Il comportamento prosociale PDF

Title Il comportamento prosociale
Author Rita Di Maggio
Course Psicologia sociale
Institution Università degli Studi di Palermo
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COMPORTAMENTO PROSOCIALE L’ALTRUISMO TRA SCIENZE SOCIALI E VITA QUOTIDIANA Le scienze sociali hanno ereditato il concetto di altruismo dalla filosofia, nella quale coincide con una sorta di qualità morale e indica l’interesse per il benessere altrui senza tornaconti personali. Nelle scienze sociali ha preso il suo posto il concetto di comportamento altruistico, del quale possiamo individuare alcune varianti: Comportamento altruistico: azione intrapresa per promuovere il benessere o alleviare la sofferenza altrui senza che da questa discenda un vantaggio per chi la compie; Comportamento prosociale: azione volta a favorire un altro individuo che può comportare o meno una ricompensa simbolica o materiale. Ciò che lo distingue da un comune scambio economico è il fatto che la ricompensa non è commisurata all’aiuto fornito; Comportamento d’aiuto: azione volta a permettere a un’altra persona di portare a termine un compito che da sola non sarebbe riuscita a svolgere. Ogni comportamento altruistico è prosociale ma non tutti i comportamenti prosociali possono dirsi altruistici; mentre il comportamento d’aiuto può essere sia altruistico sia prosociale a seconda che chi lo mette in atto si aspetti un riconoscimento per quello che ha fatto. Inoltre il comportamento economico può essere dettato da un tornaconto economico (professioni sanitarie o socioassistenziali) e in questo caso non si può considerare né altruistico né prosociale. IL CERVELLO SOCIALE ALLA SCOPERTA DELLE INTENZIONI ALTRUI I comportamenti altruistici presuppongono delle abilità alla base delle relazioni interpersonali quali la capacità di comprendere le emozioni e le intenzioni degli altri e di entrare in sintonia con essi, note rispettivamente come “teoria della mente” (ToM) e “empatia”, che rientrano nei processi di cognizione sociale, ovvero i processi cognitivi coinvolti nella comprensione, immagazzinamento ed elaborazione delle informazioni su sé e gli altri. Nella nozione di empatia si possono individuare due componenti: una cognitiva (come l’assunzione di prospettiva, che consente di comprendere ciò che gli altri pensano o provano proiettandosi nel vissuto di una loro vicenda) e una emotiva (che determina la condivisione e partecipazione alla condizione emotiva altrui), dove la componente emotiva non presuppone necessariamente quella cognitiva. L’empatia ha una natura multidimensionale connessa anche a processi di mentalizzazione, ovvero che consentono di attribuire agli altri stati mentali come credenze, desideri, intenzioni globalmente definiti ToM, dove ha avuto un ruolo determinante la scoperta dei “neuronispecchio”. Questi hanno la proprietà di attivare delle risposte motorie e sensoriali in risposta all’osservazione di un oggetto o di un’azione effettuata da se stessi o da un’altra persona, che sembrano essere alla base dell’apprendimento imitativo (capacità di imparare a eseguire un’azione a partire dalla sua osservazione) e dell’intersoggettività. Empatia e ToM sono accomunate dalla capacità di simulare internamente le azioni, emozioni, sensazioni, propositi altrui mediante un processo noto come “simulazione interna o incarnata”, con la differenza che nell’empatia la risonanza interiore dell’esperienza altrui non si limita alle azioni ma si estende all’ambito sensoriale e affettivo come disgusto e dolore. Il processo di simulazione interna risulta compromesso nell’autismo, disturbo dello sviluppo che colpisce le abilità interpersonali descritte nei quali sono

