Dwight Macdonald - appunti PDF

Title Dwight Macdonald - appunti
Author anna pavesi
Course La comunicazione multimediale
Institution Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM
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DWIGHT MACDONALD Q: qual è la relazione tra i media e la cultura? Possiamo identificare diversi livelli di cultura? Dwight McDonald è uno scrittore americano, un critico, un radicale politico nato nel 1906 a New York e morto nel 1982. Un altro grande giornalista, Paul Goodman, disse di lui: “alcuni pensano con la testi, altri coi piedi, Dwight MacDonald pensa con la sua macchina da scrivere”. Più critico, il giornalista e rivale americano Gore Vidal disse durante una discussione: “non hai nulla da dire, sei solo capace di aggiungere cose già dette”. Leon Trotsky, il celebre teorico del marxismo e rivoluzionario sovietico disse di lui: “ogni uomo ha il diritto di essere stupido, ma il compagno MacDonald abusa il privilegio”. McDonald era battagliero, polemico, ma allo stesso tempo instancabile e creativo. Ian Watt diceva che aveva la pugnace resilienza di Donald Duck, di paperino, e lo disse a mo’ di complimento. Lui nasce nel 1906 nell’Upper West Side di New York. La sua famiglia era protestante e benestante. È importante sottolineare che non era di origine ebree, a differenza di molti altri autori incontrati finora. Il padre sedeva nel consiglio di amministrazione di diversi studios hollywoodiani, il che spiega la sua passione per il cinema. Fin da piccolo dimostra il suo interesse per cultura, pittura, scrittura, letteratura. Frequenta scuole private con culmine all’università di Yale. Lì collabora per il The Yale’ Record e li scrive un controverso editoriale nel quale accusa il professore di inglese, William Lion Pelts, un personaggio molto influente, di essere incapace di insegnare Shakespeare, sollecitandolo a dedicarsi ad altro. Il rettore legge la bozza dell’articolo e gli suggerisce di non pubblicarlo, pena la sospensione, ma l’alunno va su tutte le furie e invoca il diritto di libertà di espressione. Per tutta risposta il rettore gli dice che non aveva alcuna intenzione di violare il suo diritto di espressione, non aveva alcuna intenzione di censurarlo, ma che se avesse pubblicato l’articolo l’avrebbe espulso dall’università, così MacDonald ritratta e decide di non pubblicare l’articolo. Sarà la prima e ultima volta che accetterà il suggerimento di un’autorità. Dopo essersi laureato in letteratura inglese a Yale nel 1928 lavora come venditore presso Macy’s, il celere grande magazzino che oggi è andato in bancarotta ma che ai tempi era molto influenti, come una sorta di Rinascente attuale. La sua permanenza lì non dura molto, infatti dopo soli tre mesi, stufo e annoiato comincia a perseguire la carriera di giornalista che aveva sempre sognato. Lavora per Henry Luce, il grande publisher americano, inizia a scrivere per Time, magazine, una rivista che era stata introdotta nel 1923, e successivamente collabora anche con la rivista Forcin, lanciata nel 1930, dopo la grande depressione del 1929. Forcin era la rivista del capitalismo, non in accordo con le idee politiche di MacDonald. A complicare le cose ci penserà Nancy Rodman, di cui si innamorerà perdutamente e che sposerà dopo poco, che gli sollecita la lettura del capitale di Marx. La lettura per lui è epifanica, si trasforma in una vera e propria conversione per lui, il quale continuava a collaborare con Forcin con sempre maggiore difficoltà. Nel 1936 scrive un articolo molto critico nei confronti del US Steal Corporation, la principale azienda americana nella produzione di acciaio, il direttore della rivista legge una bozza, che tra l’altro si apriva con una citazione di Lenin, e riscrive parti corpose dell’articolo. Per tutta risposta MacDonald dà le dimissioni. È una figura la sua, infatti, idiosincratica, rifiuta le facili associazioni. Infatti la sua conversione al comunismo è problematica, in quanto litiga con tutte le fazioni impegnate nel dibattito, gli stalinisti da una parte e i Trotskisti dall’altra. Nel 1937, dopo aver lasciato le due testate giornalistiche si unisce Philip Raph e William Philips, nel rilancio di una rivista culturale, letteraria, intitolata Partisan Review, lanciata nel 1934 come una rivista bimestrale rivoluzionaria di critica letteraria da ******** Di New York, un’organizzazione ai tempi controllata dal partito comunista americano. Successivamente però la rivista si allontana dalle fazioni comuniste e privilegia una lettura più neutrale. La peculiarità di questa rivista è che cercava di combinare una posizione marxista, esplicita in alcuni casi, implicita in altri, insieme a una estetica modernista o d’avanguardia. Contemporaneamente sviluppa una grande passione per il cinema. Inizialmente appassionato dal cinema espressionista russo, lo stesso che aveva travolto Walter Benjamin. Intorno agli anni trenta di disinnamora del cinema sovietico definendolo come pura propaganda politica, al pari di quella comunista. Questo giudizio spinge un critico d’arte, Clement Greenberg, a scrivere una lettera a Partisan Review, in cui aveva criticato alcune delle tesi esposte da

