Domon Ken. Il maestro del realismo giapponese PDF

Title Domon Ken. Il maestro del realismo giapponese
Author Elisabetta Cozzi
Course Scienze dei Beni Culturali
Institution Università degli Studi di Milano
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Summary

Riassunto del libro di approfondimento del corso di Arti visive, spettacolo e design dell'Asia Orientale a cura della professoressa Menegazzo Rossella...


Description

DOMON KEN 

L’approccio realista al Giappone che cambia: dalla fotografia d’arte alla documentazione sociale

Nato il 25 ottobre 1909 a Sakata, Domon fu una delle personalità di spicco nel rinnovamento intellettuale che accompagnò la nascita del Giappone dopo la sconfitta della Seconda Guerra mondiale. La sua predicazione di un approccio fotografico realista anziché artistico in risposta alla situazione in cui versava il Paese si affiancava alle novità introdotte nell’ambito dell’arte grafica da Kamekura Yūsaku (1915-1977) e nell’ambito dell’installazione floreale spaziale con la nascente scuola di Ikebana Sōgetsū per mano di Teshigara Sōfu. La loro collaborazione è riscontrabile nella costruzione del Domon Ken Kinekan, oggi rinominato Ken Domon Museum of Photography. Progettato nel 1983 dall’architetto Yoshio Taniguchi, l’edificio si sviluppa orizzontalmente con una forma cubica e razionale e grandi vetrate che si affacciano su un laghetto artificiale. Domon dovette trasferirsi all’età di sette anni con la famiglia prima a Tokyo e poi a Yokohama dove iniziò a frequentare la scuola media. La perdita del lavoro del padre lo costrinse ad abbandonare gli studi per trovare occupazione presso un negozio di mobili e nel 1928 riuscì a diplomarsi. La sua grande passione era la pittura, alla quale dedicava tutto il tempo libero, oltre allo studio dello shamisen. Nel 1926 riuscì a esporre un dipinto a olio presso l’Esposizione annuale d’arte di Yokohama. Nel 1932 fu arrestato perché impiegato come segretario presso la Lega contadina. Gli anni di formazione di Domon che lo avvicinarono alla fotografia corrispondono a un periodo dove vi era una società in peno cambiamento; in campo fotografico si andava diffondendo la piccola e maneggevole Leica a portata di tutti, nascevano i primi circoli fotografici e nascevano nuove riviste fotografiche. Gioco forte lo ebbero le avanguardie europee, che spinsero la fotografia ad allontanarsi dalla tradizione pittorialista per sperimentare nuove forme più singolari e originali, legate alle caratteristiche tecniche del mezzo, tramite il movimento della Fotografia moderna (Shinkō shashin). Porte d’accesso furono le riviste “Photo Times” e “Kōga” ma l’evento decisivo fu l’esposizione a Tokyo e Osaka del 1931 che segnò l’entrata nell’era contemporanea della fotografia. Tra le varie correnti che si delinearono, una particolare promuoveva un approccio sociale ispirato al marxismo che si concretizzò in una fotografia di stampo realista con valore documentaristico. Figura chiave fu Kimura Ihee (1901-1974) con il quale nel 1931 nacque il fotogiornalismo. Domon iniziò la carriera nel 1933 come apprendista nello studio di Miyuachi Kōtarō a Ueno; si aggiudicò premi e iniziò a tenere rubriche di fotografia sui settimanali più noti, pubblicando la sua prima foto su “Asahi Camera” nel 1935. Il 5 novembre entrò a far parte dello studio Nippon Kōbō di Natori Yōnosuke (1910-1962) come fotogiornalista per la rivista “NIPPON”. Il primo servizio di Domon con la Leica fu la festa Shichigosan presso il santuario Meiji jingu di Tokyo, mentre le sue fotografie uscirono sulle pagine di “NIPPON” del 1936. Lo scopo della rivista era quello di trasmettere all’estero la modernizzazione del Paese in ogni settore, insieme alla valorizzazione della tradizione culturale locale. Via via che la guerra andava avvicinandosi, le fotografie cambiavano, preferendo sempre più temi sociali. Domon cominciò a muoversi anche su altre riviste con scoop che sbaragliarono i più noti rivali. Così fu per il servizio fotografico pubblicato su “LIFE” il 5 settembre 1938 che ritraeva il ministro degli Affari Esteri nella sua residenza a Tokyo. Domon fu anche impiegato presso l’Agenzia per le relazioni culturali internazionali, collaborando con l’equipe di grafici, fotografi e architetti per la realizzazione dei cinque grandi pannelli fotografici che promuovevano il Giappone all’Esposizione internazionale di Parigi del 1937 e alla World Fair di New York e San Francisco del 1939. 1

