Prima lezione di semiotica - Marrone PDF

Title Prima lezione di semiotica - Marrone
Author Anonymous User
Course DAMS
Institution Università del Salento
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PRIMA LEZIONE DI SEMIOTICA – GIANFRANCO MARRONECAPITOLO 1 – SEGNI, CODICI, VALORIESPRESSIONE SIGNIFICANTE: ciò mediante cui abbiamo capito; CONTENUTO SIGNIFICATO: ciò che abbiamo inteso grazie all'espressione significante. L'unione tra quell'espressione significante (che ha natura sensoriale, percet...


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PRIMA LEZIONE DI SEMIOTICA – GIANFRANCO MARRONE CAPITOLO 1 – SEGNI, CODICI, VALORI ESPRESSIONE SIGNIFICANTE: ciò mediante cui abbiamo capito; CONTENUTO SIGNIFICATO: ciò che abbiamo inteso grazie all'espressione significante. L'unione tra quell'espressione significante (che ha natura sensoriale, percettiva, empirica) e quel contenuto significativo (di natura intellettuale, interpretativa, cognitiva) dà luogo a quel che chiamiamo SEGNO, e cioè a quell'incremento di sapere che sino a quel momento ci era mancato. EFFETTO PRAGMATICO DEL SEGNO che può essere effetto positivo se è ciò di cui eravamo in cerca. Un segno è tale se, appunto, mette in relazione reciproca qualcosa di percettivo a qualcos'altro di cognitivo. Ogni qualvolta la percezione di una cosa stimola in noi un incremento di conoscenza, siamo di fronte a un segno. Segno che, spesso, avrà un effetto pratico su quel che stiamo facendo. ESEMPIO: l'addensarsi delle nuvole (significante) farà pensare all'imminente arrivo della pioggia (significato). Non sono i fenomeni in sé (le nuvole) a essere significanti, ma la loro percezione da parte di qualcuno che li associa a dei precisi significati (la probabile pioggia). Il senso dunque è la relazione che un soggetto instaura fra due elementi: uno di dimensione sensibile e l'altro di dimensione intelligibile. Relazione che si instaura a posteriori, grazie a chi è lì a percepire e a pensare (le nuvole vogliono intenzionalmente farsi messaggere della pioggia). Il segno non viene prodotto da chi rende possibile la costruzione del significante ma da chi lo vede e interpreta (ciò che dà significato al significante). Ci sono molti segni intenzionalmente emessi per comunicare qualcosa. Ma ce ne sono molti altri che vengono emessi in modo inconsapevole, senza avere cioè alcun sentore che si tratta di segni, e che solo il destinatario potrà, se ne avrà i mezzi e la capacità, concepire come tali. Il primo motore del linguaggio, o della significazione, non è l'emittente ma il destinatario: è solo a partire da costui che può essere generato un contenuto significato a partire da un'espressione significante. La comunicazione tradizionale ha luogo quando si attiva volutamente la trasmissione di un messaggio, quando c'è qualcuno che vuol dire qualcosa, e fa di tutto affinché il suo interlocutore recepisca quel che sta dicendo. La significazione è un fenomeno più generale, dove il senso si coglie a partire dalla fine, ossia da chi riesce ad interpretare un significato percependo un significante. Sulla base di che cosa il destinatario riesce a istituire la relazione fra espressioni significanti e contenuti significati? Si tratta di un'attinenza valida sempre e comunque

