Fruttero e Lucentini - Voto: 9 PDF

Title Fruttero e Lucentini - Voto: 9
Author Anna Lamberti-Bocconi
Course Letteratura italiana moderna e contemporanea
Institution Università degli Studi di Milano
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Summary

Presentazione del percorso letterario e biografico di Fruttero e Lucentini ...


Description

Fruttero e Lucentini, uno sguardo ironico e profondo sulla società

2.1

Una feroce antropologia: la saga del cretino La “trilogia del cretino” di Fruttero e Lucentini si compone di tre libri, La

prevalenza del cretino (1985), La manutenzione del sorriso (1988) e Il ritorno del cretino (1992), riuniti nel 2012 da Mondadori col titolo Il cretino. Rispettabile se non esauriente trilogia sull’argomento. Nei tre volumi sono raccolti diversi articoli usciti negli anni Settanta-Ottanta su “La Stampa”, ai tempi della collaborazione di Fruttero e Lucentini con il quotidiano torinese. La collaborazione con “La Stampa”, che seguì temporalmente al successo di La donna della domenica, e in certo modo ne fu conseguenza, dato che Fruttero e Lucentini cominciarono a essere conosciuti dal grande pubblico e ricercati come irriverenti maitre-a-penser, si concretizzò in un gran numero di elzeviri pubblicati sul quotidiano nella rubrica “L’Agenda di F. & L.”. Gli argomenti spaziano fra gli ambiti più diversi. Con la consueta versatilità gli autori, prendendo spunto da fatti di costume, avvenimenti politici, questioni di critica letteraria, lanciano strali acuminati sulla vasta tipologia umana del “cretino”, andando a comporre, nelle parole di Giacomo Micheletti, “una fenomenologia di flaubertiana ascendenza della bêtise contemporanea”1. A completare la saga vanno aggiunti altri tre volumi. Il primo è Il cretino in sintesi, a cura di Domenico Scarpa, antologia della trilogia uscita nel 2002 quando ormai i titoli originali erano introvabili, con l’idea di effettuare una sintesi oculata, eliminando i pezzi troppo datati e salvando i molti ai quali gli anni non hanno fatto perdere il mordente. Il secondo è Il cretino è per sempre (2018), raccolta postuma a cura di Carlotta Fruttero, figlia di Carlo, contenente altri pezzi dei due autori, dedicati anch’essi, come i precedenti, a mettere alla 1 Micheletti G., Fruttero & Lucentini, in Alfano G., De Cristofaro F. (a cura di), Il romanzo in Italia. IV. Il secondo Novecento, Carocci, Roma, 2018, pp. 283-297: 290.

berlina banalità, luoghi comuni e, soprattutto, gli esemplari umani che se ne fanno fieramente ambasciatori. Infine va citato I nottambuli, libro tratto anch’esso dalla Trilogia, nel quale Scarpa “mescolando il mazzo di carte, ha estrapolato i testi che ai dilaganti imbecilli volutamente opponevano i pochi intelligenti incontrati o letti da F&L (…) I nottambuli sono i rari e spesso involontari paladini del Vero, del Bello e del Buono in un mondo sempre più offeso dall’idiozia soddisfatta di sé medesima"2. Chi è, per Fruttero e Lucentini, il cretino, implacabilmente anatomizzato e descritto per decenni? Le sue caratteristiche sono ben precise e non cambiano mai. Proviamo a stilarne un elenco, attraverso il quale si compone l’identikit di questo personaggio emblematico della nostra epoca, ma forse di ogni tempo e luogo, anche se, come avremo modo di osservare, l’epoca contemporanea gli offre copioso spazio e nutrimento. Un suo tratto dominante è la retorica: il discorso del cretino solitamente è colmo di vacua retorica. Ipocrisia, ignoranza, cattivo gusto sono altri suoi tratti distintivi, anche e soprattutto in combinazione con la loro celebrazione a livello di pubblica opinione brillante. Il cretino, molto spesso, è infatti un frequentatore dei salotti, dove si parla citando o sostenendo luoghi comuni e si viene compiaciuti dal riscontro generale. Tale atteggiamento salottiero passa anche nei media e nei libri, accrescendo la vanagloria (altro segno distintivo) del cretino informato e acculturato. Il cretino è sorretto inoltre da una forma di ottimismo pernicioso derivante dalla necessità di sentirsi sicuri di sé, accompagnata da espressione di entusiasmo per le proprie azioni o convinzioni. Da questo atteggiamento deriva il rifiuto respingente verso chi non condivide la loro assertività, perché così facendo mette in dubbio anche il loro ruolo di persone “nel giusto”. “La vera, schiacciante, capillare egemonia culturale sotto cui viviamo da decenni, da secoli, non è né marxista né borghese: è l’egemonia dell’ottimismo, 2 Traina G., Pessimisti contro il vuoto, “L’indice dei libri del mese”, ottobre 2002, anno XIX, n. 10, p. 12.

