giovanni perlingieri profili applicativi della ragionevolezza nel diritto civile PDF

Title giovanni perlingieri profili applicativi della ragionevolezza nel diritto civile
Author Carmine Santo
Course Diritto civile
Institution Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli
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Giovanni Perlingieri Profili applicativi della ragionevolezza nel diritto civile Diritto Civile Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli 58 pag.

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Giovanni Perlingieri

Profili applicativi della ragionevolezza nel diritto civile corso di laurea in giurisprudenza. università degli studi della campania luigi vanvitelli Diritto civile.

1.

Premessa

Il legislatore non definisce la “ragionevolezza”, sebbene l’utilizzo di tale espressione sia ricorrente nelle decisioni giurisprudenziali, negli articoli della dottrina e nel linguaggio del legislatore. Nonostante l’utilizzo sempre più frequente del criterio di ragionevolezza, il tentativo di una sua Pagina 57

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riduzione e rappresentazione teorica unitaria è stato definito disperato. Il giurista, tuttavia, non può abdicare al ruolo di interprete. I concetti giuridici non sono coniati ma devono essere individuati dalla dottrina attraverso una fedele analisi del diritto positivo unitariamente inteso. Pertanto, la domanda che l’interprete deve porsi è se esista un concetto di ragionevolezza che si possa enucleare non soltanto in base al linguaggio del legislatore, ma considerato anche il sistema giuridico vigente e i suoi valori.

2.

La ragionevolezza nell’ambito giuridico e le sue molteplici accezioni. Insufficienza della prospettiva orientata a individuare nella ragionevolezza un criterio di misura flessibile, idoneo ad adattare la lettera di una disposizione legislativa alle circostanze del caso concreto.

Giova chiarire, che la ragionevolezza, in dottrina e in giurisprudenza, è spesso confusa o sovrapposta ai diversi concetti di proporzionalità, buona fede, diligenza, affidamento abuso del diritto ed equità. Si afferma altresì che i provvedimenti della P.A devono essere adottati con ragionevolezza, ossia con forme e modalità tali da arrecare il minor sacrificio possibile a parità di risultati ottenibili, per riferirsi in realtà alla proporzionalità tra l’interesse perseguito e il rimedio utilizzato. Altre volte si legge che l’utilizzo distorto e irragionevole di una situazione soggettiva configura un abuso del diritto come ad esempio: si consideri l’abuso della libertà di informazione. Se l’abuso consiste nella lesione di altri interessi tutelati dall’ordinamento, il divieto di un uso irragionevole di tale libertà. Infatti secondo la giurisprudenza si ha abuso della libertà d’informazione quando l’esercizio della libertà incide in maniera irragionevole e sproporzionata su altri beni o interessi tutelati dall’ordinamento come ad esempio l’onore, la reputazione, la riservatezza, il dovere di difesa della patria, il sentimento religioso ecc. l’equilibrato bilanciamento degli interessi tutelati non comprime il diritto alla libertà di manifestare le proprie opinioni ma ne vieta sol l’esercizio anomalo e cioè l’abuso che viene ad esistenza ove risultano lesi gli altri valori tutelati. Del resto, l’art. 1365 c.c. discorre di interpretazione “secondo ragione” e l’art. 4.1 dei principi Unidroit prevede che, se la comune intenzione delle parti non può essere determinata, il contratto Pagina 57

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deve essere interpretato secondo il significato che persone ragionevoli della stessa qualità delle parti avrebbero attribuito a quelle stesse circostanze, ciò che chiunque in buona fede e nella stessa situazione delle parti dovrebbe considerare ragionevole. In giurisprudenza si è osservato che la buona fede è strumento di governo della discrezionalità nell’esecuzione del contratto, nel senso che essa opera sul piano della selezione delle scelte discrezionali dei contraenti, assicurando che l’esecuzione del contratto avvenga in armonia con quanto emerge dalla ricostruzione dell’operazione economia che le parti avevano inteso attraverso uno standard di ragionevolezza. Se si analizza il linguaggio del legislatore la situazione non muta. Con i termini ragionevole e ragionevolezza si richiama l’interprete: ora a una esigenza di equità, di correttezza, di giustizia; ora a una istanza di congruità e adeguatezza riferita al tempo dunque ad un termine, oppure un prezzo, una spesa, un piano economico. (Ad esempio l’art 1783, comma n.3 nel disciplinare la responsabilità dell’albergatore per il deterioramento, la distruzione o la sottrazione delle cose portate dal cliente in albergo, definisce queste ultime come le cose di cui l’albergatore, un membro della sua famiglia o un suo ausiliario assumono la custodia sia nell’albergo, sia fuori dall’albergo, durante un periodo di tempo ragionevole, precedente o successivo a quello in cui il cliente dispone dell’alloggio.). Oppure di ponderatezza, buon senso, saggezza e adeguatezza della scelta normativa, di probabilità o prevedibilità del fatto. (ad esempio: gli art. 49, 1637, 1711 del c.c., fanno uso dell’avverbio ragionevolmente, impiegato come criterio di qualificazione di una credenza o di una convinzione e con la funzione di segnare il limite della convinzione medesima. Infatti nell’individuare i soggetti legittimati a domandare la dichiarazione di assenza di colui che sia scomparso da due anni, ai presunti successori legittimi è equiparato “chiunque ragionevolmente creda di avere sui beni dello scomparso diritti dipendenti dalla morte di lui”). Il quadro è alquanto incerto, il termine è riferito talvolta a una indicazione temporale (termine ragionevole), oppure all’oggetto della prestazione (prezzo ragionevole), a un rimedio (misura ragionevole). La strada da percorrere, tuttavia, sembra un'altra.