oppure devono darsi precise condizioni affinché accada? ESEMPIO: dei turisti sono alla ricerca dell'accesso per raggiungere il mare, vedono tante macchine parcheggiate in disordine e pensano che da lì ci sia lo sbocco per il mare. INFERENZA: il modo di riflettere che abbiamo impiegato per collegare significante e significato; ABDUZIONE: un ragionamento grazie al quale siamo passati direttamente da un caso particolare (la presenza di tante macchine) alla legge complessiva (ci sarà un accesso al mare). Come dire che la dimensione affettiva ha fortemente contribuito alla costruzione di una nuova forma di conoscenza: emozione e cognizione hanno lavorato all'unisono, e lo hanno fatto bene grazie alla nostra cultura di riferimento, grazie all'insieme di sapere che ci hanno quasi naturalmente condotto a tirare a indovinare in quel modo lì piuttosto che in un altro. Le inferenze cognitive che adoperiamo nelle nostre interpretazione, associando nell'esperienza quotidiana significanti a significati, non hanno nulla di personale e di soggettivo. Esse si basano piuttosto su precisi CODICI, ossia su alcuni sistemi formali che regolano le possibili associazioni mentali fra espressioni significanti e contenuti significati. Questi codici a loro volta non hanno nulla di universale e necessario, ossia di oggettiva: sono stabilizzazioni più o meno durature di modi collettivi di pensare e di agire, di desiderare e di preferire. E' la pressione sociale a dettarli, a mantenerli, a modificarli. I codici sono consuetudini sociali e culturali, abitudini interpretative che assumono l'aspetto di una legge (senza comunque esserlo): e nessuna inferenza individuale è possibile se non a partire da essi. I codici sono convenzioni antropologiche. Ciò significa che le forme di associazione fra espressioni e contenuti che essi rendono possibili non sono legate il più delle volte a regioni stringenti, ma a valori che sono di estrema complessità e che, il più delle volte, sono tanto arbitrari (se visti dall'esterno) quanto indiscussi (se considerati dall'interno). L'idea di valore, sere inoltre per mostrare come i codici sociali siano legati ai modi in cui l'individuo stesso li assume, mediando fra valori collettivi e valori individuali. ESEMPIO: se si vuole trovare la spiaggia, tutti gli altri oggetti diventano futile e non catturano la nostra attenzione. Quando, però, il panorama cambia, si è attirati perché si pensa che nuovi oggetti possano portare alla meta desiderata. Ecco il doppio statuto dei valori: da una parte essi risiedono in quel che stavamo cercando, nel fatto di rendere significativo l'oggetto desiderato e il valore, in questo caso, è ciò verso cui si punta, si dirige la nostra serie di azioni e di passioni; dall'altra parte,il valore sorge nel continuo confronto con altri oggetti e altri valori, nella comparazione valutativa, nel riscontro delle differenze. In questo altro caso,il valore si dà nella differenza fra gli elementi e nelle forme della loro relazione.

Il segno è ciò che appare immediatamente e con tutta evidenza, ma che se funziona è solo perché, da un lato, si scompone in elementi più piccoli articolati fra di loro e, dall'altro, va a comporre entità più grandi relazionandosi ad altri segni, ad altri elementi a esso relativamente analoghi. I segni funzionano perché si intrecciano in testi. I TESTI, dal nostro punto di vista, non sono soltanto libri, documenti scritti, ma una qualsiasi porzione di mondo che, possedendo limiti determinati e una precisa articolazione interna, si fa portatrice di una qualche configurazione di senso. La SEMIOTICA si occupa dunque di SIGNIFICAZIONE (infatti la sua definizione più corretta è scienza della significazione), la quale per potersi concretizzare,cioè essere prodotta, circolare, venire recepita e infine trasformata, deve far riferimento a testi, unità di senso che le varie società impiegano per far transitare i propri valori di fondo. Un testo è da intendere come un tessuto di relazioni, una trama di forme che collegano sostanze, tendono a produrre, a mettere in moto, a giustificare una qualche unità di senso. I testi di cui si occupa la semiotica sono quelli che incontriamo nella nostra vita d'ogni giorno, la forma profonda, e quasi sempre involontaria, della nostra esperienza umana, individuale come sociale. L'evidenza del vissuto quotidiano si fonda su strutture profonde, nascoste, che sono di tipo semiotico, dunque testuali. Compito della semiotica è quello di ricostruirle, chiarirne i meccanismi di funzionamento. ESEMPIO DELLA COSCIENZA LINGUISTICA: usando la nostra lingua mettiamo in gioco un sapere che non siamo in grado di spiegare. Tutti adoperiamo regole molto sofisticate di fonetica, grammatica, morfologia, sintassi, ma non per questo, se qualcuno ci chiede di insegnarle siamo in grado di farlo. La lingua è una conoscenza pratica, dunque irriflessa, qualcosa su cui non si ragiona quasi mai. La maggior parte della nostra esperienza vissuta, per quanto appaia casuale e spontanea, si fonda su una rete di significati molto complessa, su codici e su testi che, se pure pratichiamo, non per questo sappiamo esprimere, né a noi stessi né agli altri. Quando ci vestiamo, mangiamo, non facciamo altro che emettere e recepire testi con significati molto differenti, ma con i medesimi meccanismi di funzionamento, le medesime forme dell'espressione e forme del contenuto.

