Il cristianesimo dal Concilio di Nicea al Concilio di Calcedonia PDF

Title Il cristianesimo dal Concilio di Nicea al Concilio di Calcedonia
Course Storia romana
Institution Università degli Studi di Genova
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Summary

Relazione sull'evoluzione del Cristianesimo dal Concilio di Nicea a quello di Calcedonia

...


Description

Manuel Mutero Il Cristianesimo dal Concilio di Nicea (325 d.C.) al Concilio di Calcedonia (451 d.C.)

INTRODUZIONE

I 125 anni che intercorrono tra il Concilio di Nicea (325 d.C.) e quello di Calcedonia (451 d.C.) costituirono per la Chiesa Cristiana un periodo di radicale e assoluta novità destinato a segnare la storia durevolmente e per molti aspetti ancora fino ai giorni nostri. Vi si definì infatti un nuovo rapporto della chiesa con lo stato, si accelerò e si estese il processo di diffusione del Cristianesimo anche al di fuori dell'Impero romano, si crearono strutture e si elaborarono orientamenti che avrebbero retto per secoli la vita delle chiese e permeato di sé la società, si arricchì e precisò il pensiero cristiano attraverso le tormentose e anche drammatiche vicende delle controversie dottrinali e di una lunga stagione di concili; la cultura cristiana ebbe il suo periodo d'oro per l'apporto di intellettuali geniali, da Eusebio di Cesarea ad Agostino d'Ippona. Tutta la società passò per una radicale ristrutturazione poiché si modificò la base stessa del vivere sociale: venne ripensato il rapporto tra la dimensione terrena e l'aldilà, tra l'osservanza religiosa e il servizio dello Stato. 1. Il donatismo, l'arianesimo e il Concilio di Nicea Le principali controversie che travagliarono il cristianesimo al tempo di Costantino sono connesse alla diffusione di due movimenti: l'arianesimo e il donatismo. Quest’ultimo interessò quasi esclusivamente l'Africa romana. La Chiesa donatista si presentava come una chiesa scismatica, la “vera Chiesa, la Chiesa dei puri, dei martiri, dei santi”. Ora però concentriamoci su Ario. Egli era un colto presbitero alessandrino che visse e insegnò ad Alessandria tra la fine del III e l'inizio del IV secolo d.C. Argomento principale della sua riflessione teologica era la cristologia e più in particolare il rapporto che intercorreva tra Gesù cioè il Figlio e Dio in quanto padre. Ario negava la piena divinità di Gesù, riducendo il Cristo alla primissima, superiore, più alta creatura di Dio venuta ad essere ab eterno ma non per questo della stessa natura del padre. Il Figlio è sì il grande essere divino e lo strumento per la creazione del mondo, ma proprio per questo, egli è sostanzialmente diverso dal Padre, non della stessa essenza del Padre, ma piuttosto dissimile rispetto all'essenza del Padre. In questo modo Ario intendeva difendere nella maniera più risoluta il monoteismo. Il suo Dio, in quanto sostanza trascendente, inattingibile, ingenerata, senza inizio, eterna, immutabile, non può avere un Figlio in senso vero. Il Figlio può venire detto “Dio” solo in senso analogico in virtù della grazia del Padre, che a lui, come a tutte le creature, concede soltanto di partecipare alla sua divinità. Ciò spiega perché, secondo Ario, il “Padre” sia alla fine “inconoscibile” per questo Figlio, perché quindi il “Figlio” non conosca il “Padre, nelle sue profondità ultime”. L'arianesimo ebbe un successo tale da causare accanite controversie tra seguaci e avversari. Ario fu invitato a ritrattare inutilmente le sue posizioni, Ario venne condannato e scomunicato assieme ai suoi seguaci più convinti da un concilio di 100 vescovi egiziani e libici e fu costretto a lasciare Alessandria. La controversia tuttavia si allargò. In breve tempo furono coinvolte tutte le chiese d'oriente. A questo punto intervenne Costantino. Egli in una lettera riportata dagli antichi storici (Eusebio di Cesarea e Socrate) rimprovera Ario e il vescovo Alessandro e li invita a ricomporre la Chiesa. Qualche tempo dopo Costantino si decise a convocare un concilio a Nicea, in Bitinia, nel 325 d.C. L'assise fu inaugurata il 20 maggio dello stesso anno. I partecipanti furono poco meno di 300, erano nella stragrande maggioranza orientali, soltanto cinque vescovi provenivano dall'Occidente. Il vescovo di Roma, Silvestro, mandò due suoi delegati. I lavori si svolsero nel palazzo imperiale. Dopo lunghi e aspri dibattiti si adottò una professione di fede

