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Title Harriet Hardy Taylor
Course storia del pensiero politico delle donne
Institution Università di Bologna
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Harriet Hardy Taylor, saggio, riassunto, lezione...


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Harriet Hardy Taylor

5 e 11 marzo 2021

Harriet Hardy (Taylor e Mill) (1807-1858) Biografia Nota per la sua partnership con uno dei più alti esponenti del liberalismo, John Stuart Mill, figlio di James Mill (braccio destro di Jeremy Bentham). John da bambino risente del suo essere orfano di madre, viene educato dal padre secondo i criteri illuminati dell’utilitarismo. Si laurea al College a 14 anni, a 21 ha un esaurimento nervoso perché il padre lo aveva obbligato a trascrivere una delle opere di Bentham. Bentham e Mill sono figure coinvolte nel movimento riformatore in Inghilterra, nella battaglia per il suffragio che alla fine degli anni ’30 diviene una battaglia operaia che prende il nome di Cartismo, forma inglese del movimento operaio prima che assuma la sua forma socialista che utilizza la battaglia per il suffragio per mettere in discussione una serie di condizioni lavorative. Ambiente di grande spessore culturale, in cui Harriet nel 1830 conosce John attraverso un pastore unitariano e tramite il marito John Taylor, sostenitore della lotta per il suffragio. John Taylor dopo il matrimonio trasmette la sifilide ad Harriet che la porterà alla morte. Innamoratasi di Mill, a partire dal 1833 si separa consensualmente con il marito e viaggia accompagnata da Mill. La relazione tra Harriet e John è importante per la loro produzione letteraria: Mill riconosce ad Harriet un ruolo fondamentale nelle sue opere, scrivono insieme nel 1832 “Early Essays on Marriage and Divorce”. Harriet ha una grande influenza nella svolta Milliana verso il socialismo. Nel 1851 Harriet pubblica il suo primo saggio sulla Westminster Review, ornano di stampa del moviemento per le riforme, “The Enfranchisement of Women”. The Enfranchisement of Women Viene tradotto in italiano “la liberazione delle donne” erroneamente. Enfranchisement si può più affiancare al concetto di emancipazione, riguarda il riconoscimento e l’acquisizione di diritti. È un testo che ci fa apprezzare la distanza di Harriet Taylor da John Stuart Mill. Mill critica assolutamente la subordinazione della donna, il matrimonio come falso contratto senza reciprocità e uguaglianza (infatti rinuncia ai diritti su Harriet nel matrimonio). Nonostante ciò, ritiene che le donne debbano stare a casa, riproponendo la questione delle sfere appropriate sulla base della competizione sul mercato, ovvero se le donne entrassero nel mercato del lavoro danneggerebbero il salario degli uomini, cosa che Harriet contesta. Nella sua opera vediamo come mette in discussione il pensiero di chi sosteneva l’emancipazione della donna, pur mantenendo l’idea delle sfere appropriate. Il pretesto di questo saggio è una Convenzione americana tenutasi a Winchester nel 1850. Interviene per segnalare la grande novità rappresentata da questa convenzione di donne. Lei sostiene che in realtà non dovrebbe essere segnalato come nuovo questo movimento perché non fa altro che sostenere i principi democratici, ma è una novità perché le donne si organizzano da sé e per se stesse, diventando esse stesse protagoniste, ed è una novità per la sua connessione con i diritti dei neri, il movimento contro la schiavitù. Ha una visione chiara di cosa ha prodotto il movimento suffragista e la pratica delle Convenzioni negli Stati Uniti: «Le loro istituzioni democratiche si fondano manifestamente sul diritto intangibile di ciascuno ad avere voce in capitolo nell’amministrazione della cosa pubblica. La loro Dichiarazione d’Indipendenza […] inizia con questa esplicita affermazione: «riteniamo auto-evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono stati creati uguali». […] Ci auguriamo che nessun americano di sentimenti democratici voglia sfuggire alla forza di queste parole servendosi del disonesto sotterfugio secondo il quale il termine «uomini» in questo

