Filosofia-politica-salvatore-veca 1 e razzionalità del contesto sociale PDF

Title Filosofia-politica-salvatore-veca 1 e razzionalità del contesto sociale
Course Storia della marginalità nel medioevo
Institution Università degli Studi di Catania
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Libro- Ingiustizia- Politica-filosofia-politica e sociale alova alova...


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La Filosofia Politica – S. Veca Riassunti a cura di Giulia Sgroi e Luca Lo Presti

La Filosofia Politica – S. Veca CAPITOLO 1 – I Problemi della Filosofia Politica Domande Elementari “È giusto che alcune persone nascano avvantaggiate ed altre svantaggiate? Perché esistono queste ineguaglianze?” La concezione di giustizia, applicata quindi con il criterio del giudizio, serve a ridurre l’incertezza e disporre di ragioni per rintracciare la risposta al quesito sopra scritto. Ma in che senso sono inaccettabili le ineguaglianze non imputabili agli individui che le soffrono? È chiaro che esistono delle radici di ineguaglianze non meritate, che dipendono da dotazioni sociali e notazioni naturali e l’unica circostanza di interferenza è se la cattiva sorte di A dipende dal torto che gli ha fatto B; Le istituzioni di governo devono fare qualcosa per ridurre queste ineguaglianze? Attraverso le dotazioni sociali, le istituzioni di governo possono influire sulla tassazione e sugli effetti, quali possono essere i beni pubblici. Con le dotazioni naturali, invece, le ineguaglianze dipendono dal sistema economico competitivo: l’unica soluzione è l’abolizione del mercato. Le Questioni Pubbliche Le questioni pubbliche sono le controversie che occupano lo spazio della discussione pubblica. Sono gli spazi in cui si parteggia a favore o contro soluzioni alternative di questioni pubbliche. Ciò rimanda alla definizione dello spazio per l’esercizio legittimo del potere. La democrazia costituzionale crea tensione tra liberismo e democrazia. Lo scontro sulla questione dello stato sociale crea diversi tipi di giustificazione: giustificazione per intero, parziale e teorici della liquidazione. Le giustificazioni pe intero e parziale vedono fini e principi giusti. L’unica differenza sta nel fatto che la giustificazione per intero vede gusti anche i mezzi, diversamente dalla giustificazione parziale che vede i mezzi da riformare. Queste giustificazioni creano una giustizia distributiva che ci chiede di realizzare un accesso equo alla dignità di cittadinanza, con beni sociali primari, risorse, ecc. I teorici della liquidazione sostengono che lo scontro sulla questione dello stato sociale è intrinsecamente inaccettabile, creando una giustizia commutativa/retributiva, affermando che “lo stato è legittimato solo se tutela la giustizia nell’arena delle scelte e delle transizioni individuali” (Aristotele). Questo mette in gioco due fattori: la libertà e l’eguaglianza; la libertà è solo definita in base ai vincoli posti da altri? La libertà di accettare una salario misero è libertà? Chi ha più soldi è più libero di chi non ne ha? l’eguaglianza perché? Di risultati e opportunità? Di risorse, benessere e capacità? Le questioni pubbliche e le controversie hanno una caratteristica comune: quella di essere riconoscibili e discusse. Il campo della giustizia globale prevede teorie sullo sgretolamento dello stato-nazione in seguito al collasso dell’ordine geopolitico internazionale; teorie sulla contrazione e l’alterazione delle aree consolidate dalla lealtà civile; teorie sulla nascita del conflitto universalismo-tribalismo con la ripresa dei nazionalismi. Mettere alla prova i criteri del giudizio politico risulta problematico perché le marcate differenze e il pluralismo rendono particolarmente complicata la ricerca di un punto di incontro e, la filosofia politica, ha il compito di rispondere a queste sfide. Risposte della filosofia politica Vediamo, in primis, la filosofia politica come riduzione dell’incertezza. Le teorie sono tentativi di risoluzione dei problemi. Una concezione di giustizia offre un modo di guardare le cose: 1