A questo si aggiungeva per Domon l’ansia per il probabile arrivo del “cartellino rosso”, che avrebbe significato il richiamo alle armi e l’invio al fronte. La scelta di Domon fu quella di ritirarsi a fotografare le bellezze del Paese: nel 1939 visitò per la prima volta il Murōji a Nara e da lì ebbe inizio il più grande reportage della sua vita che attraversò trentanove templi e santuari, sfociando nell’opera Pellegrinaggio ai templi antichi (Kojijunrei). Tra il 1941 e il 1942 iniziò a trattare il teatro e pur non avendo mai fotografato in tali circostanze dedicò ai burattini e ai grandi maestri del teatro lo stesso lavoro con cui aveva affrontato le sculture buddhiste. Insieme ai suoi assistenti passava l’intero giorno a fotografare e di notte sviluppava i materiali. Nel 1942 insisteva sull’uso di carta artistica e di inchiostro oleoso; entro il 1943 erano circa settemila i negativi realizzati che trovarono una collocazione ufficiale nella raccolta Bunraku pubblicata nel 1972. Durante la guerra, Domon nascondeva le lastre del Murōji e del bunraku sotto il pavimento della stanza per il tè e intanto predicava e scriveva di fotografia prendendo posizione: nel 1943 un articolo contro la propaganda fotografica estera gli fece perdere il posto presso l’Agenzia per le relazioni culturali internazionali e rischiare l’arresto. Il 5 giugno 1945 Domon ricevette l’ordine di coscrizione dall’esercito della sua provincia di Yamagata, ma un primo ictus nel 1959 e un secondo nel 1968 gli impedirono anche di impugnare la macchina fotografica e lo costrinsero sulla sedia a rotelle. Negli anni che seguirono il conflitto, il taglio divenne sempre più socialmente connotato, tanto da affiancare ai soggetti d’arte classica una documentazione vivida della città, dei volti e degli eventi politici e sociali d’attualità. Mostra una Tokyo sempre più americanizzata e occidentalizzata nelle mode, ma mostra anche i vicoli e le situazioni più misere. Affronta spesso il tema politico talvolta in modo diretto: nella serie I bambini di Chikuhō (Chikuhō no kodomotachi) testimonia la situazione dei villaggi di minatori nel Sud del Giappone e la disoccupazione cronica, causate dalla nuova politica governativa di smantellamento delle aree minerarie degli anni cinquanta, attraverso il racconto della quotidianità dei bambini lasciati a se stessi, con scatti in bianco e nero potenti, intimi, ravvicinati e stampati su carta uso mano. Domon a distanza di dodici anni dallo scoppio della bomba atomica, decise di recarsi a Hiroshima. Era il 23 luglio 1957 e quel viaggio cambiò di nuovo la sua vita. Domon rimase sconvolto e si rese conto di non aver mai saputo nulla di quello che a Hiroshima era veramente accaduto e di ciò che aveva significato. Scattò quasi ottomila negativi tra luglio e novembre che formarono due raccolte, Hiroshima (1958) e Living Hiroshima (1978). Hiroshima ha segnato una tappa nella storia dell’immagine in Giappone, rappresentando la prima opera della contemporaneità con il riconoscimento nel 1960 del Premio internazionale per la fotografia di reportage. L’ultima parola sul tema “realismo” apparve sulla rivista “Photo Art” nel 1957 con un articolo che dibatteva su due concetti fondamentali della fotografia già trattati da Domon: jijitsu (realtà) e shinjitsu (verità). Domon espresse i suoi dubbi circa la validità del suo pensiero che aveva influenzato generazioni di amatori, creando un’illusione, pur senza dar vita a un vero movimento. Il termine “realismo” diventò per Domon una sorta di etichetta e non mancò di propugnare la necessità del carattere straight dello scatto senza interventi di modifica in postproduzione. In realtà si comprende che c’è un lavoro di preselezione e taglio sull’immagine finale e che anche Domon scattava per puro piacere talvolta lasciando trasparire la parte più naturale e intima del suo carattere. Dopo la seconda emoraggia celebrale nel 1968 iniziò a dipingere con la mano sinistra pagine di album di grande formato con disegni ad acquerello o a pastello dai colori brillantissimi e pieni di

