il pianeta degli slum PDF

Title il pianeta degli slum
Course Sociologia del territorio e sicurezza urbana
Institution Università degli Studi Gabriele d'Annunzio - Chieti e Pescara
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Il pianeta degli slum Sociologia Università degli Studi G. d'Annunzio Chieti - Pescara 13 pag.

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Il pianeta degli slum – Mike Davis Il climaterio urbano Per la prima volta la popolazione urbana della terra supererà numericamente quella rurale, data l’imprecisione dei censimenti nel terzo mondo però, con ogni probabilità questa transizione epocale si è già verificata. Il processo di urbanizzazione del pianeta è stato ancora più rapido di quanto avesse predetto nel 1972 il Club di Roma con il suo “I limiti dello sviluppo”. Le città hanno assorbito quasi i due terzi dell’esplosione della popolazione globale iniziata nel 1950, le città rappresenteranno tutta la futura crescita demografica il cui picco dovrebbe essere toccato nel 2050 con circa dieci miliardi di persone. Il fenomeno più noto è la fioritura di nuove megalopoli con popolazioni superiori agli otto milioni e di ipercittà con più di venti milioni di abitanti. La deflagrazione delle città del mondo in via di sviluppo sta anche intrecciando nuovi straordinari reticoli, corridoi e gerarchie urbane. Quanto alle Americhe, i geografi parlano più di un leviatano noto come il nome di Regione metropolitana estesa, Rio, che comprende le città di medie dimensioni lungo cinquecento km dell’asse di trasporto tra le due maggiori metropoli brasiliane. Ancora più sorprendente è la vasta conurbazione dell’Africa occidentale che va rapidamente coagulandosi lungo il Golfo di Guinea, ma il dado tragico è che probabilmente sarà anche la più grande singola area di povertà urbana sulla terra. Le maggiori strutture posturbane però stanno emergendo nell’Asia orientale. Queste nuove megalopoli cinesi secondo i ricercatori potrebbero essere solo la prima fase dell’emergere di un ininterrotto corridoio urbano esteso dal Giappone/Corea del Nord fino a Giava ovest. Il prezzo di questo nuovo ordine urbano sarà la crescita della disuguaglianza dentro le città e tra città di diversa dimensione e specializzazione economica. Se è vero che le megalopoli sono gli astri più brillanti nel firmamento urbano, è altrettanto vero che tre quarti del peso della futura crescita della popolazione mondiale graverà su città di seconda fascia. L’urbanizzazione va concettualizzata come una trasformazione strutturale che si svolge lungo tutti i punti di un continuum urbano-rurale, e come l’intensificarsi dell’interazione tra questi punti. Il risultato di questa collisione tra rurale e urbano in Cina, in gran parte del Sudest asiatico, in India, in Egitto e forse anche in Africa occidentale è un passaggio ermafrodito, una campagna parzialmente urbanizzata che secondo Guldin potrebbe essere un nuovo significativo percorso di insediamento e sviluppo umano. Queste regioni metropolitane estese rappresentano una fusione dello sviluppo urbano con quello regionale, in cui la distinzione tra ciò che è urbano e ciò che è rurale è andata sfumando con l’espansione delle città lungo corridoi di comunicazione. Il nuovo e il vecchio non si mescolano facilmente, la globalizzazione però, ha accresciuto il movimento di persone, beni, servizi, informazioni ecc. La dinamica dell’urbanizzazione del terzo mondo ricapitola e al contempo fonde i precedenti di Europa e Nord America del diciannovesimo e dell’inizio del ventesimo secolo. È improbabile che anche solo cinquant’anni fa qualcuno potesse presagire che Seul, con i suoi campi profughi e le sue macerie di guerra, avrebbe compiuto una metamorfosi così vertiginosa trasformandosi in una megalopoli grande quanto la grande mela New York. In gran parte del mondo in via di sviluppo, però, la crescita delle città è priva dei potenti motori di esportazione manifatturiera posseduti dalla Cina, dalla Corea e da Taiwan, oltre che del vasto afflusso di capitale estero di cui dispone la Cina. Qualcuno potrebbe sostenere che urbanizzazione senza industrializzazione è l'espressione di una tendenza inesorabile quella a sganciare la crescita della produzione da quella dell'occupazione. Con la scomparsa delle reti di sicurezza, i contadini poveri sono diventati sempre più esposti a qualsiasi tipo di shock esogeno some la siccità, l’inflazione ecc. contemporaneamente i signori della guerra