ora cauto e ragionevole, ora dirompente, euforico, ora scientifico, religioso, sessuale, ora consumistico, libertario, autoritario. Vi soccombe la massaia che acquista un nuovo detersivo come il terrorista che uccide il magistrato; l’ingegnere nucleare come l’ecologista arrabbiato. In apparenza dissimili, anzi incompatibili, questi personaggi sono in realtà accomunati da una stessa reazione di rigetto verso chiunque li possa far dubitare del loro ruolo. Guai a colui che accende le luci in teatro nel bel mezzo della recita, rivelando per un attimo cartapeste e parrucche, barche su ruote e finestre sul nulla.”3 C’è poi l’atteggiamento opposto, quello della lagna, anch’esso ampiamente utilizzato dal cretino. "Tutto il mondo sta ormai facendo una lagna tremenda. La fanno gli operai e gli industriali, i poliziotti e i carcerati, i tassati e i tassatori, i giovani, i vecchi, i transessuali, i medici, i paramedici, i giornalisti, i tranvieri. Uno apre un giornale, il televisore, e cosa trova? Lagna ininterrotta, corale. Viviamo in una società che si esprime e comunica soltanto per mezzo della lagna, è questo il vero mass medium del nostro tempo"4. È chiaro dunque che non è la forma con cui esprime i suoi contenuti, la quale può variare dall’entusiasmo alla lagna, che sta alla base del cretino, e nemmeno i contenuti stessi, che sono svariati ed eterogenei: ciò che accomuna i cretini che esibiscono ottimismo e quelli che si lagnano sempre è piuttosto la ripetitività ininterrotta di una modalità di espressione precostituita e acritica. Di diversa opinione è Michele Serra, estensore dell’Introduzione a Il cretino è per sempre, il quale invece riconosce specificamente nella lagnosità, ovvero nella deresponsabilizzazione, il principio fondante del cretino contemporaneo5. Per Serra è indice di cretinismo generalizzato, e lo si riscontra 3 Fruttero C., Lucentini F., Il cretino. Rispettabile se non esauriente trilogia sull’argomento, edizione elettronica, https://books.google.it/books? id=TMj_CAAAQBAJ&pg=PT247&dq=fruttero+il+cretino&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwizuarWqq3mA hUosaQKHT4yBKoQ6AEISjAF#v=onepage&q=fruttero%20il%20cretino&f=false 4 Ibidem. 5 “Io sostengo che il cretino, nell'opera dei Due, coincide in larga misura con il lagnoso. Ovvero con l'irresponsabile. Se il cretino e il lagnoso, ovvero l'irresponsabile, non sono perfettamente giustapponibili, la loro superficie è però in larga parte coincidente. Cioè: il cretino di massa, il cretino sociale, incarna la pretesa che la vita ci assecondi, ci coccoli, ci sostenga, ci assolva, ci custodisca, ci assista, e di conseguenza qualunque impiccio, caduta, dolore, disgrazia e brutta figura sia da considerare un torto

nelle pagine di Fruttero e Lucentini, pensare che siamo creditori di tutto di fronte al destino, in un atteggiamento di presunzione di fronte all’inevitabilità dei problemi e persino delle malattie e della morte, come se vivessimo in uno stato di “garanzia” analogo a quello degli elettrodomestici appena comprati. I due autori, secondo Serra, si scagliano precisamente contro questa modalità, derivante dalla diffusione di massa dell’idea della razionalità del progresso. Il cretino messo a nudo da Fruttero e Lucentini nel loro inesauribile campionario di ritratti è molesto, invadente, spudorato, maleducato, presuntuoso e narcisista. Il linguaggio che usa lo rivela immediatamente, e per questo, “nella scia del sublime Flaubert, F&L lasciano che siano le parole stesse dei cretini a galleggiare in superficie, condendole appena della loro implacata ironia”6. Intervistati specificamente sul tema, Fruttero e Lucentini hanno dato preziose indicazioni sulla natura del loro personaggio, che vanno ad aggiungersi a quelle finora esposte7. Il cretino innanzitutto possiede una dimensione orizzontale, nel senso che attraversa ogni categoria sociale e lo si trova dappertutto. Per questo gli autori possono spaziare a ritrarlo in vari ambienti: “il cretino nella scuola, il cretino in viaggio e in vacanza, il cretino nella pubblica amministrazione, il cretino in politica, il cretino intellettuale, il cretino mass-medianico”8 e così via.