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vigore. Linee di contorno spesse, pochi vuoti che preferisce riempire a piene campiture, che fanno da sfondo alle composizioni, seguendo il contorno del fiore. Gli ultimi scatti sono del marzo 1978. Il suo lavoro di reportage si interruppe definitivamente l’11 settembre 1979 quando cadde nel coma che lo accompagnò per undici anni, fino alla morte il 15 settembre 1990. 

L’anteguerra: dal fotogiornalismo alla fotografia di propaganda

Domon esordì nel mondo della fotografia nel 1933, all’età di 24 anni, su consiglio della madre che lo stimolava a seguire la propria vocazione. Cominciò come monsei, svolgendo le mansioni più umili di allievo apprendista presso lo studio di Miyuachi Kōtarō a Ueno; si affermò aggiudicandosi premi, scrivendo rubriche su riviste e giornali fotografici dell’epoca e pubblicando la sua prima foto su “Asahi Camera” nell’agosto 1935. Il 10 ottobre dello stesso anno rispose all’annuncio di ricerca di un tecnico fotografo da parte dello studio Nippon Kōbō di Ginza. Lo studio di fotografia, arti e mestieri diffuse in Giappone per la prima volta concetti come quelli dell’editing e reporting, nonché un nuovo sistema di produzione basato sulla collaborazione tra fotografo e graphic designer sotto la supervisione di un art director per una diffusione su larga scala del giornalismo grafico, che aprì le porte al fotogiornalismo. La rivista “NIPPON” usava un linguaggio misto tra informazione e propaganda, utilizzando uno staff che includeva fotogiornalisti e designer ai quali si aggregò Domon Ken il 5 novembre 1935. Il primo reportage grafico riguardò il tradizionale festival Shichigosan in occasione della presentazione dei bambini al santuario Meiji jingu e Domon lo realizzò con la sua Leica modello C, ma a questo ne seguirono diversi altri che presentavano l’artigianato, le tradizioni, l’avanzamento industriale e militare e il lato progressista del Giappone. Il contesto storico-sociale trasformò velocemente il linguaggio fotografico da mezzo pubblicitario a mezzo ideologico propagandistico, come è evidente nelle pagine di “NIPPON” e nei grandi manifesti fotografici esposti all’Expo di Parigi del 1937 e alla World Fair di New York e San Francisco del 1939, così come nella rivista “FRONT”. Le personalità forti e diverse di Natori e Domon presto si scontrarono portando alla rottura tra i due: l’antagonismo professionale si rivelò nell’attribuzione delle fotografie pubblicate e nella discrepante visione riguardo il ruolo della fotografia, considerata da Natori al servizio dei mass media, mentre da Domon come espressione artistica. 

Gli anni della guerra e il teatro di burattini bunraku

Durante gli anni di massima espansione nel Pacifico anche la fotografia dovette sottostare alle regole della politica militare; pochissimi fotografi professionisti potevano ottenere l’assegnazione di materiale fotografico per incarichi reputati “essenziali” (servizi fotografici subordinati alle esigenze propagandistiche del Governo). Domon stesso parla nei suoi scritti delle difficoltà nel mantenere una famiglia di sette persone date le ristrettezze provocate dalla guerra. A questo si aggiungeva anche l’ansia del probabile arrivo del “cartellino rosso”. La sua risposta a questa situazione critica sotto ogni punta di vista, fu quella di ritirarsi dalla scena pubblica per dedicarsi alla cultura e alla classicità per continuare a fotografare liberamente. Nel 1939 iniziò a recarsi al tempio Murōji dando avvio alla grande opera Kojijunrei. L’8 dicembre 1941 si trovava invece nel backstage del teatro Bunraku di Yotsubashi Osaka quando lesse 3

l’edizione straordinaria che annunciava la dichiarazione di guerra all’America. Domon non aveva alcuna conoscenza di bunraku né del linguaggio specifico del teatro; egli si limitava a fotografare i burattini quando erano fermi dietro le quinte. L’equipaggiamento fotografico per il bunraku era costituito da una macchina fotografica assemblata, pesante, che doveva maneggiare come un’agile Leica se voleva catturare un palcoscenico e le espressioni in continuo cambiamento. L’obiettivo che utilizzava non garantiva abbastanza luce, mentre la lastra secca aveva tempi di esposizione lunghi oltre a necessitare di assistenza nel cambio. Entro il 1943 settemila erano le immagini realizzate e raccolte in Ritratti (Fūbo) nel 1972.