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distruggono campagne. Le città hanno semplicemente raccolto i frutti di questa crisi agraria mondiale, un ricercatore dell’organizzazione internazionale del lavoro ha calcolato che i mercati ufficiali immobiliari nel Terzo Mondo raramente forniscono più del venti percento del nuovo stock abitativo. La gente per necessità ripiega sulle baracche improvvisate, gli affitti in nero, lotti pirata o marciapiedi. Dal 1970 la crescita degli Slum in tutto il sud ha superato l’urbanizzazione in sé. Le stesse tendenze di Città del Messico sono riscontrabili in tutta l'Asia, Africa e a Bombay. Le città del futuro, lungi dall’essere fatte di vetro acciaio secondo le previsioni di generazioni di urbanisti, saranno in gran parte costruite di mattoni grezzi, paia, plastica riciclata, blocchi di cemento e legname di recupero. Al posto della città di luce che si slanciano verso il cielo gran parte del mondo urbano del ventunesimo secolo vivrà nello squallore, circondato da inquinamento, escrementi e sfacelo. La prevalenza degli slum La stupefacente prevalenza degli slum è il tema principale di “The challenge of slums” un rapporto storico dai toni cupi pubblicato nell’ottobre del 2003 dall’Human Settlements Programme dell’Onu. Questa prima rassegna autenticamente globale sulla povertà urbana è il culmine di due secoli di quella ricognizione scientifica della vita degli Slam che ebbe inizio nel 1805. Questo lavoro è un lavoro che ha visto la collaborazione di oltre cento ricercatori, integra e fonde tre fonti inedite di analisi di dati. Prima di tutto si basa su studi sinottici sulla povertà, sulle condizioni negli Slum, sulla politica abitativa in trentaquattro metropoli. In secondo luogo, utilizza un database comparativo, unico nel suo genere, relativo a duecentotrentasette città in tutto il mondo; terzo, incorpora dati globali di indagine sulle famiglie, informazioni che aprono nuovi territori di analisi in quanto includono sia la Cina che il blocco ex sovietico. Slum deriva dal lessico del gergo della malavita e viene presentato come sinonimo di “traffico criminale” (J. Hardy Vaux). Al tempo del colera degli anni 30 e 40 dell'Ottocento però i poveri più che praticare lo slum come attività commerciale vi vivevano. Alla metà del secolo, venivano identificati in Francia, in America e in India e quindi riconosciuti come un fenomeno internazionale; questi Slum classici contenevano notoriamente una forte specificità e un pittoresco localismo, ma i riformatori generalmente concordavano sul fatto che tutti gli Slum erano caratterizzati da un amalgama di abitazioni fatiscenti e da sovraffollamento, malattia, miseria e vizio. Per i liberali dell'Ottocento la dimensione morale era decisiva e lo Slum era visto innanzitutto e soprattutto come un luogo in cui un incorreggibile e brutale “residuo” sociale marciava in immorale e spesso sedizioso splendore; il neonato dipartimento del lavoro usa nella prima rilevazione scientifica sulla vita di casamenti americani definiva lo Slum come un’area di sporche strade secondarie, soprattutto quando abitata da una popolazione sordida e criminale. Gli autori della prima opera citata respingono le calunnie vittoriane e conservano la definizione classica di slum quali luoghi caratterizzati da sovraffollamento, strutture abitative scadenti o informai, accesso inadeguato all’acqua sicura e ai servizi igienici. I ricercatori dell’Onu stimano in almeno 921 milioni gli individui che abitavano negli slum nel 2001, diventati più di un miliardo nel 2005. Gli slum che mostrano la crescita più rapida si trovano nella Federazione russa e nelle ex repubbliche sovietiche. Il nucleo urbano in acciaio e cemento di epoca sovietica è oggi circondato da una marea di ex pastori impoveriti, abitanti in tende dette ger, pochi dei quali riescono a mangiare più di una volta ala giorno. Secondo le definizioni basate sulle soglie di povertà relativa nazionale, il numero dei poveri urbani corrisponde ad almeno la metà della popolazione urbana mondiale. In effetti è difficile procurarsi dati statistici precisi, perché le popolazioni povere degli slum sono spesso deliberatamente e massicciamente, sottostimate dalle