implicati i neuroni-specchio; ne sono sintomi infatti l’alterazione delle capacità comunicative e sociali e la lentezza nel comprendere pensieri e sentimenti degli altri, nell’assumerne la prospettiva e prevederne le azioni. Il sistema ToM gioca un ruolo anche nel processo inferenziale che consente di comprendere un particolare tipo di intenzioni. Degli studi hanno dimostrato che le intenzioni di un agente possono essere descritte in una gerarchia dove possiamo distinguere: movimenti semplici (allungare il braccio verso un biscotto), obiettivi dell’azione (raggiungere il biscotto), obiettivi immediati (prendere il biscotto). Quest’ultimo rappresenta un basso livello di intenzionalità che riguarda il “cosa” di un’azione, mentre mangiare, ad esempio, rappresenta un livello più elevato perché riguarda il “perché” di un’azione. Un’intenzione può implicare altre intenzioni a lungo temine, non immediatamente inferibili dalla scena osservata (possono prendere il biscotto per mangiarlo, perché cenerò tardi per completare la stesura di un articolo). ToM permette di inferire questo tipo di intenzioni. LE BASI NEURO-BIOLOGICHE DEL COMPORTAMENTO PROSOCIALE L’esistenza di comportamenti altruistici in senso stretto è stata messa in dubbio da alcuni sociologi che vedono in essi la possibilità di un beneficio seppur non materiale per il soggetto “altruista” come gratificazione e autorealizzazione. I modelli più recenti hanno posto l’accento sulle emozioni negative che possono essere suscitate da un comportamento egoista e che motivano comportamenti altruistici perché “fanno stare bene”. Dietro questi comportamenti troviamo fattori cognitivi ed emotivi quali: cooperazione (che aumenta il benessere in una società e in assenza di istituzioni preposte al suo mantenimento necessita di punizioni per chi viola le norme sociali, punizioni che implicano dei costi personali ma sono incentivate dalle emozioni negative che derivano dalla violazione della cooperatività); senso di equità (sentimento naturale sul quale la corteccia prefrontale è in grado di esercitare un’influenza: sembrerebbe infatti che quando questa viene deattivata, seppure i soggetti siano consapevoli dell’iniquità dell’offerta ricevuta, la accettino lo stesso perché non ne tengono conto quando decidono); empatia (se un comportamento egoista provoca nell’altro una sofferenza che si rivive internamente mediante un meccanismo di risonanza a specchio, l’anticipazione di queste emozioni potrebbe rappresentare uno dei meccanismi che inibiscono questi comportamenti a favore di altri più cooperativi); punizione altruistica (che consiste nell’anticipazione del piacere della vendetta ovvero della gratificazione materiale o simbolica – come approvazione e autorealizzazione – derivante dal punire i violatori dei sentimenti di equità e reciprocità); reciprocità (tendenza a ripagare con la stessa moneta i comportamenti positivi o negativi altrui). Il ruolo di questi fattori sulla produzione di comportamenti altruistici è stato esaminato attraverso dei compiti di scelta strategica, di cui esistono due tipi: quelli in cui le scelte effettuate da due individui avvengono in contemporanea e quindi ognuno deve anticipare le scelte dell’altro, e quelli in cui le scelte non avvengono in contemporanea e quindi la decisione del secondo giocatore dipende dalla scelta del primo che a sua volta deciderà anticipando l’influenza della sua scelta sull’altro. Esempi di quest’ultimo tipo sono: dictator game (un giocatore sceglie quanto essere equo ovvero quale percentuale di una dotazione fissa di denaro vuole donare a un altro giocatore che non ha potere), ultimatum game (il giocatore che riceve l’offerta può accettarla o rifiutarla) e trust game (il primo giocatore decide se tenere per sé tutta la dotazione o investirne una parte affidandola al secondo giocatore); tutti giochi che rappresentano la tensione tra un interesse egoista e la tendenza all’equità e la reciprocità. Dai risultati ottenuti si può ipotizzare che le

