Gaio - Istituzioni di Gaio PDF

Title Gaio - Istituzioni di Gaio
Author Stefania Vanzo
Course Istituzioni di diritto romano
Institution Università di Bologna
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Istituzioni di Gaio...


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INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLE ISTITUZIONI DI GAIO 1. Gaio Gaio deve principalmente la sua importanza al fatto che il suo scritto di maggiore valore, le Institutiones, sia l’unica opera della giurisprudenza classica giunta direttamente a noi senza l’intermediazione dei compilatori giustinianei. Non sappiamo pressoché nulla della sua persone e della sua vita; egli operò quasi certamente sotto Adriano e lavorò alle Institutiones, anche se solo in parte, durante il regno di Antonino Pio. Visse almeno fino al 178 d.C., anno nel quale fu emanato il Senatoconsulto Orfiziano, di cui realizzò un commento. Egli ci è noto solo attraverso il suo praenomen ma alcuni studiosi sostengono che Gaius potesse essere un cognomen, altri che potesse valere come nomen e cognomen, altri ancora che si trattasse di uno pseudonimo. Anche le origini di Gaio sono del tutto sconosciute. Una parte degli studiosi (come Mommsen) ha ipotizzato una sua origine orientale per via dell’aver scritto un commento all’editto provinciale, l’essere un po’ in ritardo rispetto ai suoi tempi presentando come attuali dibattiti giurisprudenziali che in realtà erano praticamente risolti, il richiamo agli scrittori greci, la conoscenza di istituti giuridici di popoli orientali e l’essere privo di ius responendi. Infine lo stesso praenomen Gaius sarebbe uno dei prenomi che i provinciali trasferitisi a Roma erano soliti adottare. Un’altra schiera di autori (come Huschke) postula l’origine romana di Gaio. Questi sarebbe stato un insegnante di diritto formatosi alla Scuola dei Sabiniani. Allora appare strano che un giurista che così tanto ha inciso sulle epoche successive sia stato del tutto ignorato dai contemporanei. Gaio è però fra i cinque giuristi della legge delle citazioni e Giustiniano prese il suo manuale come modello per le sue Institutiones imperiali. Tutto ciò ha portato Giovanni Pugliese a parlare di un vero “paradosso gaiano”. Forse la mancanza di citazioni da parte dei contemporanei può essere stata determinata dal fatto che, oltre alle Institutiones, anche altre opere della ricca produzione gaiana ebbero “un carattere prevalentemente didattico”, ben lontano dall’aristocratica pratica del responso a cui si dedicavano i giuristi romani dell’età classica. La sua opera principale sono le Institutiones, ritrovate nel 1816 all’interno del Codex rescriptus XV (13) della Biblioteca Capitolare di Verona. Il loro ritrovamento ha permesso di ottenere informazioni fino a quel momento sconosciute. Gaio amava la storia e prestava un’attenzione particolare per l’origine storca degli istituti, vale a dire per la “forma passata delle cose presenti”. Si è così potuto inserire “una dinamica diacronica” che ha consentito di inquadrare molti istituti già noti da una diversa angolatura.

2. Le Istituzioni di Gaio Le Istituzioni di Gaio sono l’unica opera della giurisprudenza classica che ci è stata trasmessa direttamente senza l’intermediazione dei compilatori giustinianei. Questo trattato elementare presenta una suddivisione di tutto il diritto vigente in 3 parti: 1. Persone (personae): riguarda gli istituti che concernono lo stato delle persone e la loro capacità di agire; 2. Cose (res): comprende la trattazione dei diritti patrimoniali; 3. Azioni (actiones): concerne la trattazione del processo per formulas con una digressione storica sulle legis actiones.

La sua opera ha avuto una grande diffusione in età postclassica ed è stata presa a modello dai giustinianei. Si tratta di un testo concepito per la didattica, la cui esposizione semplice e gradevole manifesta un approccio scientifico del tutto diverso da quello dei suoi contemporanei. Non è un caso che i giuristi della sua età lo abbiano praticamente ignorato, mentre, ex adverso, in epoca successiva queste doti di chiarezza espositiva siano state assai apprezzate. Molti importanti istituti sono quasi del tutto assenti ed altri sono sfiorati solo di sfuggita. Questo può derivare sia dal fatto che il testo originario fosse effettivamente incompleto ma successivi ritrovamenti hanno permesso di scoprire che non sempre l’incompletezza nella trattazione di certi istituti sia dovuta a Gaio, bensì al fatto che il testo contenuto nel Codice Veronese è sicuramente meno completo di quello originario.

