Il Comportamento Prosociale PDF

Title Il Comportamento Prosociale
Author Stella Critelli
Course Psicologia Sociale
Institution Università telematica Universitas Mercatorum di Roma
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Appunti Psicologia Sociale...


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30 - IL COMPORTAMENTO PROSOCIALE L’obiettivo di questa lezione consiste nell’approfondire la genesi, le funzioni e i meccanismi del comportamento prosociale.Successivamente viene definito e analizzato il concetto di empatia collegato al comportamento prosociale.Infine, vengono analizzate analiticamente le varie fasi dello sviluppo del comportamento prosociale.

1. Introduzione Tra gli studi sullo sviluppo della prosocialità e sui fattori che determinano comportamenti prosociali, uno dei primi esperimenti fu quello di B. Latané e C.M. Darley (1968). La loro ipotesi era che la probabilità di attuare comportamenti altruistici dipenda anche da fattori relativi alla situazione. ESPERIMENTO I partecipanti alla situazione sperimentale dovevano parlare della loro esperienza di vita in una grande città e lo facevano restando chiusi ognuno nel proprio cubicolo, senza la possibilità di vedere gli altri soggetti sperimentali; erano comunque a conoscenza che negli altri cubicoli c’erano altre persone, ma in realtà a parlare erano delle registrazioni predisposte dagli sperimentatori. Durante il secondo giro di comunicazione, nella registrazione si ascoltava che il soggetto che precedentemente aveva raccontato di soffrire di crisi epilettiche aveva qualche difficoltà a parlare ed esplicitava che stava per avere un attacco epilettico. A questo punto si osservava che, quando il soggetto credeva che a parlare fossero solo lui e l’altro che si trovava in difficoltà, nell’85% dei casi interveniva in suo aiuto; quando credeva che oltre lui ci fosse un altro partecipante, la percentuale di intervento scendeva al 62%; se pensava che oltre lui ci fossero altre quattro persone ad assistere a quel malore, allora la percentuale scendeva al 31%. Gli Autori spiegarono questi risultati proponendo il concetto di diffusione di responsabilità; in questi casi le persone, non potendo osservare i comportamenti degli altri, pensano che qualcuno di questi abbia già provveduto a prestare soccorso. L’etologia e i suoi esponenti hanno spiegato l’altruismo e i comportamenti prosociali come necessari e funzionali per la conservazione della specie. ESEMPIO Nel regno animale (formiche, api) gli individui sterili spendono la loro vita nella protezione di quelli fecondi; in caso di pericolo, gli animali di alcune specie emettono suoni per comunicare il pericolo alla propria specie (Polmonari, Cavazza, Rubini, 2002) Atri Autori (Piliavin, Charng, 1990) hanno ricondotto il comportamento prosociale ad un vero e proprio tratto di personalità, asserendo quindi l’esistenza della personalità altruista. Questo tipo di personalità sarebbe associata ad altri tratti di personalità come: • un’alta stima di sé; • un'alta competenza morale; • un locus of control interno; • un basso bisogno di approvazione esterna; • un forte senso di responsabilità sociale.

Alcune ricerche (Bandura, 1997) hanno sottolineato che, a parità di struttura di personalità, il fattore più predittivo del comportamento prosociale di aiuto è la percezione della propria efficacia, quindi la consapevolezza di esser in grado di agire positivamente nelle varie situazioni.

Figura - Rapporto tra autoefficacia e comportamento prosociale Rispetto ai fattori causali del comportamento prosociale, S. Moscovici (1994) parla di tre forme di altruismo: • l’altruismo partecipativo riguarda tutti quei comportamenti che favoriscono la vita collettiva dei membri appartenenti alla stessa comunità. I soggetti in questo caso spendono le proprie energie per chi condivide con loro un’appartenenza sociale significativa (famiglia, chiesa, patria); • l’altruismo fiduciario ha il fine di costruire con l’altro un legame di confidenzialità e fiducia (ad esempio, nelle relazioni di buon vicinato); • l’altruismo normativo è basato sul principio della responsabilità e della solidarietà ed è regolato da norme formali (cassa integrazione, pensione sociale, sussidio di disoccupazione, eccetera). 2. Il ruolo dell’empatia M.L. Hoffman (1975) è tra quegli studiosi che hanno cercato di dare una spiegazione al comportamento prosociale a partire proprio dal ruolo che in esso gioca l’empatia, vista come l’elemento che precede l’attuazione di una risposta d’aiuto. Con il termine empatia ci si riferisce ad una particolare attivazione emotiva che rende le persone più disponibili alla comprensione, alla tenerezza, alla simpatia nell’osservazione di un’altra persona in difficoltà.