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autorità. Probabilmente sulla terra esistono più di duecento mila slum, con un ventaglio di popolazione che li abita che va da qualche centinaio di persone a oltre un milione. I “mega slum” nascono quando le baraccopoli e le comunità di occupanti abusivi si fondono in fasce continue di abitabilità informale e di miseria, di norma nelle periferie urbane. Dappertutto, nel terzo mondo, la scelta abitativa è il risultato di un difficile calcolo di disorientamenti compromessi. I poveri urbani si trovano a dover risolvere un grosso problema per cercare di ottimizzare i costi abitativi, la sicurezza del possesso, la qualità del riparo, il tragitto lavoro-casa ecc. L’esperto di problemi abitativi Ahmed Soliman espone quattro strategie di riparo di base adottate dai poveri, soprattutto al Cairo: 1. Se l’accesso ai mercati del lavoro centrale è fondamentale, la famiglia può prendere in affitto un appartamento, che offre centralità e sicurezza ma sono costosi. 2. Abitazione ubicata centralmente ma di carattere informale (stanza molto piccola). 3. Insediarsi abusivamente su un territorio di proprietà pubblica, di solito nel deserto, quasi sempre sottovento rispetto all’inquinamento; costo elevatissimo del pendolarismo. 4. Comprare un suolo in una delle vaste aree di sviluppo, con autorità di possesso ma senza autorizzazione edilizia legale. Quest’ultimi sono lontani dal lavoro, ma sono siti sicuri e dopo consistenti mobilitazioni e negoziati politici da parte della comunità, ottengono i servizi municipali di base. Nelle città nordamericane ed europee, esiste una distinzione fondamentale tra le case di “seconda mano” e i casamenti costruiti appositamente per i poveri. Le abitazioni di seconda mano sono abbastanza diffuse in America Latina e in alcune città asiatiche, sono dimore coloniali o ville vittoriane riconvertite per più famiglie. Anche se il modello dominante resta quello dell’espulsione dei poveri dal centro, alcune città del terzo mondo riproducono la segregazione urbana in stile statunitense, con le classi medie postcoloniali che fuggono dai nuclei centrali verso i sobborghi cintati e le città “margine”. In gran parte del terzo mondo, però, l’abitazione di seconda mano è meno comune dei caseggiati e dei condomini in affitto appositamente costruiti. Nell’india coloniale, l’ostinato rifiuto del Raj di garantire un minimo di fornitura idrica ed i servizi igienici ai quartieri urbani corrispondeva perfettamente alla politica abitativa basata sulla vita dell’élite locali dei proprietari. Altre opzioni abitative nei centri urbani degradati, opzioni formali e informali, comprendono un ingegnoso spettro di ampliamenti abusivi, dormitori, locali occupati e mini-baraccopoli. Il numero medio di residenti in uno di questi appartamenti divisi in spazi letto è di 38,3 e la media dello spazio abitabile pro-capite è di 1,80 metri quadri. Infine, c'è la strada vera e propria, Los Angeles è la capitale dei senzatetto del primo mondo, con una stima di centomila senzatetto, di cui fa parte un numero crescente di famiglie, accampati nelle strade di downtown o che vivono furtivamente nei parchi e negli spazi fra le superstrade. La più grande popolazione di abitanti del marciapiede del terzo mondo si trova probabilmente a Bombay dove una ricerca nel 1995 stimava il loro numero in un milione. In alcune zone, però, abitare sui marciapiedi non è comunque gratuito come in India o nelle Filippine, dove devono pagare regolarmente una somma ad un poliziotto o sindacati. L'espansione a macchia d’olio ha da tempo cessato di essere un fenomeno specificatamente nordamericano, l’orizzontalizzazione delle città povere è spesso stupefacente quanto la crescita della loro popolazione. Nelle città in espansione del terzo mondo periferia diventa un termine altamente relativo, di forte specificità temporale. L’occupazione abusiva è il possesso della terra

