Grimal Storia dell\'Antico Egitto PDF

Title Grimal Storia dell\'Antico Egitto
Course Egittologia
Institution Sapienza - Università di Roma
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Il Libro tratta della storia della civiltà egiziana. Dall'era primitiva a quella tolemaica....


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Storia dell’antico Egitto Capitolo 1: “dalla Preistoria alla storia” La civiltà egiziana sembra apparire verso la metà del IV millennio a.C., per dissolversi soltanto alla fine del IV secolo d.C., e questi circa 40 secoli lasciano l’impressione di una stabilità immutabile, raccolta intorno a una istituzione politica che nulla, neppure le invasioni ha mai messo in crisi. Il paese rappresenterebbe uno dei tanti motivi di questa perennità: una lunga striscia di terra coltivabile, che costituisce il corso inferiore del Nilo, inciso da Assuan al Mediterraneo tra l’altopiano libico e la catena arabico. Questa valle è stata uno dei punti dell’Africa più favorevoli alla vita. Il momento in cui avvenne l’unificazione della valle pone il problema della durata e dell’estensione geografica della cultura egiziana: come stabilire il punto di partenza che illumini le origini della civiltà faraonica, rispettando nello stesso tempo la natura propria di un periodo anteriore ad essa e assai più lungo? Oggi si considera che il deserto è stato popolato alla fine di questo periodo che ha aperto questa zona all’espansione della cultura acheuliana (cultura del paleolitico inferiore), che si sviluppava sulle rive del Nilo. La cultura acheuliana è l’ultimo anello di una catena di cui la traccia più antica, ritrovata presso il tempio rupestre di Abu Simbel, risale al 700.000 all’incirca a.C. ossia alla fase del Pleistocene recente. Questa fase costituisce una cesura tra il Pliocene pluviale (che inizia nel 10.000.000 a.C.), epoca del Paleonilo con vegetazione irrigata da precipitazioni regolari e intense, e il pluviale di Edfu, che riproduce le stesse condizioni climatiche, ma dopo un lungo periodo di iperaridità che dura circa un milione di anni. PRIMI ABITANTI: al termine di questo lungo percorso, si giunge al pluviale abbasiano: quasi cinquantamila anni, durante i quali la cultura acheulana poté diffondersi sulle zone occidentali. Se tale diffusione è realmente esistita, deve essere considerata certamente -come l’origine delle connessioni tra culture nilotiche africane. Questa articolazione dello sviluppo appare tanto più probabile perché essa corrisponde alla fine del passaggio dall’homo erectus all’homo sapiens, intorno al 100.000 a.C. ossia alla fondazione di una cultura comune, rappresentata da un tipo umano dolicocefalo, la cui evoluzione ha potuto essere paragonata a quella dei suoi contemporanei in Arica del Nord e in Europa. VERSO IL NEOLITICO: la cesura essenziale tra Preistoria e Storia avvenne nel momento di passaggio dal VII al VI millennio: è questo un periodo poco noto. Tutto sembrò allora concorrere ad una modificazione radicale della cultura: un nuovo periodo subpluviale favorì sia all’allevamento del bestiame che lo sviluppo dell’agricoltura , ai margini della Valle e nelle oasi occidentali. Questo progresso accelerò quello delle tecniche di tessitura e di fabbricazione della ceramica e, durante i quasi due millenni che separano l’inizio del periodo dal principio del Predinastico propriamente detto, ossia dalla metà del VII millennio alla metà del V, vennero alla luce praticamente tutti gli elementi di una cultura che rimarrà sino alla fine, malgrado il comparire dei metalli, una cultura tipica della pietra. Per quanto riguarda questo periodo si conoscono le installazioni dek Fayum e, per la valle propriamente detta, i siti di Badari e di Deir Tasa, all’estremità meridionale del Basso Egitto, e quelli di Merimde-Beni-Salameh e El-Omari. Le loro vestigia lasciano intravedere un misto di elementi ancora solidamente radicati nella tradizione dei cacciatori e alcune novità. Il perfezionamento nella fattura delle armi si nota nelle raffinate punte di freccia eseguite in selce polita e negli arpioni in osso, che fanno parte dell’armamentario classico dei pescatori. L’organizzazione della società venne stabilita su base agricola: l’habitat si

