Il Risorgimento - I moti - Mazzini e la Giovine Italia PDF

Title Il Risorgimento - I moti - Mazzini e la Giovine Italia
Author Ilaria Tranfaglia
Course Storia Contemporanea
Institution Università telematica e-Campus
Pages 5
File Size 163.1 KB
File Type PDF
Total Downloads 80
Total Views 122

Summary

Appunti dalle dispense...


Description

IL RISORGIMENTO NELLA STORIA D’ITALIA Nella seconda metà dell’Ottocento anche in Italia, in maniera simile ad altri paesi Europei, quale ad esempio la Polonia, l’Irlanda, la Grecia, L’Ungheria, quel processo di ricerca di una propria tradizione nazionale, che aveva preso corpo nel contesto della cultura romantica già a partire dai primi decenni dell’Ottocento, dette vita all’affermarsi di un motivo di progressiva riscoperta della propria identità nazionale ed ad un sentimento di sempre più decisa rivendicazione di essa. Queste due aspirazioni culturali furono alla base di quel processo politico e militare che nel giro di pochi decenni avrebbe condotto l’Italia al raggiungimento dell’unità e dell’indipendenza nazionale (come nazione). Questo processo fu definito “Risorgimento” che voleva indicare l’idea di rinascita culturale, politica, l’idea di riscatto da una condizione di soggezione politica e di decadenza morale, di recupero e di richiamo ad un passato celebrato e grande (glorioso), per quanto effettivamente reale o leggendario. A differenza di Stati come la Polonia o l’Ungheria, L’Italia, nel corso della sua storia, non aveva mai raggiunto la condizione di entità statale unitaria. Soltanto nell’epoca romana imperiale (dell’Impero Romano) era stata unita da un punto di vista politico ma nell’ambito di un soggetto statale di carattere universalistico e sovranazionale. Negli anni successivi l’Italia era sempre stata divisa politicamente e in parte soggetta a dominazioni straniere. L’IDEA DI “ITALIA” Questa soggezione dell’Italia alle potenze straniere si era concretata in maniera completa all’inizio del ‘500, nello stesso periodo durante il quale il paese conobbe un’epoca di grande sviluppo delle arti e in generale di preminenza in ambito culturale. Se l’Italia non era mai esistita come entità statuale, tuttavia un’idea di Italia in quanto comunità di lingua, di cultura e di religione, e per certi aspetti anche da un punto di vista economico, si poteva individuare almeno come risalente all’epoca dei comuni. Questa idea di Italia era inoltre stata ben presente nelle concezioni e nelle riflessioni di alcuni dei più grandi intellettuali italiani come Petrarca, Machiavelli, Alfieri. Nel corso del ‘700, con l’affermarsi della cultura illuminista, questa convinzione si era ulteriormente definita e affermata insieme ad un motivo che aspirava ad una “rinascita”, all’avvio di un processo di rinnovamento morale e culturale che per il momento però non ebbe un’immediata traduzione sul piano delle rivendicazioni politiche. Nel corso degli ultimi anni del ‘700 tali aspirazioni unitarie e indipendentiste avevano preso corpo nell’ambito del movimento giacobino, trovando però un freno e un limite nella principale e caratteristica contraddizione che caratterizzava il giacobinismo italiano, consistente nel farsi interprete di idee e aspirazioni rivoluzionarie, anche sul piano dei rapporti fra le nazioni, ma di collegare in maniera diretta e automatica l’affermazione concreta di queste idee ai destini e all’iniziativa di una potenza straniera.

