Filosofia della scienza PDF

Title Filosofia della scienza
Author Riccardo Perri
Course Filosofia della scienza istituzionale
Institution Università degli Studi di Macerata
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Riassunto lezioni...


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FILOSOFIA DELLA SCIENZA – MANUALE Marco Buzzoni

1: La filosofia della scienza – Tra scienza e filosofia 1.1

Che cos’è la filosofia della scienza?

Filosofia della scienza come epistemologia: indagare le basi del conoscere scientifico e i presupposti che portano alla certezza della conoscenza. 1.2

Qual è lo statuto del discorso epistemologico?

Si può parlare di filosofia della scienza e criticare il naturalismo che la limita a pura scienza perché esistono differenze tra questi due universi completamente significative. In generale le materie umanistiche possono discorrere e avere ragione d’essere in qualsiasi campo scientifico, ma anche umanistico; ad esempio è possibile avere una filosofia della scienza, una filosofia della filosofia o una sociologia della scienza o una sociologia della sociologia, ma non avrebbe senso una fisica della fisica o una fisica della filosofia. La filosofia pone infatti infinite domande spostando l’attenzione dall’oggetto al soggetto e alle sue possibilità. Stabilire cosa è empirico e cosa non lo è non può essere indagato da una scienza capace solo di analizzare in modo empirico; serve quindi una “scienza” (filosofia) che può indagare sulla conoscenza e quindi su sé stessa. Alla domanda “cos’è la scienza” prova a rispondere la filosofia in svariati modi, ma recentemente le si sono affiancate altre scienze: come la sociologia della scienza, la storia della scienza ecc; ma esse possono solo fornire al filosofo materiale utile per ampliare la propria indagine, ma non possono rispondere alla domanda essenziale, poiché la loro natura di “scienze” non lo permette. 1.3

È necessario essere anche scienziati per praticare la filosofia della scienza?

Indagare sulla epistemologia è possibile sia per chi si è formato principalmente nella filosofia, sia per chi è fondamentalmente uno scienziato. In realtà è impossibile precludere una della due parti che sono intrinseche nella scienza stessa. Non possono infatti esistere né un puro filosofo, né un puro scienziato. 2: La nascita della filosofia della scienza e le correnti strumentalistico-convenzionalistiche 2.1

La nascita della filosofia della scienza come disciplina autonoma

La riflessione filosofica sulla natura, i limiti della validità dei principi, del metodo e dei risultati scientifici è da sempre parte intrinseca della filosofia, già da Platone e Aristotele. Galileo ha inaugurato un nuovo metodo di fare critica scientifica (dovuto soprattutto dalla necessità di dimostrazione delle sue intuizioni rivoluzionarie), ma di certo non è lì che nasce realmente la filosofia della scienza. Galileo distingue per primo la conoscenza oggettiva ed empirica (quella conoscibile attraverso la matematica e la fisica, quindi quantificabile) da tutte quelle sfere soggettive e quindi inconoscibili se non dal soggetto stesso. L’errore di Galileo consiste proprio nel “dipendere” da concetti matematici per conoscere, mentre alla fine dell’800, con la nascita della filosofia della scienza come disciplina autonoma e grazie alla fine del positivismo si ha un atteggiamento critico e incerto nei confronti della scienza. Il positivismo pone d’altronde un valore assoluto alla scienza (Comte intendeva sostituire la religione tradizionale su una religione basata sulla scienza) che ha limitato tantissimo una riflessione epistemologica.