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senza vendita o titolo, dei terreni periferici senza costo si è spesso parlato come del magico segreto dell’urbanesimo del terzo mondo, un’enorme sovvenzione non pianificata ai più poveri. L’insediamento abusivo può talvolta diventare un dramma politico da prima pagina, in America Latina dagli anni 60 agli 80 lo squatting ha assunto la forma dell’occupazione delle terre, spesso con l’appoggio di gruppi radicali o più raramente di governi nazionali populisti. Molte comunità di abusivi però sono il frutto di ciò che viene definito il silenzioso sconfinamento dell’ordinario, ovvero l’infiltrazione su piccola scala in siti marginali. L’urbanizzazione pirata è a tutti gli effetti una privatizzazione dell’occupazione abusiva. Vengono definiti come la nuova norma nell’abitazione dei poveri, i residenti di una lottizzazione pirata ottengono la titolarità, giuridica o di fatto, del loro lotto. Il proprietario può addirittura arrivare a incoraggiare i residenti a organizzarsi come invasori di terra, nell’aspettativa che lo stato sia poi costretto a garantirgli un indennizzo a farsi carico dello sviluppo infrastrutturale. Nella seconda tipologia, la terra è di solito di proprietà demaniale, ma gli occupanti acquistano una garanzia di usufrutto da potenti politici, leader tribali o organizzazioni criminali. Anche se le case in sé sono quasi sempre prive dell’autorizzazione ufficiale delle autorità locali, le lottizzazioni pirata a differenza di molti campi di squatter, sono in generale divise in lotti uniformi con griglie stradali convenzionali. Gli affittuari sono in generale i più invisibili e indifesi tra gli abitanti degli slum, i vasti slum periferici costituiscono solitamente dei complessi mosaici diretti di parentela, sistemi di possesso, rapporti di affitto. Più l’analisi si allontana dal centro delle città del terzo mondo più la nebbia epistemologica si infittisce, il margine urbano è la zona di impatto sociale in cui le forze centrifughe della città collidono con l’implosione della campagna. Ma la funzione principale del margine urbano del terzo mondo rimane quella di discarica umana, in alcuni casi rifiuti urbani e immigrati indesiderati finiscono insieme come nei famigerati Slum dell’immondizia quali il quarantena fuori Beirut. Milioni di lavoratori temporanei e contadini disperati gravitano intorno ai margini di quelle capitali mondiali del super sfruttamento. Non diversamente in Colombia dove le interminabili guerre civili hanno aggiunto oltre quattrocentomila idp alla cintura di povertà urbana, la stessa situazione da incubo si ritrova alla periferia di Cali dove l’antropologo Michael Taussig evoca scene da inferno dantesco nel descrivere la lotta per la sopravvivenza in due slum periferici incredibilmente pericolosi. Il tradimento dello stato Stupisce, consideravano recentemente due geografi, che in tutto il periodo postbellico nessun autore abbia mai pensato a ricostruire la mutevole geografia dell’insediamento a basso reddito in alcune città del terzo mondo. La varietà delle storie nazionali e le specificità urbane rendono una sintesi del genere un compito scoraggiante. Ma prima di considerare quali sono i motivi per cui nella seconda metà del ventesimo secolo le città del terzo mondo e i loro slum abbiano subito una crescita così rapida, sarà indispensabile comprendere perché tali città e tali slum siano cresciuti tanto lentamente nella prima metà. La maggior parte delle odierne megalopoli del Sud mostrano una tendenza comune: un regime di crescita relativamente lento, quando non addirittura ritardato, quindi un’improvvisa accelerazione fino al rapido sviluppo negli anni 50 e 60. Una delle barriere principali è stato il colonialismo europeo, che nella sua forma più estrema negava alla popolazione il diritto di proprietà di terreno urbano e di residenza permanente. I britannici temevano che la vita di città avrebbe “detribalizzato” gli africani alimentando solidarietà anticoloniali. La migrazione urbana era controllata tramite le pass laws, leggi che regolavano gli spostamenti dei locali, mentre le ordinanze sul