L’ASPIRAZIONE NAZIONALE DEL ‘20-21 L’esperienza della Repubblica italiana e del Regno Unito si è rivelata positiva da alcuni punti di vista, tra cui aver riunito in un unico soggetto statale tutte le popolazioni abitanti nella porzione più sviluppata del territorio. Tuttavia, era stata condizionata dal carattere assolutista e nazionalista della politica di Napoleone. Dopo la Restaurazione e il Congresso di Vienna la situazione dell’Italia, per quanto riguardava la realizzazione politica dell’aspirazione nazionale, si complicò notevolmente con l’imposizione dell’egemonia dell’Austria su tutta la penisola e da questo momento in poi fra gli intellettuali e i patrioti italiani la lotta di rivendicazione per l’affermazione degli ideali e dei principi liberali e democratici venne a coincidere con quella per ottenere la liberazione dalla dominazione straniera, sebbene tale lotta non venisse esplicitamente tradotta nei concetti di indipendenza e di unità italiana. Nei moti costituzionali del ’20-21, che avevano interessato anche l’Italia, le rivendicazioni riguardarono non tanto la questione nazionale quanto le questioni di carattere istituzionale, le richieste di costituzioni che portassero ad un cambiamento di carattere politico ma interno ai singoli stati.

Anche il programma dei Federati Piemontesi e Lombardi era giunto non oltre la prospettiva della formazione di un Regno dell’Italia Settentrionale sotto la guida della monarchia sabauda. Nei moti che coinvolsero appena dieci anni dopo le regioni del Centro Nord, l’assenza di questa visione unitaria del problema emerse in modo ancora più netto. LA RIVOLUZIONE DI LUGLIO IN FRANCIA I moti insurrezionali che coinvolsero a partire dall’inizio del 1831 i Ducati di Modena e di Parma e una parte dello Stato Pontificio apparvero una diretta ripercussione del nuovo contesto affermatosi in Francia dopo la rivoluzione del luglio 1830, in risposta alle ordinanze con le quali Carlo X voleva sospendere il regime costituzionale. Carlo X fuggì e finì in Francia la dinastia dei Borboni. I deputati, guidati dal generale La Fayette, dallo storico Thiers e del banchiere Lafitte, affidarono la corona a Luigi Filippo D’Orleans che divenne re con il titolo “re dei Francesi”, formula che stava ad indicare il carattere nuovo della sovranità del nuovo re, cioè che trovava la sua giustificazione e fonte di diritto nella volontà popolare e non come nella monarchia assoluta per cui il sovrano era tale per “grazia divina”. In Francia fu introdotta una nuova legge elettorale che allargò il suffragio favorendo soprattutto le forze borghesi, animatrici della rivoluzione di luglio, dal momento che il diritto di voto fu limitato ancora fortemente in base al censo. Molto importante fu inoltre la nuova linea di politica estera che la Francia annunciò di seguire, in base al principio del “non intervento”, per cui il governo Francese dichiarava che non avrebbe permesso l’intervento di uno Stato negli affari interni di un’altra nazione. Tale principio fu interpretato dall’Europa liberale come il segno di un diverso orientamento politico che segnava l’aprirsi di una crepa nel sistema monolitico e oppressivo della Santa Alleanza. I MOTI DEL 1831 Gli accadimenti francesi ebbero ripercussioni in tutta Europa: in Belgio, paese che dal Congresso di Vienna era stato unito all’Olanda ma che era profondamente contrario a questa unione imposta, scoppiò, nell’Agosto del 1830, una rivoluzione che portò all’indipendenza del Paese senza che il minacciato intervento della Santa Alleanza (Austria, Prussia e Russia) si potesse verificare, proprio grazie al comportamento della Francia, che fece valere il “principio del non intervento”. Anche la Polonia, che era stata unita forzatamente alla Russia dal Congresso di Vienna ma che aspirava all’indipendenza, nel Novembre del 1830 si sollevò contro lo Zar, avviando a Varsavia una rivoluzione che ottenne il favore di tutti i liberali europei ma che fallì (1831), riportando l’oppressione zarista nel Paese. Anche in Italia, la Rivoluzione di Luglio in Francia e la proclamazione da parte francese del principio del non intervento, che avrebbe dovuto frenare e contenere l’Austria, indussero all’azione un gruppo di patrioti liberali che da tempo lavoravano ad una trama cospirativa e che aveva il suo centro nel Ducato di Modena e faceva capo ad un giovane commerciante imprenditore, Ciro Menotti, il quale apparteneva al mondo delle sette e delle società segrete, lavorava da tempo al progetto di innescare un moto rivoluzionario che avrebbe dovuto estendersi allo Stato Pontificio e alla Toscana nella prospettiva del raggiungimento dell’unità italiana e di una monarchia costituzionale. CIRO MENOTTI E LA CARBONERIA Il mediatore con gli ambienti rivoluzionari fu Enrico Misley, che fin dal 1926 era entrato in contatto con il Duca di Modena Francesco IV, personaggio molto ambizioso che in un primo tempo entrò in contatto con i patrioti e appoggiò il progetto rivoluzionario, nella speranza di utilizzare gli eventi per diventare sovrano di un eventuale Regno dell’italia Centro – settentrionale che avrebbe potuto formarsi, in caso di vittoria. Francesco IV, quando capì che l’Austria e il Metternich avrebbero ostacolato qualsiasi modifica dell’assetto politico in Italia, fece arrestare nella notte fra il 3 e il 4 febbraio 1831 Ciro Menotti e gli altri cospiratori che erano sul punto di avviare il loro progetto. Il moto insurrezionale, tuttavia, scoppiò lo stesso, a Bologna, Reggio e tutti i principali centri delle Legazioni pontificie (cioè la Romagna con Pesaro e Urbino, oltre alle provincie attuali di Bologna e Ferrara, questi territori non erano amministrati dal Papa direttamente ma