Il dopoguerra: l’affermazione del realismo in fotografia

I tragici eventi legati alla Seconda guerra mondiale e la sconfitta del Giappone segnata dalle atrocità della bomba atomica rivelarono il grande inganno della propaganda di guerra. In Giappone sconfitta significò sgretolamento del mito imperiale che aveva costituito il fondamento dell’ideologia militarista: l’imperatore aveva rinnegato la sua natura divina, mentre le forze di occupazione americane procedevano allo smantellamento dello shintoismo di Stato. Da una parte dalla fine degli anni quaranta si assistette a una considerevole energia intellettuale che portò a una veloce rinascita di riviste, pubblicazioni, mostre e circoli artistici, dall’altra nessun linguaggio sembrava essere adatto a esprimere una realtà così tragica, tanto che l’espressione artistica sembrava un paradosso. La popolazione necessitava di beni materiali essenziali quali cibo e medicine, casa e trasporti, per cui si fece strada una sorta di sentimento sociale e agli slogan brutali della propaganda si cercò di sostituire un linguaggio che riuscisse a descrivere obiettivamente la mutata realtà. In fotografia la soluzione fu la macchina fotografica, che permetteva di osservare, descrivere, documentare fin nei particolari ciò che accadeva davanti all’obiettivo. Domon Ken diventò promotore e leader della tendenza realista attraverso una fotografia che mostrava i cambiamenti della città e della società, ma anche impegnandosi a livello teorico con conferenze, saggi, articoli e critiche che propugnavano il realismo come giusto approccio. L’apice di questa tendenza si ebbe nel 1953 e un peso enorme ebbe la mostra “La fotografia di oggi: Giappone e Francia” tenutasi nel 1951 presso il Museo nazionale d’arte moderna di Tokyo. Fu l’occasione per un confronto con il realismo francese. L’ultima parola di Domon sul tema “realismo” apparve sulla rivista “Photo Art” nel 1957 con un articolo che dibatteva su jijitsu (realtà) e shinjitsu (verità). 

Verso un realismo sociale: dai villaggi di minatori ai sopravvissuti di Hiroshima

Per Domon fotografia realista significava affrontare in modo diretto le ferite e le cicatrici di una società giapponese disintegrata e la sua fotografia riflette questo impegno sociale e politico. Egli registrò e testimoniò gli avvenimenti sociali con la stessa costanza e franchezza con cui aveva già affrontato l’arte classica. Le due pubblicazioni I bambini di Chikuhō e Hiroshima segnarono in questo senso l’apice dell’opera fotografica del dopoguerra. Bambini Domon amava i bambini. Aveva iniziato la sua carriera negli anni trenta con un servizio sulla festa Shichigosan per la presentazione dei bambini al santuario, aveva poi continuato con un servizio sui bambini dediti alla pesca nella penisola di Izu e a partire dal 1952 aveva cominciato a girare per