MacDonald nella filippica contro il cinema sovietico. Deliziato per aver sollevato un antagonista, MacDonald invita Greenberg a esporre le sue critiche sotto forma di saggio. Lui accetta di buon grado la sfida e scrive un saggio intitolato “Avant-garde and kitsch” (l’avanguardia e il kitsch), pubblicato nell’autunno 1939 sulle pagine di Partisan Review, e diventerà uno dei saggi più importanti del 20° secolo dal punto di vista di critica dell’arte. Perché era così importante? Apparentemente è una critica marxista ortodossa. In questo Greenberg assimilava i prodotti dell’industria culturale americana alla propaganda sovietica e all’arte dei nazisti. Tanto la cultura americana quanto la propaganda nazista o sovietica erano forme di kitsch, di pattume, alla quale ci si deve opporre attraverso una forma di resistenza culturale che è politica e che assume la forma della cultura alta, l’avanguardia. Greenberg scrive che dove c’è un’avanguardia c’è anche una retroguardia. Per qualche ragione questo strano fenomeno è sempre stato dato per scontato. Sarebbe ora di indagare sui suoi come e i suoi perché. Il kitsch è un prodotto dell’industria culturale che nell’Europa occidentale e in America ha urbanizzato le masse e ha instaurato quello che si chiama l’analfabetismo universale. Il saggio di Greenberg è pubblicato nel 1939, pochi anni prima del saggio sull’industria culturale di Adorno e Horkheimer, incluso in Dialettica dell’Illuminismo. Nell’interpretazione del giovane critico d’arte americano esiste una dicotomia tra l’arte d’avanguardia, alta, e il kitsch, bassa. In questo saggio afferma che sia l’arte d’avanguardia che il kitsch erano il prodotto inevitabile se vogliamo della rivoluzione industriale. L’arte era diventata d’avanguardia quando artisti seri avevano deciso di rinunciare al confronto con la società, che li aveva alienati, vuota, priva di valori, e questo ritiro, allontanamento, si era tradotto in un’attenzione dell’arte per l’arte, nell’attenzione verso la materialità della pittura, della vernice, della tela, e ciò si traduce ad esempio in un rifiuto verso la rappresentazione del realismo, e ad un avvicinamento all’astrazione. Per converso il kitsch era una conseguenza del fatto che la rivoluzione industriale aveva di fatto incrementato l’alfabetizzazione e le nuove tecnologie della riproduzione meccanica, celebrate da Walter Benjamin, avevano introdotto una cultura fasulla, fittizia, banale, che consentiva di produrre a basso costo prodotti per una audience di massa, che non aveva altro interesse al di fuori del disimpegno, dello svago e dell’intrattenimento. Gli intellettuali dell’epoca usano la popular culture come filtro interpretativo per esaminare la crisi della democrazia. Questa cultura di massa aveva finito per distruggere, annichilire, eliminare il folklore. La novità di Greenberg rispetto alle tradizionali critiche marxiste è che invece di criticare l’arte modernista che generalmente era considerata solipsistica, fine a se stessa, l’arte per l’arte, insieme al kitsch, l’oppio delle masse, Greenberg difende e legittima l’arte moderna, non denuncia la pittura astratta, la poesia modernista ma al contrario li difende a spada tratta: egli infatti afferma che la produzione artistica è inevitabile nel contesto del capitalismo, non esiste oggi altro modo oltre al modernismo di creare una vera arte, una vera letteratura. Tanto la redazione quanto i redattori di Partisan Review adorano questo saggio perché giustificava e legittimava le loro stesse posizioni, cioè l’alleanza simmetrica sia al marxismo che al modernismo. Tra i principali fan di questo saggio c’è MacDonald stesso, che già da tempo aveva criticato la cultura di massa. Applica lo schema di Greenberg, cultura alta vs cultura bassa, e denuncia la distruzione dell’arte folk e l’ascesa di una cultura commerciale che non aveva altro interesse se non la massimizzazione dei profitti da parte dei “signori del kitsch”. Era un grandissimo fan dell’arte modernista, di James Joyce, e i film che adorava avevano delle qualità di cultura alta, come Charlie Chaplin o il giovane Einstein. Ma la relazione tra MacDonald e Partisan Review si complica. Nel 1943 decide di abbandonare la rivista lamentandosi che questa testata era diventata troppo letteraria e poco politica, per questo l’anno successivo decide di creare la sua pubblicazione, che chiama Politics, sempre una rivista letteraria di cultura, ma la politica è in primo piano anziché essere sullo sfondo. Lo stesso Greenberg lascerà Partisan Review ma anziché unirsi a Politics diviene il critico d’arte per The Nation, una delle più importanti pubblicazioni americane. Nel decennio successivo diventerà il campione, il paladino della pittura d’avanguardia americana, e in particolare del lavoro di Jckson Pollock. Greenberg e MacDonald rimangono amici sebbene in varie occasioni si confrontano e litigano su vari temi. Il saggio di Greenberg aveva comunque lasciato il segno e Dwight decide di esporre e formulare quella che è la sua teoria sulla cultura di massa, pubblicato nel 1944 con il titolo di “A Theory of Popular Culture”, si tratta di una ripresa del saggio del collega. Di nuovo, nel saggio di MacDonald è l’accusa che l’indifferenza del lavoratore americano per il tema del