attraverso “cardinali legati”) oltre che a Parma; dalle Romagne l’insurrezione si diffuse poi nelle Marche e trovarono rifugio presso gli Austriaci, rispettivamente a Parma e a Piacenza. Il Cardinale Benvenuti, inviato nelle Legazioni contro i rivoluzionari dal Pontefice appena eletto, Gregorio XVI, fu arrestato. L’insurrezione però rimase limitata a questi luoghi, non coinvolse la Toscana, il Lazio, la Lombardia, per cui l’Austria, intervenendo nel Marzo dei Ducati, riuscì ad avere facilmente ragione degli insorti e a restaurare l’ordine riportando sul trono i principi fuggiaschi. Il regime francese, deludendo le aspettative degli insorti, lasciò fare e non si mosse a difesa delle rivoluzioni italiane. Dopo aver occupato i ducati l’esercito austriaco, accertate le intenzioni della Francia, invase i territori pontifici e riuscì a sconfiggere a Rimini gli insorti. Il ritorno all’ordine nei Ducati e nei territori pontifici fu seguito dall’inevitabile repressione. Nel Ducato di Modena Ciro Menotti fu giustiziato, nello Stato Pontificio Gregorio XVI scatenò una reazione particolarmente dura contro gli insorti, che in parte riuscirono ad emigrare, in parte furono catturati e incarcerati. LA CRISI DELLA CARBONERIA Confrontati ai moti del 1820- 21, quelli che avevano coinvolto l’Italia centro-settentrionale nel 1831 presentavano alcuni elementi di novità: 1) Ebbero come protagonisti non solo i militari, quanto le forze borghesi con l’appoggio dell’aristocrazia liberale e in parte anche dei ceti popolari (ciò si verificò ad esempio nello Stato Pontificio dove persisteva una situazione di disagio economico e sociale e dove quindi la protesta contro il malgoverno pontificio era generale e condivisa anche dalle classi popolari. Qui il moto colse inizialmente un facile successo anche perché avvenne in una situazione di sostanziale vacanza del trono pontificio, simultaneamente cioè al Conclave da cui sarebbe stato eletto Gregorio XVI. 2) Altra novità fu il tentativo di collegare in parte i singoli moti insurrezionali, avvenuti nelle diverse città, facendo in modo di farli confluire in un moto unitario: nelle Legazioni fu infatti formato un Governo delle provincie unite che ebbe sede a Bologna e fu costituito un corpo di volontari con l’obiettivo di marciare verso Roma. Sul risultato dell’insurrezione pesò tuttavia il persistere dei contrasti e delle divisioni municipalistiche locali (Parma e Modena, ad esempio, vollero mantenere governi autonomi e non coadiuvarono da un punto di vista militare il Governo delle Provincie unite) ma anche il ripresentarsi del contrasto fra democratici e moderati, i primi determinati a prendere subito l’iniziativa e a muovere direttamente l’attacco allo Stato Pontificio, i secondi, troppo legati ad una strategia attendista che faceva affidamento nella presunta opposizione della Francia ad un intervento austriaco, orientato in senso reazionario, in Italia. I limiti e le insufficienze dell’organizzazione settaria, che aveva preparato il moto, si rivelarono gravi: i programmi erano indeterminati, vaghi. Per tale motivo i fallimenti dei moti del ’31 posero fine alla fase delle sette e delle congiure carbonare. Dalla crisi della Carboneria, dall’elaborazione svolta sulle esperienze di quegli anni, sui motivi liberali e sull’emergere dell’idea nazionale, si definì il programma unitario e rivoluzionario di Giuseppe Mazzini. LA CRISI DELLA CARBONERIA E DEL MONDO DELLE SOCIETA’ SEGRETE Il fallimento dei moti del 1831 , che avevano coinvolto l’Italia Centro settentrionale, sancirono la crisi definitiva della Carboneria e del mondo delle società segrete, facendo emergere le insufficienze di fondo della loro strategia di azione: 1) la tendenza a cercare per le imprese rivoluzionarie il sostegno da parte dei sovrani che poi si comportavano in maniera ambigua e talvolta si rivelavano addirittura traditori; 2) la mancanza di capacità di iniziativa autonoma e l’adozione di una tattica attendista che si affidava alla speranza di un intervento risolutore da parte di potenze straniere; 3) il carattere segreto: gli obiettivi e le aspirazioni ideali che formavano i moti dovevano rimanere segreti o comunque sconosciuti, fatto che impediva un’ampia partecipazione popolare alle insurrezioni; 4)la mancanza di una direzione unitaria delle insurrezioni capace di riassumere e far convergere i diversi progetti rivoluzionari nell’ambito di una

