Etnografia - Vereni - Il mutamento dell’immagine degli albanesi nei mezzi di comunicazione italiani PDF

Title Etnografia - Vereni - Il mutamento dell’immagine degli albanesi nei mezzi di comunicazione italiani
Author Ilaria Sbuttoni
Course Antropologia dei media
Institution Università degli Studi di Torino
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Etnografia - Vereni - Il mutamento dell’immagine degli albanesi nei mezzi di comunicazione italiani Tra il 1995 e il 1997 vereni si recò spesso in albania dove incontrò Dhori Fallo che gli raccontò di uno dei sue due figli che viveva in italia dal 1991 e di come lo "salutò" dicendogli di dimenticare di essere albanese, poichè non avevano più nessuan dignità da difendere ma solo miseria umana e morale da sconfiggere. All'epoca igli albanesi non godevano di una buona reputazione in europa: noti alle crnache solo per casi criminali. Rientrato in italia nel 1997 e notò come dai mezzi di comunicazione emergeva un immagine complessama sostanzialmente negativa degli albanesi. In un primo momento (da febbraio a marzo del 1997) vennero descritti come un popolo folcloristico, povero, dedito all'allevamento e alla pesca, come lo trovarono durante l'occupazione italiana (1939-1943). Lo sperare in un miglioramento delle loro condizioni di vita, però, li rese, agli occhi dei media italaini, "gente che aveva creduto in un sogno" descrivendoli come "dei pinocchi che credono nel paese dei balocchi", descriti in modo lapidario ed un certo senso di superiorità. Con il peggioramento delle rivolte, causate della gravissima crisi economica che stava vivendo l'albania quell'anno, si diffuse lo stereotipo di violenti banditi, estesosi non solo agli albanesi, ma ache al resto delle polpolazioni dell'est europa. Gli albanesi vengono descritti dai media come in preda al Male o ad una malattia contagiosa, dando di fatto un analisi irrazionalista della sommossa popolare che è in parre comprensibile data l'entità della crisi finanziaria che stavano subendo. Vereni studia in particolare i corsivisti e nota come fin dall'inizio evidenzino quale sia il vero rischio della crisi albanese: una nuova ondata di invasione di profughi. Da metà marzo, infatti, l'italia si rende contodi dover affrontare un "esodo delle proporzioni di una figa di massa" (invasione che contava 10'000 albanesi), nei media predominava una visione apocalittica. . Si ridisegna quindi l'immagine degli albanesi ormai sempre più cupa e tutti i commentatori puntano sul come distinguere coloro che hanno diritto di asilo da quelli che invece dovrebebro essere scacciati. Altri invece avevano un argomentazione descrivibile come "la natura oggettiva e dicotomica del male", dove c'è una distinzione netta tra buoni e cattivi, senza avere possibilità d'appello. " È evidente la rappresentazione degli albanesi come popolo miticamente dicotomico rispetto alla morale, senza le ovvie sfumature, ambiguità e sovrapposizioni che ci caratterizzano: ognuno di loro può essere collocato o tra i buoni o tra i cattivi. " Questa visione deglialbanesi si fa particolarmente forte dal 25 marzo quando si cominicia a parlare di "battelli carichi di falsi profughi" e iziano a sollevarsi soluzioni radicali, ma dal 28 marzo con l'affondamento di una nave carica di albanesi riporta ad un ridimensionamento del linguaggio e del tono e si descrive l'albania come un paese in crisi, ma non la bolgia raccontata solo una settimana prima. Quando poi è uscita la possibiità di un intervento armato in albania da parte dell'italia per far entrare l'albanian nel trattato di maastricht, così per farla entrare in europa. L'albania diventa quindi il luogo del riscatto dell'identità italiana (pretesto per mostare ai oartnern europei il valore della nazione) e la questione-itali albanese va misurata solo per quanto l'abania possa influire sull'immagine dell'italia all'estero.