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memorabile documento, non significa «esseri umani», ma si riferisca al sesso maschile; la «vita, la libertà e la ricerca della felicità» siano «diritti inalienabili» esclusivamente per una metà dell’intera specie umana e i «governati» il cui consenso viene contemplato quale unica fonte del potere legittimo, siano composti solamente dal cinquanta per centro dell’umanità intera, che in realtà finora ha assunto il ruolo dei governanti nei confronti dell’altra parte. Non è possibile dar ragione dell’evidente contraddizione tra la teoria e la pratica.» Passaggio pieno di sarcasmo: non sia mai che gli americani, che hanno fondato un governo democratico basato su certi principi, possano rendere giustificabile il fatto che una metà del loro popolo è soggetta al dominio dell’altra metà. Harriet recupera esattamente gli stessi termini che abbiamo visto nella Dichiarazione di Seneca Falls: se i principi sono vita, libertà e ricerca di felicità, la loro applicazione non può comportare un governo di soli uomini. Sono da sottolineare due cose importanti: 1) Il carattere politico del linguaggio: non sia mai che il termine uomini sia inteso come “individui di sesso maschile” e non “esseri umani”. È vero che nella Dichiarazione c’è scritto che tutti gli uomini sono nati uguali, ma dobbiamo intendere uomini come “umanità”, non “maschi” (Cavendish con “menkind”). Il linguaggio dell’universale è in realtà il riflesso di un rapporto sessuato di dominio. 2) Il modo in cui le istituzioni esistenti siano geneticamente patriarcali. Anche lei, come le donne di Seneca Falls, vuole la l’estensione di quei principi democratici anche alle donne. Nel reclamare questa inclusione sviluppa una critica che ci fa vedere che all’interno di un ordine democratico in realtà vi è dominio. Il fatto di segnalare che la democrazia americana non comprendeva le donne e gli schiavi è stato notato in sede storiografica soltanto quando nel 1900 i movimenti per i diritti civili dei neri e delle donne hanno denunciato una serie di oppressioni e hanno reso evidente che la narrazione storica rifletteva i regimi di dominio esistenti. Da un certo punto di vista, Harriet Taylor si colloca in continuità con quella che è la strategia argomentativa sia di Olympe de Gouges che di Seneca Falls, cioè di assumere un certo discorso e fare vedere dove la realtà contraddice i principi. Mette in evidenza l’istituzionalizzazione del dominio e si rifà al Cartismo: c’è una connessione fra l’estensione del suffragio alle donne e agli operai. Questo in virtù del fatto che lei come donna non sta rivendicando solo il diritto di voto, ma una trasformazione dei rapporti sociali, come il Cartismo (il diritto al voto degli operai come mezzo di lotta per la trasformazione del salario). La convenzione di Winchester, novità da tre punti di vista fondamentali: 

Movimento in cui le donne si organizzano come donne: importante perché il fatto che le donne si diano delle forme collettive di organizzazione a partire dalla fine del ‘700 cambia le condizioni e la possibilità della loro presa di parola;



La battaglia per l’emancipazione delle donne si collega a quello per l’abolizione della schiavitù;



Movimento suffragista fa emergere le contraddizioni interne alla democrazia americana: mostra il carattere parziale e sessuato.

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Questo è importante perché rivela una connessione tra i rapporti sociali di dominio e il potere politico, quindi il problema è che non è possibile scindere la comprensione di come i rapporti di dominio si articolano nell’una e nell’altra. In altri termini, le istituzioni politiche non sono neutre. La battaglia per il conseguimento dei diritti delle donne è una battaglia per la società. Da questi punti di vista, è interessante il riferimento che lei fa al Cartismo e lo è in due modi contraddittori: -

Da una parte il riferimento al Cartismo è positivo e inevitabile: è un movimento fatto di lavoratori che rivendicando diritti politici hanno anche contestato le condizioni reali e materiali del loro sfruttamento;

-

Riferimento contraddittorio: Harriet Taylor si accorge che i cartisti rivendicano soltanto il suffragio universale maschile (“il cartista che nega il diritto di voto alle donne è un cartista soltanto perché non è un nobile”).