personale nonché un evento inspiegabile e ingiustificato. Qualcosa che non era lecito mettere in conto, una congiura ai nostri danni, un'offesa da denunciare fermamente e comunque attribuibile agli altri, alla loro prepotenza, alla loro imprevidenza, alla loro colpevole indifferenza nei nostri confronti. Questa è, in essenza, in Fruttero & Lucentini, la cretineria dell'uomo contemporaneo” (Serra M., Introduzione a Il cretino è per sempre. Viaggio d’autore nell’Italia che non cambia mai, Mondadori, Milano, edizione elettronica, https://books.google.it/books? id=Y2V0DwAAQBAJ&printsec=frontcover&hl=it#v=onepage&q&f=false. 6 Traina G., Pessimisti contro il vuoto, cit., p. 12.

7 Per la parte che segue, il riferimento è Redazione Oscar (a cura di), Domande sul cretino a F&L, https://www.oscarmondadori.it/approfondimenti/frutterolucentini-il-cretino-e-per-sempre/ 8 Redazione Oscar (a cura di), Domande sul cretino a F&L, cit.

Benché la stupidità sia esistita in tutte le epoche, è la società contemporanea ad avere offerto al cretino, grazie al cosiddetto “progresso”, una possibilità formidabile di crescere e moltiplicarsi. Osservano gli autori: “È stato grazie al progresso che il contenibile “stolto” dell’antichità si è tramutato nel prevalente cretino contemporaneo, personaggio a mortalità bassissima la cui forza è dunque in primo luogo brutalmente numerica; ma una società ch’egli si compiace di chiamare “molto complessa” gli ha aperto infiniti interstizi, crepe, fessure orizzontali e verticali, a destra come a sinistra, gli ha procurato innumerevoli poltrone, sedie, sgabelli, telefoni, gli ha messo a disposizione clamorose tribune, inaudite moltitudini di seguaci e molto denaro. Gli ha insomma moltiplicato prodigiosamente le occasioni per agire, intervenire, parlare, esprimersi, manifestarsi, in una parola (a lui cara) per “realizzarsi””9. Il mondo contemporaneo abbaglia con mille inganni, dando modo a sempre più individui di diventare cretini, vale a dire persone che non vedono i propri limiti e quindi si comportano in modo presuntuoso. Il senso di quanto detto è quello chiarito da Schopenhauer, chiamato in causa da Fruttero e Lucentini per distinguere tra stupido e cretino: “Per lo stupido vale la definizione di Schopenhauer: è colui che non sa riconoscere la relazione fra causa ed effetto. Invece il cretino, il “post stupido”, nega che ci sia relazione tra causa ed effetto”10. Il cretino, insomma, come lo stupido non capisce un fatto, ma, a differenza di questo, pretende di esprimere dei giudizi sulla cosa stessa che non capisce. Per questo gli autori puntualizzino che “a volte che il contrario di cretino non sia “intelligente” ma “sobrio”, nel senso di non ubriaco” 11. Con elegante arguzia, la “sobrietà” a cui si allude è il contrario della cafonaggine esibita con cui il cretino 9 Fruttero C., Lucentini F., La prevalenza del cretino, Mondadori, Milano, 1985, p. 10. 10 Redazione Oscar (a cura di), Domande sul cretino a F&L, cit. 11 Ibidem.

si esprime, ma l’aggiunta di “nel senso di non ubriaco” riporta al significato primo del termine, quello di “non ebbro”, che però in questo caso non sarebbe di alcool, ma di compiacimento di sé. Studiare il cretino è per Fruttero e Lucentini un compito inesauribile, tanto che si potrebbe fondare “una nuova branca del sapere: la cretinologia”12. La breve prefazione a Il cretino in sintesi, a firma F&L, offre una riflessione interessante sulla motivazione dei due autori a indagare instancabilmente l’antropologia del cretino. Essi infatti constatano che quella del cretino è una razza che non si estinguerà mai, perché possiede una carta vincente che è proprio la stoltezza e la mancanza di intelligenza, che lo rendono impermeabile a ogni critica o ridicolizzazione. Per cui, “sconfiggerlo è ovviamente impossibile. Odiarlo è inutile.