3. Frammenti delle Istituzioni di Gaio ritrovati dopo la scoperta del Codice Veronese Il primo ritrovamento è costituito dai cosiddetti Frammenti di Oxford. Sono 3 frammenti papiracei pubblicati per la prima volta nel 1927 da Hunt. Il primo di questi frammenti contiene solo poche parole tratte da Gai IV 57; gli altri due contengono all’incirca la parte corrispondente a Gai IV 68-72a. Si tratta della copia di un testo librario destinato all’uso personale di un esperto. L’importanza di questo ritrovamento risiede nel fatto che il testo del Codice XV (13) e quello contenuto nei frammenti coincide. Se poi si aggiunge che il papiro è scritto in un carattere corsivo ascrivibile alla metà del III secolo d.C. non sarebbero state ancora compiute alterazioni al testo e si ha così un elemento di prova a favore della sostanziale genuinità del Gaio Veronese. Il secondo ritrovamento è costituito dai c.d. Frammenti fiorentini, due doppi fogli scritti da entrambi i lati e un foglio singolo in pergamena ritrovati nel 1933 in Egitto. L’importanza di questa scoperta risiede nel fatto che dal confronto tra il Codice XV (13) di Verona e la pergamena egiziana emerge che il testo egiziano è più completo e contiene una parte che manca nel Manoscritto Veronese. La pergamena consente di dimostrare che il Gaio pervenuto a noi attraverso il Codice Veronese è espressione di una successiva rielaborazione in cui il testo delle Institutiones ha subito delle mutilazioni. Va sottolineato che dal punto di vista contenutistico, le differenze fra il Gaio Veronese e quello della pergamena egiziana si limitano soltanto a questo passo. Il manoscritto sembra quindi essere stato usato da parte di un professore di diritto (ad Alessandria). Sono presenti varie glosse in lingua greca, sia interlineari che a margine. Quelle interlineari contengono traduzioni letterali di parole latine nella lingua greca. Le glosse a margine invece possono essere distinte in 2 categorie: •

Quelle che contengono un riassunto del testo gaiano



Quelle che contengono citazioni di altri giuristi (come Paolo)

Da qui, emerge una capacità del correttore orientale di saper consultare altri giuristi, conservando il ricordo di osservazioni di carattere generale emesse incidentalmente. Si arriva così alla pregevole edizione realizzata da David e Nelson, per la quale è stato compiuto un nuovo esame paleografico del Codex XV (13). Quest’ultima edizione è di gran lunga la migliore pubblicata fino ad oggi ed è tutt’oggi l’ultima edizione completa delle Institutiones.

4. La discussione sulla genuinità del testo gaiano contenuto nel Codice Veronese Il testo delle istituzioni di Gaio è contenuto all’interno di un Codice palinsesto (o codex rescriptus). Si tratta di un tipo particolare di codice in cui si sono sovrapposte una o più scritture, con-

tenenti testi religiosi. Cominciò così a farsi strada l’idea che nel Gaio Veronese vi fosse la presenza di alterazioni del testo originale e di glosse postclassiche. Mommsen evidenziò un certo numero di casi in cui egli reputava ci fossero alterazioni in presenza di glosse nella tradizione manoscritta delle Institutiones. Successivamente, a partire dalla ipotesi avanzata di Kniep, in base alla quale l’opera del Manoscritto Veronese non sarebbe stata unitaria, potendosi distinguere in 4 parti di cui soltanto una ascrivibile a Gaio, molti autori iniziarono a sostenere che modificazioni postclassiche avrebbero potuto essere state inserite nel testo originale. Si trattava tuttavia di osservazioni critiche spesso assai minute che avevano il difetto di valutare i passi presi singolarmente e al di fuori di quella visione d’insieme che sarebbe stata necessaria per una analisi obbiettiva. •

Da un lato vi è chi ha tentato di evidenziare i parecchi glossemi postclassici che avrebbero inquinato il nitido originale del giurista classico;



Dall’altro vi è chi ha negato con forza l’esistenza di tali glossemi, attribuendo ogni responsabilità dei difetti allo stesso Gaio.

