Tesi Gaio PDF

Title Tesi Gaio
Course Istituzioni di diritto romano
Institution Università di Bologna
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Saggio su Gaio...


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GAIO E LE ISTITUZIONI Quando ci apprestiamo a trattare il diritto romano classico, ci resta difficile, se non impossibile, non citare il nome di Gaio: ma chi era costui? Purtroppo, nonostante i progressi moderni, al giorno d'oggi non abbiamo ancora raccolto materiale biografico sufficiente, per raccontare la vita di quello che sicuramente è annoverato tra i più grandi giuristi del mondo latino. Infatti, come racconta Renzo Lambertini: " Se quanto ai dati biografici dei giuristi classici siamo nel complesso assai poco informati, questa sorta di oscurità raggiunge per Gaio livelli paradigmatici, etc.. " (Intr. allo studio esegetico del Diritto romano). Nonostante egli sia acclamato come il precursore del diritto classico, ci sono giunti pochissimi dati circa la sua vita, (concetto denominato "paradosso gaiano" del quale parleremo in seguito). Quel che di certo possiamo dire, è che vive sotto Adriano e svolge la sua attività didattica tra il regno di Antonino Pio ed il regno di Marco Aurelio. Ancora, possiamo affermare che sicuramente la sua morte è successiva al 178 d.C., (anno dell'emanazione del "Senatoconsulto orifiziano", cui l'autore dedica un commentario, ricavato parzialmente dai Digesta giustinianei). Oltre questo, sulla sua vita possiamo basarci esclusivamente su mere congetture; la sua provenienza è dubbia, ma, si ipotizza fosse romano e provenisse dagli ambienti provinciali, (probabilmente nato nella Gallia Cisalpina, all'epoca sotto l'egemonia dell'impero). Teorie parallele a questa invece, suppongono che il nostro autore provenisse dal mondo orientale e che questo, giustificherebbe l'uso ricorrente della lingua greca e l'utilizzo frequente di comparazioni con la giurisprudenza orientale, (in particolare, nel commento alle XII tavole cita scrittori greci quali Omero, Solone e così via..). Vi sono poi altre ipotesi alquanto mistiche, che si interrogano circa il sesso del giurista a causa di alcuni suoi interventi pro-mondo femminile, (queste però, non presuppongono basi storiche né lasciano adito a ricerche cronobiografiche). Del nome Gaio, presupponiamo sia un pre-nomen, (primo elemento dell'onomastica latina), molto in voga nella Roma antica. Qualcun altro invece, ha ritenuto più probabile che tale nominativo non sia altro che uno pseudonimo. Si fa riferimento per quest'ultima tesi, all'espressione "praeceptores nostri" utilizzata da Gaio per denominare i Sabiniani, o ancora, ad un passo di Pomponio che citando il giurista antico scrive: "Gaius noster" (se così fosse, sarebbe l'unica menzione ricavabile per l'autore delle Institutiones). Gaio, basandoci su quanto detto in precedenza, ci risulta un giurista alquanto anomalo! Ci domandiamo, come mai un giurista considerato prioritario per gli studiosi del Diritto romano, era completamente ignorato, (se non addirittura snobbato!), dagli autori classici ad egli contemporanei? Tale interrogativo, è denominato dai più, come "paradosso gaiano"! Presupponiamo che la risposta sia da ricercare nelle attività svolte dai singoli autori. I giuristi classici, si dedicavano quotidianamente ad un'intensa ricerca casistica e scientifica, snobbando l'insegnamento giuridico. Gaio invece, faceva dell'arte dell'insegnare, il suo unico scopo di vita, considerando la preparazione dei giovani giuristi come il presupposto della civiltà futura. Questa sua particolare attitudine, faceva si, che egli fosse screditato dal mondo classico. Ecco spiegato quindi, il motivo di tanta indifferenza nei confronti del nostro autore. A Gaio attribuiamo, (suscitando non pochi dubbi), alcune opere e commenti, tra le quali ricordiamo: • le "Res Cottidianae", tale opera ci è pervenuta a seguito di estratti del "Digesto" e delle "Institutiones Giustinianee". Il titolo originario doveva essere: "Gai rerum cottidianarum sive aureorum libri VII" (cit. Wikipedia). Molto probabilmente, l'opera doveva rappresentare una rielaborazione