fissò sotto l’aspetto delle fattorie dedicate sia all’allevamento del bestiame che alla coltivazione del suolo. Il prodotto dei campi, grano e orzo soprattutto, era conservato in siloi; nei villaggi si fabbricavano ceramiche, si eseguivano lavori in vimini, si filava il lino e si lavorava il cuoio, oltre, naturalmente, ad allevare ovini, caprini, maiali e buoi. Tutte queste attività resteranno immutate per millenni. Le credenze funerarie seguirono lo stesso percorso riscontrato nel passaggio dalla vita dei cacciatori a quella degli agricoltori. Le sepolture progressivamente lasciarono i centri abitati per un’area esterna al mondo dei vivi, e si fissarono ai limiti delle terre coltivabili. Il defunto ricevette un viatico di cereali e di offerte alimentari, e portò con sé ciò che gli sarebbe potuto servite per cacciare nell’aldilà, insieme ad un semplice corredo fatto soprattutto di recipienti in ceramica. I siti del nord – regione del Cairo e del Fayum- possedevano un’industria di pietra più affermata, tanto nell’esecuzione delle armi di selce che nell’invenzione dei vasi in pietra, mentre quelli del sud erano nettamente superiori per la qualità della splendida ceramica, incrostata ovvero rossa ad orlo nero. Vi sono delle differenze importanti tra Alto e Basso Egitto, la cui dualità è confermata da tutta la storia faraonica. Questa maturazione richiede poco più di un millennio, da circa il 4500 al 3150 a.C. Durante tutto questo periodo, le differenze tra questi due gruppi culturali si affermano in un primo tempo, per poi attenuarsi in seguito, senza però che vi sia mai stata una completa fusione. PREDINASTICO PRIMITIVO  è la prima fase, della metà del VI secolo alla metà del V millennio a.C. vide l’ultimo stadio dell’evoluzione del fayumico A nel nord e del Badariano nel Sud. Le differenze rimasero quelle che erano, soprattutto nel vasellame in pietra e nelle armi e gli utensili in selce, forse più elaborati al Nord e già vicini alle industrie attestate alla Fine dell’Antico Regno nelle oasi del deserto di Libia: si pensi agli splendidi coltelli finemente ritoccati scoperti da Caton-Thompson, che ricordano quelli del sito di Balat e Dakhla. IL PREDINASTICO ANTICO  Il passaggio del predinastico antico- intorno al 4500 a.C. -avvenne ugualmente senza che vi siano state modificazioni profonde. Si può addirittura affermare che questa cesura è arbitraria, nella misura in cui essa corrisponde semplicemente alla prima fase conosciuta del sito di Elkab, a circa 120 km a Sud di Badari, cuore della zona che, da Assiut a Gebelein, racchiude i più ricchi giacimenti predinastici. Questa fase ha come corrispondente, 150 km ancora più a sud, la prima occupazione del sito Nagada e si trova ugualmente in tutto il territorio compreso nell’ansa del Nilo, tra il Gebel el-Arak e Gebelein. La ceramica conobbe una duplice evoluzione: innanzitutto nella decorazione, coll’apparire di motivi geometrici dipinti o incisi, tratti dal regno vegetale e animale, ma anche nella forma, con l’apparire di vasi teriomorfi. La Valle si aprì verso l’esterno per necessità, poiché non possedeva materie prime a sufficienza. I metalli come il rame trovano un poco in Nubia, a sud dello Uadi Allaki, ma essenzialmente presso il Mar Rosso: nel Sinai e nella Catena Arabica, dove si trovano anche il piombo, lo stagno, la galena e una modica quantità di oro, tutti minerali che si trovano anche nei pressi della prima cataratta. La Nubia è sempre stata la principale fornitrice d’oro dell’Egitto: in seguito lo sarà anche un modesto ammontare di ferro, venuto dal lontano regno di Meroe, che è uno dei rari produttori di questo minerale, insieme all’oasi di Baharya. IL GERZEANO: La scoperta di El-Gerzeh ha permesso di individuare un terzo periodo della preistoria egiziana, il Gerzeano, che corrisponde alla II fase di Nagada. Le differenze tra questi due gruppi sono abbastanza nette da consentire di valutare l’influenza che il Nord acquistava progressivamente sul Sud, fino alla produzione di una cultura mista, il

