I MOTI DEL 1848 PDF

Title I MOTI DEL 1848
Author Lorenzo Scardilli
Course scienze politiche
Institution Università degli Studi di Milano
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LE RIVOLUZIONI DEL 1848 Nel 1848 l’Europa fu sconvolta da una crisi rivoluzionaria di ampiezza e intensità eccezionali. Conosciuta anche come “Primavera dei popoli”, le rivoluzioni del 1848 furono ondate di moti rivoluzionari che sconvolsero l’Europa nel 1848. Non a caso l’espressione “quarantotto” è diventata da allora sinonimo di “sconvolgimento improvviso e radicale”. Eccezionale fu l’estensione dell’area geografica interessata dalle agitazioni e la rapidità con cui il moto rivoluzionario si diffuse in tutta l’Europa continentale. Fra le potenze europee, solo l'Inghilterra vittoriana, in un periodo di stabilità politica ed economica (soprattutto grazie alle riforme del 1832 che avevano pacificato la classe borghese) e, all'opposto, la Russia, in cui era praticamente assente una classe borghese (e di conseguenza una opposta classe proletaria) capace di ribellarsi, unita all’efficienza dell’apparato repressivo furono esentate dalla portata distruttrice, creatrice e rigeneratrice delle rivoluzioni del 1848. Un detonatore di grande importanza nel far esplodere quest’ondata fu la crisi economica del biennio 18461847 che aveva colpito prima il settore agricolo caratterizzato da tornate di cattivi raccolti, aggravate da una malattia della patata, (che portarono inevitabilmente all’inedia), poi quella industriale e commerciale, provocando carestie (in Irlanda soprattutto), miseria, disoccupazione e creando dovunque un clima di acuto malessere. Il disagio economico e l’inquietudine sociale non sarebbero bastati di per sé a provocare una crisi di così vaste proporzioni se su di essi non si fosse inserita l’azione consapevole svolta dai democratici di tutta Europa, in particolare dagli intellettuali, depositari di una tradizione comune che affondava le sue origini nella Rivoluzione francese (14 luglio 1789 – 9 novembre 1799). Questa tradizione nel 1848 era ancora viva; e viva era l’attesa di un nuovo grande sommovimento che avrebbe dovuto dare slancio al moto di emancipazione politica, ma anche nazionale, cominciato alla fine del ‘700 e solo provvisoriamente interrotto dalla Restaurazione. In questo senso i moti del ’48 si collegano a quelli del 1820-1821 e del 1830. Simile fu anche il contenuto dominante delle insurrezioni: la richiesta di libertà politiche e di democrazia, variamente intrecciata in Italia, in Germania e nell’Impero asburgico, alla spinta verso l’emancipazione nazionale. Simile fu anche la dinamica dei moti, che si svilupparono tutti secondo lo schema delle “giornate rivoluzionarie”: cominciarono cioè con grandi dimostrazioni popolari nelle capitali, sfociate poi in scontri armati. Nel gennaio del 1848, poche settimane prima dello scoppio dei moti, era stato scritto il ‘Manifesto del Partito Comunista’ da Karl Marx e Friedrich Engels, pubblicato a Londra il 21 febbraio 1848, saggio destinato a diventare il testo-base della rivoluzione proletaria. Come già accaduto nel 1830, il moto rivoluzionario ebbe il suo centro di irradiazione in Francia. La “monarchia liberale” di Luigi Filippo d’Orléans era certamente uno dei regimi europei meno oppressivi. Ma la stessa maturazione economica, civile e culturale della società francese, favorita dal regime liberale, faceva apparire sempre meno tollerabili i limiti oligarchici di quel regime e la politica ultramoderata praticata da Luigi Filippo e dal suo primo ministro François Guizot. Si andò così coalizzando un vasto fronte di opposizione che divise la nazione. Per i democratici, in particolare, l’obiettivo da raggiungere era il suffragio universale, ossia la concessione del diritto di voto a tutti i cittadini maschi senza distinzioni di reddito o condizione sociale. Il suffragio universale era visto soprattutto come il mezzo più sicuro per realizzare gli ideali di giustizia sociale, dando voce agli autentici rappresentanti del popolo e spezzando il monopolio del privilegio economico. Nettamente minoritari in Parlamento, i democratici cercarono di trasferire la loro protesta nel “paese reale”. Lo strumento scelto fu la cosiddetta ‘campagna dei banchetti’: riunioni svolte in forma privata che aggiravano i divieti governativi e consentivano ai capi dell’opposizione e ai loro seguaci di tenersi in contatto e di far propaganda per la riforma elettorale. Fu proprio la proibizione di un banchetto, previsto per il 22 febbraio a Parigi, a innescare la crisi rivoluzionaria. Lavoratori e studenti parigini, già mobilitati da giorni, organizzarono una grande manifestazione di protesta. Per impedirla, il governo ricorse alla ‘Guardia nazionale’, il corpo volontario di cittadini armati che era stato istituito nel 1789 ed era rinato dopo l’insurrezione di luglio 1830. Espressione