questo nuovo tono nel parlare dell'abania però creò diverse confusioni, prima fra tutte a livello poolitico dove anche in oartiti di sinistra si sentivano ostilità dure e compatte contro gli albanesi, tanto da essere definiti come sentimenti che sembravano "costole della lega", chiedendo che il governo li risparmi dall'invasione dei barbari. Ci si chiede dunque il perchè di questa ostilità verso gli albanesi da parte della sinistra, che nonmlo avrebbe mai permesso se gli immigrati fossero stati senegalesi, marocchini, filippini o somali. "La prima ragione che ci viene in mente è che gli albanesi hanno la colpa di essere bianchi, somaticamente non distinguibili da un italiano qualsiasi (…). Poco diversi, troppo simili” “Ma come è possibile che una nazione di sessanta milioni di abitanti, che una grande e ricca nazione europea come l’Italia si faccia spaventare da qualche migliaio di profughi albanesi a tal punto che sembra quasi non vi sia più una città, un paese, un comune disposti ad accoglierne neppure qualche decina? (…) È possibilissimo, invece: sono il benessere e il timore di perderlo, è la diffusione ormai senza limiti di valori e di stili di vita ispirati al materialismo e al consumismo (…). La realtà è che se una nazione di sessanta milioni di abitanti, se una ricca e grande nazione come l’Italia si fa spaventare da una manciata di profughi albanesi è precisamente perché essa non si sente affatto una nazione. (…) Gli italiani, dal canto loro, non si percepiscono come gli abitanti di questo vasto insieme nazionale quanto piuttosto gli abitanti di una somma di comunità sparse, legate da un debole e malcerto vincolo. Gli albanesi spaventano e inducono al rifiuto precisamente perché sono visti non già come dei profughi che arrivano in Italia, in una grande nazione, bensì come degli intrusi non invitati in questa o quella delle tante comunità di cui sopra” ". Gli italiani quindi non sono nè razzisti, nè egoisti o insensibili, ma solo orfani di dello stato. Vengono quindi descritti allo stesso modo degli albanesi di neanche un mese prima. Marcello Veneziani riprende l'argomento: "Gli italiani temono ondate di immigrati albanesi non perché siano razzisti o sciovinisti, ma per due opposte ragioni. Perché vedono gli albanesi come degli italiani affamati, li temono perché sono la nostra versione primitiva. E temono di metterearepentaglio il benessere, la sicurezza, la modernità: li spaventa l’arretratezza, la puzza del nostro passato. E poi li respingono non per orgoglio nazionalista, ma al contrario, perché temono la fragilità del nostro sgangherato sistema Paese, con tante piccole Albanie e disoccupazione. Non si fidano dell’Italia e si sentono una comunità nazionale spappolata” L'apertura al confronto con l'altro ha per anni prodotto una bassa autostima sociale e l'abania a causa del governo comunista ('46-'90) che filtrava il contatto mediatico con l'estero creò un'idea di loro stessi che si basava su un giudizio interno molto benevolo e indulgente, immagine che è poi caduta con il governo comunista. La stessa parola "albanese" (in albania) aveva un'accezione negativa, era sinonimo di una persona incapace ed ignorante, era praticamente un insulto. Ma quest’immagine negativa dell’identità albanese si è lentamente e parzialmente modificata, almeno in Italia, garzie alla figura televisiva del ballerino albanese Kledi Kadiu, prodromo di una nuova generazione di albanesi disposti a proporre all'inizio del nuovo millenio una forma alternativa di identità rispetto al modello "poveraccio o criminale" impostosi negli anni '90. Questa immagine

televisiva italianaha iniziato a ripercuotersi sull'autorappresentazione degli albanesi sia in albania sia in italia. "La messa in scena del corpo come strumento di performance di eccellenza ricorda altri casi famosi: i giocatori di cricket indiani nelle squadre inglesi (Appadurai 1996) o i campioni afroamericani negli Stati Uniti (Page 1997). Corpi senz’altro naturalizzati, addomesticati dallo sguardo egemone in funzione di un godimento estetico rassicurante. Ma corpi capaci anche di riscattare un’identità smarrita se non esplicitamente sottomessa, in grado di riappropriarsi di una dignità personale che può diventare condivisa dall’intera comunità di riferimento." "Per quanto riguarda invece lo specifico rapporto tra mezzi di comunicazione di massa e identità collettive, non vi è alcun rapporto causale diretto tra rappresentazione nei media e percezione della propria identità. Non basta, cioè, vedersi descritti come sciocchi o criminali o ballerini dai grandi mezzi di comunicazione di massa per percepirsi come tali, dato che il discorso dei media entra nelle ordinarie spirali comunicative come unadelle voci in gioco. i mass media “non esistono”, se per mass media intendiamo un sistema di comunicazione autonomo e tendenzialmente “persuasore”, i cui effetti sociali possano essere resecati da quelli della più vasta struttura entro cui si inscrivono (Tomlinson 1991). Al contrario, un’analisi di taglio antropologico sui mezzi di comunicazione di massa ci rende sempre più consapevoli della natura “mediata” della vita sociale in generale (Mazzarella 2004). Esistono cioè nuclei più o meno densi di comunicazione e aggregazione di significati che non possono esisterese non in forma mediata, cioè comunicata: gli stili culturali da cui si proviene, le aspettativesociali, gli incentivi individuali, gli habituscome archivi consolidati e generatori sperimentali di pratiche, e i capitali culturali ed economici di cui si dispone. Dentro questo quadro, agiscono i mezzi di comunicazione di massa."...


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