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condividendola, l’incertezza si riduce perché ci orientiamo convergendo su criteri stabili nella durata per la valutazione delle politiche. Una tesi, un argomento o una teoria filosofica sono le risposte costruttive alle sfide dell’incertezza e il loro esito migliore consiste nel suggerirci modi alternativi di guardare le cose e, per quanto possa sembrare strano, questa manovra intellettuale è semplificata nei grandi classici della filosofia politica, basta pensare alla impresa monumentale della Repubblica di Platone o al capolavoro della teoria politica moderna, il Leviatano di Hobbes. Platone si interroga sui criteri che deve avere (la repubblica) per essere ordinata e stabile nel tempo, mentre Hobbes cerca la giustificazione razionale di autorità e obbligo politico con modi di interagire naturali e artificiali. I modi naturali sono modi non politici mentre i modi artificiali vedono nella politica i mezzi per risolvere dilemmi e trappole dell’interazione naturale. Autorità e obbligo politico saranno giustificati solo se individui liberi ed eguali le preferiranno allo stato di natura. Bisogna vedere l’ordine come il mezzo di riduzione delle incertezze. La filosofia politica come teoria politica normativa ci permettere di distinguerla tra la teoria politica normativa, cioè teorica, e la teoria politica positiva o esplicativa. Questa distinzione, in grosso modo tra filosofia e scienza politica, ci serve per tenere presente l’importante differenza fra un impegno a dare ragioni a favore di come il mondo politico e sociale dovrebbe essere e un impegno a dare ragioni che spieghino come il mondo politico e sociale è o è divenuto come è. La filosofia politica appartiene all’ambito delle prescrizioni, ossia dei nostri valori di come la società dovrebbe essere; la scienza politica rientra nell’ambito delle prescrizioni, cioè dei fatti, spiegando com’è il mondo politico e come è diventato tale. È Rawls a suggerire di pensare anche ad altre circostanze, in cui la filosofia politica non mira all’orientamento ma alla riconciliazione o pacificazione. Noi abitanti delle democrazie liberali tendiamo a sottostimare le relative istituzioni che si sono stabilizzate nel tempo, non perché le riteniamo “sbagliate” ma perché ci appaiono estranee e remote. In questi casi si fa riferimento alla storia (comprensione retrospettiva) giustificando le istituzioni come il risultato di uno specifico processo nel corso del tempo o creando nuova teoria per limitare l’incertezza dovuta all’incontro di nuove circostanze. Se l’orientamento nella controversia e la riconciliazione non hanno successo possiamo incontrare una nuova classe di circostanze ordinarie definendo l’ideale della società perfetta. Numerosi pensatori (Rousseau, Hayek, Berlin) hanno discusso su come tale ideale sia sbagliato moralmente, teoricamente e politicamente. La filosofia politica come utopia ragionevole deve rimuovere i concetti per sottrarli all’uso distorto del discorso pubblico ed essere sviluppo intellettuale dell’atteggiamento naturale di cittadini giudicanti che mirano alla riforma sociale. I cittadini giudicanti, “benché soltanto pochi siano in grado di dare vita a una politica, noi siamo tutti in grado di giudicarla. Noi consideriamo la discussione come un ostacolo sulla strada dell’azione politica, ma come indispensabile premessa ad agire saggiamente”, tratto dalle Orazioni di Pericle. CAPITOLO 2 – Le teorie della giustizia Osservazioni Introduttive La giustizia è la prima virtù delle istituzioni sociali, così come la verità lo è dei sistemi di pensiero. Una teoria, per quanto semplice ed elegante, deve essere abbandonata o modificata se non è vera. Allo stesso modo, leggi e istituzioni, non importa quanto efficienti e ben congegnate, devono essere riformate o abolite se non sono giuste. Il paradigma delle teorie della giustizia mira all’identificazione razionale e ragionevole dei criteri di giustizia politica riflessiva. “Riflessiva” perché i criteri sono impiegati in base a riflessioni sulle teorie 2