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vagabondaggio penalizzavano la manodopera informale. L’apartheid portò questo sistema al suo livello estremo di utopia negativa. Poggiando sulle fondamenta del razzismo coloniale, la legislazione postbellica del Sudafrica non solo ha criminalizzato la migrazione urbana, ma ha anche provveduto allo sradicamento delle comunità di colore storiche dei centri cittadini. Quasi un milione di persone sono state espulse da aree presunte bianche e come risultato il livello netto di urbanizzazione è rimasto quasi stabile tra il 1950 il 1990. Anche nel subcontinente indiano, i britannici ricorsero alla segregazione e al controllo di polizia sul flusso delle campagne. Nonostante la loro avversione per i grandi insediamenti indigeni nelle città, i britannici sono stati molto probabilmente i più grandi creatori di slum di tutti i tempi. Le loro politiche in Africa costringevano la forza lavoro locale a vivere in precarie baraccopoli ai margini delle città segregate e chiuse. In India, il loro rifiuto di migliorare le condizioni igieniche o di dotare delle più rudimentali infrastrutture i quartieri indigeni provocò un numero enorme di morti in seguito alle epidemie dell’inizio del ventesimo secolo. Quando, contemporaneamente, nell’Africa tropicale i francesi regolamentavano rigidamente i movimenti della manodopera rurale e relegavano gli abitanti cittadini africani nello squallore delle periferie. Ma il colonialismo europeo non era l’unico sistema internazionale di controllo della crescita urbana; benché portato al potere da rivolte contadine, anche lo stalinismo asiatico cercò di tamponare l’afflusso delle campagne. Inizialmente, la rivoluzione cinese del 1949 aprì le porte della città ai profughi che rimpatriavano e ai concittadini ex militari affamati di lavoro. Il risultato fu un’inondazione incontrollata delle città, nel 1953 il nuovo regime attaccò l’onda di marea rurale con rigidi controlli sulla migrazione interna, contemporaneamente il maoismo privilegiava il proletariato urbano e limitava strettamente la crescita della popolazione urbana con l’adozione di un sistema di registrazione familiare che legava la cittadinanza sociale all’associazione sedentaria all’interno di un’unità di lavoro. Nel fornire una nuova sistemazione ai senza tetto e nell’abolire gran parte delle baraccopoli urbane entro il 1960, Pechino ha continuato ad esercitare una straordinaria vigilanza sull’emigrazione rurale informale. Città e campagna erano concepite come mondi separati che entravano in contatto solo in condizioni minuziosamente definite dallo stato-partito. Se i residenti urbani talvolta ottenevano il permesso ufficiale di trasferirsi in un’altra città, non si è praticamente mai sentito di contadini che ottenessero l’autorizzazione a lasciare la loro comune agricola. Dopo la guerra, il dittatore venezuelano Marcos Pérez Jiménez si è mostrato un nemico particolarmente accanito delle pratiche abitative informali. Secondo tre autori dell’Ucla: “la soluzione del suo governo al problema dei barrios fu il bulldozer. Una data mattina, poliziotti e camion arrivano nel barrio, un funzionario dirigeva le operazioni di carico delle masserizie dei residenti sull’autocarro; i poliziotti si incaricavano di chi avesse frapposto qualche obiezione; quando le proprietà e i residenti erano stati trasferiti nei nuovi alloggi, le case venivano demolite”. Gli abusivi venivano deportati alle periferie di Caracas, dove erano alloggiati in superbloques ovvero mostruosi casermoni/dormitorio di 15 piani universalmente detestati dai loro abitanti. La rimozione delle barricate i...


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