La crisi del positivismo si ha con la crisi della scienza stessa inaugurata soprattutto dalle geometrie non euclidee, che pongono in dubbio principi considerati sicuri e irrinunciabili; nasce così il concetto di sistema ipotetico-deduttivo, in cui non sono più necessarie premesse. Allo stesso tempo anche la fisica newtoniana viene messa in discussione grazie alla teoria della relatività di Einstein e alla fisica quantistica di Heisenberg, che annientano tutte le convinzioni meccanicistiche e deterministiche della realtà. Questa crisi portò un gran numero di scienziati ad interrogarsi sulla natura scientifica, divenendo così filosofi della scienza. Nasce così una corrente difficilmente trascurabile che tendeva a togliere gran parte della portata veritativa alla scienza riducendola a un valore soltanto pratico o economico. 2.2 Ernst Mach: strumentalismo, principio d’economia e problema dei termini teorici Ernst Mach, pur non volendo essere considerato un filoso, è probabilmente il padre della filosofia della scienza intesa come disciplina autonoma. Mach fu il primo docente a tenere una cattedra che oggi definiremmo di “filosofia della scienza”. Mach muove dalla tesi positivistica fondamentale, secondo cui ogni conoscenza autentica trova nell’esperienza la sua base ultima fondante. Da qui nascerà il principio neopositivistico di verificabilità. Grande influenza nei pensatori a lui postumi, l’avrà il “principio d’economia”. Mach affermò che l’uomo percepisce la natura tramite i sensi, ma iniziò subito ad “astrarre” alcuni complessi di elementi. La «cosa» non è invariabile come la «cosa in sé» Kantiana, ma solo un simbolo mentale che sta al posto di un complesso soltanto relativamente stabile di sensazioni. Il modo di raggruppare e ordinare le sensazioni è racchiuso nel principio d’economia (la scienza deve fa risparmiare le esperienze tramite la riproduzione o anticipazioni dei fatti in pensieri. Queste riproduzioni sono più maneggevoli dell’esperienza stessa). Secondo Mach il principio d’economia non ha una controparte reale nella natura, ma è relativa solo alla sfera scientifica. La storia della scienza mostra come progresso scientifico può soltanto consistere nell’elaborazione di teorie sempre più economiche o semplici. Con questa concezione di scienza, Mach critica anche la realtà degli enti teorici, in quanto la scienza non può dimostrare nulla, ma solo ordinare in maniera più economica possibile. La concezione di elettromagnetismo, di atomi ecc. viene posta in dubbio da Mach, in quanto non può esserci conferma scientifica di ciò che potrebbe apparire come un semplice modello mentale. Questa filosofia prende il nome di “antirealismo”, ma a differenza dell’idealismo non nega la realtà degli oggetti di tutti i giorni, bensì nega la certezza di modelli teorici non dimostrabili, come gli atomi che già nei suoi anni erano più che certi. 2.2

Convenzionalità della geometria e rapporto teoria-osservazione in Henri Poincaré

Henri Poicaré, contemporaneo di Mach, si inserisce nella filosofia “convenzionalista” (molto simile allo strumentalismo ma influenzata maggiormente da una forma epistemologica) ed è tra i più importanti esponenti di questa corrente. Tratta soprattutto della geometria non euclidea rifiutando quella concezione empiristica che vede la geometria come fondata nell’esperienza, poiché in tal caso non potrebbe essere una scienza esatta. Allo stesso modo rifiuta la concezione razionalistico-aprioristica data soprattutto dal criticismo kantiano; se la geometria fosse data a propri allora sarebbe di una chiarezza così forte e lampante che non potremmo vedere una realtà differente e non servirebbe creare nessun edificio teorico su di essa. Non si può sollevare, dice Poincaré, un problema sulla veridicità della geometria. Ogni geometria è vera, può esistere soltanto una geometria più comoda di un’altra. (affermerà poi che quella Euclidea, pur non essendo l’unica e non generata da una coscienza a propri, è e resterà sempre la geometria più semplice). In

questo senso riduzionistico è facile notare la vicinanza di Poincaré al concetto di economia machiano. La differenza è nella critica che fanno all’idealismo. Per Poincaré infatti la geometria non è riducibile a priori perché è data dalla creatività dell’intelletto e non da un dato empirico. Allo stesso modo non è l’esperienza che ci fa stabilire il percorso più breve tra due punti e non è la nostra conoscenza scientifica a priori, poiché alcune convinzioni sono cambiate nel tempo (i greci non avevano il principio di inerzia). Le Roy sviluppò sull’onda di Poincaré una teoria che riduceva tutta la scienza a convenzione. Poincaré non condividendo questa generalizzazione estrema, rettificò alcuni punti soffermandosi soprattutto sul concetto di oggettività. Oggettività, come nel modello kantiano, non è sinonimo di verità, ma semplicemente il modo in cui un essere dotato di ragione percepisce un oggetto allo stesso modo di tutti gli altri. Specifica inoltre il ruolo della scienza, non come creatrice, non come pura convenzione, ma come mezzo di comunicazione per chiarire oggettività o concetti. 2.3