prospettiva unitaria e nazionale. Sebbene già a partire dai primi anni dell’Ottocento, soprattutto nell’ambito dell’emigrazione italiana, fossero stati elaborati programmi unitari e repubblicani, l’emergere dell’istanza unitaria si verificò solo a partire dagli anni ’30, solo da questa data si iniziò a definire ed affermare tra i patrioti di tendenza democratica un’idea di unità italiana da raggiungersi attraverso una lotta di popolo e non con rivoluzioni promosse in ambiente settario, magari cercando l’appoggio di qualche sovrano o principe. IL PENSIERO DI GIUSEPPE MAZZINI Giuseppe Mazzini è stato un esponente di spicco nel nostro Risorgimento nazionale ma anche importante figura della sinistra italiana. Mazzini (1805 – 1872) apparteneva all’età e alla cultura romantica ottocentesca, veniva dal mondo delle sette, delle società segrete, aveva fatto parte della Carboneria e avuto contatti con Filippo Buonarroti, ultimo profeta della stagione delle società segrete. Mazzini, pur venendo da questo mondo formato sull’elemento essenziale della segretezza, se ne allontanò nel 1831, costituendo una nuova organizzazione insurrezionale, La Giovine Italia che operava, si, nella clandestinità ma aveva un programma omogeneo (aveva come riferimento l’intero popolo italiano, non aveva carattere localistico) e pubblico, doveva essere propagandato al popolo, così da essere educato politicamente. LA GIOVINE ITALIA COME ANTECEDENTE DEL MODERNO PARTITO POLITICO Il carattere pubblico del programma era un’assoluta novità, tanto che alcuni studiosi come Franco Della Peruta, definivano la Giovine Italia come il primo partito in senso moderno per alcuni suoi caratteri che presentava: la dimensione nazionale, la diffusione territoriale, il programma pubblico e il carattere popolare. Anche M. Ridolfi individua nella Giovine Italia tratti caratteristici del moderno partito politico, rimarcando come essa presentasse: un programma pubblico e definito, una dimensione organizzativa stabile, ramificata in un Congreghe locali coordinate a livello centrale, l’autofinanziamento garantito dall’adesione individuale, un sistema di comunicazioni interne assicurate dai cosiddetti viaggiatori, un corpo dirigente selezionato e preparato, l’indicazione di un modello di organizzazione sociale da perseguire come obiettivo. LA GIOVINE ITALIA E LA CRITICA AL SETTARISMO Con l’organizzazione della Giovine Italia, Mazzini esprimeva la sua critica nei confronti del settarismo (il mondo delle sette) e definiva il suo obiettivo nella Rivoluzione Nazionale. Egli rimarcava: a) l’insufficienza programmatica sulla quale si basava la realtà delle sette, che aveva carattere locale, non in grado quindi di avere una visione provinciale e regionale del problema italiano; b) nei programmi delle sette si palesava l’incapacità di riconoscere l’esigenza della rivoluzione e della conquista politica del popolo; c) nei piani settari emergeva una sfiducia verso se stessi e nelle proprie potenzialità, per cui si finiva per adottare un atteggiamento attendista, di attesa dell’aiuto straniero. MAZZINI E LA RIVOLUZIONE NAZIONALE La Rivoluzione Nazionale si fondava su tre elementi fondamentali: l’Unità, l’Indipendenza, la Repubblica