socialismo è riconducibile direttamente alla strategia narcotica e ai media di massa, cinema, televisione, canzonette, fumetti, non hanno altra funzione che intorpidire le menti dei lavoratori, impedendo loro di sviluppare una piena coscienza del loro stato di subordinazione. Una posizione, se vogliamo, molto simile a quella di Adorno e Horkheimer. Politics è una rivista di nicchia, nel momento di massimo successo aveva solo 5000 abbonati negli stati uniti. Era comunque una rivista molto influente, apprezzata, e rispettata. Tuttavia la pubblicazione si interromperà nel 1949. Nel 1953 MacDonald pubblica una versione riveduta e corretta, ampliata del saggio del 1944, intitolato “A Theory of Mass Culture”, lo pubblica su Diogene. In questo saggio riprende ed espande i concetti precedentemente espressi e questa volta cita anche gli autori della scuola di Francoforte, tra cui Horkheimer e Adorno. Scrive che l’arte folk è stata sostanzialmente distrutta dalla cultura di massa, che ha finito per distruggere i confini che esistevano tra cultura alta e bassa e ha integrato le massa in una forma svilita della cultura alta, per controllare le masse stesse. In quegli anni MacDonald lavorava a temo pieno al “The New Yorker”, una pubblicazione americana tra le più importanti, aveva cominciato nel 1928 qualche collaborazione, ma dalla chiusura di Politics aveva cominciato una collaborazione regolare. I suoi contributi appariranno dal 1952 al 1962, un decennio in cui produce alcune delle sue cose migliori. Comincia a collaborare allo stesso tempo con “Esquire”, che ai tempi era una delle riviste più seguite e apprezzate. Scrive di cinema e la sua popolarità cresce, tanto che nel ’60 verrà chiamato in uno show televisivo molto seguito per parlare di cinema, invito che accetta di buon grado. IL SAGGIO MASSCULT& MIDCULT Il saggio gli era stato commissionato da un importante testata, “The Saturday Evening Post”, ma non verrà pubblicato per l’ennesimo screzio tra MacDonald e i redattori, i quali avevano chiesto di inserire “The New Yorker” tra i bersagli di critica, di fare di quella testata un esempio di Midcult. Lui rifiuta perché quella testa aveva pubblicato i suoi migliori saggi, così verrà pubblicato su Partisan Review in due parti, la prima nella primavera 1960, la seconda in autunno 1960, ma il saggio conoscerà una popolarità mainstream solo due anni dopo, quando verrà incluso in “AGAINST THE AMERICAN GRAIN, essays on the effects of mass culture”, al punto che verrà poi pubblicato in maniera autonoma, anche in Italia arriverà negli anni 60 e darà inizio a un lungo dibattito culturale. In questo saggio sintetizza tre modi di guardare alla cultura:  Teorie di Van Wyck Brooks, un critico letterario il quale aveva identificato all’interno della cultura diversi livelli, che lui chiama rispettivamente cultura alta, cultura media, cultura bassa, nello specifico afferma che nell’era pre-industriale, la cultura è divisa in due grandi fazioni, la cultura alta, dell’aristocrazia, e la cultura bassa, della plebe. La situazione si fa più complicata a partire dalla rivoluzione industriale, perché si aggiunge la cultura media. L’arte aristocratica è quindi elitaria, è espressione di un canone letterario e artistico, i grandi libri, e ammonta circa all’uno per cento della produzione artistica e culturale. La cultura media è una produzione artistica e culturale della e per la classe borghese, e si tratta di letteratura di genere e di consumo. Infine la cultura bassa l’arte delle classi popolari e del proletariato, è l’arte autentica.  Il saggio di Greenberg “Avant-garde and Kitsch”. Da un lato esiste un’avanguardia che è espressione autentica e pura dell’arte e coincide col modernismo, e dall’altra il kitsch, l’industria culturale di Adorno e Horkheimer. Greenberg sapeva il tedesco e leggeva e aveva famigliarità con la scuola di Francoforte.  I due contributi già citati di MacDonald, “A Theory of Mass Culture” e “Masscult & Midcult”, in cui i contenuti vengono riformulati e sintetizzati. Qual è la novità di MacDonald? Mantiene la struttura a piramide di Brooks, pone al vertice la cultura alta, elitaria, limitata, alla quale si oppone, però, un tipo di produzione molto più vasta e ampia che chiama rispettivamente Midcult e Masscult. Quindi la cultura media, di massa, bassa vengono riformulati. Ma non si tratta di un singolo esercizio di nomenclatura o ridefinizione, ma anche di ricontestualizzazione e riorganizzazione. Per cultura alta intende “un’espressione di idee, sentimenti, gusti e modi di vedere contrastanti”, “rispetta degli standard” (canone). Esiste quindi un canone di opere, di capolavori, che rappresentano il non plus ultra dell’arte e della letteratura. Presenta caratteri di autenticità, è rispettosa, è il

