¹ V¹ Rm⁴ ↓ N** (n₀) Dove le lettere significano: i: situazione iniziale e: allontanamento X¹: mancanza/danneggiamento Y²: mediazione ≠: partenza L¹: lotta V¹: vittoria

Rm⁴: rimozione della mancanza/danneggiamento ↓: ritorno N**: RICOMPENSA 1 – nozze e conseguimento del trono (n₀): RICOMPENSA 2 – semplice ricompensa in denaro I personaggi di una fiaba sono determinati dalle funzioni che svolgono, cioè dalla loro “sfera d’azione”. Per questo motivo sono di numero limitato, cioè 7: antagonista, donatore, aiutante, persona cercata, mandante, eroe e falso eroe. Riducendo questo elenco, Greimas stilerà l’inventario degli attanti e dei ruoli attanziali.

8.1.3 - La logica dei ruoli: Bremond La logica del racconto di Bremond nasce nel 1973, sviluppata su di una duplice critica al modello di Propp. Nel modello di Propp, per Bremond, il focus sul lato meccanico della concatenazione delle funzioni è vincolante, ed oltretutto la trascurabilità del personaggio impedisce la comprensione della logica narrativa, che necessita, invece, della sua prospettiva. Bremond si oppone al percorso obbligato del modello Proppiano, proponendo scelte ed alternative, per Bremond la struttura del racconto presenta una lista di itinerari narrativi possibili, passibili di arricchimento o degradazione. Questa visione anticipa la nascita dei racconti arborescenti ed interattivi (anni ’80), nei quali è il lettore ad essere l’eroe. Il suo metodo è una critica alla natura teleologica del racconto, che fa coincidere il senso al termine cui lo stesso tende. Una logica narrativa formale per Bremond non deve sottomettersi ad un senso perlopiù di natura culturale, tantomeno all’interno di un dispositivo che aumenta le alternative nel suo svilupparsi: numerosi fini sono teoricamente possibili, come mostrano per esempio le diverse alternative di scelta in un modello ad albero. Bremond scrive in proposito: “il fatto che la lotta sia implicata dalla vittoria è un’esigenza logica; ma che la vittoria sia implicata dalla lotta è solo frutto di uno stereotipo culturale”. Unità base del possibile narrativo, in Bremond, è la “sequenza elementare”, non più la successione identica di funzioni, ma la serie di elementi caratterizzanti lo sviluppo di un processo. Due elementi, in primis, danno vita ad un’alternativa, nella quale una possibilità nel suo contesto narrativo ( situazione) può portare alla realizzazione di un atto o meno (attualizzazione), così come questo può andare a buon fine oppure no (realizzazione). Così il termine successivo implica il termine anteriore (perché si abbia compimento, è necessario che vi sia passaggio all’atto) ma non l’inverso (il passaggio all’atto non implica necessariamente il compimento della realizzazione).

Questa triade elementare aumenta di complessità in base a configurazioni sintattiche estremamente varie (concatenazione, incassamento, parallelismo, …). Bremond rifiuta la rimozione del riferimento ai personaggi dalla struttura del racconto, ritenendo la loro prospettiva fondamentale per garantire la fluidità di passaggio da sequenza elementare a sequenze complesse. È infatti grazie alla prospettiva di un personaggio, ai suoi interessi ed alle sue iniziative, che per Bremond viene garantita la continuità tra le sequenze. Bremond capovolge la gerarchia di Propp, che sacrificava il personaggio in beneficio della funzione cui faceva da supporto, partendo dai personaggi per formalizzarne i ruoli intenzionali. Il ruolo è definito come processo/predicato, in atto o meno, realizzato o no, attribuito ad un personaggio/soggetto. Attraverso il

predicato, il ruolo viene incluso nella sequenza elementare ed i personaggi diventano tra loro dipendenti, collegati dai rispettivi ruoli. Si passa da una struttura del racconto vista come “concatenazione di azioni” ad una struttura intesa come “concatenazione di ruoli”, che richiede per ricercare una logica dell’intreccio la costituzione di un “inventario sistematico dei ruoli narrativi principali”. L’inventario è uno schema imponente che procede per dicotomie successive, la prima delle quali è formata da due tipi di fondamentali, gli agenti (fautori dei processi di traformazione), ed i pazienti (colpiti da tali processi). -