mal riuscita delle Istituzioni di Gaio, (di cui parleremo in seguito). Di codesti appunti, si ipotizza fossero raccolti direttamente dagli stessi discepoli di Gaio e a loro volta trasmessi nelle scuole di diritto; • un commento all'editto provinciale, ovvero il testo edittale, promulgato dai governatori provinciali; • un commento all'editto del pretore urbano; • un commento alle leggi delle XII tavole; • un commento al Senatoconsulto Orfiziano; • un commento alla legge Iulia et Papia, che sanciva l’obbligo per gli uomini tra i 25 e i 60 anni e per le donne tra i 20 ed i 50 di contrarre matrimonio. Tale disposizione valeva anche per le persone vedove o divorziate, col solo limite per le donne del tempus lugendi, che la lex Papia Poppæa fissò in 10 mesi dalla morte del marito. Sicuramente, le opere sopra-citate sono di importanza rilevante per conoscere al meglio il pensiero giuridico dell'autore, ma, ancora di più, lo sono per interpretare e analizzare scrupolosamente quello che senza ombra di dubbio è considerato il capolavoro gaiano: stiamo parlando delle "Istituzioni". Prima di entrare nel dettaglio, e descrivere analiticamente quanto quest'opera sia stata fondamentale per i giuristi successivi, è bene raccontare un piccolo preambolo: la diffusione della scuola del diritto, nasce in tarda età imperiale, parallelamente alla scomparsa delle "magistrature politiche/elettive" e alla nascita delle "magistrature professionali" (carriera). Quindi, con l'avvento di tale nuova professione, si avverte il bisogno di insegnare il diritto e le conseguenti matrici che lo compongono. È così, che il popolo romano inizia ad utilizzare il termine "instituere" quando tratta materia di "ius" (diritto). Seguendo il significato letterale del verbo "instituere" (piantare, colui che pianta saldamente), se ne deduce che il concetto che i romani volevano trasmettere era quello di insegnare saldamente il diritto. E lo

strumento per instituire, erano le "institutiones". Tale termine, venne utilizzato dai giureconsulti romani per indicare quelle trattazioni di diritto che avessero un carattere generale e manualistico, e si riproponessero quindi, come una sintesi o un’esposizione generale dell’insieme della "scientia iuris". È così che intorno al II sec. d.C., iniziò a circolare nelle scuole più famose di Roma, una sorta di manuale utilizzato dagli studenti per studiare il diritto: erano le "Istituzioni di Gaio"! Ricordiamo quest'opera come un capolavoro del mondo giuridico romano, nonché come presupposto teoretico per la giurisprudenza antica e moderna. È un manuale didattico, diviso in quattro libri, detti commentari, (probabilmente composto da Gaio tra il 168 e il 180), e il suo carattere di assoluta eccezionalità, risiede nel fatto di essere l'unica opera della giurisprudenza antica, ad esserci pervenuta direttamente senza il tramite di compilazioni o modifiche che ne abbiano in qualche modo alterato il significato. A rendere ancora più mistico il fascino delle Istituzioni, è il "giallo", (sorto negli ultimi anni), celato dietro il suo ritrovamento. La versione ufficiale, racconta che nel 1816, un diplomatico tedesco, tale Barthold Georg Niebuhr, durante un breve soggiorno a Verona, ebbe modo di visitare l'antica Biblioteca Capitolare della città. Nello scorrere attentamente un codice pergamenaceo contenente le lettere di Sofronio Eusebio Girolamo, osservò bene come tale scritto era in realtà un palinsesto. In alcune sue pagine, non poté fare a meno di notare, che vi affiorava una scrittura precedente, risalente molto probabilmente al V o al VI secolo, rimossa successivamente, per far spazio alle epistulae sopra citate. Al fine di velocizzare il processo di trascrizione delle Istituzioni appena ritrovate, si causò la distruzione di circa 1/5 dell'opera. Infatti, in occasione del Congresso di Vienna, vi era l'intenzione di riscrivere il diritto europeo sulla base dello "ius" più antico, quello originario. È così, che Niebuhr, atteso e incitato dai grandi stati europei, utilizzò solventi molto potenti che causarono la perdita di parte delle Institutiones di Gaio. In tempi recenti invece, grazie