Predinastico recente o Nagada III, che precede immediatamente l’unificazione del paese e durò, pressappoco, tre secoli, dal 3500 al 3150 a.C. LA SCRITTURA: L’ipotesi dell’importazione non sembra rivelare un particolare peso in Egitto, quando si considerano le raffigurazioni sui vasi nagadiani, mediante le quali si può seguire il cammino della stilizzazione progressiva, dai vegetali agli animali, passando per le scene di danza rituale, sino a giungere alle riproduzioni delle insegne divine che sono già dei veri e propri geroglifici. Queste due riflettono già il principio fondamentale della scrittura egiziana, che non muterà per tutta la durata della civiltà faraonica: la combinazione del pittogramma e del fonogramma. È difficile determinare il momento di passaggio dal primo al secondo, se pur tale momento non è mai esistito. Il solo argomento in suo favore è la concisione delle prime iscrizioni: il fatto che esse pieghino spesso un segno unico, senza quei complementi fonetici cui la scrittura egiziana ricorrerà in seguito, lascia supporre che agli inizi si procedesse per rappresentazione diretta. Questo porta a considerare la notazione fonetica un progresso tecnico tendente ad accelerarsi nel tempo, il cui esito, infine, fu un sovraccarico grafico sempre più esplicito, che sarebbe in un certo modo il preludio alla scrittura alfabetica. La scrittura geroglifica combina il pittogramma, l’ideogramma e il fonogramma. Il pittogramma è la rappresentazione diretta: il disegno di un uomo, di una casa, di un uccello equivale a pronunciarne il nome. Il principio è quello delle raffigurazioni parietali preistoriche, ed è tanto semplice che se ne comprendono immediatamente i limiti, che sono quelli della realtà delle cose. La diretta dei concetti non sembra semplice, anche se si ricorre a processi di metonimia: rappresentare l’effetto per la causa. Ovvero il contenuto mediante il contenente – la giara significa “birra”, il rotolo di papiro qualsiasi operazione che abbia attinenza con la scrittura e così via. Rimane ancora il problema degli omofoni: “sa”, che si scrive mediante l’immagine di un’anitra di profilo, indica sia il termine anitra che il termine figlio. È dunque necessario togliere ad alcuni segni il valore ideogrammatico e conservarne soltanto quello fonetico: il geroglifico dell’anitra perciò servirà a trascrivere il suono bilittero sa, sia nel caso in cui si voglia indicare il concetto di “figlio” che in quello in cui si intenda designare il concetto anitra. Il carattere geroglifico è riservato specialmente alle iscrizioni lapidarie e, più generalmente, murali, incise, a bassorilievo o dipinte. Il suo principio di base non si evolve dalle più antiche iscrizioni a quelle dei templi di epoca romana. Le sole varianti riguardano la grafia: stilizzazione più o meno accentuata, ovvero, al contrario, arricchimento, realismo, tendenze arcaizzanti o innovative, a seconda di quanto si proponevano coloro che le redigevano. Sotto l’influsso degli scambi con il Mediterraneo e della dominazione prima greca e poi romana, la scrittura, da ultimo, si avvicina sempre più al sistema alfabetico con il copto, il quale non è altro che l’alfabeto greco, cui sono state aggiunte sette lettere necessarie per rendere dei fenomeni che il greco non possiede. Il copto, che riproduce lo stato della lingua egiziana verso il III secolo d.C., divenne con l’abbandono del politeismo la scrittura della Chiesa, ma solo di essa, poiché l’alfabeto ufficiale rimase sempre il greco e, dopo la conquista, venne sostituito dall’arabo. Da quel tempo il copto è rimasto la lingua comunitaria dei cristiani d’Egitto; oggi è la lingua liturgica, ed è proprio grazie alla conoscenza del copto che Champillon poté ricostruire la base della fonetica egiziana antica. Lo ieratico è la scrittura utilitaria per eccellenza: di conseguenza, era quella che si insegnava per prima nelle scuole ai giovani scribi. Lo studente tracciava lo ieratico, su cocci di vasi o su scaglie di calcare le sue prime lettere. Questo supporto che è il più modesto fra tutti, poiché lo si può trovare in un mucchio di vasellame rotto o tra i frammenti in una cava di pietra, poteva essere sostituito all’argilla, con cui si modellava una tavoletta riservato ai testi importanti: materiale da archiviare, liste di conti, testi religiosi, testi magici,