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Gli agenti. I ruoli degli agenti sono complementari a quelli dei pazienti, venendo influenzati quindi da influssi ed azioni. Le azioni determinano tre dicotomie di ruolo: modificatore/conservatore, miglioratore/degradatore, protettore/frustratore. L’azione di un agente è scomposta in tre tempi, corrispondenti, nelle loro modalità di esistenza (virtuale, attualizzata, realizzata), alle fasi della sequenza elementare e determinando quindi ulteriori tipi di agente (eventuale, in azione, realizzato secondo la modalità della riuscita o dello scacco). Gli influssi di dissimulazione e persuasione determinano il ruolo di influenzatore (informatore, seduttore, dissimulatore, …). Tenendo conto del merito o del demerito, l’agente ricompensa o punisce, rendendo il paziente beneficiario o vittima. Un agente può essere anche: a) Volontario, se ha controllo sulle conseguenze del processo di cui è autore; b) Involontario, se non ha controllo sulle conseguenze del processo di cui è autore. I pazienti. Determinati dagli influssi che li colpiscono e dalle azioni che compiono. Gli influssi che colpiscono i pazienti possono essere di ordine persuasivo/dissuasivo (informazioni, dissimulazioni, rifiuti, frodi) od affettivo, implicanti soddisfazioni e insoddisfazioni, quindi la proiezione dei timori o delle speranze degli stessi. Due classi di azioni determinano distinte tipologie di pazienti, ovvero: a) Miglioramento o degradazione, se modificano il loro stato; b) Protezione o frustrazione, se non alterano il loro stato.

Questa struttura include una vasta classificazione di ruoli e posizioni possibili per personaggi eventuali di racconti eventuali. Questo formalismo, più astratto di quello proppiano, apre all’analisi un campo più vasto (inclusa la narrazione storica) che va oltre alla fiaba di magia russa che lo delimitava. La decronologizzazione in Bremond è più completa e radicale, ponendo le sue proposte come una vera e propria analisi paradigmatica, essendo i possibili narrativi posizioni intercambiabili. La logica dei ruoli narrativi assimilata all’intreccio, tuttavia, non può determinare la concatenazione degli enunciati narrativi (la dimensione sintagmatica che accoglie e porta a compimento lo svolgimento del racconto). Con il suo modello, Bremond non affronta lo sviluppo discorsivo dei ruoli e la loro tipologia, che appare decontestualizzata, fa da cornice ad una semantica dell’azione, indicando posizioni, ma non percorsi o trasformazioni. Conoscere i ruoli possibili non definisce il movimento narrativo, quindi, definirli tramite una semplice nomenclatura non è sufficiente a generare una storia. Questa difficoltà mina la potenza integrativa del modello: la teoria di Bremond, partendo dal corpus narrativo, tratta l’orizzonte referenziale dell’azione, mentre per la sua sequenza elementare, è definibile più come condizione teorica della narratività che come componente della costruzione narrativa. “Eventualità”, “passaggio all’atto” e “compimento” sono i veri modi di esistenza relativi di un atto, ma affinchè questi funzionino all’interno di una narrazione, devono essere integrati a modelli culturali sedimentati nella tradizione narrativa, in quanto solo questi ultimi potrebbero individuare schemi di prevedibilità all’interno di un quadro così aperto. Per passare da una teoria dell’azione a una vera e propria teoria del racconto, è necessaria una sintassi che determini un ordine di concatenazione modulato dalle configurazioni culturali in grado di schematizzarlo e rendere l’azione raccontabile.

8.1.4 – La semiotica narrativa di Greimas Alla base del modello di Greimas e della sua scuola, si pone la volontà di costituire una “sintassi narrativa”. La teoria si sviluppa dal concetto di “attante”, in parte figlio di una riduzione paradigmatica delle funzioni proppiane e dall’altra della consapevolezza che una sintassi narrativa ha validità solo se fondata sulle proprietà del linguaggio. Il principio costituente della teoria sarà quindi da ricercarsi nel discorso e non nelle ipotesi relative all’azione. Viene così impiegato il concetto di “attante” preso in prestito dalla sintassi strutturale frastica di Tesnière, che sosteneva che la frase implicasse un processo (verbo), un attante (nome) e dei circostanti (ad esempio un avverbio). Partendo dal concetto di “attante”, di natura linguistica e sintattica, si ridefinisce l’Enunciato narrativo di Propp, formula definita “relazione/funzione fra almeno due attanti”, che si semplifica in EN = R(A1, A2, … ). Partendo da questo enunciato elementare, la sintassi narrativa si svilupperà generalizzandolo ed aumentandone la complessità strutturale (aggiunta di programmi narrativi e modalità di concatenazione) per cogliere la dimensione discorsiva. Così facendo, si inscrive la descrizione delle strutture narrative all’interno dell’insieme teorico che, partendo dalle forme superficiali del testo (manifestate dall’enunciazione), arriva poi alle architetture semantiche e sintattiche elementari, basi del suo nucleo relazionale.

8.2 – La sintassi narrativa: analisi di un caso 8.2.1 – Dalla sequenza cronologica alla struttura acronica Per indivi...


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