battesimale nella quale figuravano delle affermazioni chiaramente antiochiane, tra le quali la seguente che si riferiva così a Gesù: “Dio vero da Dio vero, generato, non creato, dalla stessa sostanza del Padre”. L'unità di Cristo con Dio doveva venire sottolineata dalla parola di nuovo conio “homooúsios” = “uguale per essenza” o “uguale per sostanza” (al Padre). La confessione nicena provvedeva in primo luogo a definire il verbo, Gesù Cristo, figlio di Dio e Dio come il Padre, da lui generato ma non di fatto creato, consustanziale con lui e nominava fuggevolmente lo Spirito Santo, in secondo luogo rifiutava le dottrine di Ario, anatematizzate semplicemente come le teorie che ritengono il Figlio di sostanza diversa, creato e mutevole. ll concilio di Nicea fu sottoscritto così da tutti i vescovi convenuti ad eccezione di Ario e i suoi sostenitori, i quali conobbero i rigori dell'esilio. “L'incendio sembrava domato”. Sembrava ma non era. Le decisioni prese a Nicea si rivelarono ben presto fragili. Soltanto dopo tre mesi due vescovi ritirarono la loro firma, tra questi c'era Eusebio di Nicomedia. Il quasi umanesimo niceno della prima ora andò ben presto infrangendosi e per più motivi. Il tempo era arduo, la dottrina di Nicea era stata formulata con una terminologia estranea alle Sacre Scritture e ciò suscitava le perplessità del popolo cristiano. Le diverse tradizioni teologiche con una diversità marcata tra l'Occidente più attento all'unità a scapito delle individualità del Padre a e del Figlio, e l'Oriente che invece sottolineava queste ultime, non si erano ancora pienamente confrontate e non avevano chiarito le rispettive posizioni. Il livello di litigiosità dei vescovi era notevole e sempre più lo sarebbe stato anche in occasione di successive dispute. Ario nel 336 fu riabilitato e morì sul punto di ritornare ad Alessandria, l'anno dopo morì Costantino che in punto di morte a Nicomedia si fece battezzare proprio dall'ariano Eusebio. 2. Dal dopo Costantino al Concilio di Costantinopoli Nel 337 dopo la morte di Costantino tre suoi figli si divisero le regioni dell'Impero. Costantino II regnò sulla Gallia, la Britannia e la Spagna, Costante sull’ Italia, l’Illirico e l’Africa, Costanzo II sulla Tracia e sull’Oriente. Ma le tensioni scoppiarono ben presto. Costantino II morì nel 340 scontrandosi con Costante, il quale si suicidò nel 350 incalzato dalle truppe del traditore Magnenzio che a sua volta fu sconfitto da Costanzo II nel 353. Nel periodo in cui Costante e Costanzo II regnarono rispettivamente la parte occidentale e quella orientale, la controversia ariana riprese e gli imperatori favorirono il partito religioso maggioritario nei rispettivi domini, quindi Costante appoggiava i Niceni e invece Costanzo II appoggiava quel vasto e variegato fronte ostile alla formula nicena ma che non poteva dirsi semplicemente ariano. La politica di Costanzo II fu in linea con quelle del padre, ma non ne ebbe la misura poiché fu caratterizzata da una normazione che già esplicitava un privilegio per le chiese e che nei fatti mortificava i culti tradizionali pagani. A Costanzo II risale una legge del 341 tendente a far cessare la superstitio e l“insania dei sacrifici”. In questo periodo crebbero le leggi sulle immunità e i privilegi concessi al clero limitati tuttavia dalle correzioni richieste dagli abusi verificatisi. Malgrado il loro rigore e la loro reputazione, le leggi di Costante e Costanzo non fecero sparire le pratiche pagane e molte altre ne sarebbero state di volta in volta emanate da imperatori successivi. Il processo di cristianizzazione della società imperiale fu molto lento. L'imperatore Giuliano tentò di arrestare il processo di cristianizzazione. Giuliano regnò dal 361 al 363. L'imperatore che i cristiani definirono «l’Apostata» mirò a spogliare la Chiesa dei suoi privilegi e a ringiovanire la paideia tradizionale e con questa la devozione per gli dei antichi. La sua politica fu così diametralmente opposta a quella di Costantino. Anche Giuliano si dedicò alle contraddizioni delle Scritture, insistendo su quelle tra le varie versioni. Il tema centrale dell'opera “Contro i Galilei” è la Cristologia. Il bersaglio principale di Giuliano era la dottrina nicena, della piena equiparazione delle persone divine e con questa l'evangelista Giovanni, che al contrario degli altri tre aveva identificato «il Galileo» con il Logos e il Dio stesso. Filigrana del pensiero di Giuliano era comunque una contrapposizione tra l'esemplare di paideia classica, feconda di pensiero e di arte, e la dottrina dei Galilei considerata una degenerazione dell'ebraismo. Di conseguenza egli promosse un allontanamento dei docenti cristiani dall'insegnamento, i quali non credendo nei