Così sono sorte diverse correnti: •

La prima, costituita dai denigratori di Gaio, che tende a svilirne l’immagine.



La seconda è propensa a difenderne la figura sia come giurista che come persona.



Tra queste 2 correnti vi è chi si è posto in una media via, sostenendo la classicità delle sue Istituzioni ma al contempo mettendo discussione il Codex XV (13).



Si può individuare inoltre una linea di pensiero più prudente che è propensa a salvare la sostanziale classicità del testo contenuto nel Codice Veronese èur ammettendo la presenza di glosse e alterazioni.

Vari studiosi hanno tentato di individuare i singoli casi specifici in cui il testo del manoscritto Veronese non sia genuino. I grandi protagonisti di questa vera caccia alla glossa sono stati Beseler e Solazzi ma molti altri sono stati autori che hanno compiuto interventi volti ad individuare la non autenticità di qualche passo gaiano. Il metodo seguito da Beseler e Solazzi è stato differente. Il primo ha condotto assai spesso analisi di carattere linguistico e grammaticale (punto di vista formale). Molti di questi suoi studi minuziosi però sono privi di fondamento e contengono grossi errori. Solazzi invece ha analizzato le fonti anche dal punto di vista sostanziale tentando di mettere in evidenza eventuali contraddizioni o discrasie del testo. Appaiono evidenti i limiti di un simile metodo e i rischi di forzature del testo. Va detto ex professo che molte acutissime interpretazioni di Solazzi hanno portato in tanti casi ad una migliore comprensione del testo gaiano e pertanto può dirsi ugualmente che le “Glosse a Gaio” di Siro Solazzi “rappresentano una vera miniera di originali osservazioni critiche”.

5. Alcune ipotesi della dottrina sul rapporto fra le Istituzioni di Gaio e altre opere Un atteggiamento molto più prudente è stato seguito da Vincenzo Arangio-Ruiz. Quest’ultimo ha toccato anche la delicata questione dei rapporti intercorrenti fra le Istituzioni di Gaio, le Res Cottidianae e le Istituzioni di Giustiniano. L’autore ha sostenuto che sarebbero state realizzate due distinte edizioni delle Istitutiones. La seconda edizione sarebbe stata realizzata da Gaio sotto il regno di Commodo. Il Manoscritto Veronese sembrerebbe essere la copia dell’originale edizione che noi non possediamo. Anche delle Res Cottidianae sarebbero esistite due diverse edizioni. Tali versioni sarebbero oggetto di modifiche e sarebbero state diverse fra loro. A seguito

del primo dei due ritrovamenti egiziano, Arangio-Ruiz ha dato l’impressione di aver mutato la propria opinione circa la valenza del Gaio Veronese e di considerare il testo del Codice XV (13) come sostanzialmente genuino. Wolff ha sostenuto l’ipotesi che il Manoscritto Veronese contenga l’epitome di uno scritto precedente che sarebbe stato modello anche per le Res Cottidianae. Il Codex XV (13) di Verona non conterrebbe il testo delle Istitutiones ma una sua epitome realizzata da un autore sconosciuto. Sempre il tal senso si colloca l’ipotesi di Wieacker dove, dal punto di vista metodologica, viene dato rilievo alla fine del III secolo d.C. al passaggio dal rotolo al codice. Si trattò di un evento epocale i cui effetti, sotto il profilo della tradizione testuale degli scritti della giurisprudenza romana classica, sono stati di importanza capitale. Secondo Wieacker sarebbe esistito una sorta di “Urgaius”, una sorta di massa originaria, tramandataci sotto il nome di Gaius, dalla quale, a partire dal 300 d.C., sarebbe derivata, come lavoro individuale, un’opera inizialmente chiamata Commentarii IV e poi Institutiones. Molte alterazioni del testo gaiano non sarebbero così ascrivibili all’età giustinianea, ma d un’età assai precedente, già intorno al 300 d.C. Prima di tale periodo, la tradizione testuale del manuale gaiano sarebbe stata caratterizzata da molte fluttuazioni. A partire dal 300 d.C. circa, si sarebbe creato un processo di uniformazione del testo dell’opera che va sotto il nome di Istitutiones. Un altro insigne maestro, Flume, ha nuovamente sostenuto che il Veronese, analogamente alle Res Cottidianae, non sarebbe altro che la riproduzione di un’Epitome dell’originale testo gaiano a noi giunto. Alla corrente studi che ha messo in discussione l’effettiva classicità del Gaio veronese, si è contrapposta quella che ha sostenuto la sostanziale autenticità del testo delle Istitutiones. Alcuni hanno sostenuto la sostanziale genuinità del Veronese, ma si sono altresì trasformati in veri e propri detrattori di Gaio.