emozioni negative derivanti da un’offerta iniqua siano dominanti rispetto all’anticipazione della gratificazione monetaria. MODELLI PSICOLOGICI DI HELPING BEHAVIOR Il comportamento altruistico si verifica soprattutto nelle situazioni in cui una persona si trova di fronte a qualcuno in difficoltà e decide di intervenire o meno (effetto testimone, detto “implicito” quando l’apatia e quindi il mancato intervento si verifica semplicemente attivando nella mente un gruppo virtualmente immobile).  Modello di Latanè e Darley Modello stadiale che prevede precise condizioni che devono verificarsi prima che gli individui intraprendano un comportamento d’aiuto in una situazione di emergenza: 1. Accorgersi dell’emergenza 2. Interpretare l’evento stesso come situazione di emergenza 3. Assumersi la responsabilità dell’intervento, decidere cioè che il soccorso dipenda da lui e non da qualcun altro 4. Sapere cosa fare 5. Decidere di intervenire Quando un individuo non coglie immediatamente l’emergenza di una situazione osserva cosa fanno gli altri presenti. Se essi sono altrettanto incerti può aver luogo un fenomeno di ignoranza collettiva in cui le persone non intervengono perché nel tentativo di comprendere quello che sta accadendo diventano esempio di passività e indifferenza gli uni per gli altri. Oppure si può verificare la diffusione della responsabilità, un alleggerimento della responsabilità individuale che porta a ritenere che vi sia qualcun altri pronto ad assumersi l’impegno di intervenire e che è condizionata dal numero di presenti: chi si trova a essere unico testimone di una situazione critica avverte una forte sollecitazione a darsi da fare; chi assiste a un evento critico insieme ad altre persone invece non avverte il dovere di aiutare e di conseguenza avverte meno anche la disapprovazione per non essere intervenuto che al pari della responsabilità si diffonderà tra ogni testimone. Cosa simile è la confusione di responsabilità, con la quale in presenza di altre persone un testimone si frena dal dare aiuto per il timore di essere percepito come il responsabile del problema, perché nella nostra società ci si aspetta che le persone aiutino coloro al quale hanno arrecato un danno. Teorie classiche sull’altruismo Gli psicologi vedono alla base del comportamento altruistico due motivazioni: egoistica (chi aiuta lo fa per migliorare il proprio benessere personale) e altruistica (chi aiuta ha come unico desiderio migliorare il benessere dell’altro) e riconoscono nell’attivazione fisiologica un elemento fondamentale in quanto le situazioni in cui qualcuno è in difficoltà suscitano delle emozioni sui potenziali aiutanti, emozioni determinate da come essi interpretano l’attivazione che stanno provando (rabbia, paura, turbamento, angoscia, compassione…). L’emozione è determinata da due fattori: la natura dell’evento e l’interpretazione che le persone fanno del bisogno della vittima che possono essere attribuzioni causali, interne e controllabili o esterne e non controllabili, dove quest’ultime generano una maggiore predisposizione all’aiuto.

FINI EGOISTICI:   

RIDURRE L’ATTIVAZIONE NEGATIVA (MODELLO EMPATIA-ALTRUISMO) EVITARE PUNIZIONI SOCIALI (EMPATHY-SPECIFIC PUNISHMENT) OTTENERE RICOMPENSE (MODELLO DEL SOLLIEVO DALLO STATO D’ANIMO NEGATIVO)