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Pur nella pluralità di eccezioni, un dato sembra comune: il legislatore con la ragionevolezza tende ad introdurre un criterio di misura flessibile capace di tenere conto delle circostanze del caso concreto, dei molteplici interessi. Si pensi ad esempio a un contratto di compravendita avente a oggetto un bene deperibile o stagionale: il termine per la denuncia del difetto di conformità deve essere necessariamente più breve rispetto a quello previsto per i beni non deperibili. Tutta via, l’indicata prospettiva orientata a risolvere la ragionevolezza in una scelta linguistica che consenta ( o meglio, imponga) al giurista di adattare la norma alla peculiarità del caso concreto per rispondere efficacemente alla domanda di giustizia, non soddisfa sia perché la ragionevolezza è un criterio di argomentazione insito nell’idea stessa di diritto, che opera a prescindere da un espresso richiamo del legislatore, talora superfluo talora utilizzate per risolvere lacune legislative, sia perché esaurire la ragionevolezza in un criterio per adeguare la lettera della disposizione alle circostanze del caso concreto non aiuta ad individuare le direttive e i limiti per evitare l’affermazione di un diritto libero e non rispettoso ai principi di legalità. Il controllo di ragionevolezza non deve essere uno strumento per autorizzare la fuga dal diritto positivo, al contrario esso è mezzo per trasformare la giurisprudenza in scienza argomentativa evitando ogni forma di affermazione senza dimostrazione. Per cui il giurista per rispondere alla domanda di giustizia deve farlo sempre secondo i criteri e procedure argomentative presenti nello stesso diritto.

3.

Relatività, storicità del significato di ragionevolezza e necessità di individuare l’identità alla luce del sistema giuridico vigente e degli interessi e i valori normativi coinvolti nel caso concreto.

La ragionevolezza assume una sua identità, una sua struttura, una sua portata univoca soltanto se la si contestualizza in un dato momento storico e alla luce di un determinato ordinamento giuridico con i suoi valori- guida. In altre parole, la ragionevolezza come ogni clausola generale è un concetto relativo che assume un suo significato a seconda dell’ordinamento giuridico nel quale opera, composto da priorità, valori e proprie ideologie per cui l’interprete non può non essere influenzato nella sua opera dall’aspetto sociale, economico, politico in una determinata Pagina 57

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società. Al mutare dei valori normativi, al mutare delle regole muterà anche il criterio di ragionevolezza, ossia ciò che per quel determinato sistema risulta o meno ragionevole. Giova chiarire, che sensibilizzare i giuristi all’applicazione diretta di valori normativi non significa rompere con il positivismo. È vero infatti che il diritto è un edificio, una costruzione della volontà umana, un affare degli uomini, espressione della fisica e non della metafisica, ma è vero pure che i valori normativi non sono come afferma gran parte della dottrina, entità misteriose, trascendenti, ma sono posti da norme sì che l’interprete che li trascura sarà senz’altro responsabile. Infatti il significato della ragionevolezza va individuato tra le norme, nel sistema e non al di fuori di esso. Perché la norma è nulla senza il fatto e anche il fatto è nullo senza la norma. Senza caso concreto l’argomentazione giuridica diviene allegro passatempo, ma senza disposizione o enunciato normativo neppure sarebbe possibile argomentare, l’interpretazione e l’argomentazione hanno bisogno di fondamenti. Quindi la ragionevolezza non è una mera virtù dell’uomo ispirata solo ai valori giusnaturalistici dell’equilibrio e giusto mezzo, né è possibile l’allontanamento della ragionevolezza dal campo di applicazione dei valori normativi e principi generali, sia perché i principi sono norme sia perché ciò condurrebbe solo all’arbitrio dell’interprete. Infatti la ragionevolezza non gli attribuisce una cosiddetta delega in bianco, né il compito di indagare l’incerto, pericoloso e arbitrario consenso sociale. Al contrario, esso è un criterio che nel rispetto del principio di legalità contribuisce ad individuare la soluzione più conforme non solo alla lettera della legge ma anche alla logica del sistema e dei suoi valori normativi in modo da evitare abusi dell’interprete e far sì che la ragione giuridica della decisione sia sempre prevedibile e definibile. Ora la giustizia conta come un caso speciale di correttezza, di conseguenza il concetto di diritto imporrebbe la valutazione di 3 elementi definitori: la legalità conforme all’ordinamento, l’efficacia sociale, la correttezza del contenuto. Perché l’uomo non può accettare la regola sociale solo perché osservata o imposta da una forza superiore, ne ricerca una giustificazione che non può essere data dalla sua semplice osservanza, ma vuole ricondurla ad un ordine la cui ultima giustificazione si ritrova in una concezione o credenza che segni il giusto e l’ingiusto. In secondo luogo il significato della ragionevolezza come tutti i concetti bisognosi di integrazione valutativa, non è immutabile, insensibile ai Pagina 57