della borghesia cittadina, la Guardia nazionale era stata impiegata più volte a reprimere agitazioni o sommosse operaie, ma questa volta, chiamata a difendere un governo largamente impopolare, finì col fare causa comune con i dimostranti. Dopo due giorni di barricate e di violenti scontri, gli insorti erano padroni della città. Il monarca Luigi Filippo rinunciò a soffocare con le armi la rivolta e abdicò il 24 febbraio, dopo aver destituito Guizot. La sera stessa all’Hotel de Ville (il municipio parigino, naturale punto di riferimento di tutte le rivoluzioni) veniva costituito un governo che si pronunciava a favore della Repubblica e annunciava la prossima convocazione di un’Assemblea costituente da eleggere a suffragio universale, dando inizio alla breve e drammatica stagione della Seconda Repubblica. Quello stesso 25 febbraio, ancora su pressione dei dimostranti, fu emanato il decreto sul «diritto al lavoro», che impegnava il governo a «garantire il lavoro a tutti i cittadini»: una dichiarazione di intenti che suonava gradita alla grande massa dei disoccupati parigini. Il 27 febbraio furono creati gli ateliers nationaux (alla lettera: opifici, o officine, nazionali) che avevano il compito di individuare lavori di pubblica utilità (scavo di canali, riparazione di strade) cui adibire i lavoratori colpiti dalla disoccupazione. Altre misure prese dal governo provvisorio segnarono una rottura col precedente governo. La pena di morte fu abolita il 4 marzo, giorno nel quale si proclamò la libertà di stampa e di riunione. Il 5 marzo fu istituito il suffragio universale maschile, che rese il mondo rurale, che costituiva i tre quarti della popolazione, l'arbitro delle elezioni politiche, che vennero indette per il 9 aprile, poi spostate al 23 aprile, per eleggere l'Assemblea costituente, 4 giorni prima dell’abolizione della schiavitù nelle colonie (27 aprile). I risultati delle elezioni del 23 aprile, che si tennero a suffragio universale, applicato per la prima volta dopo gli anni della ‘grande rivoluzione’ e dei plebisciti napoleonici, mandarono all'Assemblea costituente una netta maggioranza di «repubblicani moderati», ossia monarchici, bonapartisti e repubblicani conservatori. L'Assemblea proclama solennemente la Repubblica il 4 maggio ma il nuovo governo che ne è l'espressione, sostanzialmente uguale al precedente, con l'esclusione dei socialisti Blanc e Martin, è contrario alle misure sociali prese sull'onda della Rivoluzione di febbraio. Il 10 maggio venne rifiutata la proposta di istituire un ministero del Lavoro e il 12 si proibirono alle associazioni politiche di inviare petizioni all'Assemblea, una pratica che risaliva alla Prima Repubblica nata dalla Rivoluzione del 1789. Gli operai, delusi, si ribellarono il 15 maggio proclamando un governo socialista presieduto da Blanc e Blanqui, il quale venne soppresso solo grazie all'intervento della Guardia nazionale. Un'altra rivoluzione si ebbe il 23 giugno quando si ribellarono settantamila operai parigini, ma anche questo movimento venne soppresso da Louis Cavaignac, politico e generale francese. La borghesia aveva sconfitto il proletariato. Il 28 luglio vengono sciolti i club politici, e viene limitata la libertà di stampa, sia considerando reati la critica al governo, all'Assemblea nazionale, alla religione, alla proprietà e alla famiglia, sia aumentando fortemente le tasse sugli organi di stampa, così da rendere difficile l'esistenza della stampa popolare. Viene annullato il decreto che abbassava a 10 ore la giornata lavorativa, che viene così riportata alle 12 ore dei tempi della monarchia di luglio. Nel novembre del 1848 venne approvata la nuova Costituzione che negava il diritto di sciopero e stabiliva l'elezione diretta del presidente della Repubblica con un mandato di quattro anni, e il 10 dicembre 1848 fu eletto presidente il principe Luigi Napoleone Bonaparte (1808-1873). Il moto rivoluzionario iniziato a Parigi alla fine di febbraio si propagò nel giro di poche settimane a gran parte dell’Europa. Nell’Impero asburgico, negli Stati italiani e nella Confederazione germanica gli echi degli avvenimenti parigini fecero esplodere una situazione già tesa: il malcontento suscitato dalla crisi economica si univa alla protesta contro la gestione autoritaria del potere e si mescolava alle tensioni provocate dalle numerose “questioni nazionali” che il congresso di Vienna del 1815 e il conseguente inizio dell’età della Restaurazione, aveva lasciato irrisolte. Diversamente da quanto era accaduto in Francia, la componente “sociale” rimase in secondo e lo scontro principale fu combattuto fra la borghesia liberale e le strutture politiche dell’assolutismo. Il primo importante episodio insurrezionale ebbe luogo a Vienna, capitale dell’Impero asburgico, il 13 marzo 1848. L’occasione della rivolta fu data da una grande manifestazione di studenti e lavoratori duramente repressa dall’esercito. Dopo due giorni di combattimenti, gli ambienti di corte (regnava allora l’imperatore