Chi osserva cerca di porsi nella prospettiva dell'altro/a in difficoltà per capire meglio la situazione in cui si trova, in quanto solo così potrà provare uno stato emotivo simile al suo. Questa capacità rende possibile un intervento di aiuto e spiega allo stesso tempo come le persone siano più disposte ad aiutare qualcuno se viene percepito simile a sé (Polmonari, Cavazza, Rubini, 2002). Nell’osservare in maniera empatica la sofferenza degli altri si possono provare due tipi di emozioni contrastanti tra loro che spingono la persona ad agire col fine di sollevare l’altra persona dalle sue sofferenze, ovvero: 1. una sorta di disagio personale; 2. una reale preoccupazione per la sorte dell’altro.

Cialdini ed altri suoi colleghi (Cialdini, Darby, Vincent, 1973) affermano che le persone con uno stato d’animo negativo in relazione all’osservazione empatica dell’altro agiscono una risposta altruistica non per reale interesse della sofferenza di quella persona, ma per migliorare il proprio umore. I comportamenti prosociali deriverebbero da una motivazione fondamentalmente egoistica e cioè quella di rimuovere la propria angoscia per la vista della altrui sofferenza. Questa ipotesi spiegherebbe anche perché gli individui non intervengono quando sanno che ci sono altre persone che potrebbero intervenire, così come abbiamo visto parlando della diffusione della responsabilità. Tuttavia, come hanno dimostrato alcune ricerche di Batson e dei suoi colleghi (1989), esistono anche situazioni in cui l’interesse per la sorte dell’altrui sofferenza è motivata da una reale capacità empatica visto che nonostante la persona avrebbe potuto scegliere la fuga come comportamento funzionale e giustificato, sceglie invece di prestare il proprio aiuto. A questo proposito, Batson e colleghi formulano il modello di empatia e altruismo, secondo cui la preoccupazione per le sofferenze degli altri è una valida spiegazione dei comportamenti prosociali e non corrispondono a regole di bilancio costi-benefici individuali.

Questa concezione è stata contrastata da uno studio di R.B. Cialdini e colleghi (1997) che hanno ripreso la concezione dell’essere umano come fondamentalmente egoista e hanno cercato di dimostrare come anche negli studi di C.D. Batson l’empatia per la sorte delle sofferenze altrui non fosse il fattore dominante, quanto piuttosto lo fosse il senso di unità interpersonale che l’osservatore provava verso la vittima. Ciò che intendono è che il comportamento altruistico può aversi solo se si pone una separazione tra sé e l’altro, quando invece questa separazione non è chiara in chi osserva, allora non si riescono a separare neanche le motivazioni altruistiche da quelle egoistiche; se il sé non è distinto dall’altro aiutarlo ha ripercussioni positive anche su se stessi. Il concetto di empatia in quanto capacità di sentirsi dentro l’altro, è caratterizzato da tre componenti fondamentali: 1. la presa di prospettiva, ovvero la capacità di identificare accuratamente lo stato emotivo e di percepire come le altre persone potrebbero rispondere ad una certa situazione, abilità che è primariamente cognitiva; 2. la risposta emotiva agli altri, le risposte emozionali empatiche rispecchiano le emozioni percepite, sebbene ci sia una gamma di sensazioni complementari che dovrebbero essere considerate empatiche; ad esempio, vedere l’angoscia di un bambino potrebbe evocare tristezza o compassione; 3. la premura, cioè il desiderio di aiutare. La premura non viene inclusa in nessuna definizione di empatia, ma è importante nella considerazione dei deficits degli autori di abuso sessuale.