all'indagine storica, portata avanti da studiosi del diritto romano, si è fatta sempre più forte una teoria alternativa alla versione ufficiale circa il ritrovamento delle Istituzioni. Quest'ultima tesi, ha inizio circa cento anni prima dell'annuncio ufficiale dato da Niebuhr: siamo a Verona, nel 1700, e un tale Marchese Scipione Maffei, erudito veronese, è a conoscenza della notevole quantità di materiale conservato nella Biblioteca della città. Egli è consapevole, che vi sono ancora tantissime opere, portate lì da viaggiatori e studiosi, che giacciono sepolte da anni e attendono di essere riportate sotto gli occhi di tutti. È così, che Scipione Maffei, decise di mettersi alla ricerca di questi codici, impegnando molti uomini e promettendo importanti compensi. Dopo giorni di attesa estenuante, l'indagine giunge a termine, portando alla luce manuali nascosti nei meandri della Biblioteca. Ma perché tali codici erano andati smarriti? La risposta è da ricercarsi nella piena dell'Adige avvenuta nel 1600 circa, quando, al fine di proteggere i codici più antichi ed importanti, si decise di metterli al riparo in luoghi sicuri. Ciò che non era stato previsto però, fu la peste immediatamente successiva all'evento raccontato, che portò alla morte di molti bibliotecari della città. A Maffei, fu data occasione di studiare i manoscritti ritrovati, ma, conoscendo solo relativamente la scienza del diritto, commise alcuni errori e tralasciò molti particolari. Ad egli però si riconosce: • "Fragmentum de Iure Fisci"; • "codex XV" (13), frammento delle Istituzioni di Gaio; • "fragmentum de praescriptionibus et interdictis". Maffei, non intituì che il frammento ritrovato appartenesse ad un'opera differente da quelle conosciute fino ad allora, ipotizzando invece che fosse un riassunto parziale delle Istituzioni di Giustiniano. È per tale motivo che ancora oggi non vi si attribuisce il merito della scoperta delle Istituziones. È però certo, che se non fosse per l'impegno costante ed intenso svolto dall'erudito veronese, il ritrovamento di molti manufatti sarebbe stato ancor di più ritardato. Scipione Maffei si dedicò fino alla morte allo studio di codici e manuali, pubblicando frammenti da egli riscritti e tradotti. Circa cento anni dopo, precisamente nel 1816, il lavoro svolto da Scipione Maffei, fu studiato scrupolosamente dal giovane Karl Wittê, (due lauree a sedici anni, professore universitario a ventuno) e dal professore Christian Haubold , (storico tedesco del diritto romano). Il primo, comprese l'importanza della scoperta di Maffei, ed intuì anche, che molto probabilmente l'opera ritrovata non era, come il nobile veronese ipotizzava, da attribuire all'imperatore Giustiniano, bensì, a qualche altro giurista antico, antecedente anche lo stesso sovrano. Ma, per quanto il giovane allievo tedesco sia stato un enfant prodige, l'euforia delle proprie intuizioni e la sua ingenuità , lo portarono a confidarsi con vari professori universitari. La notizia che a Verona si nascondesse un vero e proprio tesoro del diritto antico, iniziò a circolare tra le cattedre più prestigiose d'Europa, spingendo più studiosi, a recarsi per primi nella città veneta. Tra questi, vi era il diplomatico tedesco Niebuhr, (del quale abbiamo già raccontato chi fosse). Egli arrivò in Italia come ambasciatore, vivendo con molta sofferenza il soggiorno italico, (ciò è stato ricavato grazie alle sue memorie). Ma nonostante tale astio nei confronti del nostro paese, ciò non vi impedì di visitare la Biblioteca Capitolare e mettersi alla ricerca di un possibile "tesoro". Niebuhr, pochi giorni dopo, si appresterà ad inviare una famosa lettera all'amico von Savigny, dove racconterà di aver fatto tre importanti scoperte, quali: • un frammento anonimo in tema fiscale, (del quale Maffei aveva già tradotto alcune righe); • un foglio sciolto (già copiato da Maffei in apografo e fu anche pubblicato successivamente); • il Codex (che qualunque studioso, specialmente uno esperto quanto Niebuhr avrebbe riconosciuto in esso, parte dei "fogli sciolti"). Di quest'ultimo codice, Niebuhr scrisse che molto probabilmente fosse da attribuire ad Ulpiano, ignaro invece che l'autore fosse un altro ancora più antecedente. Savigny, entusiasta delle notizie provenienti dalla penisola italiana, decise di divulgare la notizia, e quale luogo migliore, se non quello di un'aula universitaria? Peccato però, che tra i banchi vi