Dileggio,

sarcasmo,

ironia

non

scalfiscono

le

sue

cotte

d’inconsapevolezza, le sue impavide autoassoluzioni (per lui, il cretino è sempre “un altro”); e comunque il riso gli appare a priori sospetto, sconveniente, «inferiore», anche quando − agghiacciante fenomeno − vi si abbandona egli stesso”13. Una volta dichiarata la consapevolezza dell’invincibilità del cretino, gli autori si interrogano sullo scopo della loro opera di denuncia. “A che mai servirà tutta questa critica della bétise? A niente, parrebbe di poter rispondere in conclusione”14. La critica del cretino non serve a niente se con essa si volesse contribuire ad assottigliare la categoria, dato che “il cretino è imperturbabile, la sua forza vincente sta nel fatto di non sapere di essere tale, di non vedersi né mai dubitare di sé. Colpito dalle lance nostre o dei pochi altri ostinati partecipanti alla giostra, non cadrà mai dal palo, girerà su se stesso all’infinito svelando per un istante rotatorio il ghigno del delirio, della follia”15.

12 Ibidem. 13 Fruttero C., Lucentini F., La prevalenza del cretino, Monddori, Milano, 1985, p. 10. 14 Fruttero C., Lucentini F., Il cretino in sintesi, Mondadori, Milano, 2002, edizione elettronica, https://books.google.it/books?id=yVki0ZAUEt4C&printsec=frontcover&hl=it#v=onepage&q&f=false 15 Ibidem.

Quale allora lo scopo dell’operazione di smascheramento del cretino condotta dagli autori per lunghi anni? Fruttero e Lucentini parlano di “passioni di minoranza”16, chiamandosi così fuori dalla schiera dei cretini, la cui dimensione è quella della maggioranza: lo sfogo e la rivalsa in quanto tali, la soddisfazione di avere detto la verità; ma, soprattutto, “il divertimento, l’allegria, la spensierata irresponsabilità”17 che sono la motivazione e la caratteristica più saliente di tutto il modo di procedere degli autori. Fruttero e Lucentini sono consapevoli che la loro salvezza è nello stile, di fronte al crollo estetico e culturale che si manifesta nell’onnipresenza del cretino. Perciò, “amano atteggiarsi a scettici blu (la tinta del cosmo), ma posseggono la fede più tenace che rimanga all’uomo contemporaneo, vale a dire la fede nel linguaggio”18. Nell’articolo “Cannibalismo e informazione”, contenuto ne Il ritorno del cretino, gli autori argomentano l’importanza dello stile, sostenendo che esso rimane l’unica arma impropria in un paese che non si scandalizza più per nulla e dove più nessuno perseguita i letterati19.

2.2

Tra berlina e poesia: la geografia di Fruttero e Lucentini In tutta la produzione di Fruttero e Lucentini e, dopo la morte di

quest’ultimo, anche del solo Fruttero, i luoghi hanno un ruolo importante. La descrizione precisa dei paesaggi ha diverse funzioni. In primo luogo si può osservare che, dal punto di vista della tecnica letteraria, l’accuratezza descrittiva accresce l’immedesimazione del lettore, che in questo modo ha maggiore facilità a calarsi dentro la scena. Nei paesaggi di Fruttero e Lucentini, siano essi urbani come nell’epopea torinese de La donna della domenica e A che punto è la notte, o marittimi, come in Enigma in luogo di mare, o, ancora, spazino tra campagna e città un po’ anonime, come in Donne 16 Ibidem. 17 Ibidem. 18 Scarpa D., Cretino chi non ha stile, “L’indice dei libri del mese”, gennaio 1993, n. 1, p. 8. 19 Cfr. Ibidem.