Il primo obiettivo della Rivoluzione Nazionale era l’Unità, cioè l’instaurazione di una Repubblica unitaria, come scritto nel programma della Giovine Italia. Il secondo obiettivo era quello della lotta contro L’Austria per ottenere l’indipendenza nazionale. La Repubblica unitaria doveva poi essere democratica, cioè fondarsi

Democratica.

sul popolo, perché per fare la Rivoluzione Nazionale, era il popolo l’elemento decisivo, al quale fare appello. Con il concetto di popolo Mazzini faceva riferimento a quella parte di popolazione che si contrapponeva ai

privilegi, la moltitudine indifferenziata dei poveri. Un altro carattere fondamentale della Rivoluzione Nazionale di Mazzini era la sua concezione della rivoluzione fortemente spiritualista, intesa come una missione, una missione assegnata da Dio al popolo. Il suo concetto di Dio si differenziava da quello della chiesa, perché per lui Dio si identificava con l’umanità. Il programma mazziniano aveva anche una componente spiritualistico-religiosa, intesa come forza morale scaturita dalla fede. Mazzini si ricollegava alle idee di Henri de Saint – Simon espresse nell’opera Il Nuovo Cristianesimo pubblicata nel 1825. Influenzato dalla religione laica di Saint Simon, Mazzini sosteneva che la missione che Dio aveva assegnato agli uomini si traduceva verso la ricerca di un continuo progresso. Il Risorgimento Italiano per Mazzini è un avvenimento di portata universale: la missione dell’Italia doveva essere quella di realizzare, riscattando se stessa, la sconfitta dell’Austria (pilastro politico) e della Chiesa Cattolica (pilastro spirituale) e dar via al movimento progressivo dell’umanità intera. Questo compito importante non poteva essere svolto solo da una parte della nazione ma solo il popolo poteva realizzare questa missione di libertà e di progresso . La Rivoluzione Nazionale non doveva assumere il carattere di una rivoluzione sociale, di una lotta degli sfruttati contro le classi dominanti, ma avere come obiettivo quello dell’Unità e della Repubblica Democratica, e a tal fine doveva realizzarsi con la concordia di tutte le forze nazionali, a prescindere dall’appartenenza di classe, fattore che avrebbe potuto invece creare divisioni nel popolo....


Similar Free PDFs