era uno studente il quale abbiamo già nominato in precedenza, Karl Wittê. Egli, preso dalla rabbia e dall'invidia che qualcuno avesse sfruttato il suo lavoro, interruppe la lezione, azzittendo lo stesso professore. Si racconta, che il padre del giovane allievo, fosse dietro la porta ad origliare, pregando che il proprio figlio non si sbagliasse. Savigny optò per ascoltare il giovane Wittê, e quindi, successivamente decise di confrontarsi con lui circa la questione. E così, l'enfant prodige tedesco, raccontò dei suoi studi ed in particolare dell'opera sul quale il suo professore Christian Haubold, stava lavorando. Di ciò che successe dopo, e delle modalità con il quale Savigny entrò in possesso dell'opera di Haubold, sappiamo poco! Si ipotizza che persuase il collega, (in maniera poco garbata), a rendergli tutto il lavoro svolto fino ad allora. Quello che finora, possa apparire come un giallo americano, tutt'altro è che semplice suggestioni letterarie. Infatti, ci sono alcune cose che non tornano nel racconto di Niebuhr: • la velocità con la quale le Istituzioni sono state ritrovate; • la sua affermazione circa il libro di Maffei. Egli dichiarerà di non aver mai letto l'opera dell'erudito veronese, (ci si interroga allora, come facesse il diplomatico tedesco ad essere indirizzato presso la biblioteca di Verona); • la lettura del catalogo della Biblioteca. Chiunque frequenti la Capitolare, non può fare a meno di affermare quanto il catalogo risulti utile per orientarsi. Niebuhr invece, dichiarò pubblicamente l'inutilità del catalogo e il suo essersi orientato grazie all'istinto e alla tenacia; • infine, non vi è mai traccia o minima citazione di Scipione Maffei. Affrontato al meglio anche il giallo avvincente circa il ritrovamento delle Istituzioni, possiamo ora concentrarci sui contenuti dell'opera e come questa influenzò i giuristi successivi. Se dovessimo sintetizzare in poche parole chiave il pensiero giuridico di Gaio, potremmo citare una frase tratta dalla sua stessa opera: " Omne antem ius, quo utimur, vel ad personas pertinet vel ad res, vel ad actiones ", che traduciamo in "invero tutto il diritto del quale ci serviamo, è attinente o alle persone, o alle cose o alle azioni processuali". Infatti, per Gaio, il diritto deve essere articolato in tre parti: le persone, le res (rapporti patrimoniali, compresi quelli di natura relativa, come le obligationes) e le azioni, (ivi si occupa del processo formulare)! Così per come è stato ritrovata, le materie trattate nell'opera, sono corrispondenti alla tripartizione del Diritto secondo Gaio. Quest'ultimo, inizia ognuna delle tre parti in cui la sua opera é divisa, con una "summa divisio". Tale processo schematico-analitico, è utile al giurista, al fine di far sviluppare in varie direzioni tra esse parallele, il discorso giuridico, permettendo quindi un'esposizione precisa e semplice. Rimane molto importante sottolineare, come questa tecnica espositiva e il raggruppamento in tre grandi filoni dell'opera, influenzerà molto la fama delle Istituzioni. Non a caso, il primo codice civile italiano, datato 1865, si fonda sulla sistematica gaiana e la tripartizione in tre libri; il secondo codice civile invece, si divide in sei libri! Possiamo quindi affermare, che le Istituzioni di Gaio, (e in seguito quelle di Giustiniano), sono la base dell'organizzazione giuridica. Anche nel diritto romano, come quello attuale, i soggetti sono sia fisici che giuridici. Essere romano vuol dire per eccellenza essere persona fisica. Ma a Roma non esistevano uffici anagrafici quindi la prova della nascita si poteva dare in molti modi, quello più classico era rappresentato dal padre che prendeva tra le sue braccia il bimbo. In epoca imperiale si vanno piano piano perfezionando degli strumenti più elaborati come imporre al padre di effettuare una dichiarazione scritta: "professio". La prima parte dell'opera gaiana, si preoccupa quindi, di disciplinare lo stato giuridico del cittadino romano. A) La "summo divisio" iniziale, riporta: "Et quidem summa divisio de iure personarum haec est, quod omnes homines aut liberi sunt aut servi" "E certamente la maggiore differenza nel diritto delle persone è questa, che tutti gli uomini o sono liberi o sono schiavi". Nel primo libro, Gaio cerca di disciplinare quello che era stato un costume molta in voga al suo tempo: la tratta degli schiavi. Egli, si preoccupa di distinguere le persone dalle res, e di suddividere le prime in "liberi" e "servi". Ciò, ci permette di affermare che per Gaio, anche i servi sono persone e che a loro volta, seguono determinate procedure per cadere in schiavitù o liberarsi da essa. Da qui poi, Gaio prosegue nella sua schematizzazione della società civile romana, scindendo i liberi, in "ingenui" (condizione giuridica e sociale di chi era nato libero, ovvero di chi, essendo nato da padre libero, era perciò libero lui stesso) e "libertini" (erano quelle persone che erano state liberate dalla servitù legale). A loro volta, quest'ultimi, (libertini), erano divisi in: • "cives romani", (rientrano in questa categoria, tutti gli schiavi liberati ai quali veniva concesso lo status romani); • "latini", (qualora mancasse una condizione tra l'avere più di trent'anni, essere di proprietà quiritaria del suo padrone o essere liberato in forma appropriata, si veniva raggruppati in tale categoria); • "dediticii", (ossia i non Romani, formalmente privi di ogni altra appartenenza cittadina, che rappresentavano anche coloro che erano stati accomodati nei confini dell'impero e che vennero esclusi dall'attribuzione della cittadinanza dalla Constitutio Antoniniana.). B) La seconda summa divisio, quella riguardante le res, afferma: "Modo videamus de rebu: quae vel in nostro patrimonio sunt vel extra nostrum patrimonium habentur. Summa itaque rerum divisio in duos articulos didicitur: nam aliae sunt divini iuris, aliae humami."

"Ora occupiamoci dei beni: questi o fanno parte del nostro patrimonio (del patrimonio umano) oppure non ne fanno parte. Perciò, la più importante distinzione nei beni può essere annunciata in due frasi: infatti alcuni beni sono divini iuris (di diritto divino), altri sono humani iuris (di diritto umano)." In questa seconda parte dell'opera, Gaio tende a distinguere le "res divini iuris", (tutte le cose destinate al soddisfacimento di esigenze religiose), in: 1) "sacrae", comprendente tutte le cose destinate al culto degli dei Superi (o della divinità cristiana, dopo la diffusione del Cristianesimo), quali templi (poi chiese) ed arredi sacri. 2) "religiosae", comprendente tutte le cose destinate al culto dei defunti, come i sepolcri e gli oggetti destinati all’ornamento del cadavere; 3) "sanctae", comprendente tutte le cose non appartenenti ad una divinità, ma poste sotto la sua protezione, quali, ad es., le mura e le porte della città od i confini dei fondi. e le "res humani iuris", (tutte le cose non destinate al soddisfacimento di esigenze religiose), in: 1) "privatae", (nella quale rientravano tutte le cose che non erano suscettibili di apprensione individuale: di esse, ciascun membro della collettività poteva usufruire, acquistandone il domìnium ex iure Quirìtium) 4) "publicae", (nella quale rientravano tutte le cose appartenenti al popolo e cioè cose in passato appartenute a privati cittadini e poi divenute pubbliche mediante un apposito provvedimento, oppure cose acquistate direttamente come bottino di guerra, o comunque destinate ad un uso pubblico). C) L'ultima summa divisio, è quella riguardante le "obligationes", probabilmente la più affascinante per un giuristastudioso di diritto romano. Infatti, in quest'ultima, Gaio commette l'errore di confondere "species" e "genus": "Nunc transeamus ad obligationes, quarum summa divisio in duas species diducitur: omnis enim obligatio vel ex contractu nascitur vel ex delicto." "Ora passiamo alle obbligazioni, delle quali la massima divisione si articola in due specie: infat...


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