informate sui fatti, o, infine, si focalizzino sugli spostamenti in auto da un luogo all’altro, rendendo topico il paesaggio mutevole ma uniforme dell’automobilista: in ogni caso il lettore è condotto magistralmente a condividere visioni e stati d’animo dei personaggi. In Fruttero e Lucentini i paesaggi, inoltre, spesso prendono su di sé funzioni di protagonista non solo perché sono dotati di una personalità definita, ma anche perché le loro caratteristiche sono funzionali allo svolgimento della trama. Per esempio, in Enigma in luogo di mare la pineta della Gualdana non è solo uno scenario in cui sono ambientati i fatti, ma proprio per la sua conformazione geografica e sociale determina lo svolgimento dei fatti stessi, nel senso che la trama può svilupparsi così come si sviluppa solo in un luogo con quelle caratteristiche. In altri casi, come nella Torino dei due romanzi maggiori in cui si muove il commissario Santamaria, lo scenario urbano e suburbano contribuisce anche a evocare un’epoca storica: l’Italia urbana degli anni immediatamente successivi al boom economico, facilmente riconoscibile, per esempio, anche nella Torino del Marcovaldo di Italo Calvino, non a caso buon amico e collega di Fruttero e Lucentini. È una città ancora lambita ai margini dalla campagna, le cui periferie si configurano come una terra di nessuno: i palazzoni anonimi dei quartieri popolari sorgono spettrali in mezzo al nulla, e l’impronta dell’industrializzazione ha colonizzato gli spazi a macchia di leopardo, pur cominciando già ad mostrare degli aspetti di decadenza. Su questa base, è possibile sovrapporre lo sguardo del commissario Santamaria, siciliano trapiantato a Torino, indotto dal suo mestiere di poliziotto ma anche dalla sua indole vitale a interessarsi a ogni dettaglio, a quello di Marcovaldo, con il dovuto distinguo che le osservazioni di Marcovaldo sono a scopo puramente esistenziale, mentre quelle di Santamaria sono motivate e concretizzate dal pragmatismo professionale.

“Aveva questo Marcovaldo un occhio poco adatto alla vita di città: cartelli, semafori, vetrine, insegne luminose, manifesti, per studiati che fossero a colpire l’attenzione, mai fermavano il suo sguardo che pareva scorrere sulle sabbie del deserto. Invece, una foglia che ingiallisse su un ramo, una piuma che si impigliasse ad una tegola, non gli sfuggivano mai: non c’era tafano sul dorso d’un cavallo, pertugio di tarlo in una tavola, buccia di fico spiaccicata sul marciapiede che Marcovaldo non notasse, e non facesse oggetto di ragionamento, scoprendo i mutamenti della stagione, i desideri del suo animo, e le miserie della sua esistenza.”20 Come Marcovaldo, anche Santamaria osserva tutto, e molti dei dettagli che nota e su cui ragiona sono precisamente costitutivi del paesaggio torinese degli anni Settanta. Si tratti della Torino magistralmente indagata e rappresentata nei due romanzi più ambiziosi della “premiata ditta”, della Maremma di Enigma in luogo di mare, della Siena di Il Palio delle contrade morte o della Venezia di L’amante senza fissa dimora, sempre, con una leggerezza che dissimula il gigantesco impegno letterario sottostante, Fruttero e Lucentini si dimostrano abilissimi nel calarsi nei più nascosti recessi dei luoghi, estraendone l’anima a beneficio del lettore. Di Siena e di Venezia vengono sottolineati i luoghi comuni di un turismo ormai svuotato di senso, che prolifera su un immaginario kitsch e commerciale, estenuato in senso romantico per Venezia e medievale-rinascimentale per Siena. “Venezia tenta di atteggiarsi, ottocentescamente, a salon, ma diventa, consumisticamente, supermarket”21, ebbe a dire Arbasino a proposito degli impietosi ritratti che di queste due città fanno gli autori. E tuttavia, sottolinea Scarpa, i macroscopici difetti delle due magnifiche città rese “cretine” dall’epoca fanno buon gioco agli autori dal punto di vista narrativo. Per loro, infatti, “il doppio vincolo salon + supermarket equivale a una doppia opportunità,perché 20 Calvino I., Marcovaldo, Einaudi, Torino, 1966, pp.15-16. 21 Arbasino A., 1968, cit. in Scarpa D., In principio era il Verbo, introduzione a Fruttero C., Lucentini F., Opere di bottega, Mondadori, Milano, 2019, p. LXVI.

con i due elementi si può giocare all’infinito: contaminazioni, scambi di ruolo, trompe l’oeil narrativi… Venezia, anzi, è il luogo paradigmatico della diglossia culturale di F&L, di quella simultaneità alto/bassi che in nessun momento la coppia svilisce a effettaccio goliardico”22. L’abilità “geografico-sociologica” di Fruttero e Lucentini ha modo di dispiegarsi ampiamente in Enigma in...


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