Si apre un campo di tensione in cui da un lato i cartisti aprono un fronte polemico contro l’ordine dei privilegi e la nobiltà, dall’altro ricadono nella stessa concezione di uguaglianza privilegiata non richiedendo il diritto di voto anche per le donne. Harriet invece vuole affermare un’emancipazione universale che possa contrastare ogni forma di dominio. Da questo punto di vista, per lei è importante la continuità che c’è tra la battaglia per l’emancipazione delle donne e quella abolizionista: «Gli americani si sono macchiati di un analogo abbandono dei principi fondamentali del loro credo politico nel caso del vergognoso trattamento riservato agli afroamericani. […] Era conveniente che gli stessi uomini i cui nomi rimarranno legati allo sradicamento della terra democratica d’America, dell’aristocrazia del colore, figurassero tra i promotori, per l’America e per il resto del mondo, della prima protesta collettiva contro l’aristocrazia di genere [sex], una differenziazione altrettanto casuale di quella del colore e totalmente irrilevante quanto a tutte le questioni politiche.» Traduzione: si utilizza il termine genere (sex) che non acquista un senso sociale e politico prima della seconda metà del ‘900, quindi non ha contesto qui. È importante il discorso della macchia degli americani per quanto riguarda l’abbandono degli schiavi: lei assume come cardine del discorso i principi del governo democratico che sono libertà e uguaglianza. Fa emergere una contraddizione interna, ovvero il fatto che il governo americano sia fondato sul silenzio delle donne e degli schiavi, pur essendo parte della Dichiarazione del 1776. C’è una cognizione di quello che accade, ovvero che ci sono uomini impegnati nella battaglia antischiavista che prendono posizione in America anche a favore dell’emancipazione delle donne (ad esempio Douglass in Seneca Falls). Formule più significative: “aristocrazia del colore” e “aristocrazia del sesso”. Riconosce che il colore e il sesso sono elementi sulla quale si costituiscono gerarchie sociali e la sua genesi sicuramente fa riferimento ad Alexis de Tocqueville, autore di “Democrazia in America” (1835-1840). Tocqueville vede quello che lui definisce “lo spettacolo grandioso della democrazia”. La democrazia per Tocqueville è uno stato sociale, formula originale perché fino ad allora indicata come forma di governo in cui la maggior parte esercita il potere di fare le leggi. Tocqueville ci dice invece che, prima delle forme di governo, sono le condizioni sociali di progressiva affermazione dell’uguaglianza. Uguaglianza per Tocqueville significa che tutti possono essere ricchi o poveri, bianchi o neri, e ritrova questa mobilità sociale nella democrazia. Abbiamo un’uguaglianza delle possibilità. Nella descrizione di questo sato sociale americano dice chiaramente che, anche in un contesto in cui i privilegi non ci sono mai stati, si sta creando una gerarchia sociale non più basata sui titoli, ma sul denaro. Si parla di “aristocrazia del denaro”,

