Gorni - Dante, Vita Nova PDF

Title Gorni - Dante, Vita Nova
Course Letteratura Italiana
Institution Università degli Studi di Messina
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Riassunto Completo...


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DANTE ALIGHIERI VITA NOVA A CURA DI GUGLIELMO GORNI

APPUNTI DI VIRGINIA SCOGLIO

LA VITA NOVA NELL'OPERA DI DANTE I.1 “Libro della memoria” e “libello” La Vita Nova è la raccolta di 31 liriche di Dante in vario metro, di età giovanile o poco più matura, saldate insieme da una prosa che alterna la narrazione autobiografica a chiose e dichiarazioni d'autore. Il libello, sotto la finzione di una storia amorosa straordinaria, non conclusa dalla morte dell'amata, dispone, in coerente diacronia, testi e momenti cruciali dell'esperienza intellettuale e dell'attività poetica di circa un decennio. Il criterio di scelta che l'autore attua entro la sua produzione di poeta amoroso si ispira a parametri trascendenti, assoluti, programmaticamente tendenziosi e postumi agli eventi, che in definitiva affermano la centralità di Beatrice. La Vita Nova è una confessione, affidata ad un pubblico ristretto di amici e di fedeli d'amore, in forma compatta di libro, che alle rime conferisce un senso puntuale e globale più ricco, nella prospettiva di una autobiografia ideale; è infine un testamento d’autore, che segna il congedo di Dante dalle dolci rime d'amore. I. 2 Le rime escluse dalla Vita Nova Trattando della genesi della Vita Nova, non pare inopportuno segnalare quali rime di Dante gravitino entro il sistema ideale del libello, pur restando estravaganti, ossia al di fuori della sua compagine. Tra le rime candidabili spiccano le canzoni "E' m'incresce di me sì duramente", rivolta a giovani donne che hanno la mente vinta dall'amore, e "Lo doloroso amor che mi conduce". Arcaica per temi è "La dispietata mente, che pur mira", intessuta sullo schema che sarà anche di una delle Petrose, e che si suole attribuire all'amore della prima donna schermo. Sono di ardua collocazione sia le due ballate "Per una ghirlandetta" e "Deh, Violetta, che in ombra d'Amore", sia la stanza di canzone "Madonna, quel signor che voi portate". Più accidentato il discorso sugli alquanti sonetti della produzione lirica dantesca. Rivolto ad amici fedeli d'amore, o forse a donne che hanno intelletto d'amore, il sonetto "Volgete li occhi a veder chi mi tira". Evidente, invece, il rapporto di "Deh, ragioniamo insieme un poco, Amore" con "Cavalcando l'altrier per un camino", che gli fu preferito nell'opera. Così "De gli occhi de la mia donna si move" potrebbe forse ricomporsi in trittico con i due famosi sonetti contenuti nella Vita Nova, "Tanto gentile e tanto onesta pare" e “Vede perfectamente ogne salute", se non ostassero l'insofferenza professata dal soggetto nei confronti dell'inesorabile legge d'amore, nonché la confessa paura dell'amante, che declinano al doloroso i temi caratteristici dell'ineffabile e della lode della beatrice. Di contestata spettanza, a Beatrice o alla donna gentile, il sonetto "Ne le man vostre, gentil donna mia", in cui certo linguaggio cortese, anzi feudale, tarpa le ali a un volo lirico ben nutrito di scrittura, e dunque, se ben si interpreta, di ispirazione perfettamente stilnovista. Una specie di editio minor della grande canzone "Donna pietosa" è, infine, il sonetto "Un dì si venne a me Malinconia".