CAPITOLO 2 – DEL SEGNO La riflessione sul linguaggio e sulle lingue, sul segno e sul senso, è antica quanto l'uomo. E' presente fin dall'antichità fino ai giorni nostri, ai tempi della globalizzazione, in ogni scienza umana. Ma tutte queste teorie e queste pratiche riguardanti i sistemi di segni, il linguaggio e

la comunicazione sono rimaste a lungo frammentarie, spesso isolate l'una dall'altra. Sino a quando, tra la fine dell'Ottocento e la prima metà dl secolo scorso, è sorta la necessità, teorica e metodologica, di una semiotica propriamente detta, che racchiudesse in un solo paradigma di ricerca studi affini e problematiche fra loro imparentate. In filosofia, è accaduto con Charles S. Peirce, con Edmund Husserl Parallelamente è accaduto che molti autori come Ferdinand de Saussure, Louis Hjelmslev o Roman Jakobson abbiano sollecitato l'edificazione di una scienza nuova, definendola semiologia, come studio rigoroso dei diversi sistemi di segni presenti nelle diverse società e culture. La problematica trasversale del linguaggio e del senso si è imposta come fondamentale e necessaria in ognuno di questi saperi, mettendoli in efficace relazione l'uno con l'altro. Ma la semiotica, come disciplina a sé stante e istituzionalmente riconosciuta, è sorta soprattutto, a cavallo del secolo scorso, sotto la spinta di quella nuova società di massa. Nel momento in cui la stampa, il cinema, i mass media, in quegli anni, predispongono i gangli (punto vitale di un sistema) stessi della socialità, gli strumenti della semiotica si impongono quasi spontaneamente sulla scena intellettuale (studiati per esempio da Umberto Eco, Roland Barthes). La semiotica si impone così, a poco a poco, come una forma di sapere in grado di far dialogare tutte le altre, fornendo loro una problematica e una metodologia comune. E si caratterizza al tempo stesso come uno sguardo capace di adoperare categorie e modelli 'alti' (filosofia, linguistica) per cercare di comprendere al meglio, svelandone i meccanismi costitutivi, certe manifestazioni della cultura 'bassa' come la maggior parte dei prodotti mediatici. ESEMPIO: Aristotele serve a capire meglio fenomeni emergenti come la diretta televisiva, a patto di ripensarlo alla luce delle concomitanti scoperte dell'antropologia culturale, della psicanalisi, ecc. La semiotica ha avuto molteplici punti di innesco ma nessuna origine precisa. Essa ha sempre messo in crisi la stessa distinzione fra le cosiddette due culture, risalente alla fine dell'Ottocento, e cioè fra scienze esatte (matematica, logica) e scienze umanistiche, in nome del principio secondo il quale la significazione è quel fenomeno specifico che mette in relazione fenomeni sensoriali e atti cognitivi. Accanto a questo ambito epistemologico, riguardante gli assetti generali del sapere, vi è anche quello teorico, che mira a ripensare dalle fondamenta alcune categorie chiave legate alla conoscenza. Nozioni diverse come quelle di opposizione e differenza, lingua e linguaggio, cessano di essere semplici postulati teorici perché vengono definiti uno rispetto all'altro, senza gerarchie prestabilite e concetti predominanti. La semiotica ha come suo terzo livello di intervento quello metodologico, mirante a costruire uno strumento di conoscenza flessibile di categorie e di modelli interdefiniti fra di loro.