L’empatia deve pertanto essere considerata come un processo stadiale che implica: • il riconoscimento delle emozioni attraverso la capacità di discriminare tra i propri e gli altrui stati emozionali; • la presa di prospettiva, che concerne l’assunzione da parte di chi osserva della prospettiva dell’altro; • la replicazione delle emozioni, cioè la risposta emozionale che replica l’emozione dell’altro; • la decisione di risposta, che implica la capacità di riflettere sui sentimenti espressi dall’altro e decidere di agire tenendo conto di questi o piuttosto di ignorarli. 3. Lo sviluppo del senso empatico La persona, dunque, per sviluppare un adeguato senso empatico deve aver raggiunto un’adeguata capacità di conoscenza e di differenziazione tra Sé e altro da sé. Secondo la teoria dello sviluppo di Piaget a due mesi circa inizia il superamento dell’egocentrismo radicale e il neonato comincia a differenziare tra se stesso e il mondo circostante. Tra i nove e i dodici mesi compaiono i primi segni di autoriconoscimento. A nove mesi il neonato discrimina i familiari dagli estranei, compare infatti la paura dell’estraneo e differenzia le persone in base all’età e al sesso. ESPERIMENTO Alcuni famosi esperimenti svolti macchiando di rosso il naso del bambino ignaro di ciò e mettendolo di fronte allo specchio hanno dimostrato come egli sia in possesso della capacità di autoriconoscimento (Lewis, Brooks-Gunn, 1979). Ripetendo lo stesso esperimento macchiando di rosso anche il naso della madre si vede che, tra i quindici e i diciotto mesi il, bambino posto davanti allo specchio si gira verso la madre aspettandosi di trovarla col naso macchiato ancor prima di mostrare di riconoscere se stesso allo specchio, forse perché ha più occasioni di vedere la madre che se stesso. I segni della vera costituzione del sé categorico – e dunque dello sviluppo dell’autoconsapevolezza – si manifestano chiaramente nel secondo anno di vita (Levorato, 2002). Inoltre, alla fine del secondo anno, i bambini e le bambine cominciano a mostrare anche l’attivazione di comportamenti prosociali, quali ad esempio consolare quando osservano nell’altro/a sentimenti negativi, come disagio o dolore. Questi comportamenti

mostrano l’inizio dello sviluppo dell’empatia come risposta affettiva che ha origine nello stato emotivo percepito nell’altro. In realtà le prime risposte innate di tipo empatico si possono riscontrare già nei neonati di pochi giorni che piangono se sentono piangere altri neonati. Tuttavia, in questa prima fase manca il requisito essenziale della risposta empatica: la differenziazione tra Sé e altro da sé. Il concetto di sé del bambino si sviluppa ulteriormente verso i tre anni, quando si presenta la capacità di elaborare costrutti psicologici autodescrittivi, anche se riferiti inizialmente solo a emozioni e intenzioni. Sempre in questa fase dello sviluppo compare nel bambino l’intuizione che i pensieri presenti nella sua mente non possono essere percepiti dagli altri. Ci interessa richiamare un passaggio fondamentale dello sviluppo psicosociale in cui viene acquisita la capacità prosociale del role taking, ovvero assunzione di ruolo. Tale forma di empatia, che compare verso i quattro anni, continuerà a svilupparsi ed a affinarsi ulteriormente nel corso dello sviluppo successivo ESEMPIO Durante l'età della scuola per l'infanzia i bambini, durante i giochi simbolici, assumono spesso ruoli diversi (il poliziotto, la fata, eccetera) riproducendone soprattutto gli aspetti esteriori del comportamento (mimando il gesto di sparare con la pistola o di usare la bacchetta magica), senza però cercare di "sentirsi come il poliziotto o la fata" o semplicemente comportandosi come loro, assumendo gli atteggiamenti tipici di tali ruoli, a differenza dei bambini più grandi. Tabella - Lo sviluppo della capacità empatica nel bambino...


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