I. 3 La lirica di Dante dopo la Vita Nova Dante, conclusa la Vita Nova, si è fatto cantore morale, a detrimento del cantore d'amore che era stato a suo tempo. Se si segue l'ordinamento delle rime fissato dal Barbi, si attraversa il gruppo di "Rime allegoriche e dottrinali", delle quali almeno "Voi che ‘ntendendo il terzo ciel muovete" è scritta per bella donna, che solo il Convivio identificherà con la Filosofia, e che dunque idealmente non travalica la vicenda consegnata alla Vita Nova. Connesso a tale canzone è il dittico di sonetti formato da "Parole mie che per lo mondo siete" e dalla sua palinodia "O dolci rime che parlando andate". "Amor, che nella mente mi ragiona" e la sua sorella antinomica, la ballata "Voi che savete ragionar d'Amore" sono testi di lode e di deprecazione per questa stessa donna, poi allegorizzata, come abbiamo detto, nel Convivio. Compiutamente dottrinale è la canzone "Le dolci rime d'amor ch’i’ solia", come pure "Poscia ch’Amor del tutto m’ha lasciato", ultima della serie. La silloge fittizia di "Altre Rime d'amore e di corrispondenza" si inaugura col sonetto "Due donne in cima de la mente mia", conflitto tra Bellezza e Virtù. Prosegue col trittico di due ballate e del sonetto "Chi guarderà già mai sanza paura", realizzati per pargoletta bella e nova, ammesso che di un trittico vero e proprio si possa parlare; la questione, infatti, è ardua, ma forse è solubile se si suppone che pargoletta, anche in questo caso, designi non una individualità, ma sia un nomenclatore unico di più donne, che Beatrice eviterebbe di nominare individualmente. Le canzoni "Amor, che muovi tua vertù da cielo" e "Io sento sì d’Amor la gran possanza” si trovano messe in serie, una dopo l'altra, e sono collegate dal lemma giovanezza, che rinvia forse alle qualità della pargoletta. Restano da esaminare, ora, le 15 poesie raccolte sotto l'etichetta di "Rime varie del tempo dell'esilio". Degli otto componimenti superstiti del Dante esule, tre sono canzoni: "Tre donne intorno al cor mi son venute" sul tema della Giustizia nelle sue incarnazioni possibili, la canzone della Liberalità, "Doglia mi reca ne lo core ardire" e, infine, la montanina, "Amor, da che convien pur ch’io mi doglia”, la sola di materia amorosa. Gli altri testi, infatti, confermano l'abbandono della poesia amorosa; Dante, al tempo dell'esilio, crede dunque di essersi allontanato del tutto dalle rime che, prima, aveva condiviso con messer Cino. Da questa rapida disamina restano fuori soltanto la canzone montanina, come abbiamo già accennato, e le quattro Petrose, le sole liriche di materia amorosa che appaiono incontestabilmente estranee alla dialettica sviluppata nella Vita Nova. La montanina fu divulgata di seguito a un'epistola latina al marchese Moroello Malaspina, databile al 1307 circa. Le tre canzoni "Io son venuto al punto de la rota", "Amor, tu vedi ben che questa donna" e "Così nel mio parlar voglio esser aspro", e la sestina "Al poco giorno e al gran cerchio d'ombra" compongono la densa raccolta per la donna Pietra. La Pietra è la cifra onomastica che unisce le liriche più tecnicistiche di Dante, nelle quali l'energia lessicale e la rarità dei ritmi si trasformano, a norma di contenuto, nel tema della donna aspra. La Pietra ha uno statuto privilegiato nella lirica di Dante: inferiore alla gentilissima, ma di gran lunga più rilevata tipologicamente di tutte le altre attrici, è di fatto, nel sistema dantesco, l'autentica anti-Beatrice.