La metodologia semiotica è costruita in funzione del suo livello empirico soggiacente, ossia dei dati che esse ha in proposito di spiegare e comprendere. L'empiria semiotica è da costruire: è quel che fanno gli individui e i gruppi sociali, quando producono meccanismi semiotici profondi e inconsapevoli, per significare se stessi e il mondo che li circonda. Senza dar nulla per scontato, né in termini di presupposti né in termini di risultati. Per far capire la stretta connessione tra i quattro livelli, esaminiamo due casi esemplari: 1. Si è introdotto in semiotica lo studio delle passioni; si è lavorato contemporaneamente su più fronti; si è individuato un terreno di indagine empirica (studiando testi linguistici e letterari, ma anche l'esperienza vissuta concreta degli individui e dei gruppi). Tale terreno è stato individuato anche sulla base di una ridefinizione della metodologia necessaria per analizzarlo. Ma tutto ciò è stato possibile poiché, al contempo, si è interdefinita teoricamente la passione con altre nozioni concomitanti oppure opposte. Senza peraltro dimenticare di fare i dovuti conti epistemologici con quelle altre discipline che si erano occupate di temi analoghi. → Per costruire l'empiria serve aver chiara la base epistemologica, la quale ha necessità di una teoria, sullo sfondo di un metodo; ma il metodo, a sua volta, deve avere un fondamento teorico e una giustificazione epistemologica. 2. Da diversi anni a questa parte, nella società occidentale è sorto un nuovo interesse per gli animali e l'animalità all'interno degli studi filosofici, ecologici, nell'ambiente mediatico e anche a livello di sentimento comune. Per millenni l'animale era un soggetto nemico dell'uomo, un essere a lui inferiore; da alcuni decenni, la situazione è cambiata. Come studiare semioticamente tutto questo? Nel momento in cui si inizia ad affermare, come da più parti si fa, che uomini e animali hanno eguali diritti, che ne è della definizione stessa dell'umano? Si tratta in questo caso di ridefinire la nozione stessa di animalità e di umanità. Gli animali sono un problema di senso molto difficile che rimette in profonda discussione l'edificio teorico complessivo della scienza della significazione, che di cultura umana e sociale ha sempre dichiarato di volersi occupare. → Ciò porta a farsi alcune macroscopiche domande filosofico-linguistiche (Come intendere i nessi fra mondo e linguaggio?) e tutta una serie di micro-questioni della vita di ogni giorno. Al fondo di tutto ciò vi è un interrogativo centrale nel processo di significazione: quello relativo all'identità, individuale e di gruppo. A chi predica la mancanza di senso nella nostra vita da esseri umani, la semiotica risponde che semmai ce n'è troppo ovunque. Esaminiamo il seguente quadro:

La sua celebrità deriva da quella sua proverbiale enigmaticità che ha fatto parecchio discutere. A prima vista, difatti, non sembra nemmeno trattarsi di un quadro. Si tratta di un'opera di René Magritte, noto pittore surrealista belga, che ne ha realizzato diverse versioni. Quella che prendiamo in considerazione è sicuramente la più nota, un piccolo olio su tela del 1929 che ha per titolo “Il tradimento delle immagini” (La trahison des images). Analizziamo l'opera dal punto di vista semiotico, cioè scoprendone il senso. Perché quella scritta “questa non è una pipa” sembra dire al tempo stesso qualcosa di vero e di falso? A essere preso di mira è il senso comune. Se qualcuno guardando quel disegno chiedesse , tutti risponderebbero . Ecco il “tradimento delle immagini”. Questo quadro, questo testo nel senso semiotico del termine (una configurazione espressiva che veicola un universo esauriente di senso), nella sua particolare composizione espressiva, veicola molto più che una tradizionale concezione estetica perché, adoperando l'arte mimetica di cui si parla, si colloca a un livello che chiamiamo metalinguistico o metasemiotico, ovvero quello di un linguaggio, di un sistema di segni, che ha se stesso come contenuto: linguaggio che parla di linguaggio, un'immagine che parla di se stessa. Quest'opera di Magritte elabora una teoria semiotica, propone una concezione dell'uso comunicativo e significativo delle immagini, indica un problema che è costitutivo, non tanto della semiotica come disciplina che studia la significazione, ma della significazione medesima come fenomeno costitutivo della socialità e della cultura. Quali sono le procedure semiotiche messe in atto nel quadro che ne creano l'enigmaticità? La prima è la negazione linguistica, il “non” che non ci aspetteremmo di trovare in una frase che sembra stare nel posto tipico di una didascalia. Una didascalia chiarisce l'immagine; questa fa il contrario: dice di cosa non si tratta. La negazione nega non una realtà ma la credenza in quella realtà, fomenta un dubbio.