confronti di quella letteratura che insegnavano, avrebbero costituito riprovevole esempio di incoerenza. Dopo Giuliano ci fu il regno di Gioviano dove però non si trovano politiche religiose degne di nota. Dopo Gioviano il regno passò a Valentiniano I e al fratello Valente I. Con loro l'Impero tornò ad essere diviso in due parti. Non si segnalarono grandi interferenze nell'ambito religioso da parte dei due sovrani. Dopo di essi troviamo nel 375. Graziano a cui fu affiancato il fratello Valentiniano II. A Graziano si deve la sferzata antipagana del biennio 382-383. Fu allora che egli decise di sottrarre i fondi destinati ai sacerdozi pagani e quelli a sostegno del vetusto collegio delle vestali di Roma e rese irreversibile la sua deliberazione con il rinunziare al pontificio massimo, cioè il ruolo dei collegi sacerdotali pagani e di patrono dei loro culti, ruolo che l'imperatore deteneva fin dai tempi di Augusto. Due tuttavia furono gli eventi di maggior importanza degli anni ottanta del 300 d.C. Il primo fu l'editto di Tessalonica del 28 febbraio del 380 con il quale il cattolicesimo diventò religione ufficiale di Stato e il secondo fu il concilio di Costantinopoli del 381.Questi due eventi furono promossi da Teodosio I. Costui fu generale e divenne imperatore d'Oriente nel 379. Nominato da Graziano,Teodosio fu il protagonista della cattolicizzazione dell'Impero. L'editto impose a tutti i popoli la formula di fede nicena e dichiarò di condannare i folli e gli insensati che accettavano l'infamia dell'eresia nicena. Con altri provvedimenti prese corpo la repressione dei culti tradizionali. Questi provvedimenti vietavano la frequentazione di templi e l’adorazione delle immagini degli dei, la conversione al paganesimo. Fondamentali furono le personalità dei vescovi Damaso di Roma e Pietro di Alessandria. Alcuni provvedimenti dell’editto di Tessalonica: ฀ I cristiani convertiti al paganesimo perdono il diritto di far testamento, i cristiani apostati se battezzati perdono anche la cittadinanza romana, i sacrifici e la divinazione sono puniti con l’esilio; ฀ I cristiani che si convertono al paganesimo perdono i diritti connessi alla cittadinanza romana e quello di far testamento se catecumeni possono testare solo a favore dei fratelli; ฀ Divieto totale del culto pagano in tutto l’Impero; ฀ Nelle città vige il divieto di incontrarsi con seguaci delle denominazioni ereticali: eunomiani, ariani, macedoniani, appolinaristi; ฀ Espulsione e confisca delle abitazioni agli appolinaristi; ฀ Confisca degli edifici pubblici e privati degli eretici. Entrato solennemente a Costantinopoli nel novembre del 380 d.C. alla fine dello stesso anno o all'inizio del 381, l'imperatore convocò ad un sinodo nella capitale i vescovi di Asia, Siria e Palestina. Considerato nella tradizione il secondo concilio ecumenico, il sinodo di Costantinopoli in effetti contò su una modesta partecipazione di vescovi, circa 150. Sul piano dottrinale il concilio mise fine alla controversia ariana. Solo sul piano dottrinale, perché l'arianesimo si espanse grazie all'azione missionaria del vescovo Wulfila. A Costantinopoli fu approvato il cosiddetto “Simbolo niceno - costantinopoliano” che presentava alcuni ampliamenti rispetto al Simbolo niceno. Il cambiamento più significativo riguardava lo Spirito Santo, entrato a far parte della controversia del 360. La formula di fede del simbolo niceno-costantinopoliano sembra essere ricondotta per la prima volta al concilio di Costantinopoli in una sessione del concilio di Calcedonia del 451. Questo silenzio di circa settant'anni ha posto numerosi problemi, ma oggi si conviene che la formula sia stata effettivamente presentata nella capitale d'Oriente come una versione del Credo niceno modificata con lievi correzioni e arricchita di aggiunte. Vengono sostanzialmente riproposte nelle due parti le definizioni relative al Padre, Dio onnipotente e creatore di tutte le cose e al Figlio generato dal Padre, ma non creato, consustanzialmente col Padre e incarnatosi per opera dello Spirito Santo. In questo concilio viene definita anche la divinità dello Spirito che è Signore e procede dal Padre e col Padre e il Figlio e glorificato e adorato. Questo concilio si è espresso in favore dell'eguaglianza dello Spirito Santo con Dio. Con il concilio di Costantinopoli dunque si può parlare di dogma trinitario. Questa formula, che sintetizza le peripezie dogmatiche del grande

