Daniele Manacorda - Prima Lezione di Archeologia PDF

Title Daniele Manacorda - Prima Lezione di Archeologia
Author Martino Toderi
Pages 174
File Size 1.1 MB
File Type PDF
Total Downloads 306
Total Views 488

Summary

Universale Laterza 845 PRIME LEZIONI ULTIMI VOLUMI PUBBLICATI Archeologia orientale Sociologia del diritto di Paolo Matthiae di Vincenzo Ferrari Grammatica Metodo storico di Luca Serianni a cura di Sergio Luzzatto Storia delle relazioni Psicologia della comunicazione internazionali di Luigi Anolli ...


Description

Universale Laterza 845

PRIME LEZIONI

ULTIMI VOLUMI PUBBLICATI

Archeologia orientale di Paolo Matthiae

Grammatica di Luca Serianni

Storia delle relazioni internazionali di Ennio Di Nolfo

Letteratura di Piero Boitani

Storia contemporanea di Claudio Pavone

Sociologia di Arnaldo Bagnasco

Fisica di Carlo Bernardini

Scienza politica di Gianfranco Pasquino

Storia moderna di Giuseppe Galasso

Medicina di Giorgio Cosmacini

Letteratura italiana di Giulio Ferroni

Sociologia del diritto di Vincenzo Ferrari

Metodo storico a cura di Sergio Luzzatto

Psicologia della comunicazione di Luigi Anolli

Relazioni internazionali di Luigi Bonanate

Filosofia morale di Eugenio Lecaldano

Sulla televisione di Aldo Grasso

Filosofia di Roberto Casati

Psicologia dell’educazione di Felice Carugati

Retorica di Bice Mortara Garavelli Teologia di Giuseppe Ruggieri Filologia di Alberto Varvaro

Daniele Manacorda

Prima lezione di archeologia

Editori Laterza

© 2004, Gius. Laterza & Figli Prima edizione 2004 Sesta edizione 2012 www.laterza.it Questo libro è stampato su carta amica delle foreste, certificata dal Forest Stewardship Council L’Editore è a disposizione di tutti gli eventuali proprietari di diritti sulle immagini riprodotte, là dove non è stato possibile rintracciarli Proprietà letteraria riservata per chiedere la debita autorizzazione Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Finito di stampare nel febbraio 2012 SEDIT - Bari (Italy) per conto della Gius. Laterza & Figli Spa ISBN 978-88-420-7324-6

È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura.

Premessa

a Cecilia

Una ‘prima lezione’ non è una ‘introduzione’. Ho concepito il testo piuttosto come un lungo ragionamento, ora più consequenziale ora più episodico: quasi un punto di equilibrio didattico dopo trenta anni di insegnamento universitario. Potrebbe essere letto come un invito rivolto a chi ancora deve cominciare o a chi è curioso di sapere che cosa bolla nella pentola dell’archeologia. Il libro è diviso in tre parti piuttosto diverse l’una dall’altra. La prima parte cerca di offrire qualche strumento per definire l’attuale natura dell’archeologia alla luce dei suoi metodi, anche nei confronti delle discipline che le sono più affini, quali la storia, la storia dell’arte e l’antropologia. La seconda parte descrive, in modo non sistematico ma più concreto, l’approccio dell’archeologo ai contesti e agli oggetti visti attraverso la metafora della loro ‘nascita’, ‘vita’, ‘morte’ e ‘rinascita’. È la parte più didascalica del testo, dove sia il linguaggio che le esemplificazioni mirano a calare l’ottica archeologica nella realtà quotidiana. La terza parte illustra alcune partizioni della disciplina formatesi con la maturazione metodologica di queste ultime generazioni, e offre una prima informazione sul dibattito teorico interno all’archeologia e qualche riflessione sulla sua immagine esterna e sul suo ruolo nella società contemporanea.