I.4 Cronologia dell'opera Un problema è fissare la data di composizione propria dell'opera. Il Barbi, a tal proposito, colloca la Vita Nova al 1292-1293: in quel biennio circa, troverebbero adeguata collocazione l'amore per la donna gentile, la rivincita postuma di Beatrice, il transito dei pellegrini per Firenze verso Roma, la composizione di una nuova poesia per due donne gentili e infine la mirabile visione dell'ultimo paragrafo del libro. Ad opera specialmente del Pietrobono e del Nardi ha avuto credito l'ipotesi di una doppia redazione della Vita Nova. In prima stesura, l’opera si sarebbe chiusa sull'episodio della donna gentile, e solo dopo il 1312, o 1308 secondo Nardi, Dante avrebbe operato l'aggiunta dei paragrafi 28-31, o del solo paragrafo 31 per il Nardi. L’obiezione principale mossa a suo tempo dal Barbi è che non resta traccia di tale rimaneggiamento nella tradizione manoscritta; anche Guglielmo Gorni, proprio come Barbi, ritiene che l'ipotesi di una doppia redazione sia troppo onerosa. II. 1 Il "primo amico" Destinatario della Vita Nova è il primo e più insigne degli amici dell'autore, Guido Cavalcanti. Altri amici, però, fanno corona a Dante accanto a Guido: l'amica persona, ossia l'amico ingannato di buona fede, l'amico estimatore di "Donne ch’avete", identificabile con Lippo Pasci de’ Bardi, l'amico nunzio della morte di Beatrice e il fratello della stessa, Manetto di Folco Portinari. II. 2 Paragrafi e simmetrie del testo La tradizionale suddivisione del testo in 42 capitoli si atteneva a una convenzione ottocentesca non contestata dall'edizione critica del Barbi, anzi sancita da essa in modo apodittico. La restituzione al testo dei suoi originari paragrafi, che è la novità più evidente di questa stampa, consente di individuare 31 unità coerenti. Si intravedono, comunque, simmetrie anche più seducenti. Anzitutto, i paragrafi della prima parte sono 18, cioè due volte 9; che questa non sia una pura illazione è confermato dalla qualità dei due gruppi di nove, che isola da una parte i testi più convenzionali e dall'altra quelli della loda. Una terza novena di paragrafi si isola in quella parte del libro che viene dopo la morte di Beatrice, tra il paragrafo 19 e il 27. Dunque tre volte 9, più altri quattro paragrafi con tre sonetti, dal paragrafo 28 al 31, che rappresentano la chiusa nuovamente beatriciana del libro e che fissano, appunto, 31 partizioni al suo interno. A chi crede che sia esistita una prima redazione della Vita Nova chiusa dal capitolo che adesso corrisponde al paragrafo 27, viene offerto qui un indizio insperato, cioè che 27 è il risultato di 9 per 3: perfezione novenaria compromessa dal fatto che la Vita Nova non avrebbe potuto concludersi con l'explicit di "Gentil pensero che parla di voi", nè il sonetto poteva ammettere altra prosa di seguito, a norma di quanto l'autore si era prefissato di fare. Le soluzioni, dunque, sarebbero tante: resta, in ogni caso, accertata la constatazione che la Vita Nova è proprio il libro del nove, anche a norma delle sue partizioni. Giova a questo punto commentare il nuovo assetto restituito al testo nella sua globalità. A conti fatti, "Apresso" domina all’incirca i cominciamenti della prima parte, con studiatissima simmetria; e "Poi" in minor misura, quelli della seconda.

Procedendo a un’analisi più sottile, si avverte che nella prima parte l'attacco di natura metatestuale "Poi che dissi" segnala, dopo una serie ininterrotta di "Apresso", l'inizio del ripensamento che porterà allo stile della loda. Allo stesso modo, "Potrebbe qui dubitare", dopo una cospicua serie di "Apresso", connota l’inizio della lunga digressione sulla prosopopea d'amore e sui poeti volgari. "Quomodo", unico attacco latino, è la vera e propria rirubricazione del libro nella sua seconda parte. I paragrafi dal 24 al 27, e cioè quelli sulla donna Petrosa, sono contrassegnati da una totale difformità di cominciamento tra loro rispetto ai loro confratelli. Di fatto, a grandi linee, la struttura della Vita Nova comporta due partizioni, in vita e in morte di Beatrice, corrispondenti ai paragrafi 1-18 e 19-31. La bipartizione del libello raggruppa nella prima sezione 20 testi, nella seconda 11. L’opera bipartita è, inoltre, una corona di sonetti associati in sequenze tendenzialmente omometriche, che include pure una ballata pluristrofica e stanze di canzoni sonettoidi, saldata insieme da una prosa connettiva. II. 3 Divisioni e altri tecnicismi La prosa della Vita Nova presenta singolari didascalie a corredo dei testi poetici, le divisioni. A dire di Dante, esse sono in servizio di una più approfondita comprensione del testo, anche se poi l'intenzione dell'autore risulta di fatto ambigua, sospesa tra larga divulgazione, come dichiara l'uso del volgare e il frequente appello alle donne, e geloso esoterismo. Tali divisioni sono, in complesso, una parte inerte e pedantesca dell'opera, anche se Dante riesce a farne un elemento abbastanza dinamico del discorso. Il senso delle divisioni pareva caduco già al Boccaccio, che infatti si prese la briga di scorporarle dal testo vero e proprio, confinandole nei margini dei due codici della Vita Nova vergati di sua mano. II. 4 Visioni di Dante e apparizioni di donne A illustrazione di quella che si può definire la forma del contenuto della Vita Nova, limitiamoci a segnalare due soli parametri, di sicura rilevanza strutturale: le visioni del personaggio che dice io e le modalità di comparsa di Beatrice e delle altre donne. Nello spazio onirico si colloca quanto Dante vede alla fine del primo paragrafo, nell'ora quarta della notte: si tratta di un sogno profetico, e dunque riservato a interpreti privilegiati. Dopo il diniego del saluto di Beatrice, Dante si ritira nella sua camera e si addormenta: questa seconda visione d'amore ha luogo nella nona ora del giorno, ora canonica della morte di Cristo. Sono questi gli unici due sogni della Vita Nova, dato che la mirabile visione del finale sembra avere un altro statuto, di vera e propria rivelazione. Le apparizioni femminili nel libro non sono meno istruttive. Nella prima Beatrice è sola, e il luogo dell'incontro non specificato; nella seconda, nove anni dopo, Beatrice compare per via in mezzo a due donne gentili, più grandi di lei; nel paragrafo sette Beatrice, in compagnia di molte donne, ride, e con loro si gabba di Dante, mentre nel paragrafo tredici piange, sempre sullo sfondo di un coro femminile, per la morte del padre: in questa occasione, tra l’altro, avviene anche l’incontro con le altre donne.