Fernando I, seminfermo di mente) furono costretti a sacrificare il cancelliere Metternich: l’uomo-simbolo dell’età della Restaurazione dovette abbandonare il potere, che deteneva da oltre quarant’anni, e rifugiarsi all’estero. Le notizie dell’insurrezione di Vienna e della fuga del cancelliere fecero precipitare la situazione nella già irrequiete province dell’Impero asburgico e nella vicina Confederazione germanica. Il 15 marzo vi furono tumulti a Budapest e negli stessi giorni una violenta sommossa scoppiava a Berlino, capitale della Prussia.

In Ungheria le promesse del governo imperiale di concedere ai magiari una propria costituzione e un proprio parlamento non bastarono a fermare l’agitazione autonomistica. Sotto la spinta dell’ala democratico-radicale, che faceva capo a Lajos Kossuth, i patrioti ungheresi approfittarono della crisi in cui versava il potere centrale per creare un governo nazionale e per agire in totale autonomia da Vienna. Fu decretata la fine dei rapporti feudali nelle campagne, una misura che certo contribuì ad assicurare l’appoggio dei contadini alla causa nazionale. Fu eletto un nuovo Parlamento a suffragio universale. In luglio, infine, Kossuth cominciò a organizzare un esercito nazionale, primo passo verso l’indipendenza piena, che costituiva l’obiettivo finale degli insorti. Nel marzo del 1848 la Dieta nobiliare ungherese, a netta maggioranza riformista, diede vita a un Parlamento autonomo dall'impero austriaco ed espresse un governo nazionale. Venne proposto un nuovo assetto costituzionale che dichiarava l'autonomia del regno d'Ungheria dall'impero asburgico, uniti formalmente nella sola persona del sovrano, Ferdinando I d'Austria. Ma questa prima fase moderata venne presto turbata dalle rivendicazioni (rumene, slave e tedesche) appoggiate dagli Asburgo a cui si oppose l'ala più radicale del governo. Inoltre, la repressione dell’insurrezione che nel frattempo era esplosa a Vienna, anche grazie all'abdicazione dell'imperatore a favore del giovane Francesco Giuseppe, e le vittorie sul fronte italiano dell'estate del 1848 consentirono all'Austria di risolvere la questione ungherese. All'invasione di Budapest da parte dell'esercito asburgico nel settembre del 1848, il Parlamento ungherese reagì chiamando il popolo alla lotta armata e nell'aprile del 1849 convocò un'Assemblea nazionale a Debrecen con cui si proclamava l'indipendenza del paese. La resistenza nazionale, grazie ad aiuti provenienti dalla Polonia e dall'Italia, sembrò avere la meglio. Ma l'intervento dell'esercito russo, chiamato in causa dalla Santa Alleanza, fu decisivo. La vittoria austro-russa a Világos, il 13 settembre 1849, spense definitivamente ogni rivendicazione indipendentista ungherese e diede inizio a un prolungato stato di assedio che durò fino al 1854.