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utilizza un termine che riguarda il mondo prerivoluzionario per far vedere che anche in un sistema di uguaglianza di condizioni ci sono delle gerarchie che si stabiliscono. Quindi, il fatto che Harriet Taylor utilizzi il termine aristocrazia per indicare i rapporti gerarchici che si stabiliscono sulla linea del colore e sulla differenza sessuale, prende da Tocqueville e fa qualcosa di più, ci mostra cioè che esistono due condizioni apparentemente naturali che diventano rilevanti esattamente quando sono il presupposto per la creazione di rapporti gerarchici. Sarebbero differenze casuali e totalmente irrilevanti se non avessero luogo in una società basata su rapporti di dominio. Utilizza un termine sociale (aristocrazia) sovrapposto ad un termine naturale (sesso o colore) per spiegare che apparentemente non hanno nessun significato, ma lo acquisisce all’interno di una società gerarchica. Come sono diventati rilevanti? Come hanno portato alla formalizzazione di privilegi? «L’ostacolo fondamentale è veramente formidabile: si tratta della consuetudine. Le donne non hanno mai goduto di eguali diritti rispetto agli uomini. La richiesta, in loro vece, dei comuni diritti dell’umanità viene catalogata come contraria alla pratica quotidiana universale. Il più potente dei pregiudizi, il pregiudizio contro ciò che è nuovo e sconosciuto, ha indubbiamente perso, in un’epoca di cambiamenti come la presente, gran parte della sua forza; in caso contrario, ci sarebbe ben poca speranza di poterlo sconfiggere. […] Non incontriamo particolari difficoltà a spiegare perché l’asservimento delle donne sia diventato un’abitudine. Non c’è bisogno di nessun’altra spiegazione se non la mera forza fisica.» si identifica in un’epoca di cambiamenti: il presente è segnato da trasformazione e progresso, come qualcosa che si muove e progredisce, ma all’interno di questo movimento c’è il fardello del passato, ovvero l’anacronismo del patriarcato che sopravvive e ne è il presupposto necessario e taciuto. Il passato qui si manifesta nella forma della consuetudine e della pratica quotidiana universale. C’è un lessico fondamentale nell’utilitarismo inglese e benthamiano che è quello dell’”habit”, ovvero l’abitudine, qualcosa che si acquisisce con una pratica ripetuta. Differenze con consuetudine: la consuetudine è riconosciuta da tutti come una regola sociale, l’habit è una consuetudine radicata individualmente che viene arbitrariamente adottata da tutti gli individui e questo significa che il fatto che le donne siano state sempre storicamente sottomesse ha generato una consuetudine, rendendo la resistenza al cambiamento ancora più forte. Il fatto di essere in un’epoca di cambiamenti ci lascia intuire che è possibile cambiare anche questo ed è innegabile che dal punto di vista storico bisogna affrontare il peso della consuetudine. L’origine di ciò è la forza fisica: punto originario della soggezione delle donne che si è imposto storicamente e istituzionalmente. Le leggi altro non sono che l’affermazione istituzionale di un gesto originario di dominio. Il punto è capire che se nella società presente esiste qualcosa come l’aristocrazia del sesso o del colore, questo è dovuto a nient’altro che ad una legge del più forte che si è istituzionalizzata socialmente e politicamente nel corso del tempo. Tant’è vero che, come esempio, fa riferimento al Colonialismo, paradigma dell’istituzionalizzazione della legge del più forte. Questo è un processo che non è immodificabile, ma soggetto a delle trasformazioni: le rivoluzioni democratiche, per Taylor sono un momento cruciale perché sono il momento in cui si dimostra che la legge del più forte può essere sfidata e modificata aprendo degli spazi. Lei è consapevole che negli Stati Uniti vi sono delle gerarchie sociali basate non sui privilegi, ma su colore o sesso, ma nonostante questo ci sono dei principi che sono stati affermati, seppur stati traditi, e nella loro affermazione vede effettivamente delle possibilità di uguaglianza. Il discorso dei diritti apre uno spazio di rivendicazione anche per quei soggetti imprevisti. «L’umanità ha superato questo stadio (della legge del più forte) e alla supremazia del più forte ora, in genere, si tende a sostituire, quale regola generale dei rapporti personali, una giusta eguaglianza. Ma tra tutte queste relazioni, non v’erano dubbi che quella tra uomini e donne, essendo maggiormente stretta e intima, e quindi accompagnata dal più alto numero di emozioni forti, sarebbe stata l’ultima ad abbandonare la vecchia regola per adeguarsi alla nuova; d’altra parte, l’ostinazione con la quale un sentimento rimane