meglio. Non afferma che sia per definizione elitaria, ma può arrivare alla popolarità di massa, per esempio lui cita Edgar Allan Poe, uno dei suoi scrittori preferiti, il cinema di Chaplin, Charles Dickens, Griffith, Buster Keaton, Henry James, Orson Welles. Alla cultura alta si oppone il Masscult, la cultura bassa, espressione commerciale e mercantile della produzione culturale. È imposta dall’alto (i signori del Masscult, o del kitsch), scrive che non si tratta di una vera e propria cultura, e che anzi è una parodia della cultura alta, una volgare imitazione. Allo stesso tempo lo definisce come un fenomeno senza precedenti, non è arte ma è il contrario, un incubo culturale, non offre si suoi fruitori né una catarsi emotiva né un’esperienza estetica, poiché entrambe le cose richiederebbero impegno, sforna prodotti omologati che hanno come obiettivo la mera distrazione. È una cultura volgare e svilita, che elude sia l’approfondimento di temi forti come sesso, morte, fallimento e tragedia, sia il godimento dei piaceri semplici e spontanei. È espressione di una cultura autoritaria, imposta dai Signori del kitsch, mascherata da democrazia. “Dare al pubblico quello che vuole”.

ARTE POPOLARE

MASSCULT

Si sviluppa dal basso

È imposto dall’alto

Forma espressiva spontanea

Tecnica di controllo

Soddisfa bisogni autentici

Stabilisce i bisogni delle masse

Le origini del Masscult vengono fatte risalire all’Inghilterra, XVIII secolo (rivoluzione industriale”, 1750. L’incremento dell’alfabetizzazione non produce lettori colti, bensì una domanda/offerta di prodotti dozzinali, sensazionalistici, di bassa lega (robaccia). Produce un incremento di ignoranza. Alla qualità dell’opera si sostituisce la personalità dell’autore. Il produttore culturale è visto come una celebrità, una figura carismatica, un genio. C’è inoltre una relazione parasociale tra l’autore e il lettore, un ipotetico rapporto intimo, che spinge il fruitore a immaginare l’autore come contiguo, prossimo, vicino a noi, come qualcuno che ci è amico. Lui identifica all’origine di questo fenomeno Lord Byron o Walter Scott. Alla qualità si sostituisce la quantità (un libro mediocre potrebbe vendersi, mentre è sicuro che uno buono non venderà). La creazione culturale è pura merce e prevede la produzione coatta di articoli ripetitivi, prevedibili, standardizzati, omologati. Reazione controllata: prevede e incorpora le reazioni dello spettatore/lettore/fruitore, gli dice cosa pensare e sentirsi, come reagire, senza invitarlo a fare alcuno sforzo. “La canzonetta che ascolta per conto dello spettatore” (Adorno). I requisiti per il mass cult sono credere in ciò che si fa e avere prossimità con