III. La storia narrata La Vita Nova è la storia della lirica di Dante riportata a occasioni storiche e miti ispiratori che a quelle occasioni conferiscono pienezza di senso. Nel paragrafo 1, Dante registra i fatti capitali della sua vita e in particolare passioni e acti della gioventù. La fisica concretezza con cui, in questo libro, è trascritta ogni esperienza del soggetto si deve a due facoltà distinte della mente dantesca, che da una parte riscrive ogni accadimento come racconto mitico, e dall'altra funziona come ordinato archivio del vissuto, paradigma di una storia privilegiata. Esaurita la prima, densissima frase, si narra la scena del primo incontro, che si apre sul fatale numero nove: Beatrice e il suo amante sono, infatti, nel nono anno di età. La fanciulla è sola quando appare e non si precisa dove avviene l'incontro. È vestita di un nobilissimo colore umile e onesto sanguigno, cinta e acconciata come si addice ad una donna non sposata. Le modalità dell'abbigliamento hanno un forte valore simbolico, come rivelano i passi paralleli del paragrafo 28, dove la donna riapparirà con le vesti di questa prima volta. I commi centrali narrano lo stato del soggetto, introdotti dalla triplice anafora “In quel puncto”: segno di sincronia e tripartizione, e dunque parodia trinitaria delle passioni dantesche. I movimenti psichici sono rappresentati drammaticamente dalla fisiologia degli spiriti, che parlano in latino ciascuno con una propria modalità espressiva, correlata alla tripartizione dei genera dicendi: il primo spirito trema, il secondo si meraviglia molto, il terzo piange, con progressione emotiva evidente. A nove anni giusti dalla prima apparizione, ha luogo una nuova epifania della mirabile donna, ora vestita di colore bianchissimo e accompagnata da due donne più anziane di lei. L'incontro avviene per via, nella fatale ora nona di quel giorno, circa le tre pomeridiane. Per la prima volta Beatrice saluta il suo fedele e lo fa di sua iniziativa, cercandolo con gli occhi laddove se ne stava tutto pauroso. Ebbro di dolcezza, Dante si ritira nella sua camera, pensa intensamente alla grande cortesia ricevuta e con questo pensiero si addormenta, e fa un sogno premonitore. Nella camera del poeta addormentato scende una biblica nube dal color di fuoco, nella quale si scorge un signore, Amore, che pronuncia oscure frasi in latino. Una donna nuda, avvolta in un panno o lenzuolo sanguigno, dorme nelle braccia del signore; uno sguardo più intento rivela che si tratta della donna della Salute che, ridestata d'Amore, è indotta a pascersi del cuore ardente dell'amante. Amore, a quel punto, dimette la primitiva letizia e scoppia in lacrime, serra la donna tra le braccia con gesto quasi materno e con lei si dirige al cielo. Tale è la angoscia che Dante si sveglia e nel sognatore si ridesta anche il poeta, che decide di sottoporre quella sua così complessa visione al giudizio di molti famosi trovatori di quel tempo. Compone, dunque, un sonetto in forma di quesito circolare per lettera, in cui saluta tutti i fedeli d'Amore, destinatari del testo: “A ciascun’alma presa e gentil core” è il più antico databile che di Dante si conosca ed è l'unico in cui, sia pure nello spazio onirico dell'apparizione, Beatrice figuri nella sua corporeità, intesa non tanto nella nudità della donna, ma piuttosto nelle azioni di lei, che mangia, dorme e veste panni. Nel paragrafo 2 Dante allarga il cerchio della coralità testimone del suo stato: dai precedenti trovatori fedeli d'Amore, ai molti amici e ai molti pieni di invidia, che si premurano di sapere quel che Dante vuole nascondere. Il nome della donna, infatti, va tenuto nascosto, e Amore non esita a imporre al suo soggetto questo tradizionale vincolo di discrezione. La riscrittura, secondo convenzioni cortesi, dell'amore segreto per Beatrice è salvaguardata dall'invenzione di un amore fittizio per un'altra donna. La simulazione nasce per caso, non premeditata, nel corso di una funzione mariana. Dante e Beatrice sono in luogo sacro, e una donna gentile e di piacevole aspetto viene a trovarsi in un punto critico degli spiriti visivi, sulla traiettoria rettilinea che dalla gentilissima irradia beatitudine sul poeta, che la beve estatico con lo sguardo. Credendosi oggetto di così intenso mirare, questa donna gentile a sua volta ricambia con meraviglia le occhiate del poeta; se ne accorgono più persone, e concludono, ingannandosi, che sia questa la donna che distrugge la persona di Dante. Il poeta lascia dire agli stolti a suo vantaggio e decide di fare di questa donna gentile lo schermo della verità. Questa che potrebbe dirsi una temporanea eclissi di Beatrice, si rivela in verità un surrogato duraturo. Il poeta per certi anni e mesi si contenta di questa luce riflessa, e per rafforzare la gente nei suoi pregiudizi giunge a comporre per la donna schermo certe cosette in rima: una Epistola sottoforma di serventese in onore di 60 belle concittadine, della quale non si dà menzione fuori dell'opera dantesca, doveva rendere omaggio, in maniera tutta speciale e insieme illusoria, al nome della donna schermo e alla persona di lei, e ciò solo ai fini esterni, perché nella mente dell'autore la ragione segreta del componimento era l'iscrizione in esso del nome di Beatrice. La donna schermo parte per un paese molto lontano e, sottraendosi allo spazio della città, sparisce da questa storia tutta fiorentina. In ossequio alla sua finzione, Dante ne lamenta la partenza con "O voi che per la via d'amor passate". Nel terzo paragrafo, alla partenza della donna schermo, tien dietro la scomparsa di una compagna di Beatrice; una visita alla defunta introduce la prima scena collettiva del libro. Davanti al corpo della defunta,