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legato alle modalità e alle forme cui è stato casualmente associato nel tempo risulta direttamente proporzionale alla sua intensità.» Due cose fondamentali: 1) Evoluzione umana: esiste un processo storico, sociale ed evolutivo (il processo di civilizzazione) che porta dalla legge del più forte all’uguaglianza. L’uguaglianza comincia a diventare una legge universale dei rapporti interpersonali. 2) C’è un movimento nella società che riguarda anche le donne, ma nel loro caso è molto più difficile da estirpare. Proprio perché pensiamo in termini di habit interiorizzato da ciascuno, il problema della trasformazione è che non può essere soltanto esteriore ed oggettiva. Il problema delle donne sta nel fatto che hanno un rapporto sentimentale e personale con colui che le domina, ovvero ciò che è più radicato nel tempo è più difficile da estirpare tanto più quanto è connesso da un sentimento. C’è un altro elemento di prossimità tra uomini e donne: nell’ambiente intellettuale dove lei si muove vige la dinamica della simpatia (sentire con, immedesimazione, connessione con l’altro), ovvero un processo di socializzazione che si rafforza con la vicinanza e si indebolisce con la distanza. Questo è un problema perché quello che a lei interessa affermare sono dei principi generali del governo, ma ci sono delle donne che sono incardinate nelle posizioni di privatezza costante, legate continuamente a dei principi particolari che non riescono a guardare a dei principi generali. Se analizziamo questa cosa dal punto di vista della dinamica della simpatia, capiamo che le donne sono incardinate alla sfera domestica e quindi i loro interessi simpatetici sono rivolti sempre ed esclusivamente al privato, educate per stare nella loro “sfera appropriata”. Allora diviene necessario criticare il discorso delle sfere appropriate in cui le donne sono profondamente radicate a causa della consuetudine, al punto che la partecipazione delle donne in politica si dice “unfeminine”. Si stabilisce un processo secondo cui la politica è maschile, mentre il domestico è femminile, in modo totalmente innaturale, ma naturalizzato da un processo sociale che sessualizza. Allora bisogna contestare le “sfere appropriate” per rompere questo processo: «La sfera d’azione propria di ogni essere umano è la più ampia e la più elevata che riesca a conquistare e non la si può determinare se non con una completa libertà di scelta.» Viene affermato un principio di autodeterminazione contro i vincoli sociali che preesistono alla scelta soggettiva. Non è possibile vincolare ad un destino una parte di umanità stabilendo che cosa è appropriato per loro, quello che è necessario fare è affermare un principio di autodeterminazione perché soltanto questo è il modo per consentire l’elevazione di ciascun essere umano. Questo ha a che fare non solo con le donne, ma con tutta la società. Harriet capisce che l’idea che sia “Non femminile” la partecipazione delle donne alla politica è il frutto di un processo storico, quindi si tratta di contestare il discorso delle sfere separate alla radice. Lo fa accusando gli uomini di stare impedendo alle donne di esercitare le proprie capacità e per dimostrare la storicizzazione non naturale di ciò chiama in causa la Storia, appellandosi a donne e regine che hanno fatto politica anche in condizioni diverse (Caterina la Grande di Russia…), cancellate dalla storiografia. Lei invoca un cambio di prospettiva: «Quindi non c’è proprio alcun motivo di domandarsi se le donne siano adatte alla politica; il dibattito si concentra piuttosto sul chiedersi se la politica sia adatta alle donne. Ogniqualvolta si tolga alle ragioni per escludere le donne dai più alti impegni della vita attiva quel velo di espressioni declamatorie, e le si riduca al nudo e crudo significato delle intenzioni, sembrano essere essenzialmente di tre tipi: 1) l’incompatibilità di una vita attiva con la maternità e con il governo della casa; 2) il fatto che essa comporti un indurimento del

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carattere femminile; 3) l’inopportunità di creare ulteriore concorrenza, già notevolmente soffocante, all’interno di qualsiasi impiego professionale e remunerativo.» Non dobbiamo chiederci se le donne sono adatte alla politica, ma al contrario. Il problema non son...


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