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della giustizia; le ragioni che sostengono la giustificazione di un certo assetto delle istituzioni politiche e sociali sulla base degli effetti sui prospetti di vita degli abitanti. A partire dagli anni ’70 si assiste ad una rifioritura degli studi di valutazione di processi e sistemi politici e sociali. Uno dei primi a riabilitare la filosofia politica, fu Rawls con la sua opera “Una teoria della giustizia” con cui propone un’alternativa alla teoria dominante dell’epoca, l’utilitarismo. Utilitarismo Vi sono molte forme o versioni dell’utilitarismo ma questo come nucleo comune consiste nell’idea secondo cui il criterio di valutazione morale deve essere sensibile alle conseguenze dei corsi di azione. Tali conseguenze devono essere valutate in termini di utilità o disutilità che esse generano sui nostri corsi di vita. La giustizia consiste nella massimizzazione dell’utilità collettiva. L’ingiustizia è spreco di felicità pubblica. Le caratteristiche di fondo del programma utilitaristico sono tutte illustrate nelle opere di Bentham e prendono il nome di proposizioni benthamiane. La prima proposizione benthamiana afferma che piacere e pena governano la nostra condotta dandoci il criterio del giusto e dell’ingiusto. Su tale base si deve costruire con la ragione “l’efficienza sociale” ovvero la giustizia; la seconda proposizione benthamiana ci parla del principio di utilità come approvazione o disapprovazione delle azioni in base all’impatto sulla felicità della parte il cui interesse è in questione. Il criterio di valutazione è quindi meramente razionale, indipendentemente da giudizi intuitivi di giustizia; a sua volta, come mostra la terza proposizione benthamiana, l’utilità consiste nella proprietà di ogni oggetto che produce vantaggi, piacere, felicità; la quarta proposizione precisa che l’utilità può essere sia individuale che collettiva; la quinta proposizione benthamiana ci dice che l’interesse collettivo è la somma degli interessi individuali fornendo un approccio aggregativo alle questioni di giustizia; la sesta proposizione dice che un azione è conforme al principio di utilità quando tende ad aumentare la felicità della comunità: teoria consequenzialistica, gli stati sono conseguenze attese di azioni e scelte; la settima proposizione risponde al senso di termini come “dovere, giusto, ingiusto” solo in rapporto al principio di utilità: teoria welfarista, in base all’utilità creata; il principio di utilità è l’unico principio meramente razionale, affermato dalla ottava proposizione benthamiana; la nona proposizione calcola la felicità pubblica: il saldo a vantaggio dei piaceri. Una preferenza vale, a parità di intensità, quanto qualunque altra e contribuisce a determinare l’esito finale. Possiamo ora considerare una delle formulazioni più rigorose dell’etica pubblica utilitaristica, dovuta al filosofo economista John Harsanyi, con l’utilitarismo delle preferenze. Secondo Harsanyi l’etica va considerata parte di una più ampia teoria del comportamento razionale. Queste creano casi differenti di scelta razionale: la prima, individui che scelgono razionalmente in situazioni individuali, caratterizzato da differenti massime di scelta razionale a seconda del livello di informazione di coloro che scelgono fra certezza, incertezza e rischio; la seconda, dove gli individui scelgono razionalmente in situazioni sociali, in base alla convergenza del campo di interesse. Questa può essere una divergenza totale o parziale, con scelte in base alla teoria dei giochi (o razionalità strategica) oppure una convergenza, con criteri forniti da una teoria etica. I giudizi di preferenza possono avere carattere personale o impersonale: hanno carattere personale quando tengono conto della particolari persone che siamo; carattere impersonale in base alle preferenze etiche o morali di ciascuno di noi. La scelta etica è una scelta individuale incerta sul mondo sociale poiché dobbiamo valutare le conseguenze sulle nostre preferenze personali al buio. La massimizzazione dell’utilità media attesa è una critica all’utilitarismo condotta da Herber Hart. La teoria utilitaristica non include alcun valore etico propriamente politica: libertà, diritti, eguaglianza, stato e mercato hanno senso solo se sottoposti ad un test di utilità (politica 3