VI

Premessa

Un certo eccesso di semplificazione (spero non troppo banalizzante) striderà forse a volte con un eccesso di sintesi (spero non troppo oscuro). Tanti aspetti dell’archeologia sono rimasti necessariamente nella penna. Anche per questo non ho ritenuto necessario dotare il volume di una bibliografia, ma ho preferito lasciare alle note, tante ma stringate, il compito di fornire un rinvio bibliografico utile per andare avanti (i testi sono citati sempre nell’edizione italiana, se disponibile). Vorrei ringraziare le tante persone che mi hanno aiutato nella stesura di questo libricino, e in particolare quegli amici che si sono assunti la fatica di leggere il dattiloscritto. Le loro critiche convergenti mi hanno aiutato a migliorare il testo; quelle divergenti mi hanno aiutato a convincermi che i punti di vista sono per fortuna spesso non solo numerosi ma anche opposti. Tant’è che questa Prima lezione meglio si sarebbe potuta intitolare Una prima lezione di archeologia, ché tante altre ve ne potrebbero essere, certamente migliori. Questa spero comunque raggiunga almeno il risultato di dare un’immagine dell’archeologia un po’ più aggiornata rispetto a quella che comunemente ancora circola nei mass-media (tranne rare e meritevoli eccezioni) e in generale nell’opinione pubblica italiana. C’è tempo per imparare a studiare il corpo dell’archeologia. A me interessava invitare a cogliere alcuni aspetti della sua anima, perché penso che l’archeologia sia anche una forma mentale, un modo di guardare e di sentire la realtà attraverso il quale il nostro vivere quotidiano acquista uno spessore più denso, le cose si animano e ci catturano trascinandoci con loro nella ‘durata’ del tempo.

Prima lezione di archeologia

Parte prima

Documenti, oggetti, contesti: i fossili del comportamento umano Quando nel parlare comune usiamo la parola ‘archeologico’ ci figuriamo un oggetto, una situazione, un comportamento che attribuiamo a un passato lontano da noi nel tempo e nei sentimenti. Ma il passato ormai non coincide più con l’antico, anche se l’archeologia è nata innanzitutto come riconquista dell’antico, per poi diventare strumento di conoscenza in sé, castello di concetti e procedure che interrogano e portano a sintesi i più tradizionali e insieme i più nuovi sistemi di fonti. Non esiste più un’età per l’archeologia e un’età per la storia. L’una e l’altra si occupano delle stesse epoche, delle stesse civiltà, curiose di tutto ciò che è stato, in ogni epoca, anche ieri, anche oggi. La loro distinzione riguarda fondamentalmente il tipo di documenti che sono oggetto di studio dell’archeologo e dello storico, e quindi i metodi che si applicano per ricavarne informazioni. Un documento ci dà testimonianza, volontaria o involontaria, diretta o indiretta, di una realtà, di un evento, di un’idea; può riguardare un semplice dettaglio o coinvolgere un’intera cultura, una mentalità, il gusto di un’epoca. Letteralmente in grado di ‘insegnarci’ qualcosa, arricchisce il nostro sistema di saperi, mediante la parola, lo scritto, l’immagine, il gesto.

4

Prima lezione di archeologia

L’archeologo fa uso continuo di documenti, che si presentano alla sua attenzione in genere sotto forma di ‘cose’, cioè di manufatti (prodotti del lavoro umano) e di ecofatti (risultato del rapporto che si instaura tra uomo e natura). I manufatti acquistano talvolta la dimensione di monumenti, ma il più delle volte si configurano come semplici reperti, cioè come documenti ritrovati, che l’archeologia non va a cercare negli archivi e nelle biblioteche, ma nell’infinita estensione degli insediamenti umani. Una messe sterminata di informazioni – in continuo accrescimento – è potenzialmente a disposizione: nel terreno sotto di noi, nei paesaggi che osserviamo aprendo le finestre, al nostro fianco dentro i muri delle stanze in cui abitiamo. Lì possono celarsi testimonianze banali o eccezionali della storia del luogo dove temporaneamente viviamo, che solo una metodologia particolare, quella archeologica, può trasformare in dati. Il reperto implica un’attività di ‘reperimento’: presuppone dunque un metodo di ricerca. Molti oggetti sono potenziali reperti, perché possono essere riscoperti, e molti reperti sono potenziali documenti, perché possono ampliare il nostro sistema di conoscenze. Ma per assurgere allo stato di documento il reperto esige un’attività di studio: richiede dunque un metodo di analisi. Ogni documento va a sua volta spiegato: richiede dunque un metodo di interpretazione, che dia un senso al suo messaggio, esplicito o implicito. Molti manufatti furono creati per durare, pensando alla posterità, o più semplicemente ai propri eredi. «Exegi monumentum aere perennius» scriveva Orazio chiudendo il terzo libro delle sue Odi, un monumento poetico – diceva – più alto delle Piramidi e capace di sfidare la pioggia, il vento e il turbine degli anni, ben sapendo che i messaggi più duraturi erano affidati all’eternità del bronzo più che ai fragili fogli di papiro. Il documento archeologico tuttavia è assai più spesso di origine involontaria, perché – a differenza dei documenti scritti – manca in genere un’intenzione manifesta che ne favorisca la conservazione. E allora, se l’archeologia studia le ‘cose’, possiamo porci davanti a un oggetto come davanti a un testo scritto? e inter-