 Ipotesi della riparazione dell’immagine Alcune emozioni negative possono favorire il comportamento d’aiuto, come il senso di colpa provato quando le persone deviano dai propri standard personali e sono disposti ad aiutare non solo la persona verso cui hanno mancato ma anche altre persone che hanno bisogno e con quell’esperienza non centrano nulla, perchè sentono minacciata la propria autostima e con il comportamento altruistico hanno la possibilità di vederla risanata.  Modello del sollievo dallo stato d’animo negativo Recare danno a una persona o assistere a una situazione in cui qualcuno riceve un danno genera sentimenti negativi come colpa o tristezza che siamo motivati a ridurre. Con l’esperienza abbiamo imparato che aiutare può servire a sentirsi meglio (ricompensa). A differenza dell’ipotesi della riparazione dell’immagine questo modello suggerisce che le persone sono motivate a sentirsi meglio, più che a sembrare buoni. I tre assunti principali di questo modello sono: 1. Lo stato negativo può avere origine da fonti differenti (esperienza personale o semplice osservazione di una situazione spiacevole) 2. Altri eventi oltre all’aiuto possono far sentire meglio la persona che mette in atto comportamenti altruistici solo se non ha la possibilità di risollevare in maniera diversa il proprio umore 3. Le persone con umore negativo sono motivate ad aiutare solo se sono convinti che il soccorso prestato migliorerà il proprio umore  Modello attivazione costi-benefici Essere testimoni della sofferenza di un’altra persona genera un’attivazione che motiva ad agire e l’azione è orientata da un’analisi in termini di costi-benefici. A differenza del modello del sollievo dallo stato d’animo negativo l’attivazione negativa motiva a intervenire solo se viene attribuita alla sofferenza dell’altra persona e l’attivazione può influenzare il modo in cui le persone percepiscono i costi e i benefici di un’azione. Si assume infatti che a lungo andare un comportamento teso ad aiutare gli altri è vantaggioso sia per coloro che lo offrono sia per coloro che ne beneficiano. Alla base di questo pensiero c’è la teoria dello scambio sociale secondo cui le interazioni umane sono caratterizzate dallo scambio non solo di beni materiali e denaro ma anche di beni sociali come amore, assistenza, informazioni, status e le persone mirano a conseguire il massimo piacere al minimo costo (“mini-max”). Quindi, essendo gli individui razionali e concentrati sul proprio interesse, prima di prestare aiuto analizzano le circostanze e aiutano solo quando percepiscono che i benefici saranno maggiori dei costi. Costi e benefici possono scaturire sia dal dare che non dare aiuto. Nel primo caso i benefici possono essere: la possibilità che qualcuno ci restituisca l’aiuto in futuro,

l’approvazione sociale, l’innalzamento dell’autostima, la possibilità di alleviare il senso di colpa derivante da un eventuale non intervento.  Modello empatia-altruismo Daniel Batson, pur riconoscendo che la maggior parte dei comportamenti altruistici ha una motivazione egoistica, ammette che l’altruismo vero e proprio possa esistere. Secondo il suo modello assistere alla sofferenza di un individuo può generare due risposte emotive: dispiacere egoistico e preoccupazione empatica, che indirizzano due differenti motivazioni ad aiutare: il primo genera un desiderio interessato a ridurre lo stress personale, l’altro invece suscita un desiderio altruistico di ridurre il disagio del prossimo. L’altruismo propriamente detto entra in gioco in quest’ultimo caso (empatia). Esperimenti di Batson: un soggetto posto di fronte alla sofferenza di una vittima ha la possibilità di aiutare o abbandonare la situazione, come nel caso in cui ai partecipanti che osservano un soggetto ricevere delle scosse elettriche viene data la possibilità di aiutare la vittima ricevendo loro stessi le scosse. 2 VI: fuga facile (non osserveranno più la vittima ricevere scosse) – fuga difficile (continueranno a osservare); empatia (metà dei soggetti sono informati di avere caratteristiche simili a quelle del complice dello sperimentatore e l’altra metà di avere profonde differenze di personalità). L’ipotesi empatia-altruismo prevede che i soggetti con alta empatia aiuteranno anche nella situazione di fuga facile e i risultati hanno confermato questa ipotesi.  Empathy-specific punishment Alternativa egoistica che afferma che le persone hanno appreso attraverso la socializzazione che quando si avverte un sentimento di empatia nei confronti di qualcuno in difficoltà si avverte anche il dovere di prestare aiuto e in mancanza di gesti altruistici un conseguente senso di vergogna o colpa. Il fine ultimo è quello di evitare una punizione sociale e cioè un senso di vergogna o colpa. Questa prospettiva ruota intorno alla possibilità di fornire una giustificazione per il rifiuto di aiutare. In questa direzione sono stati messi in atto degli esperimenti in cui viene manipolata la quantità di giustificazioni disponibili per un comportamento di evitamento. Ma se chi aiuta lo fa per un motivo veramente altruistico, il fatto di avere delle giustificazioni non dovrebbe incidere sulla probabilità di prestare soccorso. Anche in questo caso infatti i risultati hanno confermato l’ipotesi empatiaaltruismo. Intervento delle norme sociali Le teorie normative sul comportamento d’aiuto sostengono che le persone aiutano gli altri perché subiscono il peso delle aspettative-norme sociali che sono state interiorizzate nel corso del processo di socializzazione. Le norme sociali sono dunque regole implicite che prescrivono quali sono i valori, comportamenti, credenze accettabili in un gruppo e che dovrebbero guidare il comportamento dei suoi membri. Alcune favoriscono altre inibiscono il comportamento altruistico. Favoriscono il comportamento altruistico: 