E, nel caso in questione, la convinzione è il mimetismo delle immagini, la credenza che le immagini, stando al posto delle cose, finiscono per diventarlo. C'è qualcos'altro che rende il sistema dell'opera un po' più complesso: la cornice, la delimitazione spaziale fra l'immagine pittorica e il suo sfondo (su cui Magritte ha giocato in diverse sue opere) non è un dispositivo innocente, un banale ornamento, poiché pone il problema della presentazione dell'immagine come tale; è qualcosa che dice che effettivamente si tratta di un'immagine, una cosa che vediamo e che ha valore ben diverso da tutto ciò che le sta intorno. Così, quella che abbiamo chiamato didascalia, non lo è del tutto. Essa è collocata dentro il quadro, racchiusa entro la cornice, e quindi fa a tutti gli effetti parte dell'opera come uno dei suoi elementi costitutivi. L'immagine artistica in cornice è costituita dalla pipa e dalla sua presunta didascalia. Se la parte scritta nel quadro dice dunque che l'altra parte, la raffigurazione della pipa, non è una pipa ma una sua riproduzione, essa stessa, stando dentro il quadro, dice anche di non essere una didascalia ma una sua riproduzione. La pipa è dunque una pipa o non lo è? Consideriamo adesso un altro elemento. La frase presente nel quadro non è in prima persona. Trattandosi di un dimostrativo si tratta di una particella linguistica che indica qualcos'altro: a cosa si riferisce? La lettura più frequente è quella per cui “ceci” si riferisce all'immagine, cioè non una pipa ma la sua rappresentazione figurativa. Una seconda ipotesi, perfettamente consentita dalla grammatica, è quella per cui “ceci” si riferisce alla frase medesima: la frase non è una pipa, il disegno sopra invece lo è. Questa ipotesi fa scattare il problema semiotico della differenza fra parole e immagini. La parola “pipa” e il disegno di una pipa sono entrambi segni della pipa, ma non allo stesso modo: la parola che significa la pipa fa economia di tante cose e necessita di pochi suoni messi in un preciso ordine fra loro; ma questi suoni cambiano da lingua a lingua, di modo che per essere compresa è necessario conoscere la lingua in cui ricorre. Inoltre, c'è il problema delle omonimie: “pipa” non indica solo un arnese per fumare ma anche uno strumento musicale, una botte, ecc. Per l'immagine le cose cambiano: disegnare una pipa garantisce una maggiore comprensione anche da persone di lingue diverse, ma richiede alcune scelte preventive circa la sua fisionomia, il colore, la forma. E più ci si allontana dalla nostra cultura, più esse sono facilmente riconoscibili. Sino al punto da dover loro cambiare il nome, anche se non la funzione. Da qui una nuova ipotesi: il “ceci” si riferisce forse non al disegno né alla parola ma all'oggetto rappresentato che qualcuno, appartenente a una cultura diversa, non è detto che riconosca come una vera e propria pipa e soprattutto con il significato che nella nostra cultura essa riveste. E' sicuramente una ipotesi fantasiosa che pone una serie di problemi molto complessi: quello del riconoscimento degli oggetti sulla base di alcune loro proprietà specifiche o essenziali; quello della loro nominazione, che varia fra lingue diverse e anche entro la medesima lingua (che differenza c'è fra pipa, narghilè, ecc.?); e soprattutto il fatto che gli oggetti sono segni: oltre cioè alla loro funzione pratica, essi hanno il ruolo di rinviare ad altro da sé.

Da una parte, dunque, la pipa è l'oggetto reale, il cosiddetto referente, ciò a cui sia il disegno sia la parola si riferiscono. Dall'altra parte è anch'essa un significante che significa l'oggetto reale che esso stesso è. Potremmo infine ritrovare un ennesimo uso del deittico in questione, forse il più ovvio, proprio perché dipende dal fatto che la presenza di un deittico, cioè di un elemento linguistico indicatore, presuppone grammaticalmente oltre alla cosa indicata anche colui che la indica. Se consideriamo questo frangente, “ceci” sta a indicare il quadro stesso, l'olio su tela dipinto dal soggetto linguistico Magritte (enunciatore) che ha allestito questa macchina di significazione co...


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