Parte prima

5

rogarlo per trarre dai suoi aspetti materiali i messaggi di cui è portatore? La risposta dovrà essere affermativa, altrimenti questo libro sarebbe già finito. Ma cerchiamo di procedere con ordine. Studiare un libro significa innanzitutto leggere quello che c’è scritto: un’operazione che, se incontra difficoltà dal punto di vista linguistico, può essere agevolata dall’uso di un dizionario. Se non conosco la parola ‘temple’, il dizionario mi permetterà di tradurla. Ma la lettura di un libro comporta anche una comprensione concettuale. Un ‘tempio’ non è una ‘chiesa’; e se qualche volta chiamiamo ‘tempio’ una chiesa, non faremmo mai l’operazione inversa. Le parole hanno un senso e una storia. Non basta capirle, occorre interpretarle, scegliendo l’ipotesi più attendibile per dare loro un significato appropriato all’interno del contesto nel quale le incontriamo. Ogni testo è suscettibile di interpretazioni diverse. Studiando un libro instauriamo un dialogo con quel testo, ponendo una serie di domande che riguardano non solo l’autore o il contenuto (chi lo ha scritto? che cosa c’è scritto? quando è stato scritto? come è stato scritto dal punto di vista formale?), ma anche aspetti materiali dell’opera, che potremmo chiamare archeologici (come è stato scritto dal punto di vista materiale? dove come e quando è avvenuta la trascrizione? si tratta di un libro a stampa? è un libro rilegato o in brossura?). Ci poniamo inoltre altre domande non meno significative, che investono, ad esempio, i lettori del libro o la diffusione delle idee o dei dati presenti nelle sue pagine. Anche i monumenti e gli oggetti, anche i contesti sono ‘libri’, elementi di comunicazione non verbale che hanno svolto un ruolo tutt’altro che secondario – e qualche volta esclusivo – nei contatti umani, tanto che gli archeologi da tempo ragionano come se esistesse un linguaggio dei reperti, peculiare ai diversi aspetti delle cose, che occorre innanzitutto riconoscere, per trasferirlo in un linguaggio comprensibile. Il lavoro dell’archeologo è in questo senso assimilabile a quello di un traduttore, che deve conoscere le forme attraverso le quali le singole componenti della lingua su cui opera esprimono i loro significati. Per tradurre i tanti linguaggi delle co-