scontro del IV secolo, rimarrà definitiva e pressoché immutata nei secoli, accolta nella Chiesa sia orientale che occidentale come fondamento della prassi liturgica e sacramentaria e sintetica summa delle principali verità di fede. Costantinopoli chiudeva l'accanito dibattito dottrinale aperto da Ario e la drammatica, lunga vicenda religiosa e politica che ne era seguita. Sacche ariane restavano nelle regioni come l'Illirico. 3. Altre controversie cristologiche del secolo IV Nel secolo IV troviamo altre controversie cristologiche. La prima controversia che troviamo è quella attribuibile ad Apollinare di Laodicea. Egli fu uno dei massimi oppositori dell'arianesimo, ma le sue posizioni cristologiche vennero condannate in vari sinodi. Proprio con lui ha inizio una nuova fase - quella relativa alla cristologia - delle controversie dogmatiche. Dei numerosi scritti restano scarsi frammenti. Apollinare con Atanasio - uno dei massimi oppositori dell'arianesimo - difendeva le definizioni del concilio di Nicea. Ma presto le sue idee cristologiche, che attenuavano l'umanità di Cristo, destarono sospetti e reazioni: ci fu la condanna, pur senza nominare Apollinare, da parte del concilio di Alessandria (362). Il suo intervento nello scisma di Antiochia (tra i vescovi rivali, entrambi ortodossi, Melezio e Paolino) e l'attività del suo discepolo Vitale (che Apollinare ordinandolo vescovo, lo mise a capo di un gruppo dissidente) aggravarono la situazione; le sue dottrine sull'Incarnazione furono condannate in vari sinodi. Il pensiero teologico di Apollinare s'incentra nella redenzione, quindi nell'Incarnazione; con lui comincia una nuova fase delle grandi controversie dogmatiche, quella relativa alla cristologia. Apollinare affermò, spinto dalla sua polemica antiariana, che il Verbo, consustanziale al Padre, si unì in Gesù Cristo al corpo e all'anima vegetativa, prendendo il posto dell'anima razionale (è chiaro il fondamento platonico delle tre anime); ma con ciò Apollinare tendeva a sminuire il valore dell'Incarnazione negando alla sua umanità una propria anima razionale e rendendo tra l'altro difficile spiegare come questa si redima se non assunta dal Verbo (anche per lui solo ciò che è assunto è redento). Egli intendeva dunque l'Incarnazione come semplice assunzione della "carne": letteralismo al quale, come al fortissimo sentimento della realtà dell'Incarnazione, può essere ricondotto anche il suo millenarismo. Restò anche poco definito il concetto di "persona" (egli usa il termine di "natura"): da ciò la formula una natura Dei Verbi incarnata, accolta da Cirillo di Alessandria, ma divenuta poi espressione caratteristica dei monofisiti. Altra controversia cristologica che è riconducibile alla seconda metà del secolo IV è quella del priscillanesimo. Questa dottrina prende il nome dal monaco asceta Priscilliano. Dottrina di tipo agnostico-manicheo, antitrinitaria. Nato in Spagna il priscillanesimo si estese anche in Gallia, ma qui l'episcopato reagì violentemente, quindi i priscillianisti, già condannati al concilio di Saragozza del 380, si spostarono in Italia: male accolti da papa Damaso e da Sant’Ambrogio, poterono far ritorno alle loro sedi per l'appoggio del potere civile. Dopo il colpo di Stato che diede il potere nelle Gallie a Massimo, questi ordinò che i priscillianisti fossero sottoposti al giudizio di un concilio, che si svolse a Bordeaux. Priscilliano presentò allora ricorso al tribunale civile dell'imperatore: ma il processo tenutosi a Treviri nel 385 si concluse con la condanna a morte di sette Priscillianisti (Priscilliano, Felicissimo, Armenio, Latroniano, Eucrozia, Asarivo, Aurelio), che furono decapitati. Il fatto destò grande scalpore e scandalo in tutta la cristianità e una decisa reazione degli stessi San Martino di Tours e Sant’Ambrogio, e giovò indubbiamente alla diffusione, in Spagna e nella Gallia meridionale, del movimento che, favorito anche dall'invasione vandalica, sopravvisse fino al secolo VI. 4. Dalla morte di Teodosio I al concilio di Calcedonia Alla morte di Teodosio I l'Impero fu definitivamente diviso in due parti. Teodosio I aveva già in mente di lasciare l'Impero diviso. Nel 393 egli aveva proclamato augusto d’Occidente e aveva destinato al trono d’Occidente il figlio minore, Onorio, e dieci anni prima aveva associato sul trono d'Oriente il figlio maggiore, Arcadio. Le due metà restarono da allora definitivamente divise e separate e spesso in contrapposizione. Essendo Onorio abbastanza piccolo, Teodosio I pensò