A Praga, dopo che il 19 marzo i cittadini avevano inviato una petizione all’imperatore chiedendo autonomia e libertà politiche, in aprile venne formato un governo provvisorio: i patrioti cechi si limitavano a chiedere maggiori autonomie per le popolazioni slave dell’impero, ed un’uguaglianza tra nazionalità ceca e tedesca. Ai primi di giugno si riunì a Praga un congresso cui parteciparono delegati di tutti i territori slavi soggetti alla corona asburgica. Ma il 12 giugno, pochi giorni dopo l'apertura del congresso, alcuni incidenti scoppiati fra la popolazione e l'esercito fornirono alle truppe imperiali il pretesto per un intervento. La capitale boema fu assediata e bombardata, Il congresso slavo fu disperso e il governo ceco sciolto d'autorità. La sottomissione di Praga segnò l'inizio della riscossa per il potere imperiale e mostrava che l'efficienza e la fedeltà dell'esercito non erano state intaccate dagli ultimi rivolgimenti politici. Nella primavera del ’48 il grande impero plurinazionale sembrava sull’orlo del collasso. In maggio l’imperatore dovette abbandonare la capitale e promettere la convocazione di un Parlamento dell’Impero (Reichstag) eletto a suffragio universale. Nel corso dell’estate la svolta si consolidò. Mentre il Reichstag, riunitosi per la prima volta in luglio, era paralizzato dai contrasti fra le diverse nazionalità, il governo centrale riprendeva gradualmente il controllo della situazione. A questo punto il governo si sentì abbastanza forte per affrontare lo scontro con i separatisti ungheresi che ormai rifiutavano ogni compromesso con la monarchia. Per venire a capo della secessione, il potere imperiale si servì abilmente delle profonde rivalità che dividevano gli slavi dai magiari. I magiari infatti inseguivano il sogno di una “grande Ungheria” che comprendesse tutti i territori slavi già appartenenti