6

Prima lezione di archeologia

se dobbiamo dunque possederne – rimanendo nella metafora della traduzione – i lessici, le grammatiche e le sintassi, applicando di volta in volta ai diversi oggetti i diversi metodi dell’archeologia. Diciamo oggetti, ma meglio parleremmo di contesti, cioè di quelle situazioni in cui uno o più oggetti o le tracce (materiali e immateriali) di una o più azioni si presentano in un sistema coerente nel quale le diverse componenti si collocano in un rapporto reciproco nello spazio e nel tempo sulla base di relazioni di carattere funzionale (e culturale). La comprensione di queste relazioni non è irrilevante o accessoria. Non è indifferente se registriamo la presenza di un quotidiano sul banco dell’edicola e il giorno dopo sul tavolo di un bar, e oggi nelle nostre mani pronto per essere bruciato nel caminetto. Quei fogli di carta conterranno sempre gli stessi articoli, ma avranno anche qualche storia in più da raccontare: la propria storia di fogli di carta stampata. Ogni componente di un contesto, dal più semplice (un vaso di fiori sul tavolo) al più complesso (il foro di un’antica città romana, il cimitero di una comunità a lunga continuità di vita), ha un senso in sé e un senso acquisito, un valore aggiunto, che è dettato dalle sue relazioni contestuali. Ogni componente può quindi essere analizzata nelle caratteristiche che le sono proprie e al tempo stesso nelle relazioni che definiscono la sua funzione nel contesto cui appartiene. L’archeologo opera, in genere, sulle stratificazioni, cioè su depositi tridimensionali che una quarta dimensione, il tempo, ordina secondo una sequenza stratigrafica che va ricostruita, distinguendo le componenti materiali e quelle immateriali, che non per questo sono fisicamente e concettualmente meno significative. Si pensi, ad esempio, a un torsolo di mela, che possiamo definire tale solo in presenza del morso che lo ha prodotto. Un torsolo, infatti, non è una mela: è piuttosto una mela meno la parte di mela mangiata, di cui non resta nulla di materiale, se non la traccia di un’azione di distruzione, che è all’origine del torsolo e anche del ragionamento che ci permette di ricostruire la presenza di una parte di mela che non c’è più. Mela, morso e torsolo sono tre componenti di un even-

Parte prima

7

to, cioè di una sequenza di azioni, due delle quali sono materiali e una immateriale (sottrazione di materia) e quindi negativa. Ma senza quest’ultima (il morso) non potremmo capire il nesso che lega le due entità positive (la mela, il torsolo). Una strada, un tombino: qualcuno avrà pur scavato una buca. Questo semplice concetto, che è alla base della stratigrafia archeologica, può aiutarci a guardare con occhi diversi non solo un oggetto o un contesto archeologico, ma il mondo stesso che ci circonda con le sue manifestazioni materiali, che tanto meglio potremo capire quanto più riusciremo a ricostruire i nessi, anche quelli immateriali, che le collegano e le giustificano. L’archeologia si occupa delle società passate, e delle relazioni che queste hanno avuto tra di loro e con l’ambiente, a partire dai resti materiali, cioè dalle tracce che hanno lasciato di sé. Attraverso un processo di recupero, analisi e interpretazione queste tracce ci aiutano a ricostruire i modi di vita e la loro evoluzione nel tempo. Prendendo in prestito il lessico degli psicologi potremmo forse dire che l’archeologia, in un certo senso, «si occupa di come gli esseri umani hanno costruito il loro comportamento, hanno comunicato e costruito conoscenza»1. I resti di cui si occupa l’archeologia sono quindi in certa misura i fossili del comportamento umano2, delle infinite azioni prodotte dagli abitanti di questo pianeta. Sono ciò che ‘è rimasto’, perché l’osservazione archeologica in realtà non può fare a meno di pensare anche a ciò che è stato e non è rimasto, come l’impeto dei cavalli a Waterloo e il lampo della bomba che distrusse Hiroshima o gli sguardi stupiti dei nativi d’America verso le caravelle di Colombo. Un’archeologia planetaria Abbiamo provato a dare una definizione sintetica dell’archeologia, quale possiamo leggere nei manuali attualmente in uso. Ma, se aprissimo un manuale della prima metà del XX secolo, ci sembrerebbe di trovarci di fronte a tutt’altra disciplina: leggendo alcune dispense universitarie del 1943 uno