Dante si commuove e al ricordo non può trattenere le lacrime, dando poi espressione poetica al suo cordoglio. Nel paragrafo quattro assistiamo a un misterioso viaggio di Dante, in terre non lontane da dove vive ora l'antica donna schermo; questo movimento centrifugo da Beatrice altera i rapporti tra i personaggi: ne nasce una nuova storia, con la trovata di una seconda difensione nella persona di altra donna, quasi supplente della prima. La strategia iterativa è consigliata questa volta e messa in atto da Amore stesso, che si presenta all'immaginazione dantesca con aria dimessa, camuffato da peregrino vestito di vili drappi. Amore qui è come un pellegrino sviato dalla sua meta, in attesa di un santuario illustre da onorare con la sua visita. La storia di questi schermi danteschi si iscrive tutta sotto il segno dell'oralità. La gente ne parla oltre i termini della cortesia, ed è una soverchievole voce a compromettere Dante e indurre Beatrice a negargli il saluto, episodio che si inserisce nel quinto paragrafo. Col negare il suo saluto, la gentilissima mette fine all'infelice esperienza di un secondo schermo. Dopo un trattatelo sul saluto, riprende la cronaca amorosa, che dà conto di un dolore consumato in solitudine e con molte lacrime per la privazione di quel salutare privilegio. Dall'esterno all'interno si assiste alla progressiva modulazione del dolore, che infine si placa in un sonno ristoratore. E nel mezzo del suo dormire un sogno, nel quale il soggetto sognante vede se stesso nell...


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