Pierre Duhem: teoria ed esperimento fra olismo metodologico e realismo scientifico

Pierre Duhem si inserisce all’interno della filosofia strumentalistico-convenzionalista, ma si discosta dalla nuova direzione presa da Poincaré. Duhem afferma che un’osservazione scientificamente rilevante non può mai essere pura, ma è un’osservazione seguita da un’interpretazione. Il fisico non sceglie solamente il linguaggio per esporre e semplificare la scienza, (come sosteneva Poincaré) infatti un profano non capirà nulla di un esperimento se non padroneggia un minimo di conoscenze basilari. L’osservazione scientifica, in quanto seguita sempre da un’interpretazione, può avvicinarsi al vero, ma questo non potrà mai essere un dato certo, in quanto non esiste un limite (in fisica) alle ipotesi possibili, per quanto improbabili e queste non saranno mai tutte eliminabili. Dehum ricava una definizione audace di esperimento, ovvero un esperimento di fisica è un’osservazione precisa di un gruppo di fenomeni accompagnata dall’interpretazioni di essi. Da qui formula due tesi: 1) È impossibile sottoporre al verdetto dell’esperimento delle ipotesi isolate. Nessun fisico può mai controllare un’ipotesi isolata, ma solo un complesso di ipotesi. 2) L’esperimento cruciale non è possibile in fisica, in quanto non è possibile escludere tutte le (infinite) ipotesi false. La critica più diffusa e “semplice” rivolta all’epistemologia strumentalistico-convenzionalistica è che le previsioni scientifiche e i suoi successi sono un qualcosa di inspiegabile e di inspiegato se non si ammette che essa descriva la verità del mondo. 3: Il Neopositivismo 3.1

La distinzione analitico-sintetico, il principio di verificabilità e il problema dello statuto della filosofia della scienza Il neopositivismo (o empirismo logico) nasce intorno al 1920 grazie ai circoli di Berlino e di Vienna. I neopositivisti partono da un punto comune a ogni empirismo radicale: l’esperienza è il fondamento e il giudice ultimo di ogni enunciato di tipo conoscitivo. Rispetto al positivismo o empirismo classici però, il neopositivismo rivolge una particolare attenzione al linguaggio (rientrando quindi nella cosiddetta svolta linguistica), in particolar modo al chiarimento di quello scientifico. Come precedentemente affermato da Poincaré, anche i neopositivisti vedono chiara l’inesistenza di giudizi sintetici a priori, muovendosi nuovamente contro la tradizione kantiana.