opere scientifiche, opere letterarie, che potevano essere trascritte anche su rotoli di cuoio e su tavolette lignee stuccate. L’UNIFICAZIONE POLITICA: Due secoli portano alla riunione di due culture che fonti egiziane rappresentano come un trionfo del Sud sul Nord, mentre l’analisi moderna delle strutture costituenti la società così formata mostra chiaramente l’influenza del nord, ossia del vinto, sul sud. Il problema posto tempo addietro da Sethe e Kees, in un’epoca in cui la ricostruzione del periodo predinastico era ancora di tipo puramente speculativo, è ancora ben lungi dalla soluzione anche se, oggigiorno, siamo in grado di seguire meglio le tappe che portarono alla costituzione dei due regni ed al loro confronto finale. L’ipotesi di Kees secondo cui lo stato di fatto storico avrebbe riprodotto una prima unificazione del paese sotto l’egida del Nord, che venne interrotta per qualche oscura ragione e poi di nuovo ricostruita ad opera dei re del sud, i quali si sarebbero limitati a riprendere il modello preesistente, è oggi invalidata dai dati archeologici: questi infatti, consentono di seguire la crescente influenza esercitata, a partire dal periodo Tasiano, dalle culture del Nord e sul Medio e l’Alto Egitto, da Badari a Nagada. Capitolo 2: “Religione e Storia” Il simbolismo animale che questi documenti associano alle tappe successive della conquista ad opera del sud testimonia un’integrazione immediata del Mito con la Storia. Di conseguenza, si è pensato ad un’origine totemica della religione egiziana; l’ipotesi è basata sull’esistenza, sin dall’epoca predinastica, di emblemi che si perpetueranno per tutta la durata della civiltà faraonica per rappresentare le varie province di cui il paese era composto. Il carattere simbolico degli emblemi è palese: un orice su un poggiatoio, ad esempio, simboleggia la regione di Beni Hasan e così via. Si è tentati di vedere in essi il risultato della federazione di un insieme geografico o tribale, incentrata su una figura divina di cui l’emblema riproduce il simbolo. Si è pensato così che ognuna di queste insegne rappresentasse la prima tappa della costituzione politica del paese: il gruppo umano di base, qualunque esso fosse, si identificava al proprio totem, che rappresentava la potenza divina localmente predominante. Si affermò una confederazione divina locale che si formò attorno a un demiurgo, che si scontra nelle famiglie divine venerate in tutte le capitali delle province. La sede della confederazione si stabilisce così attorno ad uno spazio sacro segnato dal temenos divino, al quale si sovrappone il ricettacolo del potere il cui il temenos rappresenta il fondamento: il Muro Bianco, ovvero il reliquiario di Osiride. La geografia religiosa ha fissato questi canoni, delimitando con precisione il loro posto nell’insieme di cui essi sono diventati le parti e riconoscendo loro localmente una collocazione ricalcata sul sistema universale nel quale essi si integrano: ogni dio si vede attribuito, a capo della propria famiglia, il ruolo che il creatore universale ricopre alla testa di un pantheon nazionale. L’interpretazione totemica della religione egiziana non soddisfa appieno: innanzitutto, perché il sistema egiziano non comprende tutti gli elementi del totemismo. Essa non spiega, inoltre, l’antropomorfizzazione e il passaggio all’astrazione delle cosmologie di epoca storica, nonché il delicato problema dell’ipostasi, cuore del sistema teocratico. COSMOLOGIE  sono tre: la creazione ad opera del sole partendo dall’elemento liquido, il cui archetipo è stato fornito dalla crescita annuale del Nilo. Il primo sistema è quello elaborato a Heliopolis, l’antica città santa dove i faraoni venivano un tempo a far riconoscere ufficialmente il loro potere. Essa descrive la creazione secondo uno schema le cui linee generali sono comuni alle cosmologie rivali. Al principio era il Nun, l’elemento liquido incontrollato, termine che oggi traduciamo spesso con “caos”. Non si tratta di un