6. La Biblioteca Capitolare di Verona e i suoi tesori. La scoperta dei più antichi manoscritti compiuta da Scipione Maffei Il Codice era probabilmente fra quelli raccolti nel IX secolo dall’arcidiacono della Chiesa Veronese, Pacifico. Durante l’11° secolo si narra che due canonici di Ratisbona trovarono a Verone, nella Biblioteca Capitolare, l’esposizione del Santo decimo quinto che non si trova neppure a Milano. A partire dalla metà del 17° secolo si perse ogni traccia di una cospicua parte dei più preziosi ed antichi manoscritti. L’unica persona che ebbe a che fare con i codici fu il canonico Rezzani che nel 1625 realizzò un catalogo dei manoscritti della Biblioteca Capitolare. È assai probabile che proprio in quegli anni i manoscritti siano stati spostati dalla loro collocazioni abituale e riposti in quel “buio ripostiglio” dove rimasero occultati fino all’epoca del loro ritrovamento. Introno al 1625 la stanza ove sorgeva la Biblioteca venne del tutto rinnovata. Appare ragionevole pensare che Rezzani abbia pensato di por mano ad una catalogazione. Fu probabilmente in quel periodo che i manoscritti furono sistemati nella Cancelleria, trovando ricovero sicure e difficilmente raggiungibile in cima ad un grande armadio. Collocare i manoscritti ad una certa altezza sembrerebbe rispondere all’esigenza di salvaguardarli da un’eventuale piena dell’Adige; tuttavia, il fatto che i libri siano stati posati all’interno di un vano cavo segreto può far pensare che tale collocazione rispondesse anche ad un altro tipo di esigenza, quale ad esempio quella di mettere al riparo quel prezioso testo da possibili incursioni soldatesche nemiche. Sopraggiunta nel 1630 la peste, Rezzani si ammalò e morì. La canonica restò così abbandonata e nessuno fu a conoscenza del luogo ove i manoscritti fossero stati riposti. L’ipotesi che le cose siano andate in questo modo viene avanzata da Scipione Maffei. Così nel generale silenzio sulla presenza dei preziosi manoscritti si formò la convinzione generale che non fosse rimasto più nulla dell’antica biblioteca. Si deve così attendere fino all’ottobre del 1712 perché Scipione Maffei riesca a recuperare i manoscritti. Egli incaricò il più valente fra i canonici, Carinelli, di frugare in tutti gli armadi, nelle casse, nelle scansie e di verificare se vi fosse qualche resto di quei codici. Trascorsi alcuni giorni, fu proprio Carinelli, lieto in viso, a comunicargli la lieta novella della scoperta di un nascondiglio posto al di sopra di un armadio. Maffei raggiunse allora la sommità dell’armadio e ri-

mosse alcuni oggetti di scarso valore che coprivano un vano ricolmo di codici antichi, fra cui anche quello contenente le Istituzioni di Gaio. Carinelli ordinò dunque che tutti i codici fossero estratta dal nascondiglio e disposti in modo tale da consentire a Scipione Maffei di poterli esaminare.