Fanno propria la teoria di Wittgenstein, che afferma che non esiste connessione tra la logica e la realtà delle cose, l’unica connessione è quella sintattica. (usa l’esempio logico delle affermazioni “piove o non piove che è sempre a vera a prescindere dalla realtà del tempo che fa e “piove e non piove” che viceversa è sempre falsa) Da questa idea nasce il principio neopositivistico di verificabilità, ovvero un qualsiasi enunciato è dotato di senso solamente se è empiricamente verificabile. Quello che annuncia deve cioè essere provato dall’esperienza. Gli unici enunciati legittimi sono quindi solamente quelli analitici (matematica) e quelli sintetici (esperienza). È chiara quindi una critica alla metafisica tradizionale. Ciò che dice la metafisica non è falso, ma è un qualcosa privo di senso e inintelligibile. La filosofia non può avere un campo di oggetti propri né un metodo speciale che differisce da quello della scienza empirica. La filosofia è un’attività legittima soltanto nella misura in cui indaga un problema logico-linguistico o indaga il significato di un concetto scientifico. Carnap afferma che la metafisica è insensata e del tutto inutile ai problemi dell’uomo. Disconosce la filosofia come campo autonomo teoretico rispetto alla scienza empirica. Una critica che screditò non poco il neopositivismo e soprattutto il principio di verificabilità, partì proprio da questa concezione anti filosofica e metafisica. Difatti il manifesto neopositivistico e il principio di verificabilità non hanno un principio né analitico, né sintetico! Va ammesso quindi che il discorso epistemologico (e quello filosofico più in generale) ha statuto sintetico a priori. Con lo screditarsi del principio di verificabilità esso è stato accantonato per il suo fondamento errato per la corrente che lo aveva proposto, ma è importante riconoscere il suo valore teorico, senza una verificabilità non sarebbe possibile distinguere una scienza da una non scienza e un enunciato vero da uno falso! Neurath diede una scossa dall’interno del circolo di Vienna definendo le uniche proposizioni accettabili quelle in termini di spazio-tempo, quindi fisiche. In particolare farà discutere il suo andare contro Wittgenstein, intendendo il linguaggio come un evento fisico e niente di più. La realtà, per Neurath, è fondata sulla coerenza tra un enunciato e ciò che è osservabile. In difesa della vecchia posizione del circolo di Vienna interviene Mortiz Schilick. Egli parla di constatazioni (intese come enunciati protocollari) in termini di verità salde. L’affermazione “il foglio è bianco”, è già un’affermazione vera, in quanto è determinata da una evidenza riscontrata. È vero tutto ciò che non è un’ipotesi. La concezione standard delle teoria scientifiche è un’altra intuizione neopositivistica che vedrà numerose critiche. Con questo concetto si intende una teoria scientifica come un calcolo sviluppato deduttivamente e non interpretato che da significato ad un dato empirico. Padre di questa definizione è Hempel che paragonerà metaforicamente una teoria scientifica a un rete sospesa nello spazio, dove da un piano esperienziale vengono prodotte osservazioni, da qui delle regole interpretative e la rete in sé è formata da nodi (che sono i termini specifici per i concetti primitivi, come “massa”) che si uniscono con dei “fili” che sono le ipotesi delle teoria. Le critiche più efficaci furono quelle dei paradossi dei corvi e dei smeraldi, che dimostravano l’inefficienza della deduzione e induzione, ovvero che da casi particolari non si possono fare leggi universali e viceversa. 4: L’Operazionismo e Gaston Bachlard = NO [Operazionismo: Secondo la logica classica i concetti assumono il loro significato dalle cose o dagli enti a cui si riferiscono. Secondo Bridgman, invece, i concetti dovrebbero essere il risultato di operazioni o processi

che hanno portato alla loro definizione. Ci si accorgerebbe allora che nel campo scientifico non esistono concetti dal valore assoluto ma sempre relativi al processo che ha portato alla loro definizione significante. In questo modo si eliminerebbero dalla scienza ogni riferimento alla metafisica, tutte le definizioni puramente verbali o così generiche da perdere ogni reale significato dal punto di vista scientifico. Concetti, ad esempio, come quelli di spazio e tempo definiti con valore assoluto non hanno alcun senso perché non esiste nessun metodo, messo in opera per definirli, che faccia riferimento all' esperienza. Se ci riferiamo, ad esempio, al concetto di lunghezza, questo non può essere inteso in senso assoluto. Una cosa è la lunghezza se si misura la dimensione di una cellula, cosa diversa invece se si misura la lunghezza di un tavolo o la distanza tra due corpi celesti. Quindi, il concetto unico di lunghezza non esiste ma esistono, invece, varie definizioni che dipendono dal lavoro scientifico che si è attuato quando ci si è proposti di misurare la lunghezza di una cellula o la distanza tra due pianeti] 5: Popper e il falsificazionismo 5.1