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cambiamenti. La storia si evolve e con essa i sistemi giuridici e i valori guida. Il legislatore e il giudice devono adeguare le loro soluzioni, non già alla lettera della singola norma ma alla gerarchia dei valori e principi normativi “la più alta manifestazione del diritto positivo”, e possono trovare applicazione in via diretta senza la necessaria intermediazione di una regola. Si pensi che una sentenza della Cassazione (giugno 2009), confermando il superamento del c.d. principi di non interferenza tra regole di validità e regole di comportamento, ha previsto la nullità di una clausola di un contratto di locazione (cos’è il contratto di locazione?) che prevedeva un divieto di ospitalità non temporanea di persone estranee al nucleo familiare anagrafico. La clausola è stata dichiarata nulla perché in contrasto con il dovere di solidarietà che si può manifestare attraverso l’ospitalità per venire incontro alle altrui difficoltà. Del resto si trattava di una clausola lesiva non soltanto dei rapporti di amicizia ma idonea a creare una disparità di trattamento irragionevole tra famiglia fondata sul matrimonio e le convivenze di fatto tanto eterosessuali che omosessuali. Né l’applicazione diretta dei principi costi. può condurre a soluzioni irragionevoli e sproporzionate come ad esempio: si sostiene che la buona fede e il principio di solidarietà potrebbero di per sé giustificare: il diritto del debitore impossibilitato a pagare le rate avendo perso il posto di lavoro, di precludere alla banca il recesso dal contratto di mutuo; il diritto del conduttore alla scadenza del contratto e in difficoltà di trovare un nuovo alloggio, a ottenere dal locatore la proroga del contratto di locazione o addirittura di rinnovo. Diversamente, sono proprio il bilanciamento dei principi e il criterio di ragionevolezza, quali requisiti essenziali dell’attività ermeneutica e della legalità costituzionale, che consentono di considerare questi esempi riportati del tutto irrilevanti, frutto di arbitrio e inidonei a minare la valenza normativa dei principi costituzionale. Ancora si pensi al Tribunale Supremo spagnolo, che di recente ha statuito la nullità (o riconduzione ad equità) di un contratto preliminare (rivedere) di lavoro sportivo sproporzionato concluso dai rappresentanti legali di un minore per contrasto con il principio della tutela della personalità umana e della libertà di scegliere il proprio futuro professionale. Si tratta del caso di un preliminare c.d. precontratto di lavoro sportivo concluso dai genitori dell’atleta minore di età con la squadra del Barcellona, nel quale le parti avevano differito l’obbligo di stipulazione del definitivo al Pagina 57