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consequenzialistica). Hart sostiene invece che bisogna sforzarsi non per far risultare soddisfacenti le teorie utilitaristiche ma per una dottrina dei diritti umani fondamentale degli individui. Contrattualismo L’opera di Rawls “Una teoria della giustizia” è divisa in tre parti. Nella prima parte si parla della giustizia come equità ed equilibrio riflessivo e delle differenze principali con l’utilitarismo; nella seconda parte vengono presentati i due principi di giustizia come equità, argomentando appunto la preferibilità della teoria della giustizia come equità rispetto a criteri alternativi, spiegando come i principi possono influire sull’assetto delle istituzioni di base; la terza parte, ci parla della scelta dei principi di giustizia attraverso una giustificazione analitica della scelta dei principi di giustizia ad esempio riguardo allo sviluppo del senso di lealtà civile tra gli individui; Utilizzando lo stesso metodo usato per l’utilitarismo, analizziamo le proposizioni rawlsiane. Nella prima, è possibile distinguere tra concetto di giustizia e più concezioni della stessa . Il concetto di giustizia è espresso dall’idea di uno o più principi di giustificazione dello schema di cooperazione sociale che ci consente di riconoscere lo schema di una società ben ordinata stabile nel tempo. Nella seconda proposizione l’oggetto di una teoria della giustizia coincide con l’asseto delle istituzioni fondamentali di una società, poiché gli effetti si riflettono sui corsi di vita degli abitanti (ad esempio distribuzione dei diritti civili o politici). La scelta iniziale dipende da assunzioni intuitive che esprimono il senso di giustizia della comunità. Nella terza proposizione rawlsiana la teoria della giustizia come equità è una generalizzazione dell’idea di contratto sociale. L’autorità è giustificata solo se umanamente preferita allo stato di natura (garanzia di equità). Tale teoria non umanistica riconosce il pluralismo dei valori di libertà ed equità distributiva (ordinati per priorità). La quarta proposizione dice che i principi della teoria della giustizia come equità sono due: il primo, prescrive che ciascuno abbia il massimo sistema di libertà per ciascun altro; il secondo prescrive che ciascuno abbia diritto alla stessa quota di beni sociali primari. La teoria deontologica afferma che la giustizia deve poter essere definita previamente e che la libertà è prioritaria; la quinta proposizione ci parla dell’utilitarismo come una teoria teologica. L’utilitarismo, infatti, è basato sulla priorità del bene sul giusto e centrata sull’idea di estendere al principio di scelta razionale dell’individuo al caso della scelta collettiva (la società come grande individuo). Il contrattualismo si basa su una definizione previa del giusto indipendente dal bene e risponde al principio per cui la scelta dei principi di giustizia riguardo la pluralità delle persone: approccia alla teoria della giustizia come equità (distributiva); è la teoria della giustizia come equità alternativa globale all’utilitarismo, la sesta proposizione rawlsiana. L’utilitarismo è stato criticato per la produzione di esiti moralmente controintuitivi. L’intruizionismo si basa però sulla impossibilità di ordinare i principi perché la validità dipende dagli specifici contesti. La teoria della giustizia come equità ordina invece i principi (ad esempio libertà, differenza, come teoria consequenzialistica); la settima e ultima proposizione rawlsiana ci parla di contrattualismo come la concezione dei giudizi intuitivi. L’utilitarismo non dà spazio ai giudizi intuitivi, l’intruzionismo si basa esclusivamente su di essi. Il contrattualismo mira invece a creare un equilibrio provvisorio tra principi e giudizi tramite aggiustamenti. L’equilibrio riflessivo è la ricostruzione razionale di sentimenti morali. La procedura di scelta unanime parla di come è “giusto ciò che deve poter essere ragionevolmente accettato e non rifiutato da chiunque”, ciascuno ha potere di veto. La giustizia come equità presuppone che tale potere venga usato a favore di chi è più svantaggiato nella distribuzione di beni sociali primari. Eguaglianza morale come eguale cittadinanza democratica: persone libere ed eguali, responsabili dei propri fini e capaci di definirli autonomamente nel tempo. 4