all’antico regno magiaro. Gli slavi del Sud, in particolare i croati, furono così indotti ad appoggiarsi alla monarchia asburgica che offriva loro maggiori garanzie di conservare la propria identità nazionale. Un capo del movimento autonomista, Josip Jelacic, fu nominato a luglio governatore della Croazia. A settembre, un esercito comandato dallo stesso Jelacic entrò in Ungheria per unirsi alle truppe imperiali. Almeno per il momento, però, l’Ungheria fu salvata grazie a una nuova insurrezione scoppiata a Vienna ai primi d’ottobre. Studenti e lavoratori della capitale austriaca si sollevarono per impedire la partenza di nuove truppe per il fronte. I reparti già impegnati in Ungheria furono allora richiamati per schiacciare la rivolta. Alla fine di ottobre Vienna fu cinta d’assedio e occupata dopo tre giorni di durissimi combattimenti che costarono agli insorti tantissimi morti. La rivoluzione nell’Impero asburgico veniva così stroncata nella sua punta più avanzata. Poche settimane dopo, l’imperatore Ferdinando I abdicava in favore del nipote, il diciottenne Francesco Giuseppe. Nel marzo 1849 il nuovo imperatore sciolse d’autorità il Reichstag e promulgò una costituzione “moderata”, che prevedeva un Parlamento eletto a suffragio ristretto e dotato di poteri molto limitati e ribadiva al tempo stesso la struttura centralistica dell’Impero. Un corso per molti aspetti simile ebbero gli avvenimenti in Germania. L’area tedesca si presentava, dopo il Congresso di Vienna, ancora divisa: era stata costituita la Confederazione Germanica che comprendeva 39 stati sovrani tra cui i più potenti erano Prussia e Austria. In Germania gli obiettivi erano due: la trasformazione liberale delle istituzioni e l’unificazione. Le grandi manifestazioni popolari iniziate a Berlino il 18 marzo 1848, dopo le prime notizie dei fatti di Vienna, costrinsero il re Federico Guglielmo IV di Prussia a concedere la libertà di stampa e a convocare un Parlamento prussiano (Landtag). Esso proclamò la libertà di stampa, il suffragio universale maschile, la parità delle confessioni religiose e il controllo sui bilanci dello stato. Nel 1848, le decisioni più importanti prese dalle assemblee legislative tedesche elette dal popolo furono l’abolizione delle servitù feudali e l’eliminazione delle divisioni economiche presenti nel mercato comune tedesco (realizzato nel 1834): il Zollverein (in tedesco, unione doganale) fu la prima fase di unificazione tedesca che comprendeva un’unione doganale per favorire il flusso commerciale e ridurre la competizione interna. Il primo passo verso l’unificazione, quello economico, era stato fatto: più difficile sarebbe stato il processo di unificazione politica. Ma intanto agitazioni e sommosse erano scoppiate in molti degli Stati e staterelli che componevano la Confederazione germanica. Ne era scaturita, quasi spontaneamente, la richiesta di un’Assemblea costituente dove fossero rappresentati tutti gli stati tedeschi, Austria compresa. Un “preparlamento” riunitosi all’inizio di aprile stabilì che la Costituente tedesca sarebbe stata eletta a suffragio universale e avrebbe avuto la sua sede principale a Francoforte sul Meno. Ben presto fu chiaro però che la Costituente di Francoforte non aveva i poteri necessari per imporre la propria autorità ai sovrani e ai governi degli stati tedeschi e per avviare un processo di unificazione nazionale. Le sue sorti non potevano che dipendere da quanto accadeva nello stato più importante, quello prussiano. Ma proprio in Prussia, il movimento liberaldemocratico conobbe un rapido declino, anche perché la borghesia era spaventata dalle agitazioni sociali che nel frattempo si andavano intensificando. Ai primi di dicembre Federico Guglielmo sciolse il Parlamento prussiano ed emanò una costituzione assai poco liberale. Frattanto, tra la popolazione sorsero dei contrasti riguardo al tipo di riforma istituzionale della futura Germania unica:   

Il primo gruppo era favorevole all’inserimento dell’Austria nello Stato tedesco (“Grande Germania”); Il secondo gruppo era formato da coloro che volevano una riunificazione intorno alla Prussia, escludendo i possedimenti asburgici (“Piccola Germania”); Il terzo gruppo voleva la nascita di un grande Stato federale dell’Europa centrale che comprendesse anche i popoli sottomessi agli Asburgo, come Boemi, Ungheresi (“Grande Austria”).

Prevalse, dopo lunghe discussioni, la tesi “Piccola Germania”. Ma quando, nell’aprile 1849, una delegazione dell’Assemblea si recò a Berlino per offrire la corona imperiale al re di Prussia Federico Guglielmo IV, che però la rifiutò ritenendo inammissibile ricevere il potere da un’assemblea eletta dal popolo, nata da un moto rivoluzionario.

Il gran rifiuto di Federico Guglielmo IV di Prussia segnò in pratica la fine della Costituente di Francoforte. La Prussia ritirò i suoi delegati. I rappresentanti moderati e conservatori degli Stati minori, timorosi di sviluppi rivoluzionari, si ritirarono anch’essi. Ridotta alla sola componente democratica, l’Assemblea, che nel frattempo si era trasferita a Stoccarda, fu sciolta il 18 giugno 1849 dalle truppe del governo del Wurttemberg. L’unificazione tedesca era fallita.

Per l’Italia il 1848 fu uno dei momenti più importanti del processo risorgimentale. La rivoluzione del ’48 in Italia ebbe, nella sua fase iniziale, uno sviluppo autonomo rispetto agli altri paesi. Primo e fondamentale obiettivo comune a tutte le correnti politiche era la concessione di costituzioni (o statuti) fondate sul sistema rappresentativo. Fu la sollevazione di Palermo del 12 gennaio 1848, legata soprattutto alle tradizionali rivendicazioni autonomistiche dei siciliani, a determinare il primo successo in questa direzione, inducendo Ferdinando II di Borbone, il più retrogrado di tutti i regnanti della penisola, ad annunciare, il 29 gennaio, la concessione di una costituzione nel Regno delle due Sicilie. La mossa inattesa di Ferdinando II non bastò a spegnere il moto autono...


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