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fotografare i bambini delle varie aree del Giappone. Determinante fu la perdita della secondogenita, annegata in un bacino per la raccolta dell’acqua antincendio nell’agosto 1947. Dell’opera I bambini di Kōtō (Kōtō no kodomotachi) era prevista una pubblicazione nel 1956, ma Domon ne bloccò l’uscita. Accanto a un sentimento nostalgico legato alla fanciullezza si fece strada in Domon uno sguardo più socialmente impegnato che segnò il passaggio a una fotografia realista di stampo socialista. La nuova politica economica varata a partire dal 1955 ebbe come risultato la chiusura delle miniere e, a distanza di cinque anni, un tasso di disoccupazione insopportabile e un aumento della denutrizione dei bambini, figli dei disoccupati. Domon scelse di testimoniare la durezza della vita attraverso gli occhi di bambini. Alla raccolta I bambini di Chikuhō, pubblicata nel gennaio 1960, seguì a novembre il volume Il padre della piccola Rumie è morto, che racconta con immagini vivide e dirette e una predominanza del nero le giornate di due sorelline, Rumie e Sayuri, di 11 e 7 anni, nelle baracche del villaggio di Akashi a Chikuhō. Nel 1796 Kamekura Yūsaku curò un’edizione dal titolo Bambini, che raccoglie centouno fotografie in tre sezioni. L’edizione è uno specchio del Giappone che cambia, con le strade che lasciano spazio alle automobili e sempre meno bambini a scorrazzarvi. Hiroshima Pubblicata nel marzo 1958 la raccolta Hiroshima presenta 180 fotografie introdotte da un breve saggio esplicativo. L’opera richiamò nuovamente l’attenzione del mondo sulle ferite ancora vive ma ormai dimenticate di Hiroshima, sollevando un forte eco a livello sociale. Colpisce il fatto che Domon vi abbia messo piede per la prima volta solo il 23 luglio 1957. Inizialmente vi si era recato in veste di inviato, come fotografo professionista, per raccogliere materiale per un servizio per una rivista, ma la sorpresa davanti a una situazione di sofferenza ancora viva lo portò a recarvisi per ben sei volte e un totale di trentasei giorni. Hiroshima era solo un sintesi riduttiva incomparabile con la quantità di materiale raccolto sul campo. Si contano oltre 7.800 negativi. Solo dopo il 1951 fotografie, disegni, poesie, scritti testimonianti i disastri causati dalla bomba ebbero libera pubblicazione. Tra questi il numero del 1952 di “Asahi Graphic”, che pubblico alcune fotografie sui disastri provocati a Nagasaki e a Hiroshima. Domon con la sua 35 mm rivelò i luoghi e le persone colpite dalla bomba: osservò e registrò i danni materiali e fisici subiti dalle vittime, dedicando proprio ai progressi nel campo della chirurgia plastica le quattordici pagine di apertura del volume. Il premio Nobel Ōe Kenzaburō in un articolo sulla rivista “Shinchō” definì il volume Hiroshima come la prima opera d’arte contemporanea. Fu un punto di svolta per l’arte del dopoguerra, perché si entrò nel vivo della realtà di quegli anni, mettendo a fuoco l’irrazionalità del genere umano e il dramma coraggioso e commovente delle vittime, mostrando i vivi anziché i morti.



Ritratti (Fūbō)

Nel 1953 la pubblicazione della raccolta fotografica Ritratti, concluse quindici anni di fotografia dedicata al ritratto. A partire dalla prima fotografia scattata nel maggio 1936, Domon raccolse in un unico volume 83 ritratti di amici, conoscenti, personaggi pubblici del mondo dello spettacolo, della letteratura, del teatro e della politica. 5

I volti dei candidati a essere inserti nella raccolta sembra li avesse scritti con l’inchiostro su una porta scorrevole al secondo piano della propria abitazione nel 1948, prima di sottoporli ad amici ed editori che continuamente visitavano la sua casa ed eventualmente sostituirli con altri. Domon rivela il volto del Giappone di un’epoca: i grandi letterati, attori e registi, i grandi amici e artisti, l’iniziatore della scuola ikebana e pittori. Ogni fotografia è accompagnata dal nome, dalla professione e dalla data dello scatto, oltre a raccontare il rapporto che legava Domon alla persona ritratta e il clima che si era creato durante il servizio fotografico. Capitava che i soggetti si arrabbiassero per l’ostinazione del fotografo, come è evidente nel ritratto di Umehara che ebbe una reazione alquanto irritata se non intimidatoria di fronte ai suoi scatti. Questa immediatezza e istantaneità da lui ricercata divenne sempre più possibile grazie ai miglioramenti tecnici, che gli permisero di passare da una macchina assemblata per ritratti in forma cabinet al piccolo formato della Leica nel dopoguerra.



Pellegrinaggio ai templi antichi (Kojijunrei)

Muroji La prima tappa che per Domon diventò il "pellegrinaggio ai templi antichi", che formò l'opera Kojijunrei fu un piccolo tempio immerso nel verde delle montagne di Nara, il Muroji. Una semplice escursione nel 1939 gli trasformò la vita, riconducendo sul posto a fotografare per ben quaranta volte dopo il primo anno ...


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