7. Scipione Maffei e l’individuazione dei manoscritti aventi contenuto giuridico Lo studioso veronese aveva in mente un ambizioso progetto che prevedeva la realizzazione dell’opera Bibliotheca Veronensis Manuscripta, un catalogo di manoscritti della Biblioteca Capitolare e di tutte le biblioteche di Verona. Costrinse però Maffei ad anni di numerose e faticose ricerche prima di poter ottenere risultati di consentire rilievo. Scipione ebbe occasione di imbattersi in alcune pergamene sciolte di contenuto giuridico. La prima notizia che egli fornisce di tali carte è apparsa nel 1732 sulla Verona Illustrata. All’interno degli Opuscoli ecclesiastici incontriamo una descrizione di frammenti aventi contenuto giuridico. Si trattava del Fragmentum de iure fisci (Frammento sul diritto fiscale) costituito da due fogli non rescritti contenenti un testo in materia fiscale, e del Fragmentum (o Folium singulare) de preascriptionibus et interdictis (Frammento sulle prescrizioni e gli interdetti), l’unico foglio completamente non rescritto del Codice XV (13). Dei due fragmenta, il folium singulare è senza dubbio quello di maggiore valore, perché conteneva alcuni paragrafi delle istituzioni di Gaio. Egli affermò di essersi assai impegnato nella ricerca delle parole contenute in tale frammento e di essere giunto ad individuarle nel titolo quindicesimo del quarto libro delle istituzioni di Giustiniano. Maffei si era accorto che il titolo sugli interdetti del manuale istituzionale bizantino riecheggiava le parole del frammento da lui descritto, ma non ebbe l’intuito di pensare che potesse essere ascrivibile a Gaio. Se però si considera che il foglio ritrovato apparteneva originariamente al Codex XV (13) e che l’erudito veronese ne aveva perlomeno individuato il contenuto giuridico, resta a lui il merito di essere stato il primo ritrovatore di un lungo frammento tratto dalle Istituzioni di Gaio, pur non giungendo ad una corretta individuazione dell’autore. Egli fece un’ampia, ma non completa trascrizione dei passi che vi erano contenuti. Si trattava tuttavia della prima preziosissima trascrizione di un documento che conteneva un lunghissimo brano delle Istituzioni di Gaio. Haubold, proprio sulla base dell’indicazione fornita da Maffei, realizzò un confronto fra la trascrizione del testo ed il corrispondente testo delle Institutiones di Giustiniano. Maffei pubblicò negli Opuscoli ecclesiastici anche l’apografo di cinque righi del Fragmentum de praescriptionibus et interdictis. Successivamente nel 1758, il Fragmentum de preascriptionibus et interdictis, assieme al Fragmentum de iure fisci vennero raccolti dal vicario generale vescovile, marchese Dionisi, nel volumetto dal titolo “Vetera Paralipomena Mss. Codicem Capituli Veronensis, a Ioanne Iacobo de Dionysiis Veronensi canonico in unum collecta”.

8. Scipione Maffei e il Codex XV (13) Il Codice XV (13) all’epoca del suo ritrovamento era un codice palinsesto nel quale la scriptura inferior non doveva essere facilmente leggibile. Al tempo in cui Maffei compulsò il suddetto manoscritto non erano ancora in uso quelle tecniche che erano indispensabili per ravvivare le antiche scritture sommerse. Tali metodiche saranno ben conosciute solo più avanti e applicate quasi esclusivamente dai paleografi del secolo successivo. Pertanto il letterato Veronese non poté individuare il contenuto giuridico della scriptura prior solo per una ragione di carattere tecnico. Può essere che da qualche concatenazione di caratteri scarsamente visibili si potesse arrivare anche a desumere il contenuto giuridico della scriptura sommersa ma non si sarebbe potuto andare più in là. Maffei si comportò come qualsiasi studioso coscienzioso del suo tempo avrebbe

fatto: si limitò a studiare la scriptura superior e a dar conto dell’esistenza di quella sottostante. Nel caso del Codice numero 13 però Maffei ha lasciato una memoria manoscritta. Dopo la sua morte tutte le sue osservazioni manoscritte sui codici della Biblioteca Capitolare furono raccolte dal bibliotecario Capitolare Masotti in due volumi in folio.

9. Il Catalogo dei manoscritti della Biblioteca Caoitolare e le sue preziose indicazioni Nel proprio testamento, il marchese lasciò tutti i suoi manoscritti in piena potestà del Capitolo. Il letterato aveva intrapreso il grandioso progetto di una catalogazione di tutti i codici della città di Verona, ma tale iniziativa era rimasta ben lungi dall’essere terminata. Il merito di aver completato l’opera di cataloga...


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