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Rawls, nel suo libro ci parla del principio di differenza. Il principio di equità distributiva mira a rendere eguale il diseguale delle eguali libertà. Il principio generale afferma che tutti i valori sociali devono essere distribuiti in modo eguale a meno che una distribuzione ineguale non vada a vantaggio di ciascuno, essendo collegata comunque a cariche e posizioni aperte a tutti. Il principio di differenza consiste in una interpretazione delle clausole del principio generale: la clausola A è “a vantaggio di ciascuno” e la clausola B “cariche e posizioni aperte a tutti”. Nel sistema di libertà naturale, il vantaggio di ciascuno è applicato grazie all’applicazione di un principio di efficienza paretiana con cariche e posizioni aperte a tutti in modo eguale; anche nel sistema di eguaglianza liberale vi è un principio di efficienza paretiana con l’introduzione del principio dell’eguaglianza di opportunità azzerando l’effetto delle dotazioni sociali e non quello delle dotazioni naturali; nel sistema dell’eguaglianza democratica, in fine, abbiamo priorità per gli svantaggiati nella distribuzione di dotazioni naturali e sociali con solidarietà di cittadinanza: infatti ciascuno è partner di pari dignità della polis e ha diritto a egual rispetto e considerazione. I principi di giustizia della concezione rawlsiana devono poter essere oggetto della scelta collettiva unanime da parte di individui che si trovano in una situazione iniziale del tipo della posizione originaria. Accettando tale costruzione si è giustificata la creazione delle istituzioni con criteri etico/impersonali, mettendo a tacere gli interessi personali. Da qui è attraverso le informazioni disponibili e le informazioni vietate da ignoranza che possiamo evidenziare il concetto di posizione originaria. Nelle informazioni disponibili, le parti conoscono differenti circostanze di giustizia derivanti dalle esperienze democratiche. È attraverso circostanze oggettive (quali scarsità moderata ma non assoluta) e circostanze soggettive (esclusione dei casi estremi) emergono i vincoli formali al concetto di giusto che sono: generalità di formulazione dei principi; universalità della loro applicazione; pubblicità dei principi; capacità di ordinamento di pretese conflittuali; inapplicabilità; nelle informazioni vietate da ignoranza, invece, le parti non conoscono i loro piani di vita e non sanno in quale percentuale hanno la probabilità di rivestire un particolare ruolo nella società ed avere quindi determinati interessi. Hanno una concezione parziale del bene, specificata dai beni sociali primari, che hanno carattere oggettivo contrapposto alla soggettività delle preferenze utilitaristiche. Le parti, con scelta razionale, scelgono date le condizioni indicate, principi che assicurano contro il rischio di esiti poco vantaggiosi della lotteria naturale e sociale. Perciò i diritti fondamentali di cittadinanza devono essere ascritti e tutelati in forma costituzionale. Libertarismo L’opera che ha formulato nel modo più audace d influente la tesi del libertarismo come teoria della giustizia è Anarchia, Stato e Utopia di Robert Nozick, articolata in tre parti. Nella prima parte sono presentati una serie di argomenti a favore dello stato minimo: entità dominante e monopolistica che può legittimamente imporre obblighi per salvaguardare i diritti individuali. Nella seconda parte viene formulata una teoria della giustizia basata sui diritti inviolabili individuai e critica la giustizia distributiva rawlsiana. Nella terza parte l’autore si propone di mostrare come lo stato minimo sia l’unica forma giustificabile e conciliabile con utopie di valore politico. Prima di esporre gli argomenti Nozick ci dà un postulato della teoria , secondo cui “gli individui hanno diritti: ...


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