l’uomo comune a cui ci si rivolge. Lui attribuisce questa strategia a Henry Luce, per il quale aveva lavorato. MacDonald recupera il concetto di Greenberg di kitsch e afferma che rappresenta Midcult e Masscult insieme. Se la tua opera piace alle masse c’è qualcosa che non va, generalmente, hai sbagliato qualcosa, ti stai rivolgendo a un pubblico di pari anziché di inferiori. Esempi: le opere di Norman Rockwell, il cui peculiare stile è stato definito realismo romantico, che ha riscosso negli stati uniti un enorme apprezzamento popolare, influenzando intere generazioni di pittori. La sua fama è legata soprattutto alle 300 copertine realizzate tra il 1916 e il 1963 per il magazine “the Saturday Evening Post”, che formano nel loro insieme un esempio peculiare della popular culture americana. Altro

esempio è il concetto di Norman Vincent Peale di psicologia del pensiero positivo. Tuttavia la critica più brutale è rivolta non al Masscult ma al Midcult. Secondo MacDonald il Midcult emerge in seguito all’invenzione della classe media in era industriale, ma si afferma a partire dal Dopoguerra grazie all’aumento esponenziale di tre fattori: il benessere, il tempo libero e l’istruzione a livello universitario. Ciò è accompagnato dall’esplosione di merci culturali a basso costo, accessibili ed economiche. Il fenomeno è segnato dal mero consumo anziché dalla creazione. Manca completamente una comunità culturale. È una plaude piena di melma rassicurante che avanza pretese di qualità. Annacqua e volgarizza i canoni della cultura alta. Le grandi culture, per definizione, ruotano sempre intorno ad un’élite, piccole comunità che avevano canoni condivisi, nati all’interno delle classi superiori e incoraggiavano la creatività con entusiasmo e la disciplinavano attraverso una critica autorevole. Era sì snob, ma poteva accedervi chiunque si interessasse alle medesime stramberie. Gli artisti d’avanguardia non hanno al consapevolezza di fare parte di essa, non si considerano modernisti ma artisti, pittori, musicisti che non fanno parte di un movimento e non appartengono a un’etichetta. Quindi Masscult e Midcult può essere considerato un tentativo di demarcazione, il tentativo da parte di un autore di distinguere ciò che ha valore da ciò che non lo ha. Purtroppo l’avanguardia è stata progressivamente assorbita dal Midcult. “L’essenza dell’avanguardia stava nel rifiuto di mettersi in concorrenza sui mercati culturali consolidati. L’avanguardia si impegnava strenuamente a delimitare un’area in cui il vero artista potesse operare in libertà per mantenere le barriere tra esperto e sconoscitori”. Ci sono du...


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