di affiancargli il famoso generale barbaro Stilicone. Alla morte di Teodosio, Stilicone inizialmente manifesta tolleranza nei confronti dei pagani e degli eretici, successivamente, quando il suo potere stava per vacillare, cerca di far promuovere da Onorio una legislazione contro di essi. L’eresia fu considerata” crimen publicum”. Nel frattempo durante gli ultimi anni del secolo IV e poi nel secolo successivo, l'antiorigenismo si fa sempre più forte e finisce col suscitare un duro e lungo scontro tra due vere e proprie fazioni nettamente schierate sia in Occidente che in Oriente. L’origenismo prende il nome da Origene, teologo cristiano di Alessandria d'Egitto che visse tra la fine del secolo II e l'inizio del secolo III. In Origene Dio è recepito nella sua triplice articolazione di Padre, Figlio e Spirito Santo, ma è innegabile una filigrana di subordinazionismo per cui il Figlio, pur della stessa sostanza del Padre, è presentato come un “secondo” Dio, un “immagine” del Bene Sommo che Iddio rappresenta, ancora più accentuata è la subordinazione dello Spirito Santo. Al grande teologo alessandrino si rimproverano alcune asserzioni sull'inferiorità del Figlio rispetto al Padre, sulla preesistenza delle anime rispetto ai corpi, sulla apocatastasi finale. La controversia scoppiò in Oriente, in Palestina. Ci fu un dissidio violento, Girolamo, ammiratore di Origene, aveva tradotto sue diverse opere dal greco al latino. Improvvisamente poi si schierò con la fazione antiorigenista, forse per timore di non essere più considerato custode dell’ortodossia. Tra i fautori di Origene vi è Rufino di Aquileia. Sorse una controversia tra Girolamo e Rufino che si accusarono a vicenda. Rufino scrisse un’ apologia contro Girolamo e viceversa. Rufino fu accusato di aver omesso o camuffato i passi più scopertamente ereticali dello scritto origeniano. Girolamo continuò ad attaccare Rufino anche quando questi tacque e anche dopo la morte, più volte lo chiamò «serpente, asino, cane». La controversia continuò e furono condannate, anche se non formalmente, le tesi di Origene. Come se non bastasse tra la fine del secolo IV e gli inizi del secolo V scoppiò un'altra controversia cristologica che prende il nome di pelagianesimo. Questa controversia scoppiò in Occidente. Pelagio, monaco di origine britannica, aveva studiato a Roma, anche tante opere di Agostino. Nacque intorno alla metà del IV secolo verso il 385, ricevette il battesimo e si stabilì a Roma con il suo discepolo Celestio. Il pelagianesimo invitava l’uomo ad impegnarsi nella ricerca continua della perfezione, nella lotta contro il peccato e per il libero arbitrio. L’uomo può raggiungere la salvezza con le proprie forze. Il pec...


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