8

Prima lezione di archeologia

studente italiano avrebbe appreso che «gli studi archeologici si propongono di ricostruire su basi storiche l’arte antica»3; approfondendo un po’ avrebbe letto di un’archeologia distinta tra un’analisi storica e materiale dei monumenti e un’analisi storico-estetica, che «si solleva oltre i ristretti confini delle materiali constatazioni, finché [...] ritorna a fare, di un inerte documento, cioè di un freddo corpo da tavolo anatomico, un organismo pulsante e vitale»4. Queste definizioni, tra le tante disponibili, descrivono in qualche misura lo smarrimento cui era arrivata l’archeologia, non solo italiana per il vero, nel corso della prima metà del Novecento, ma nascondono il fatto che proprio a partire da quel tornante di tempo un rinnovamento profondo aveva cominciato a investire tanto i metodi della ricerca che i campi delle loro applicazioni. Uno sviluppo impetuoso avrebbe ampliato a dismisura le possibilità di conoscenza dilatando gli orizzonti della ricerca sull’universo intero delle tracce materiali dell’umanità. Nuovi interrogativi richiedevano la maturazione di nuovi metodi e di nuove tecniche che fornissero risposte più adeguate e stimolavano nuove riflessioni sulle finalità stesse della archeologia, sul suo ruolo nell’ambito delle scienze umane e sulla sua posizione nei confronti delle scienze esatte e naturali. Un elemento caratterizzante dell’ultimo secolo è stato innanzitutto il consolidamento dell’impostazione storica della ricerca, specie nelle archeologie del bacino del Mediterraneo, tanto che oggi comunemente si parla di ‘archeologia storica’ per indicare l’archeologia di quelle civiltà che – a differenza delle culture preistoriche – possiedono anche un più o meno cospicuo patrimonio di fonti scritte oltre che materiali. L’apporto di nuove ottiche culturali – tra cui un più diffuso approccio antropologico, sviluppatosi inizialmente nell’ambito degli studi dell’età preistorica e in contesto extraeuropeo – ha favorito una maggiore attenzione per l’inquadramento ecologico delle testimonianze archeologiche. Al centro dell’interesse si sono venute a trovare non solo le relazioni determinatesi nel passato fra gruppi di individui e fra le diverse società, ma anche le relazioni da queste istituite con

Parte prima

9

l’ambiente e le conseguenti capacità di adattamento e di trasformazione della natura. Non ci sono orizzonti geografici invalicabili né barriere cronologiche per un’archeologia che oggi è possibile definire mondiale, interessata, nello spazio, alla superficie dell’intero pianeta e, nel tempo, in un continuum ininterrotto, alle manifestazioni della presenza dell’uomo dalla sua prima comparsa sino a nostri giorni. Per la preistoria e le più remote età storiche – che coprono oltre il 99% dell’arco di tempo che segna la vita dell’uomo sul pianeta – l’archeologia costituisce infatti pressoché l’unica fonte importante di informazioni, ma è ormai chiaro che i suoi metodi possono contribuire alla conoscenza dei periodi anche a noi più vicini, all’interno di quella frazione infinitesimale della storia dell’uomo nella quale si concentra la maggior parte della sua esperienza. Lo sviluppo delle archeologie delle età più recenti (postclassiche) ha tratto origine in Europa prevalentemente dall’alveo delle discipline storiche piuttosto che da quelle storico-artistiche, mentre negli altri continenti i nuovi orizzonti di ricerca si sono aperti preferibilmente in relazione con lo studio degli insediamenti coloniali e post-coloniali, affiancando e poi sostituendo la fase etnografica della ricerca (nell’archeologia americana sono questi studi che vengono definiti come «historical archaeology»). Una nuova disciplina, l’archeologia industriale5, intesa come l’archeologia di quelle società che hanno conosciuto le trasformazioni indotte dalla rivoluzione industriale riflesse tanto negli insediamenti produttivi che nelle merci, ha esteso ulteriormente il campo di applicazione delle metodologie archeologiche ai resti materiali dell’età moderna. Non sono mancati inoltre tentativi di studio archeologico dei comportamenti propri delle società contemporanee. È ormai entrato nella storia della disciplina, ad esempio, il Garbage Project (Progetto spazzatura), che ha comportato la raccolta della spazzatura dai bidoni di un settore della città di Tucson, in Arizona, e un esame in laboratorio di tutto ciò che vi era contenuto: un esempio illuminante, anche perch...


Similar Free PDFs