elemento negativo, ma semplicemente di una massa increata, non organizzata, che conteneva i germi della vita. Il Nun del resto, non scompare dopo la creazione: rimane relegato ai margini del mondo organizzato, che minaccia di invadere periodicamente, se l’equilibrio dell’universo si viene a spezzare. È la sede delle forze negative sempre pronte ad intervenire e, in generale, di tutto ciò che sfugge alle categorie dell’universo. Da questo caos vi è uscito il sole: non se ne conosce l’origine, poiché “è venuto all’esistenza da sé”. La sua prima apparizione avviene su un monticello di terra ricoperto di sabbia vergine, che emerge dall’acqua e si materializza mediante la presenza di una pietra fitta, il benben, oggetto di culto nel tempio di Heliopolis, che è considerato il sito in cui avvenne la creazione. Il monticello di terra evoca chiaramente un tell emergente dai flutti del Nilo al momento in cui le acque dell’inondazione sono più alte, e il benben non è altri che il raggio del sole primordiale pietrificato, adorato sotto forma di un obelisco tronco poggiato su di una piattaforma. Il dio che crea se stesso non è altri che Ra, il sole propriamente detto, ovvero Atum, l’Essere compiuto per eccellenza, ovvero ancora Khepri, che veniva raffigurato sotto forma di uno scarabeo e il cui nome significa “trasformazione”, proprio come quella che si pensava di veder fare dallo scarabeo stercorario, che rotolava la sua pallottola di sterco sulla terra. il demiurgo trae dal proprio seme la creazione: masturbandosi, egli mette al mondo una coppia, il dio Shu, il Secco, e la dea Tefnut, l’Umida, il cui nome evocatore indica anche lo sputo, altra forma di espulsione delle sostanze divine, la leggenda di Iside e di Ra. Dall’unione del Secco e dell’Umida nasce una seconda coppie: Il Cielo, Nut, e la Terra Geb, rispettivamente una donna e un uomo. Il cielo e la terra hanno tre figli: Iside e Osiride, Seth e Nefti. Questa enneade divina, articolata in quattro generazioni, costituisce il legame tra la creazione e gli uomini. Le ultime generazioni, in effetti, introducono il regno degli umani, integrando nel mito la leggenda cristiana, modello della passione che è la sorte dei mortali. La seconda coppia è sterile. La prima coppia è fertile, è il prototipo della famiglia reale: Osiride, re d’Egitto, è proditoriamente assassinato dal fratello Seth, che rappresenta quindi la controparte negativa e violenta della forza organizzatrice simboleggiata dal faraone. Seth si impadronisce del trono di Osiride dopo la sua morte; Iside, modello della sposa e della vedova, aiutata dalla sorella Nefti, ricompone il corpo smembrato del marito. Anubi, lo sciacallo, nato, si dice, dagli amori illegittimi di Nefti e Osiride, corre in aiuto di Iside per imbalsamare il re morto. Poi Iside partorisce un figlio postumo, Horo, omonomo del dio solare di Edfu e come lui incarnato in un falco, e lo nasconde nelle paludi del Delta, presso la città santa di Buto, con la complicità della dea Hathor, antropomorfizzazione della vacca nutrice. Il fanciullo cresce e, dopo una lunga lotta con lo zio Seth, ottiene dal tribunale degli dèi, presieduto dall’avo Geb, l’eredità del padre, cui, d’altro lato, viene assegnato il regno dei morti. Su questo schema di regno divino vengono ad innestarsi numerose leggende secondarie o complementari. Ne risulta una complessa combinazione di miti, talora replicatisi tra di loro, che mettono tutti in scena dei che regnano sulla terra e partecipavano di ogni passione umana. Non vi si parla molto della creazione degli uomini, che sembra essere stata contemporanea a quella del mondo, se non in un caso specifico: nella cosiddetta “Leggenda dell’Occhio di Ra”. Il Sole ha perduto il proprio occhio e invia i figli Shu e Tefnut alla ricerca del fuggiasco, ma il tempo passa e costoro non ritornano. Ra decide quindi di sostituire l’assente, ma, nel frattempo, l’Occhio ritorna e si accorge di essere stato sostituito. Dalla rabbia, si mette a piangere e dalle sue lacrime (REMUT) nascono gli uomini (REMET). Ra lo trasforma allora in Cobra e lo pone sulla fronte: l’occhio diventa così l’Ureo, che fulmina i nemici del dio...


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