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compimento del 18esimo anno di età. Tuttavia, al raggiungimento della maggiore età, il giocatore si vincola con un altro club, nei confronti del quale la parte non inadempiente avanza la pretesa di pagamento della penale convenzionalmente stabilita. Il tribunale di specie tenendo conto del caso di specie, della sproporzione della penale, decide per la nullità del contratto perché alle condizioni stabilite il preliminare avrebbe compromesso gravemente il futuro professionale del giocatore, impedendogli di assumere un autonomo e libera decisione, nonché impedendogli di valutare e scegliere diverse prospettive di vita. Giova chiarire, che occorre applicare il criterio di ragionevolezza anche nella scelta del rimedio. Infatti la riconduzione ad equità può bilanciare due esigenze: da una parte la tutela della personalità del minore e della libertà di scegliere il proprio futuro professionale compromesso gravemente da una clausola penale sproporzionata, dall’altra l’interesse a risarcire adeguatamente i costi di formazione dell’atleta sopportati dal Barcellona e vanificati dal suo inadempimento e dal trasferimento ad altro club. In altre parole nel caso di specie si tratta non tanto di una ipotesi di nullità del preliminare (come affermato dal tribunale spagnolo), dalla clausola penale sproporzionata, ma di un eventuale riconduzione ad equità della penale. Perché mentre con la nullità si tutela soltanto la libera scelta del minore a trasferirsi con libera scelta ad un'altra squadra di calcio , sacrificando la squadra di origine che nel frattempo ha istruito e formato il minore, con la riconduzione ad equità si tutelano gli interessi coinvolti, poiché è soddisfatto: l’interesse del minore a scegliere con più libertà le proprie preferenze, sia l’interesse della squadra di origine, la quale con la mera riduzione della penale sarà in ogni caso risarcita adeguatamente, sia infine l’interesse della squadra acquirente a non impedire l’operazione ma nel contempo a pagare una penale congrua al fine di evitare un ingiustificato arricchimento. Diversa sorte, infatti, avrebbe avuto il preliminare qualora avesse contenuto una clausola penale proporzionata, diretta a risarcire adeguatamente i costi di formazione dell’atleta sopportati dal Barcellona e vanificati dal suo inadempimento e trasferimento ad altra squadra: in questo caso il preliminare non può essere considerato illecito ne invalido, poiché inidoneo a condizionare la libera scelta della persona-atleta. Stesso problema si pone in caso di caparra confirmatoria sproporzionata: il quale si concentra sul tema della valenza normativa dei principi senza Pagina 57

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soffermarsi sul controllo di ragionevolezza del rimedio, nelle quali si è dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art 1385, comma 2 c.c. e si è affermata la diretta applicabilità dell’art 2 dei costi. ai rapporti contrattuali. Sì che, a fronte di una caparra confirmatoria eccessiva, indice di un regolamento iniquo degli interessi, il giudice può o ricondurre ad equità o, se impossibilitato alla conservazione del contratto alla luce degli interessi coinvolti, rilevare d’ufficio la nullità della clausola stessa. Ora se è vero che appare corretto il ragionamento della Consulta nella parte in cui ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento all’art. 1385 comma 2 ( poiché il contrasto tra norma ordinaria e la Costituzione non è assoluto e insanabile ma superabile attraverso l’interpretazione sistematica e il principio di proporzionalità tra le prestazioni o, semmai, anche tramite l’applicazione analogica dell’art 1384 c.c. in tema di riduzione d’ufficio della penale, visto che tale disposizione è da considerare attuativa di principi generali, tra i quali quello di proporzionalità e di solidarietà), vero è pure che, di regola il rimedio più ragionevole non è, come affermato dalla Corte, la nullità ma piuttosto la riconduzione ad equità. Infatti, a prescindere dal problema dell’applicazione analogica dell’art. 1384 c.c. (in tema di riduzione ad equità della clausola penale) o della sua eventuale applicazione diretta (qualora nel caso di specie si trattasse di una penale e non di una caparra), in presenza della violazione di una norma imperativa, anche di rilevanza costituzionale, il rimedio va scelto sempre con ragionevolezza, ossia individuando quello più adatto a soddisfare gli interessi coinvolti nel caso concreto. Pertanto, premesso che altro è la caparra confirmatoria ed altro è la clausola penale, le quali si differenziano per modalità e funzioni, la soluzione della Corte Costituzionale in linea generale è da condividere e da tenere in debita considerazione, pur in presenza di alcune discutibili affermazioni e talune ridondanze come il richiamo alla buona fede che appare superfluo. In quest’ottica, la certezza del diritto non dipende dalla ripetitività e della perpetuità della soluzione, bensì alla prevedibilità, dalla controllabilità o calcolabilità della decisione alla luce non tanto della fattispecie, ma di un determinato sistema giuridico e dei suoi valori normativi. Ancora, l’art.2 c.c., a proposito della capacità di agire, non si spiega perché un minorenne posa compiere alcuni atti (cd personalissimi, a Pagina 57

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quelli della vita quotidiana) pur in mancanza di un espresso previsione di legge. Né si può negare, che sono sempre più numerose le ipotesi nelle quali il legislatore si riconosce espressamente che il minore possa mutare una propria determinazione di volontà, manifestarla e renderla produttiva di effetti, tant’è che spesso si è dubitato della regola generale del conseguimento della capacità di agire al raggiungimento del 18esimo anno di età. Anche l’art. 1385 c.c., in tema di caparra confirmatoria, non stabilisce, se la caparra iniqua possa essere ridotta d’ufficio dal giudice. La risposta deve essere necessariamente individuata attraverso il ricorso al sistema e alle sue regole generali. Né si può dire che la fattispecie desumibile dall’art. 1385 sia chiara ed esaustiva con riferimento al p...


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