Norma della reciprocità (prescrive di restituire i favori ricevuti; gli individui dovrebbero aiutare coloro che li hanno aiutati in passato e non aiutare chi invece ha negato loro l’aiuto. Questa norma può influenzare il nostro comportamento in modo più generale, è probabile infatti che quando non possiamo restituire a qualcuno il favore che ci ha fatto ricambiamo lo stesso favore a qualcun altro)





Norma dell’equità (l’equità esiste quando c’è equilibrio tra ciò che le persone danno e ricevono da una relazione; quando percepiscono uno squilibrio sono motivate a ripristinare l’equità quindi le persone che hanno ingiustamente ricevuto benefici scelgono di devolvere parte del proprio compenso. Alla base di questa norma c’è la percezione di essere stati ricompensati più del dovuto) Norma della responsabilità sociale (ci impone di aiutare chi non può aiutare se stesso, e più forte è la percezione che le persone in difficoltà dipendano da noi più sarà elevato il livello di responsabilità sociale che si attiva in noi per la “percezione della dipendenza”. Infatti quando il bisogno di aiuto viene collegato a una responsabilità personale della persona in difficoltà – colpa – nasce un sentimento di biasimo verso questa persona che prelude il soccorso)

Inibiscono il comportamento altruistico: 

 

Credenza in un mondo giusto (è la credenza che le cose positive accadono alla persone buone e quelle negative alle persone cattive quindi piuttosto che aiutare la vittima uno potrebbe convincersi che abbia ottenuto ciò che si merita e di conseguenza negarle l’aiuto) Norma di autosufficienza (ognuno deve badare a se stesso) Norma della privacy familiare (impone di evitare di fornire aiuti non richiesti e di intromettersi in situazioni in cui è importante rispettare la privacy altrui)

Comportamento altruistico nelle relazioni intergruppo Le teorie dell’identità sociale e dell’autocategorizzazione suggeriscono che l’appartenenza di gruppo influenzi l’aiuto, infatti le persone sono più altruiste verso i membri dell’ingroup e il favoritismo ingroup aumenta quando viene percepita una minaccia nei suoi confronti. Inoltre le relazioni intergruppo sono sbilanciate in termini di status e potere e quindi i soggetti dei gruppi a status inferiore tendono a favorire l’outgroup adottando delle strategie per superare l’incoerenza che ne deriva. Ora pure le relazioni d’aiuto sono sbilanciate: chi porge aiuto ha sufficienti risorse da destinare a chi lo riceve che a sua volta dipende dalla volontà di chi aiuta. Secondo alcuni autori questo squilibrio potrebbe portare il beneficiario a vivere l’aiuto come esperienza di minaccia del sé, infatti spesso le persone sono refrattarie e resistenti all’aiuto. Questo dipende però dal tipo di aiuto: Nadler distingue l’aiuto orientato alla dipendenza e l’aiuto orientato all’autonomia. Il primo si riferisce a una situazione in cui chi aiuta fornisce una piena soluzione al problema perché ritiene che il bisognoso non può farcela da solo; se il destinatario condivide l’idea che non può farcela da solo accetterà l’aiuto perché non contraddice l’idea che ha di se stesso, se invece ritiene che può farcela da solo rifiuterà l’aiuto perché contraddice l’idea che ha di sé. Il secondo riflette l’idea di chi aiuta che fornendo gli strumenti appropriati il bisognoso potrà farcela da solo e permette a chi riceve aiuto di mantenere la propria autostima. Quando le differenze di status sono percepite stabili e legittime si può prevedere che i gruppi a status superiore tenteranno di mantenere il proprio vantaggio sociale offrendo un aiuto orientato alla dipendenza (?) che i destinatari di contro tenderann...


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