Critica dell’induzione e principio di falsificabilità

È possibile dividere il percorso filosofico di Popper in tre parti: 1= caratterizzato principalmente dalla critica al neopositivismo e alla formulazione originaria del principio di falsificabilità. 2= Sottolinea maggiormente il carattere teorico d’ogni osservazioni volge in una direzione realistica la sua epistemologia accogliendo la teoria della verità come corrispondenza e la nozione di verità assoluta. 3=svluppa un’ontologia semi-platonica chiamata “teoria dei 3 mondi”. Popper si distingue immediatamente per essere contro la corrente neopositivistica, criticando principalmente il principio di verificabilità. Affermare ad esempio “tutti i corvi sono neri”, non può essere sinonimo di verità assoluta, poiché è impossibile verificare tutti i corvi di tutti i tempi. Non ha importanza che il tempo e le continue aspettative rispettate aumentino nel tempo dando sempre conferme, l’universalità non è ammissibile con queste premesse. [Russel ironizza con l’esempio del pollo induttivista (un pollo viene nutrito tutta la vita da un uomo e si aspetta del cibo ogni giorno, finché quello gli torce il collo).] Popper afferma che il metodo di verificabilità non esclude la metafisica dalla scienza, ma anzi ne favorisce il contatto. In risposta, Popper suggerisce la teoria della falsificazione, invertendo la rotta dello scienziato. Egli non dovrà più adoperarsi per dare il più alto numero di conferme della propria teoria, ma al contrario dovrà cercare in ogni modo di smontarla. Se questo non riesce, la teoria viene corroborata, ma non è mai vera. Qualsiasi teoria può infatti venir testata di nuovo in futuro per poi essere abbandonata. Il grado corroborazione è solo un dato e non ha niente a che vedere con la probabilità che la teoria dica il vero. Altra differenza sostanziale tra empiristi logici e Popper è proprio nella metafisica, che Popper non critica. La considera solo un diverso modo di arrivare alle soluzioni, ovvero non empirico. Riprende inoltre Mach e il concetto di semplicità, affermando che tanto più un concetto è semplice tanto più e falsificabile; e tanto più e falsificabile, tanto più ci dice sul mondo.

5.2 Il problema della base empirica e il concetto do oggettività scientifica Popper appoggia Neurath nella disputa dei protocolli, confutando la tesi neopositivistica secondo la quale ogni enunciato è vero in quanto descrive le percezioni personali dello sperimentatore. Popper afferma anzi che la certezza che una qualsiasi osservazione non sia puramente falsa o una serie di “coincidenze”, la si ottiene solamente con l’intersoggettività di una determinata osservazione ed esperimento. Inoltre afferma che non esistono enunciati universali (o base) definitivi, non al punto da essere sempre e sufficientemente necessari per falsificare qualsiasi teoria li contrasti. (persino la relatività, un giorno, potrebbe essere smentita da una nuova tesi e qualcosa essa non rispetti appunti la relatività non è detto che debba essere abbandonata) Con il termine “decisione” Popper intende quella accettazione universale di determinate leggi scientifiche. Un problema affrontato da Popper che verrà poi ripreso nella svolta relativistica degli anni ’60 è quello del “punto di vista dell’osservatore”. Non esitono dati ultimi e osservazioni pure, poiché per quanto lo sperimentatore o un osservatore possano ripetere un ambiente per studiare un oggetto, esso non sarà mai identico, ma solamente simile. Questa mancanza di ripetibilità identica pone il soggetto in uno stato di “aspettativa”, e quindi il suo punto di vista è quello di chi si aspetta già una determinata cosa da un luogo o un avvenimento. Se il punto di vista fosse diverso, il soggetto noterebbe altri dettagli. Popper intende così criticare la validità logica dell’induzione. Una teoria può essere considerata falsificante quando produce un evento, ripetibile intersoggettivamente e corroborato che confuta un’altra teoria. 5.3

Corroborazione e approssimazione alla Verità Assoluta

Popper riprende la nozione tradizionale di verità come corrispondenza fra pensiero (o linguaggio) e la realtà, sviluppando una forma di realismo scientifico. L’ammettere una Verità Assoluta aiuta lo scienziato nella su...


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